Storiografia
42 Quintino Sella. A Teodoro Mommsen che domandò con quale idea universale l’Italia andasse a Roma, Quintino Sella rispose: quella della scienza. (Mommsen diceva che a Roma non si può stare senza un’idea universale. Questo motivo è stato ripreso dal Capo del Governo nel suo discorso sul Concordato alla Camera dei deputati. La risposta del Sella è interessante e appropriata: in quel periodo storico la scienza era la nuova «idea universale», la base della nuova cultura che si andava elaborando. Ma Roma non divenne la città della scienza; sarebbe stato necessario un grande programma industriale, ciò che non fu. La parola d’ordine del Sella è tuttavia notevole per descrivere l’uomo). Tuttavia il Sella non era né un ateo né un positivista che volesse sostituire la scienza alla religione. (Vedere i documenti, scritti o riportati da altri, del Sella stesso).
Eventi e Personaggi storici
60 Su Emanuele Filiberto, è interessante, scritto con serietà (non agiografico) l'articolo di Pietro Egidi nella «Nuova Antologia» del 16 aprile 1928, Emanuele Filiberto di Savoia.
148 Risorgimento italiano. Vedi nel «Corriere della Sera» del 16 ottobre 1931 l’articolo di Gioacchino Volpe, Quattro anni di governo nel Diario autografo del Re (sul libro di Francesco Salata, Carlo Alberto inedito). Il Volpe è anodino e prudente all’eccesso nei suoi giudizi e nella sua esposizione. Un capitoletto è intitolato «Contro le ingerenze straniere», ma quali sono queste ingerenze? Carlo Alberto è favorevolissimo all’intervento dell’Austria nelle Legazioni; è contro l’ingerenza (?) negli affari interni del Piemonte dell’ambasciatore francese e del ministro inglese che vorrebbero una conferenza a Torino per regolare le faccende dello Stato e della Chiesa: Carlo Alberto preferì l’intervento armato dell’Austria nelle Legazioni piuttosto che fare intervenire le proprie truppe come il Papa desiderava, perché non voleva che i soldati piemontesi si contagiassero di liberalismo o nei Romagnoli nascesse il desiderio di unirsi al Piemonte.
121 Cadorna. Spectator (M. Missiroli), Luigi Cadorna, Nuova Antologia del 1° marzo 1929. Osservazioni brillanti, ma superficiali, sulla tradizione politico‑militare della famiglia Cadorna e sulle condizioni di crisi dell’esercito italiano nel periodo in cui Luigi iniziò e compì la sua carriera.
Ecco una serie di quistioni molto interessanti da studiare a proposito della guerra fino a Caporetto: c’era identità di vedute tra Governo e Cadorna sulla politica militare, sui fini strategici e sui mezzi generali per raggiungerli e sull’amministrazione politica delle masse militari? Sul primo punto c’era disaccordo tra Cadorna e Sonnino, e Cadorna era miglior politico di Sonnino: Cadorna voleva fare una politica delle nazionalità in Austria, voleva cioè cercare di disgregare l’esercito austriaco, Sonnino si oppose; egli non voleva la distruzione dell’Austria.
Sul secondo punto non si hanno elementi: è molto probabile che il governo abbia trascurato di occuparsene, pensando che rientrasse nei poteri discrezionali del capo dell’esercito. Non così avvenne in Francia, dove gli stessi deputati si recavano al fronte e controllavano il trattamento fatto ai soldati: in Italia ciò appariva un’enormità, ecc., e avrà magari dato luogo a qualche inconveniente, ma gli inconvenienti non furono certo della importanza di Caporetto).
Cadorna era un burocratico della strategia; quando aveva fatto le sue ipotesi «logiche», dava torto alla realtà e si rifiutava di prenderla in considerazione.
Caporetto: dalle Memorie di Cadorna appare che egli era da qualche tempo informato, prima di Caporetto, che il morale delle truppe era infiacchito. (E in questo punto bisogna collocare una sua particolare attività «politica», molto pericolosa: egli non cerca di rendersi conto se occorre mutare qualcosa nel governo politico dell’esercito, se cioè l’infiacchimento morale delle truppe non sia dovuto al comando militare egli non sa esercitare l’autocritica; è persuaso che il fatto dipende dal governo civile, dal modo con cui è governato il paese, e domanda misure reazionarie, domanda repressioni, ecc. Nel paese trapela qualcosa di questa sua attività «politica» e gli articoli della «Stampa» sono l’espressione di una crisi e del paese e dell’esercito. La «Stampa» oggettivamente ha ragione: la situazione è molto simile a quella che ha preceduto la «fatal Novara». Anche in questo caso la responsabilità è del governo, che doveva allora sostituire Cadorna e occuparsi «politicamente» dell’esercito).
Il «mistero» militare di Caporetto. Il Comando supremo era stato avvertito dell’offensiva fino al giorno e l’ora, alla zona, alle forze austro‑tedesche che vi avrebbero partecipato. (Vedere il libro di Aldo Valori sulla guerra italiana). Perché invece ci fu «sorpresa»? L’articolista se la cava con dei luoghi comuni: Cadorna capo militare di secondo grado; critica dei militari italiani che erano appartati dal paese e dalla sua vita reale (il contrasto esercito piemontese ‑ garibaldini continua nel contrasto tra esercito e paese: cioè continua a operare la negatività nazionale del Risorgimento).
Molti luoghi comuni: è poi vero che prima della guerra in Italia l’esercito fosse trascurato? Bisognerebbe dimostrare che la percentuale italiana di spese militari sul bilancio totale sia stata più bassa che negli altri paesi: mi pare invece in Italia fosse più alta di molti paesi. (Ostinato più che volitivo: energia del testardo).
Mat. Bibl.: Cadornismo
Mat. Bbil.: Caporetto
Storia antica
Medio Evo
114 Storia politica e storia militare. Nel«Marzocco» del 10 marzo 1929 è riassunto un articolo di Ezio Levi nella «Glossa perenne» sugli Almògavari, interessante per due rispetti.
Rivoluzione francese, Restaurazione, Risorgimento, fine Ottocento
17 Guido Bustico, Gioachino Murat nelle memorie inedite del generale Rossetti. Nuova Antologia, fascicoli del 16 maggio e 1° giugno e 16 giugno 1927.
9 I filosofi e la Rivoluzione francese. Nello stesso zibaldone il Bonghi scrive di aver letto un articolo di Carlo Louandre nella «Revue des deux mondes» in cui si parla di un giornale (diario) di Barbier allora pubblicato, che riguarda la società francese dal 1718 al 1762. Il Bonghi ne trae la conclusione che la società francese di Luigi XV era peggiore per ogni parte di quella che seguì la rivoluzione. Superstizione religiosa in forme morbose, mentre l’incredulità cresceva nell’ombra. Il Louandre dimostra che i «filosofi» dettero la teoria di una pratica già fatta, non la fecero.
106 Risorgimento italiano. I giacobini italiani. Di solito sono trattati assai male nei libri e negli articoli divulgativi e se ne sa anche assai poco. Negli Atti del XIV Congresso nazionale per la storia del Risorgimento Italiano (1927) è pubblicato uno studio di Renato Sòriga, L’idea nazionale e il ceto dei «patrioti» avanti il maggio 1796, che rende noti alcuni documenti estratti dal copialettere di Filippo Buonarroti. Da questo studio si potranno avere dati bibliografici e indicazioni per studiare questo primo periodo del liberalismo italiano.
5 Angiolo Gambaro, Riforma religiosa nel Carteggio inedito di Raffaello Lambruschini, 2 voll., G. B. Paravia, 1926.
Recenti opere di studiosi della preparazione spirituale del Risorgimento: Ruffini, Gentile, Anzilotti, Luzio. Raccogliere bibliografia in proposito.
Il Lambruschini legato da relazioni personali con molti protagonisti (liberali moderati) del Risorgimento, esercitando un’influenza che il Gambaro sostiene di prim’ordine, finora quasi ignorata (pour cause!). Il Gambaro mette in rilievo il tormento intimo che l’associazione, nello stesso problema, dei termini politici e religiosi suscitò in quella generazione, in una parte della quale prevalse la visione politica, in altra la religiosa. Lambruschini espressione principale di questo secondo gruppo. Gambaro sostiene che Lambruschini non sansimoniano, non lamennaisiano, non giansenista, ma perfettamente ortodosso; i suoi accusatori spiriti malevoli o incapaci di comprendere.
Concezione evangelica della religione, in cui affiora il principio della libertà interiore concorde con l’autorità. Precorse e superò con maggiore audacia ed estensione ideale il blando riformismo del Rosmini e mirò a sanare un quadruplice ordine di piaghe da lui stesso così riassunte (Vol. I Gamb. p. CXCIX): «1) moltiplicare, sminuzzare, materializzare il culto esterno, e trascurare il sentimento; 2) falsare il concetto morale e il concetto delle relazioni nostre con Dio; 3) soggiogare le coscienze, annullare la libertà, per abuso dell’autorità sacerdotale; 4) sostituire alla fede ragionevole una stupida credulità». (Cenni dalla Nuova Antologia del 16 aprile 1927).
(In queste riesumazioni non si tiene abbastanza conto, per valutare l’importanza storica e l’influsso di questi «eroi» del Risorgimento, che la loro opera si esaurì quasi completamente nei carteggi privati e rimase clandestina).
56 Massimo D’Azeglio. In questi anni molte pubblicazioni apologetiche di Massimo D’Azeglio, specialmente del nominato Marcus De Rubris (vedere quanti titoli il De Rubris ha inventato per il D’Azeglio: il cavaliere della nazione, l’araldo della vigilia, ecc. ecc.). Raccogliere materiali per un capitolo di «fame usurpate».
Nel 1860, il D’Azeglio, governatore di Milano, impedì che fossero mandate armi e munizioni a Garibaldi per l’impresa di Marsala, «sembrandogli poco leale (!) aiutare una insurrezione contro il regno di Napoli, con cui si era in relazioni diplomatiche», come scrive il senatore Mozziotti («Nuova Antologia», 1° marzo 1928, La spedizione garibaldina del «Utile». Cfr Luzio, Il milione di fucili e la spedizione dei Mille nella «Lettura» dell’aprile 1910 e la letteratura su Garibaldi in generale: come Garibaldi giudicò il D’Azeglio? Cfr le Memorie). Poiché il D’Azeglio, in altre occasioni, non fu così attaccato alla «lealtà», il suo atteggiamento deve essere spiegato con l’avversione cieca e settaria al partito d’azione e a Garibaldi. L’atteggiamento del D’Azeglio spiega la politica pavida e ondeggiante di Cavour nel 60: D’Azeglio era un Cavour meno intelligente e meno uomo di Stato, ma politicamente si rassomigliavano: non si trattava tanto per loro di unificare l’Italia, quanto di impedire che operassero i democratici.
13 Eugenio Di Carlo, Un carteggio inedito del P. L. Taparelli D’Azeglio coi fratelli Massimo e Roberto, Anonima Romana Editoriale, Roma, 1926, L. 16,50.
Libro importante. Prospero Taparelli D’Azeglio, fratello di Massimo e di Roberto, nato a Torino il 24 ottobre 1793, entrò nella Compagnia di Gesù nel 1814 col nome di Luigi. Accanito oppositore del liberalismo, difensore dei diritti della chiesa e del potere cattolico contro il potere laicale nei suoi libri e nella «Civiltà Cattolica». Propugnò il tomismo, quando questa filosofia non godeva molte simpatie tra i gesuiti. Prima giobertiano, avversario dopo il Gesuita moderno; sostenitore della necessità di un avvicinamento e di un accordo tra liberali moderati e cattolicismo, contro il liberalismo che voleva la separazione della Chiesa dallo Stato: per il potere temporale. Il Di Carlo lo difende dall’accusa di austriacantismo e di nemico della libertà. Oltre la prefazione del Di Carlo, 44 lettere dal 21 al 62, in cui trattati i temi del giorno.
(Mi pare che anche in questo libro ci sia la tendenza a riabilitare i nemici del Risorgimento, con la scusa della «cornice dei tempi». Ma qual era questa «cornice», la reazione o il Risorgimento?).
81 I volontari nel Risorgimento
22 Stefano Jacini, Un conservatore rurale della nuova Italia. Due volumi di complessive 600 pagine con indice dei nomi. Bari, Laterza.
È la biografia di Stefano Jacini senior scritta da suo nipote. Lo Jacini ha utilizzato l’archivio domestico, ricco fra l’altro di un epistolario in molta parte inedito. Chiarisce e completa periodi ed episodi della storia 1850‑1890. Lo Jacini non fu personalità di prima linea, ma ebbe un carattere proprio. Ebbe una parte non trascurabile nell’opera di unificazione economica della nazione (unificazione ferroviaria, valico del Gottardo, inchiesta agraria). Sostenitore di un partito conservatore nazionale (clericale) (lo Jacini agricoltore e filatore di seta). Non prese parte al movimento del 48. («Aveva una cultura internazionale fatta in molti viaggi, ciò che gli diede una visione europea della rivoluzione del 48, visione che lo trattenne dal prendervi parte attiva quando scoppiò in Italia»: così su per giù scrive Filippo Meda). Insomma lo Jacini seguì l’atteggiamento della sua classe che era reazionaria ed austriacante.
Sotto il governo di Massimiliano, collaborò. Si occupò di quistioni tecniche ed economiche. Fautore di Cavour, cioè dell’indipendenza senza rivoluzione. Fu attaccato quando era ministro con Cavour, per il suo passato prima del 59 e difeso dal Cattaneo.
Nel gennaio 1870 uscì il suo libro Sulle condizioni della cosa pubblica in Italia dove appare la tesi di un’Italia reale diversa e dissenziente dall’Italia legale (formula poi usata dai clericali): contro il Parlamento che voleva ridotto alle grandi quistioni della difesa dello Stato, della politica estera, della finanza centrale; decentramento regionale; suffragio universale indiretto col voto agli analfabeti (cioè potere agli agrari).
Nel 1879 pubblica I conservatori e la evoluzione naturale dei partiti politici in Italia. lmmagina l’equilibrio politico così: estrema sinistra, repubblicani; estrema destra, clericali intransigenti (egli pensava a un prossimo abbandono dell’astensionismo); nel mezzo, due partiti di governo, uno decisamente conservatore nazionale, l’altro liberale‑monarchico progressivo.
Contro Crispi e la megalomania politica. (Emanuele Greppi, Gaetano Negri, Giuseppe Colombo accettavano il suo pensiero: moderati lombardi).
Lo Jacini offre un esemplare compiuto di una classe, gli agrari settentrionali: la sua attività politica e letteraria è interessante perché da essa hanno tratto spunto e motivi movimenti posteriori (Partito Popolare, ecc.). (Contrario nel 71 al trasferimento della capitale a Roma).
111 Risorgimento, Il popolo e il Risorgimento. Nel «Marzocco» del 30 settembre 1928 è riassunto, col titolo La Serenissima meritava di morire?, un opuscolo miscellaneo di Antonio Pilot (Stabil. Grafico U. Bortoli), in cui si estraggono da diari e memorie di veneziani opinioni sulla caduta della Repubblica Veneta.
La responsabilità del patriziato era idea fissa delle classi popolari. L’ultimo doge, Lodovico Manin racconta in certe sue Memorie: «La cosa arrivò al grado che, passando un giorno per una corticella a San Marcuola, una donna, conoscendomi, disse: Almeno venisse la peste, che così moriressimo noi altre, ma morirebbero anche questi ricchi che ci hanno venduti e che sono cagione che moriamo di freddo e di fame». Il vecchio desistette dalla passeggiata e si ritirò. Il Bertucci Balbi‑Valier in un sonetto intitolato I nobili veneti del 1797 non tradirono la Repubblica scrive: «No, no xe vero, i nobili tradio ‑ No ga la patria nel novantasete» (ciò che significa quanto profonda fosse la convinzione e come si cercasse di combatterla).
113 Risorgimento. Il popolo e il Risorgimento. Nella «Lettura» del 1928 Pietro Nurra pubblica il diario inedito di un combattente delle cinque giornate di Milano, il mantovano Giovanni Romani, stabilitosi una prima volta a Milano nel 1838 come cuoco alla Croce d’Oro in contrada delle Asole, poi, dopo aver girato quasi tutta Italia, ritornato a Milano, alla vigilia delle cinque giornate, all’osteria del Porto di Mare in Santo Stefano. Il diario si compone di una specie di taccuino di 199 pagine numerate, delle quali 186 scritte con calligrafia grossolana, e dicitura scorrettissima.
Mi pare molto interessante perché i popolani non sono soliti scrivere di questi diarii, tanto più 80 anni fa. Perciò è da studiare per il suo valore psicologico e storico: forse si trova nel Museo del Risorgimento a Milano: vedere nella «Lettura» se sono dati altri estremi bibliografici.
95 Quistioni interessanti della storia e della politica italiana. Confrontare Il mistero dei «Ricordi diplomatici» di Costantino Nigra di Delfino Orsi nella Nuova Antologia del 16 novembre 1928.
Articolo molto importante, sebbene pieno di particolari sciocchezze – (alcune delle quali dimostrano a che punto di esasperazione bestialmente acritica erano giunti molti borghesi italiani: a p. 148 l’Orsi scrive: «Il 19 ottobre 1904 il conte Nigra era giunto a Torino per recarsi il giorno dopo a Racconigi, dove il Re l’aveva chiamato per averlo testimonio, insieme al Bianchieri, alla rogazione dell’atto di nascita del Principe Ereditario. Da due giorni con un pretesto di sustrato economico, ma in verità coll’intenzione (!!) di turbare l’esultanza della Nazione per il faustissimo evento della Reggia, il partito socialista, messosi come al solito vilmente a rimorchio dei comunisti (!! nel 1904!), aveva proclamato lo sciopero generale in tutta Italia». Come le frasi fatte sostituiscono ogni forma responsabile di pensiero fino a condurre alle sciocchezze più esilaranti! Si potrebbe collocare in rubrica in Passato e Presente) –, perché riguarda uno di quei fatti che rimangono misteriosi: la sparizione dei Ricordi diplomatici del Nigra che l’Orsi ha visto ultimati, corretti, rifiniti e che sarebbero stati preziosissimi per la storia del Risorgimento.
Collegare con l’affare Bollea per l’epistolario di M. D’Azeglio, coi costituti Confalonieri, ecc.
29 Quintino Sella. (Articolo di Cesare Spellanzon nella «Rivista d’Italia» del 15 luglio 1927).
Quintino Sella è uno dei pochi borghesi, tecnicamente industriali, che partecipano in prima fila alla formazione dello Stato moderno in Italia. Egli si differenzia in modo notevolissimo dal rimanente personale politico del suo tempo e della sua generazione, per la cultura specializzata (è un grande ingegnere e anche un uomo di scienza); conosce l’inglese e il tedesco oltre che il francese; ha viaggiato molto all’estero e si è tuffato nella vita di altri paesi per conoscerne le abitudini di lavoro e di vita (non ha cioè viaggiato come turista, visitando alberghi e salotti); ha una vasta cultura umanistica oltre che tecnica; è uomo di forti convinzioni morali, anzi di un certo puritanismo, e cerca di mantenersi indipendente dalla corte, che esercitava una funzione degradante sugli uomini al governo (molti uomini di Stato facevano i ruffiani come il D’Azeglio) fino a porsi apertamente contro il re per la sua vita privata e a domandargli decurtazioni di lista civile (si sa quanto la quistione della lista civile e delle oblazioni occasionali avesse importanza nella scelta degli uomini di governo) e a staccarsi dalla così detta destra che era più una cricca di burocrati, generali, proprietari terrieri che un partito politico (vedere meglio questo problema) per avvicinarsi ad altre correnti più progressive (il Sella partecipò al trasformismo che significava tentativo di creare un forte partito borghese all’infuori delle tradizioni personalistiche e settarie delle formazioni del Risorgimento).
Quintino Sella tassatore spietato: il macinato; perché fu scelta questa tassa? Per la facilità di riscossione o perché tra l’odio popolare e il sabotaggio delle classi proprietarie si aveva più paura di questo?
Poca partecipazione al 48 (egli aveva visto a Parigi la caduta della monarchia di luglio). A Milano si trovò in un’assemblea dove si voleva votare un biasimo a Brescia che piemontesizzava: Sella sostenne Brescia e fu fischiato. Apparteneva alla Destra ma fu ministro la prima volta con Rattazzi, capo del centro sinistro (1862), fu avversario del primo ministero Minghetti (63‑64) e col Lanza combatté il ministero Menabrea (68‑69). Deciso per la conquista di Roma. Il Lamarmora nel 1871 scrisse che il Sella «corre sempre, ora in alto ora in basso, un po’ a destra, un po’ a sinistra; non si sa mai da che parte egli sia e sovente non lo sa nemmeno lui».
Nel 1865 si reca alla Reggia a chiedere al re il sacrificio di 3 milioni annui della lista civile per far fronte alle immediate difficoltà di tesoreria. Come industriale, andato al governo, cessa i rapporti di fornitura allo Stato. Nel Parlamento «osa rivolgersi con chiara allusione al re, del quale deplora certe sregolatezze della vita intima, per ammonirlo che il popolo non fa credito ai suoi governanti se essi non danno esempio costante di moralità». Si oppone all’approvazione del disegno di legge per la Regìa dei tabacchi, presentato da un ministero di Destra perché c’era odor di corruzione e di loschi maneggi in quel grosso affare che il ministero Menabrea si accingeva a convalidare. Sella si oppone risolutamente all’alleanza con la Francia nel 70. Il re intrigava per sostituire Lanza con Cialdini; Sella nel Senato rispose con asprezza all’attacco sferrato da Cialdini. (Nato nel 1827, morto nell’84).
69 H. Nelson Gay, Mazzini e Antonio Gallenga apostoli dell’Indipendenza italiana in Inghilterra (con nove lettere inedite di Mazzini), Nuova Antologia, 16 luglio 1928. Tratta specialmente della violazione di segreto epistolare compiuta dal governo inglese a danno di Mazzini nel 1844 prima della spedizione dei fratelli Bandiera e del servizio reso dall’Inghilterra ai Borboni, comunicandogli i dati della congiura. I fratelli Bandiera furono arrestati per «merito» del governo inglese o di un mazziniano traditore (Boccheciampe)?
Bisogna vedere con maggiore esattezza, perché l’arresto dei Bandiera domandò misure militari e spese così cospicue, che solo una grande autorità nella fonte d’informazione poteva decidere il governo a fare, dato che non dovevano mancare le informazioni infondate da parte di provocatori e speculatori su congiure, iniziative rivoluzionarie, ecc. Perciò bisogna precisare meglio se la responsabilità del governo inglese (lord Aberdeen) fu solo morale (in quanto realmente informò) o anche decisiva e immediata (in quanto senza di essa non ci sarebbe stata la repressione così come avvenne).
Il deputato radicale Duncombe, che presentò in Parlamento la petizione di Mazzini, in un discorso affermò: «Se un monumento dovesse essere eretto in memoria di coloro che caddero a Cosenza, come spero sarà fatto, la lapide commemorativa dovrebbe ricordare che essi caddero per la causa della giustizia e della verità, vittime della bassezza e dell’inganno di un Ministro Britannico».
70 La Rivoluzione francese e il >Risorgimento. Un motivo che ricorre spesso nella letteratura italiana, storica e non storica, è questo espresso da Decio Cortesi in un articolo, Roma centotrent’anni fa (Nuova Antologia, 16 luglio 1928): «È da deplorare che nella pacifica Italia, che s’incamminava verso un miglioramento graduale e senza scotimenti (!!?), le teorie giacobine, figlie di un idealismo pedantesco, che nei nostri cervelli non ha mai allignato, dessero occasione a tante scene di violenze; ed è da deplorare tanto più perché se queste violenze, nella Francia ancora oppressa dagli ultimi avanzi del feudalismo e da un dispotismo regale, potevano, fino ad un certo punto, essere giustificate, in Italia, dai costumi semplici e schiettamente democratici in pratica (!!?), non avevano uguale (ragione) d’essere. I reggitori d’Italia potevano essere chiamati «tiranni» nei sonetti dei letterati, ma chi senza passione prende a considerare il benessere del quale godé il nostro paese nello splendido secolo XVIII non potrà non pensare con qualche rimpianto a tutto quell’insieme di sentimenti e di tradizioni che l’invasione straniera colpì a morte».
L’osservazione potrebbe essere vera se la restaurazione stessa avvenuta dopo il 15 non dimostrasse che anche in Italia la situazione del secolo XVIII era tutt’altro da quella ritenuta. L’errore è di considerare la superficie e non le condizioni reali delle grandi masse popolari. In ogni modo è giusto che senza l’invasione straniera i «patriotti» non avrebbero acquistato quell’importanza e non avrebbero subìto quel relativamente rapido processo di sviluppo che poi ebbero. L’elemento rivoluzionario era scarso e passivo.
Primo Novecento
19 Articolo di Roger Labonne nel «Correspondant» del 10 gennaio 1927 su Italia e Asia Minore.
21 L’Etiopia d’oggi (articolo della «Rivista d'Italia» firmato tre stelle).
Mat. Bibliog.: Colonialismo italiano
27 Il «Correspondant» del 25 luglio 1927
28 Articolo di Frank Simonds, Vecchi torbidi nei nuovi Balcani, nella «American Review of Reviews». Il Simonds fa un parallelo tra Mussolini e Stresemann, come uomini politici più attivi di Europa. L’uno e l’altro sacrificano allo spirito di opportunismo (forse vuol dire «del momento», ma anche forse si riferisce alla mancanza di prospettive larghe e lontane e quindi di principii). I trattati di Mussolini come quelli di Stresemann non rappresentano una politica permanente. Sono cose fatte al momento per le condizioni contemporanee. E poiché possono intervenire dei fatti atti a precipitare il conflitto, l’uno e l’altro sono egualmente ansiosi di evitare le ostilità acquistando pei rispettivi paesi e per se stessi il necessario prestigio con vittorie diplomatiche incidentali.
49 Alessandro Mariani. Di questo bellissimo tipo la «Nuova Antologia» del 1° ottobre 1927 pubblica una scelta d’impressioni e di pensieri (Interpretazioni) da una raccolta che avrebbe dovuto essere pubblicata prossimamente.
66 La quistione agraria. Nella Nuova Antologia del 16 maggio 1928 è pubblicato un articolo di Nello Toscanelli, Il latifondo, che contiene già nella prima pagina una perla come questa: «Da quando l’arte di scrivere ha permesso agli Italiani di avere una storia (!), l’argomento della divisione delle terre è sempre stato all’ordine del giorno» dei comizi popolari. Infatti, in un paese, nel quale si può viver bene per la maggior parte dell’anno all’aria aperta, il diventar padrone, sia pur di un piccolo appezzamento di terra, rappresenta l’aspirazione segreta del cittadino (!?), convinto di poter trovare le più facili gioie ed una fonte perenne di prodotti nei campi, da lui visti soltanto nel rigoglio primaverile delle mèssi o nell’epoca dell’allegra vendemmia. Ed, in minor grado (!?), la dolce visione della proprietà terriera scuote anche (!) il campagnolo, che pur sa (!) le lentezze e le disillusioni dell’agricoltura». (Questo Nello Toscanelli è un tipo bislacco come Loria).
Secondo il Toscanelli la formula: «La terra ai contadini» fu presentata nel 1913 in un programma elettorale dall’onorevole Aurelio Drago. (Ripresa durante la guerra, nel 1917, da un presidente del Consiglio e divulgata nel «Resto del Carlino» dal senatore Tanari). L’articolo del Toscanelli è una verbosa scorribanda giornalistica senza alcun valore (contro la riforma agraria, naturalmente).
76 Gli ufficiali in congedo. Traggo le notizie dal discorso del senatore Libertini tenuto al Senato il 10 giugno 1929.
77 La politica militare. Leggere attentamente le discussioni specialmente del Senato sui bilanci militari. Si possono trovare molte osservazioni interessanti sulla reale efficienza delle forze armate e per il confronto tra il vecchio e nuovo regime.
82 Giolitti. Articolo nella Nuova Antologia del 1° agosto 1928 su G. Giolitti di Spectator (che deve essere Mario Missiroli). L’articolo è interessante e bisogna servirsene nel caso di trattazione dello stesso argomento. Giolitti e il movimento operaio e socialista, Giolitti e il dopoguerra, ecc. Molti aspetti della politica di Giolitti sono appena sfiorati: in realtà il nocciolo della sua azione non è toccato, sebbene ci siano accenni che potrebbero far pensare che il Missiroli avrebbe potuto dire di più.
Mat. Bibl.: L'età giolittiana
Politologia
51 Giovanni Pascoli. Sulle tendenze politiche di Giovanni Pascoli (il Pascoli da giovane fu incarcerato come membro dell’Internazionale), che ebbero pubblicamente il massimo di ripercussione al tempo della guerra libica col discorso La grande proletaria si è mossa e che sono da connettere con le dottrine di Enrico Corradini, in cui il concetto di «proletario» dalle classi è trasportato alle nazioni (quistione della «proprietà nazionale» legata con l’emigrazione; ma si osserva che la povertà di un paese è relativa ed è l’«industria» dell’uomo – classe dirigente – che riesce a dare a una nazione una posizione nel mondo e nella divisione internazionale del lavoro; l’emigrazione è una conseguenza della incapacità della classe dirigente a dar lavoro alla popolazione e non della povertà nazionale: esempio dell’Olanda, della Danimarca, ecc.; quistioni relative si capisce), sono interessanti le Lettere inedite di Giovanni Pascoli a Luigi Mercatelli, pubblicate da G. Zuppone‑Strani nella Nuova Antologia del 16 ottobre 1927. (Il Mercatelli era corrispondente della «Tribuna» dall’Eritrea; rientrò al giornale nel 1896; nel 97 andò in Africa con F. Martini, nel 99 fu direttore della «Tribuna» con Federico Fabbri; nel 1903 fu Console generale allo Zanzibar, nel 1904 governatore del Benadir).
In una lettera scritta da Barga il 30 ottobre 1899 il Pascoli scrive: «Io mi sento socialista, profondamente socialista, ma socialista dell’umanità, non d’una classe. E col mio socialismo, per quanto abbracci tutti i popoli, sento che non contrasta il desiderio e l’aspirazione dell’espansione coloniale. Oh! io avrei voluto che della colonizzazione italiana si fosse messo alla testa il baldo e giovane partito sociale; ma ahimè esso fu reso decrepito dai suoi teorici». (Vedere nell’opera poetica del Pascoli il riflesso di questa sua concezione e nelle Antologie scolastiche).
In una lettera da Messina, dell’8 giugno 1900, si accenna alla sua collaborazione alla «Tribuna»: «Oh! potessi io settimanalmente o bimensilmente pubblicare le mie “Conversazioni coi giovani”! Nel discorso che feci l’altrieri e che ti mando purgato dai molti idioti errori di stampa, è un cenno di ciò che io reputo la mia missione: introdurre il pensiero della patria e della nazione e della razza nel cieco e gelido socialismo di Marx».
In una lettera da Barga del 2 luglio 1900 annunzia una rubrica che vorrebbe scrivere nella «Tribuna», intitolata «Nell’avvenire», di cui presto manderà il proemio: «La rubrica conterrebbe articoli di ogni sorta, diretti a quelli che ora sono tra fanciulli e adolescenti, che contemplerebbero le quistioni presenti alla luce dell’avvenire. Il primo articolo proemiale, dopo una breve dichiarazione mia, di rinunzia formale e solenne alla “vita attiva” – cioè, vuol dire, a diventare deputato – tratterebbe quest’argomento. “I giovani, quelli almeno che sono veramente giovani, hanno in sé qualcosa d’eroico. Quelli, di qualche tempo fa, si sentivano spinti all’eroismo patriottico, quelli d’ora all’eroismo, diciamo, socialistico. Però in fondo al loro cuore è un dissidio profondo. Sentendo la difesa d’Amba Alagi, anche quelli, che avevano fatto dedizione dei loro sentimenti eroici all’idea umanitaria, provarono una scossa.., Ebbene, bisogna conciliare questo dissidio che travaglia (io lo so, io lo sento) il cuore della gioventù, etc., etc.”».
Più oltre scrive: «E non parlerei mica sempre di simili questioni: parlerei d’arte e di letteratura e di scienza e di inorale, cercando sempre di sradicare i pregiudizi e di porre in faccia alla moda l’Ewig e di contro all’oggi, l’ieri e il domani», senza accorgersi dell’intima contraddizione in cui egli stesso si dibatteva, dato che dell’Ewig avesse una concezione giusta.
In una lettera da Barga del 12 agosto 1900 accenna a un suo scritto, Nel carcere di Ginevra, a proposito di Luccheni, che la «Tribuna» non pubblicò e che il Pascoli pubblicò dopo; non ricordo questo scritto.
In una lettera dell’11 dicembre 1900 da Messina, firmata «Giovanni Pascoli socialista‑patriota messo all’indice dai giornali politici, cioè finanzieri d’Italia», parla della sua collaborazione a un giornale locale e pare che abbia iniziato la pubblicazione pensata come rubriche permanenti della «Tribuna», ma che la «Tribuna» non volle pubblicare. (Vedere la bibliografia del Pascoli. La rubrica «Nell’ o Per l’Avvenire», in una lettera del 14 dicembre 1900, è detta essere stata iniziata nella «Tribuna» da Ojetti),
In una lettera senza data, ma che lo Zuppone‑Strani dice scritta da Barga sul finire del 1902 o nella prima metà del 1903 è scritto: «Eppure il poeta ti ama là, ti vede là, ti sogna là, eppure il patriota e l’“umano” (“socialista” non mi conviene più essere chiamato e chiamarmi) si esalta nel saperti investito d’una altissima missione d’utile o onore italico e di civiltà. Ti chiamavo “negriero”, e tu vai a distruggere i negrieri» (il Pascoli chiamava scherzosamente il Mercatelli «ras», «negriero», ecc.). E più oltre: «Perché a rifuggire dal socialismo politico dei nostri giorni aiuta me non solo l’orrore al dispotismo della folla o del numero dei più, ma specialmente la necessità che io riconosco e idoleggio, d’una grande politica coloniale».
52 Giovanni Pascoli. La Nuova Antologia del 1° dicembre 1927 pubblica un articolo inedito del Pascoli, mandato nel 1897 alla «Tribuna» e non pubblicato perché al Mercatelli sembrò «troppo ardito per l’indole del giornale» e «troppo compromettente per l’autore».1 L’articolo era intitolato Allecto («la Erinni dell’odio implacabile e della vendetta interminabile») e prendeva lo spunto da un telegramma del ministro francese Méline ai Lorenesi. Per il Pascoli la Francia e la Russia avrebbero fatto la guerra alla Germania (quindi alla Triplice, quindi all’Italia) «tra poco o tra molto, ma certo». Il Pascoli si rivolge alle madri. C’è un «profeta»: un «dolce e fiero profeta ammantato d’una tunica rossa gira per il mondo, tra i popoli eletti e le genti, predicando un suo vangelo di pace. In suo nome girano e parlano migliaia d’apostoli, dei quali tutti stupiscono e ammirano, perché ognuno li ode parlare nella lingua sua. Essi hanno convertito il cuore stupidamente feroce degli uomini». Questi uomini «dicono ai sinistri trombettieri della distruzione: “No: non vogliamo: non potrete! ”», ma «d’or innanzi ci saranno nella proprietà e in genere nella convivenza sociale alcune modificazioni». Che direbbero le madri? ecc.
«Questo profeta voleva essere il Marxismo. Voleva e certo vorrebbe ancora; ma non può. Non è riuscito. L’atroce guerra che si minaccia, che è il delitto più enorme... non può essere stornata dal Marxismo. Essa con tante vite e tanti tesori e tante idealità travolgerà anche questa scuola, questo sistema, che si mostrò impotente. Per colpa sua? Io non sono mosso da avversione a tale scuola e sistema; ma non posso fare a meno di riconoscere che gli è mancato l’afflato, l’impeto, le lingue di fuoco. Ha voluto essere una scuola e doveva essere una religione. Doveva parlare più d’amore e meno di plus‑valore, più di sacrifizio che di lotta, più d’umanità che di classi. Doveva diffondersi equabilmente da per tutto; doveva aver di mira tutti i popoli, anche quelli più guardati dalle forche e dai princìpi dell’89... Mi spiego».
Secondo il Pascoli «la Germania, e però la Triplice, ha, rispetto alla Francia e alla Russia, un elemento di debolezza: il socialismo». Il Pascoli «teme» che «si sia ottenuto» nel cuore degli operai tedeschi e italiani di «far germinare... l’amore universale al posto dell’atavismo belluino e bellicoso», Italiani e tedeschi sarebbero diventati agnelli, mentre Francesi e Russi sarebbero rimasti leoni e tigri ecc.
«Ma il Marxismo parlerà prima dello squillo. Che dirà? Sentiremo. Saranno, credo, parole degne del gran momento. Serviranno, spero, a rimediare ai danni che involontariamente esso ha recato o è per recare alle nazioni che l’hanno accolto. Faranno, anzi, come da nuovo fermento ideale, che valga a compensare l’impeto bestiale, negli animi nostri. Oh! specialmente l’Italia lo merita! Non è essa la nazione povera, il proletario tra i popoli? Per l’Italia ci dica una parola animosa. Dove non è la traccia ciclopica del lavoro italiano? Quali ferrovie non furono costruite e quali monti non furono forati e quali istmi non furono aperti, nella massima parte, da braccia italiane? E il loro lavoro non arricchì né loro né la loro nazione, poiché era al servizio del capitale straniero. Noi abbiamo esportato ed esportiamo lavoratori; importammo e importiamo capitalisti. Fuori e dentro noi arricchiamo gli altri, rimanendo poveri noi. E quelli, che arricchimmo, ci spregiano e ci chiamano pitocchi. Io non so dar ragione di questo fatto, ma così è. So però che nel fatto non è peccato nostro d’indolenza o d’altro. Come si può chiamare indolente il popolo più faticante e industrioso e parco del mondo? Io dico che è una ingiustizia». Attacca la Francia, «la sorella padrona», e conclude: «o patria grande di lavoratori e di eroi! poiché lo vogliono, poiché anche la tua povertà fa ombra e la tua umiltà fa dispetto, accetta, quando che sia, la sfida, e combatti disperatamente».
Il Pascoli aspirava a diventate il leader del popolo italiano; ma come egli stesso dice in una lettera al Mercatelli, citata in una nota precedente, il carattere «eroico» delle nuove generazioni si rivolge al «socialismo», come quello delle generazioni precedenti si era rivolto alla quistione nazionale: perciò il suo temperamento lo porta a farsi banditore di un socialismo nazionale che gli sembra all’altezza dei tempi. Egli è il creatore del concetto di nazione proletaria, e di altri concetti poi svolti da E. Corradini e dai nazionalisti di origine sindacalista: questo concetto in lui era molto antico. Egli si illudeva che questa sua ideologia sarebbe stata favorita dalle classi dirigenti: ma la «Tribuna», nonostante la stretta amicizia del Pascoli col Mercatelli, non gli dà le sue colonne e la sua autorità.
È interessante questo dissidio nello spirito pascoliano: voler essere poeta epico e aedo popolare mentre il suo temperamento era piuttosto «intimista». Di qui anche un dissidio artistico, che si manifesta nello sforzo, nell’anfanamento, nella retorica, nella bruttezza di molti componimenti, in una falsa ingenuità che diventa vera puerilità. Che il Pascoli tenesse molto a questa sua funzione si vede da un brano di lettera al Mercatelli, in cui dice che sarebbe stato lieto di essere incaricato delle scuole all’estero o delle scuole coloniali, più che di fare il professore di lettere all’Università, per avere agio di fare appunto il profeta della missione d’Italia nel mondo.2 (Del resto qualcosa di simile, pensò di sé stesso il D'Annunzio: vedi il volume Per l’Italia degli Italiani).
75 R. Michels, Les Partis politiques e la contrainte sociale, «Mercure de France», 1° maggio 1928, pp. 513-535. «Le parti politique ne saurait être étymologiquement et logiquement qu’une partie de l’ensemble des citoyens, organisée sur le terrain de la politique. Le parti n’est donc qu’une fraction, pars pro toto» (?).
Secondo Max Weber (Wirtschaft und Gesellschaft, Grundriss der Sozialökonomik, III, 2a ediz., Tubinga 1925, pp. 167, 639) ha la sua origine da due specie di cause: sarebbe specialmente una associazione spontanea di propaganda e d’agitazione, che tende al potere per procurare così ai suoi aderenti attivi (militanti) possibilità morali e materiali per realizzare fini oggettivi o vantaggi personali o ancora le due cose insieme. L’orientazione generale dei partiti politici consisterebbe pertanto nel Machtstreben, personale o impersonale. Nel primo caso i partiti personali sarebbero basati sulla protezione accordata a degli inferiori da un uomo potente. Nella storia (?) dei partiti politici i casi di tal genere sono frequenti. Nella vecchia dieta prussiana del 1855, che comprendeva molti gruppi politici, tutti avevano il nome dei loro capi: il solo gruppo che si diede il vero nome fu un gruppo nazionale, quello polacco (cfr Friedrich Naumann, Die politischen Parteien, Berlino, 1910, «Die Hilfe», p. 8).
La storia del movimento operaio dimostra che i socialisti non hanno sprezzato questa tradizione borghese. Spesso i partiti socialisti hanno preso il nome dai loro capi («comme pour faire aveu public de leur assujettissement complet à ces chefs») (!). In Germania, tra il 1863 e (il) 1875, le frazioni socialiste rivale erano i Marxisti e i Lassalliani. In Francia, in un’epoca più recente, le grandi correnti socialiste erano divise in Broussistes, Allemanistes, Blanquistes, Guesdistes e Jaurèssistes. È vero che gli uomini che davano così il nome ai diversi movimenti personificavano il più completamente possibile le idee e le tendenze che ispiravano il partito e li guidarono durante tutta la sua evoluzione (Maurice Charnay, Les Allemanistes, Parigi, Rivière, 1912, p. 25).
Forse c’è analogia tra i partiti politici e le sette religiose e gli ordini monastici; Yves Guyot, La Comédie socialiste, Parigi, 1897, Charpentier, p. 111). Ecco dei partiti-tipo, che potrebbero essere chiamati «partis de patronage». Quando il capo esercita un influsso sui suoi aderenti per qualità così eminenti che sembrano soprannaturali a questi ultimi, esso può essere chiamato capo charismatico (χάρισμα, dono di dio, ricompensa; cfr M. Weber, op. cit., p. 140). Questa nota è segnata 4 bis, cioè è stata inserita nelle bozze; non certo per la traduzione di «χάρισμα», ma forse per la citazione del Weber. Il Michels ha fatto molto baccano in Italia per la «sua» trovata del «capo charismatico» che probabilmente [occorrerebbe confrontare] era già nel Weber; bisognerebbe vedere anche il libro del Michels sulla Sociologia politica del 27: non accenna neanche che una concezione del capo per grazia di dio è già esistita e come!)
Tuttavia questa specie di partito si presenta talvolta in forme più generali. Lo stesso Lassalle, il capo dei Lassalliani, officialmente non era che presidente a vita dell’Allgemeiner Deutscher Arbeiterverein. Egli si compiaceva di vantarsi dinanzi ai suoi fautori dell’idolatria che godeva da parte delle masse deliranti e delle vergini vestite di bianco che gli cantavano dei cori e gli offrivano dei fiori. Questa fede charismatica non era solo frutto di una psicologia esuberante e un po’ megalomane, ma corrispondeva anche a una concezione teorica. Noi dobbiamo – disse agli operai renani esponendo loro le sue idee sull’organizzazione del partito – di tutte le nostre volontà disperse foggiare un martello e metterlo nelle mani d’un uomo la cui intelligenza, il carattere e l’attaccamento ci siano una garanzia che colpisca energicamente (cfr Michels, Les partis politiques, 1914, p. 130; non rimanda all’edizione italiana ampliata e del 24). Era il martello del dittatore.
Più tardi le masse domandarono almeno un simulacro di democrazia e di potere collettivo, si formarono gruppi sempre più numerosi di capi che non ammettevano la dittatura di un solo. Jaurès e Bebel sono due tipi di capi charismatici. Bebel, orfano di un sottufficiale di Pomerania, parlava altezzosamente (?) ed era imperativo (Hervé lo chiamò il Kaiser Bebel: cfr Michels, Bedeutende Männer, Lipsia, 1927, p. 29). Jaurès, oratore straordinario, senza uguali, infiammato, romantico e insieme realista, che cercava di sormontare le difficoltà, «seriando» i problemi, per abbatterli a misura che si presentavano. (Cfr Rappoport, Jean Jaurès. L’homme. Le Penseur. Le Socialiste, 2a ed., Parigi, 1916, p. 366). I due grandi capi, amici e nemici, avevano in comune una fede indomita tanto nell’efficacia della loro azione, che nei destini delle legioni delle quali erano i portabandiera. Furono ambedue ès da morto.
Mussolini è un altro esempio di capo partito che ha del veggente e del credente.
Egli, inoltre, non è solo capo unico di un grande partito, ma è anche il capo unico di un grande Stato. Con lui anche la nozione dell’assioma: «il partito sono io», ha avuto, nel senso della responsabilità e del lavoro assiduo, il massimo sviluppo. (Storicamente inesatto. Intanto [è] proibita la formazione di gruppi e ogni discussione di assemblea, perché esse si erano verificate disastrose. Mussolini si serve dello Stato per dominare il partito e del partito, solo in parte, nei momenti difficili, per dominare lo Stato.
Inoltre il cosidetto «charisma», nel senso del Michels, nel mondo moderno coincide sempre con una fase primitiva dei partiti di massa, con la fase in cui la dottrina si presenta alle masse come qualcosa di nebuloso e incoerente, che ha bisogno di un papa infallibile per essere interpretata e adattata alle circostanze; tanto più avviene questo fenomeno, quanto più il partito nasce e si forma non sulla base di una concezione del mondo unitaria e ricca di sviluppi perché espressione di una classe storicamente essenziale e progressiva, ma sulla base di ideologie incoerenti e arruffate, che si nutrono di sentimenti ed emozioni che non hanno raggiunto ancora il punto terminale di dissolvimento, perché le classi (o la classe) di cui è espressione, quantunque in dissoluzione, storicamente, hanno ancora una certa base e si attaccano alle glorie del passato per farsene scudo contro l’avvenire).
L’esempio che Michels dà come prova della risonanza nelle masse di questa concezione è infantile, per chi conosce la facilità delle folle italiane all’esagerazione sentimentale e all’entusiasmo «emotivo»: una voce su diecimila presenti dinanzi a palazzo Chigi avrebbe gridato: «No, sei tu l’Italia», in un’occasione di commozione obbiettivamente reale della folla fascista. Mussolini avrebbe poi manifestato l’essenza charismatica del suo carattere nel telegramma inviato a Bologna in cui diceva di essere sicuro, assolutamente sicuro (e certamente lo era, pour cause) che niente di grave poteva capitargli prima d’aver portato a termine la sua missione.
«Nous n’avons pas ici à indiquer les dangers que la conception charismatique peut entraîner» (?). La direzione charismatica porta in sé un dinamismo politico vigorosissimo. Saint‑Simon, nel suo letto di morte, disse ai suoi discepoli di ricordarsi che per fare grandi cose, bisogna essere appassionati. Essere appassionati significa avere il dono di appassionare gli altri. È uno stimolante formidabile. Questo è il vantaggio dei partiti charismatici su gli altri basati su un programma ben definito e sull’interesse di classe. È vero, però, che la durata dei partiti charismatici è spesso regolata dalla durata del loro slancio e dal loro entusiasmo, che talvolta danno una base molto fragile. Perciò vediamo i partiti charismatici portati ad appoggiare i loro valori psicologici (!) sulle organizzazioni più durature degli interessi umani.
Il capo carismatico può appartenere a qualsiasi partito, sia autoritario sia antiautoritario (dato che esistano partiti antiautoritari, come partiti; avviene anzi che i «movimenti» antiautoritari, anarchici, sindacalisti‑anarchici, diventano «partito» perché l’aggruppamento avviene intorno a personalità «irresponsabili» organizzativamente, in un certo senso «carismatiche»).
La classificazione dei partiti del Michels è molto superficiale e sommaria, per caratteri esterni e generici: 1) partiti «carismatici», cioè raggruppamenti intorno a certe personalità, con programmi rudimentali; la base di questi partiti è la fede e l’autorità d’un solo. (Di tali partiti non se n’è mai visti; certe espressioni d’interessi sono in certi momenti rappresentate da certe personalità più o meno eccezionali: in certi momenti di «anarchia permanente» dovuta all’equilibrio statico delle forze in lotta, un uomo rappresenta l’«ordine» cioè la rottura con mezzi eccezionali dell’equilibrio mortale e intorno a lui si raggruppano gli «spauriti», le «pecore idrofobe» della piccola borghesia: ma c’è sempre un programma, sia pure generico, anzi generico appunto perché tende solo a rifare l’esteriore copertura politica a un contenuto sociale che non attraversa una vera crisi costituzionale, ma solo una crisi dovuta al troppo numero di malcontenti, difficili da domare per la loro mera quantità e per la simultanea ma meccanicamente simultanea manifestazione del malcontento su tutta l’area della nazione); 2) partiti che hanno per base interessi di classe, economici e sociali, partiti di operai, contadini o di «petites gens» (poiché) i borghesi non possono da soli formare un partito; 3) partiti politici generati (!) da idee politiche o morali, generali e astratte: quando questa concezione si basa su un dogma più sviluppato ed elaborato fino nei dettagli, si potrebbe parlare di partiti dottrinari, le cui dottrine sarebbero privilegio dei capi: partiti libero scambisti o protezionisti o che proclamano dei diritti di libertà o di giustizia come: «a ciascuno il prodotto del suo lavoro! a ciascuno secondo le sue forze! a ciascuno secondo i suoi bisogni!»
Il Michels trova, meno male, che questa distinzione non può essere netta né completa, perché i partiti «concreti» rappresentano per lo più sfumature intermedie o combinazioni di tutte e tre. A questi tre tipi ne aggiunge altri due: i partiti confessionali e i partiti nazionali (bisognerebbe ancora aggiungere i partiti repubblicani in regime monarchico e i partiti monarchici in regime repubblicano). Secondo il Michels i partiti confessionali più che una Weltanschauung professano una Ueberweltanschauung (che poi è lo stesso). I partiti nazionali professano il principio generale del diritto di ogni popolo e di ogni frazione di popolo alla completa sovranità senza condizioni (teorie di P. S. Mancini). Ma dopo il 48 questi partiti sono spariti, e sono sorti i partiti nazionalisti, senza principi generali perché negano agli altri ecc. (sebbene i partiti nazionalisti non sempre neghino «teoricamente» agli altri popoli ciò che affermano per il proprio: pongono la risoluzione del conflitto nelle armi, quando non partano da concezioni vaghe di missioni nazionali, come poi il Michels dice).
L’articolo [è] pieno di parole vuote e imprecise. «Il bisogno dell’organizzazione … e le tendenze ineluttabili (!) della psicologia umana, individuale e collettiva, cancellano alla lunga la maggior parte delle distinzioni originarie». (Cosa vuol dire tutto ciò: il tipo «sociologico» non corrisponde al fatto concreto). «Il partito politico come tale ha la sua propria anima (!), indipendente dai programmi e dai regolamenti che si è dato e dai principi eterni di cui è imbevuto». Tendenza all’oligarchia. «Dandosi dei capi, gli stessi operai si creano, con le proprie mani, nuovi padroni, la cui principale arma di dominio consiste nella loro superiorità tecnica e intellettuale, e nell’impossibilità d’un controllo efficace da parte dei loro mandanti». Gli intellettuali hanno una funzione (in questa manifestazione). I partiti socialisti, grazie ai numerosi posti retribuiti e onorifici di cui dispongono, offrono agli operai (a un certo numero di operai, naturalmente!) una possibilità di far carriera, ciò che esercita su di essi una forza di attrazione considerevole (questa forza si esercita, però, più sugli intellettuali).
Complessità progressiva del mestiere politico per cui i capi dei partiti diventano sempre più dei professionisti, che devono avere nozioni sempre più estese, un tatto, una pratica burocratica, e spesso una furberia sempre più vasta. Così i dirigenti si allontanano sempre più dalla massa e si vede la flagrante contraddizione che nei partiti avanzati esiste tra le dichiarazioni e le intenzioni democratiche e la realtà oligarchica (bisogna però osservare che altra è la democrazia di partito e altra la democrazia nello Stato: per conquistare la democrazia nello Stato può essere necessario – anzi è quasi sempre necessario – un partito fortemente accentrato; e poi ancora: le quistioni di democrazia e di oligarchia hanno un significato preciso che è loro dato dalla differenza di classe tra capi e gregari: la quistione diventa politica, acquista un valore reale cioè e non più solo di schematismo sociologico, quando nell’organizzazione c’è scissione di classe: ciò è avvenuto nei sindacati e nei partiti socialdemocratici: se non c’è differenza di classe la quistione diventa puramente tecnica – l’orchestra non crede che il direttore sia un padrone oligarchico – di divisione del lavoro e di educazione, cioè l’accentramento deve tener conto che nei partiti popolari l’educazione e l’«apprendissaggio» politico si verifica in grandissima parte attraverso la partecipazione attiva dei gregari alla vita intellettuale – discussioni – e organizzativa dei partiti. La soluzione del problema, che si complica appunto per il fatto che nei partiti avanzati hanno una grande funzione gli intellettuali, può trovarsi nella formazione tra i capi e le masse di uno strato medio quanto più numeroso è possibile che serva di equilibrio per impedire ai capi di deviare nei momenti di crisi radicale e per elevare sempre più la massa).
Le idee di Michels sui partiti politici sono abbastanza confuse e schematiche, ma sono interessanti come raccolta di materiale grezzo e di osservazioni empiriche e disparate.
Anche gli errori di fatto non sono pochi (il partito bolscevico sarebbe nato dalle idee minoritarie di Blanqui e dalle concezioni, più severe e più diversificate, del movimento sindacalista francese, inspirate da G. Sorel). La bibliografia degli scritti del Michels si può sempre ricostruire dai suoi stessi scritti, perché egli si cita abbondantemente.
La ricerca può incominciare dai libri che ho già. Un’osservazione interessante per il modo di lavorare e di pensare del Michels: le sue scritture sono zeppe di citazioni bibliografiche, in buona parte oziose e ingombranti. Egli appoggia anche i più banali truismi con l’autorità degli scrittori più disparati. Si ha spesso l’impressione che non è il corso del pensiero che determina le citazioni, ma il mucchio di citazioni già pronte che determina il corso del pensiero, dandogli un che di saltellante e improvvisato. Il Michels deve aver costruito un immenso schedario, ma da dilettante, da autodidatta. Può avere una certa importanza sapere chi ha fatto per la prima volta una certa osservazione, tanto più se questa osservazione ha dato uno stimolo a una ricerca o ha fatto progredire in qualsiasi modo una scienza. Ma annotare che il tale o il tal altro ha detto che due e due fanno quattro è per lo meno inetto.
Altre volte le citazioni sono molto addomesticate: il giudizio settario, o, nel caso migliore, epigrammatico, di un polemista, viene assunto come fatto storico o come documento di fatto storico. Quando a p. 514 di questo articolo sul «Mercure de France», egli dice che in Francia la corrente socialista era divisa in Broussisti, Allemanisti, Blanquisti, Guesdisti e Jauressisti per trarne l’osservazione che nei partiti moderni avviene come negli ordini monastici medioevali (benedettini, francescani, ecc.), con la citazione della Comédie socialiste di Yves Guyot, da cui deve aver preso lo spunto, egli non dice che quelle non erano le denominazioni ufficiali dei partiti, ma denominazioni di «comodo» nate dalle polemiche interne, anzi quasi sempre contenevano implicitamente una critica e un rimprovero di deviazione personalistica, critica e rimprovero scambievoli che si irrigidivano poi nell’effettivo uso della denominazione personalistica (per la stessa ragione «corporativa» e «settaria» per cui i «Gueux» si chiamarono anch’essi così). Per questa ragione tutte le considerazioni epigrammatiche del Michels cadono nel superficialismo da salotto reazionario.
La pura descrittività e classificazione esterna della vecchia sociologia positivistica sono un altro carattere essenziale di queste scritture del Michels: egli non ha nessuna metodologia intrinseca ai fatti, nessun punto di vista critico che non sia un amabile scetticismo da salotto o da caffè reazionario che ha sostituito la sbarazzineria altrettanto superficiale del sindacalismo rivoluzionario e del sorellismo.
Rapporti tra Michels e Sorel: lettera di Sorel a Croce in cui accenna alla superficialità di Michels e tentativo meschino del Michels per togliersi di dosso il giudizio del Sorel. Nella lettera al Croce del 30 maggio 1916 («Critica», 20 settembre 1929, p. 357) il Sorel scrive: «Je viens de recevoir une brochure de R. Michels, tirée de Scientia, mai 1916: “La débacle de L’Internatioriale ouvrière et l’avenir”. Je vous prie d’y jeter les yeux; elle me semble prouver que l’auteur n’a jamais rien compris à ce qui est important dans le marxisme. Il nous présente Garibaldi, L. Blanc, Benoit Malon (!!) comme les vrais maîtres de la pensée socialiste…». (L’impressione del Sorel deve essere esatta – io non ho letto questo scritto del Michels – perché essa colpisce in modo più evidente nel libro del Michels sul movimento socialista italiano, Edizioni della «Voce»).
Nei «Nuovi studi di Diritto, Economia e Politica» del settembre‑ottobre 1929, il Michels pubblica cinque letterine inviategli dal Sorel (1a nel 1905,2a nel 1912 3a nel 1917, 4a nel 17, 5a nel 17) di carattere tutt’altro che confidenziale, ma piuttosto di corretta e fredda convenienza, e in una nota (v. p. 291) scrive a proposito del su citato giudizio: «Il Sorel evidentemente non aveva compreso (!) il senso più diretto dell’articolo incriminato, in cui io avevo accusato (!) il marxismo di lasciarsi sfuggire (!) il lato etico del socialismo mazziniano ed altro, e di aver, esagerando il lato meramente economico, portato il socialismo alla rovina. D’altronde, come risulta dalle lettere già pubblicate (quali lettere? quelle pubblicate dal Michels, queste cinque in parola? esse non dicono nulla), lo scatto (in corsivo dal Michels, ma si tratta di ben altro che scatto; per il Sorel si tratta, pare, di conferma di un giudizio già fatto da un pezzo) del Sorel nulla tolse ai buoni rapporti (!) coll’autore di queste righe».
In queste note nei «Nuovi Studi», il Michels mi pare tende ad alcuni fini discretamente interessanti e ambigui: a gettare un certo discredito sul Sorel come uomo e come «amico» dell’Italia e a far apparire se stesso come patriotta italiano di vecchia data. Ritorna questo motivo molto equivoco nel Michels (credo di aver notato altrove la sua situazione allo scoppio della guerra).
È interessante la letterina di Sorel a Michels del 10 luglio 1912: «Je lis le numéro de la Vallée d’Aoste che vous avez bien voulu m’envoyer. J’y ai remarqué que vous affirmez un droit au séparatisme qui est bien de nature à rendre suspect aux Italiens le maintien de la langue française dans la Vallée d’Aoste», Michels nota che si tratta di un numero unico: «La Vallée d’Aoste pour sa langue française», pubblicato nel maggio 1912 ad Aosta dalla tipografia Margherittaz, sotto gli auspici di un Comitato locale valdostano per la protezione della lingua francese (collaboratori, Michels, Croce, Prezzolini, Graf, ecc.). «Inutile dire che nessuno di questi autori aveva fatta sua, come con soverchia licenza poetica si esprime il Sorel, una qualsiasi tesi separatista». Il Sorel accenna solo al Michels ed io sono portato a credere che egli abbia veramente per lo meno accennato al diritto al separatismo (bisognerebbe controllare nel caso di una presentazione del Michels che sarà necessaria un giorno).
Txt.: R. Michels - La legge ferrea dell'oligarchia
Mat. Bibl.: Il pensiero politico di R. Michels
89 I primordi del movimento unitario a Trieste, di Camillo de Franceschi, Nuova Antologia, 1° ottobre 1928.
91 Giuseppe Gallavresi, Ippolito Taine storico della Rivoluzione francese, «Nuova Antologia», 1° novembre 1928. Cabanis (Giorgio) 1750‑1808, sue teorie materialiste esposte nel libro dedicato allo studio dei rapporti tra le physique et le moral. Il Manzoni ammirava profondamente l’angélique Cabanis e anche quando si convertì continuò ad ammirare questo suo libro. Il Taine discepolo del Cabanis.
Il metodo induttivo e le norme dell’osservazione presi a prestito dalle scienze naturali dovevano portare il Taine, secondo il Gallavresi, alla conclusione che la Rivoluzione francese sia stata una mostruosità, una malattia. «La democrazia egualitaria è una mostruosità alla luce delle leggi della natura; ma il fatto che è stata concepita dall’uomo ed anche realizzata tratto tratto nella storia di taluni popoli deve far riflettere gli spiriti più riluttanti ad accettare un regime pur così convenzionale». (Interessanti questi concetti di «convenzionale», di «artificiale», ecc., applicati a certe manifestazioni storiche: «convenzionale» e «artificiale» sono implicitamente contrapposti a «naturale», cioè a uno schema «conservatore» veramente convenzionale e artificiale perché la realtà lo ha distrutto: in verità i peggiori «scientifisti» sono i reazionari che si proiettano una «evoluzione» di proprio comodo e ammettono l’importanza e l’efficacia dell’intervento della volontà umana fortemente organizzata e concentrata, solo quando è reazionaria, quando tende a restaurare ciò che è stato, come se ciò che è stato ed è stato distrutto non sia altrettanto «ideologico», «astratto», «convenzionale», ecc., di ciò che ancora non è stato effettuato e anzi molto più).
Questa quistione del Taine e della Rivoluzione Francese deve essere studiata perché ha avuto una certa importanza, nella storia della cultura del secolo scorso: confronta i libri di Aulard contro Taine e le pubblicazioni di Augustin Cochin su tutti e due.
Questo articolo del Gallavresi è molto superficiale. (Confronta anche il fatto per cui la letteratura pamphletistica che precedette e accompagnò la Rivoluzione Francese sembra stomachevole agli spiriti raffinati: ma la letteratura gesuitica contro la Rivoluzione fu migliore o non fu peggiore? La classe rivoluzionaria intellettualmente è sempre debole da questo punto di vista: essa lotta per farsi una cultura ed esprimere una classe colta consapevole e responsabile: di più, tutti i malcontenti e i falliti delle altre classi si buttano dalla sua parte per rifarsi una posizione. Lo stesso non può dirsi della vecchia classe conservatrice, anzi il contrario: eppure la sua letteratura di propaganda è peggiore e più demagogica, ecc.).
99 Giuseppe Brindisi, Giuseppe Salvioli, Napoli, Casella, 1928, pp. 142, L. 5 (collezione «Contemporanei».
Partiti
25 Il nazionalismo italiano. Primo congresso del Partito Nazionalista (Associazione Nazionalista) a Firenze nel dicembre 1910, con la presidenza di Scipio Sighele: Gualtiero Castellini, Federzoni, Corradini, Paolo Arcari, Bevione, Bodrero, Gray, Rocco, Del Vecchio. Gruppo ancora indistinto, che cercava di cristallizzare intorno ai problemi della politica estera e dell’emigrazione le correnti meno pacchiane del tradizionale patriottismo (è un’osservazione poco fatta che in Italia, accanto al cosmopolitismo e apatriottismo più superficiale è sempre esistito uno sciovinismo frenetico, che si collegava alle glorie romane e delle repubbliche marinaresche e alle fioriture individuali di artisti, letterati, scienziati di fama mondiale. Lo sciovinismo italiano è caratteristico ed ha dei tipi assolutamente suoi: esso era accompagnato da una xenofobia popolaresca anch’essa caratteristica).
Il primo nazionalismo comprendeva molti democratici e liberali e anche massoni. Poi il movimento si andò distinguendo e precisando per opera di un piccolo gruppo di intellettuali che saccheggiarono le ideologie e i modi di ragionare secchi, imperiosi, pieni di mutria e di suffisance di Carlo Maurras: Coppola, Forges Davanzati, Federzoni. (Importazione sindacalista nel nazionalismo). In realtà i nazionalisti erano antirredentisti: la loro posizione fondamentale era antifrancese. Subirono l’irredentismo perché non volevano fosse un monopolio dei repubblicani e dei radicali massoni, cioè un’arma dell’influenza francese in Italia.
Teoricamente la politica estera dei nazionalisti non aveva fini precisi: si poneva come una astratta rivendicazione imperiale contro tutti; in realtà voleva sopprimere la francofilia democratica e rendere popolare la alleanza tedesca.
Machiavelli
31 Niccolò Machiavelli. La «Rivista d’Italia» del 15 giugno 1927 è interamente dedicata al Machiavelli per il IV centenario della sua morte. Eccone l’indice: 1) Charles Benoist, Le Machiavélisme perpétuel; 2) Filippo Meda, Il machiavellismo; 3) Guido Mazzoni, Il Machiavelli drammaturgo; 4) Michele Scherillo, Le prime esperienze politiche del Macbiavelli; 5) Vittorio Cian, Machiavelli e Petrarca; 6) Alfredo Galletti, Niccolò Machiavelli umanista; 7) Francesco Ercole, Il Principe; 8) Antonio Panella, Machiavelli storico; 9) Plinio Carli, Niccolò Machiavelli scrittore; 10) Romolo Caggese, Ciò che è vivo nel pensiero politico di Machiavelli.
L’articolo del Mazzoni è mediocre e prolisso: erudito‑retorico‑divagativo. Mi pare addirittura che, come capita spesso a questo tipo di scrittori, il Mazzoni non abbia ben capito la lettera della commedia e falsifichi il carattere di messer Nicia che non si attendeva un figlio dall’accoppiamento di sua moglie con Callimaco travestito, ma si attendeva solo di avere una moglie resa feconda dalla Mandragola e liberata per l’accoppiamento dalle conseguenze micidiali della pozione. Il genere di scimunitaggine di Messer Nicia è ben circoscritto e rappresentato: egli crede che il non aver figli non dipenda da lui, vecchio, ma dalla moglie giovane ma fredda, e a questa presunta infecondità della moglie vuol mettere riparo non facendola ingravidare da un altro, ma facendosela trasformare da infeconda in feconda. Che si lasci convincere a far accoppiare la moglie con uno che deve morire per liberarla da un presunto male che altrimenti sarebbe causa di allontanamento per lui dalla moglie o di morte per lui, è un elemento comico che si trova in altra forma in novellette popolari dove si vuol dipingere la protervia delle donne che, per dare la sicurezza agli amanti, si fanno possedere addirittura in presenza del marito (questo motivo, in altre forme, c’è anche nel Boccaccio). Nel caso del Machiavelli è la stoltezza del marito che è messa in ridicolo e rappresentata e non la protervia della donna.
L’articolo di Vittorio Cian è anche peggiore di quello del Mazzoni: la rettorica stopposa del Cian prende tutto il campo. Il Machiavelli non deve evidentemente nulla al Petrarca, il cui pensiero politico è embrionale e i cui accenni all’Italia sono puramente letterari. Ma il Cian che vede precursori da per tutto e divinazioni miracolose in ogni frasetta banale distende dieci pagine sull’argomento per non dire che i soliti luoghi comuni dei libri per le scuole medie ed elementari.
36 Machiavelli. Pasquale Villari, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi,
38 Gioviano Pontano. Sua attività politica come affine a quella del Machiavelli. (Cfr M. Scherillo, Origini e svolgimento della letteratura italiana, II, dove sono riportati due memoriali del Pontano sulla situazione italiana nel periodo della calata di Carlo VIII; e Gothein, Il Rinascimento nell’Italia Meridionale, tradotto nella Biblioteca storica del Rinascimento, Firenze, 1915). Il Pontano era membro napoletanizzato. (La religione come strumento di governo. Contro il potere temporale del Papa: doversi «li Stati temporali» governare da «re e principi secolari»).
41 Niccolò Machiavelli. Articolo di Luigi Cavina nella Nuova Antologia del 16 agosto 1927: Il sogno nazionale di Niccolò Machiavelli in Romagna e il governo di Francesco Guicciardini. L’episodio cui l’articolo si riferisce è interessante, ma il Cavina non ne sa trarre tutte le conseguenze necessarie (l’articolo è di carattere descrittivo‑rettorico).
Dopo la battaglia di Pavia e la definitiva sconfitta dei Francesi che assicurava l’egemonia spagnola, i signori italiani entrano in uno stato di panico: il Machiavelli, recatosi a Roma per consegnare personalmente a Clemente VII le Istorie fiorentine che aveva ultimato, propone al papa di creare una milizia nazionale e lo convince a fare un esperimento. Il papa manda il Machiavelli in Romagna presso Francesco Guicciardini che era Presidente della Romagna con un breve in data 6 giugno 1525. Il Machiavelli doveva esporre al Guicciardini il suo progetto e il Guicciardini doveva dare il suo parere. (Il breve del papa deve essere tutto interessante: egli espone lo sconvolgimento in cui si trova l’Italia, così grande da indurre a cercare anche rimedi nuovi e inconsueti e concludeva: «Res magna est, ut iudicamus, et salus est in ea cum status ecclesiastici, tum totius Italiae ac prope universae christianitatis reposita»).
Perché l’esperienza in Romagna? I Romagnoli buoni soldati: avevano combattuto con valore e fedeltà per i Veneziani all’Agnadello, quantunque da mercenari. C’era poi stato in Romagna il precedente del Valentino che aveva reclutato tra il popolo buoni soldati.
Il Guicciardini fino dal 1512 aveva scritto che il dare le armi ai cittadini «non è cosa aliena da uno vivere di repubblica e popolare, perché quando vi si dà una giustizia buona e ordinate leggi, quelle arme non si adoperano in pernizie, ma in utilità della patria», e aveva anche lodato l’istituzione dell’ordinanza ideata dal Machiavelli (tentativo del Machiavelli di creare a Firenze la milizia cittadina). Ma il Guicciardini non credeva possibile fare il tentativo in Romagna per le fierissime divisioni di parte che vi dominavano (interessanti i giudizi del Guicciardini sulla Romagna): i ghibellini dopo la vittoria di Pavia sono pronti ad ogni novità; anche se non si danno le armi nascerà qualche subbuglio; non si può dare le armi per opporsi agli imperiali proprio ai fautori degli imperiali.
Inoltre la difficoltà è accresciuta dal fatto che lo Stato è ecclesiastico, cioè senza direttive a lunga scadenza, e con facili grazie e impunità, alla più lunga ad ogni nuova elezione di papa. In altro Stato le fazioni si potrebbero domare, non nello Stato della chiesa. Poiché Clemente VII nel suo breve aveva detto che al buon risultato dell’impresa occorrevano non solo ordine e diligenza, ma anche l’impegno e l’amore del popolo, il Guicciardini dice che ciò non può essere perché «la Chiesa in effetto non ci ha amici, né quelli che desidererebbero bene éper diverse ragioni i faziosi e tristi».
Ma la cosa non ebbe altro seguito, perché il papa lasciò cadere il progetto. (Rimane interessante l’episodio, per dimostrare la volontà del Machiavelli, per i giudizi pratici del Guicciardini, e anche del papa). Non si conoscono le ragioni che il Machiavelli deve aver contrapposto alle osservazioni del Guicciardini, perché questi non ne parla nelle sue lettere, e le lettere del Machiavelli a Roma non si conoscono.
Politica internazionale
16 Francesco Tommasin, Politica mondiale e politica europea, Nuova Antologia, 1° maggio ‑ 16 maggio 1927.
18 Una politica di pace europea, di Argus, «Nuova Antologia», 1° giugno 1927. Parla delle frequenti visite in Inghilterra di uomini politici e letterati tedeschi. Questi intellettuali tedeschi, interrogati, dichiarano che ogni qualvolta riescono a prendere contatto con influenti personalità anglosassoni viene loro posto questo problema: «Qual è l’atteggiamento della Germania di fronte alla Russia?» e soggiungono con disperazione (!): «Ma noi non possiamo prendere parte nelle controversie tra Londra e Mosca!»
Al fondo della concezione britannica della politica estera sta la convinzione che il conflitto con la Russia non solo è inevitabile ma è già impegnato, benché sotto forme strane e insolite che lo rendono invisibile agli occhi della grande massa nazionale. Articolo ultra‑anglofilo (nello stesso periodo ricordo un articolo di Manfredi Gravina nel «Corriere della Sera» di una anglofilia così scandalosa da maravigliare: si predicava la subordinazione dichiarata dell’Italia all’Inghilterra): gli Inglesi vogliono la pace, ma hanno dimostrato di saper fare la guerra. Sono sentimentali e altruisti: pensano agli interessi europei; se Chamberlain non ha rotto con la Russia è perché ciò poteva nuocere a altri Stati in condizioni meno favorevoli dell’Inghilterra ecc.
Politica inglese di intesa con la Francia è la base, ma il governo inglese può favorire anche altri Stati: l’Inghilterra vuol essere amica di tutti. Quindi avvicinamento all’Italia e alla Polonia. In Inghilterra un certo numero di persone non favorevoli al regime italiano. Ma la politica inglese lealmente amica e sarà tale anche mutando regime, anche perché la politica italiana è coraggiosa, ecc. ecc.
23 Eurasiatismo. Il movimento si svolge intorno al giornale Nakanune, che tende alla revisione dell’atteggiamento assunto dagli intellettuali emigrati: è cominciato nel 1921. La prima tesi dell’eurasiatismo è che la Russia è più asiatica che occidentale. La Russia deve mettersi alla testa dell’Asia nella lotta contro il predominio europeo. La seconda tesi è che il bolscevismo è stato un avvenimento decisivo per la storia della Russia: ha «attivato» il popolo russo ed ha giovato all’autorità e all’influenza mondiale della Russia con la nuova ideologia che ha diffuso. Gli Eurasiatici non sono bolscevichi ma sono nemici della democrazia e del parlamentarismo occidentale. Essi si atteggiano spesso a fascisti russi, come amici di uno Stato forte in cui la disciplina, l’autorità, la gerarchia abbiano a dominare sulla massa. Sono partigiani di una dittatura e salutano l’ordine statale vigente nella Russia dei Soviet per quanto essi vagheggino di sosostituire l’ideologia nazionale a quella proletaria. L’ortodossia è per loro l’espressione tipica del carattere popolare russo; essa è il cristianesimo dell’anima eurasiatica.
24 Politica mondiale e politica europea. Non sono una stessa cosa. Un duello tra Berlino e Parigi o tra Parigi e Roma non fa del vincitore il padrone del mondo. L’Europa ha perduto la sua importanza e la politica mondiale dipende da Londra, Washington, Mosca, Tokyo più che dal continente.
118 Sull’Anschluss. Tener presente: 1) la posizione della socialdemocrazia austriaca come è stata espressa da Otto Bauer: favorevoli all’Anschluss ma attendere, per realizzarlo, quando la socialdemocrazia tedesca sia padrona dello Stato tedesco, cioè in definitiva Anschluss socialdemocratico; 2) posizione della Francia: non coincide con quella dell’Italia: la Francia è contro l’unione dell’Austria alla Germania ma spinge l’Austria ad entrare in una Confederazione danubiana: l’Italia è contro l’Anschluss e contro la Confederazione. Se si ponesse il problema come una scelta tra le due soluzioni probabilmente l’Italia preferirebbe l’Anschluss alla Confederazione.
30 Italia e Yemen nella nuova politica arabica. Articolo di «tre stelle» nella «Rivista d'Italia» del 15 luglio 1927.
32 Augur. Collaboratore della Nuova Antologia per quistioni di politica mondiale, specialmente sulla funzione dell’Impero Inglese e sui rapporti tra Inghilterra e Russia. Augur deve essere un fuoruscito russo. La sua collaborazione alla «Nuova Antologia» deve essere indiretta: articoli pubblicati in riviste inglesi e tradotti nella «Nuova Antologia». La sua attività di giornalista ha per scopo di predicare l’isolamento morale della Russia (rottura delle relazioni diplomatiche) e creazione di un fronte unico antirusso come preparazione di una guerra.
Legato all’ala destra dei conservatori inglesi nella politica russa, se ne stacca nella politica americana: egli predica stretta unione anglo-americana e insiste perché l’Inghilterra ceda all’America o almeno disarmi le isole che possiede ancora nel mare Caraibico (Bahamas, ecc.). I suoi articoli sono pieni di grande sicumera (derivata forse dalla presunta grande autorità della fonte ispiratrice); egli cerca di trasfondere la certezza che una guerra di sterminio sia inevitabile tra l’Inghilterra e la Russia, guerra in cui la Russia non può che soccombere. I rapporti ufficiali tra i due paesi sono come le ondate superficiali dell’oceano, che vanno e vengono capricciosamente: ma nel profondo c’è la corrente storica potente che porta alla guerra.
37 L’Unione internazionale dei Soccorsi.
39 La Geopolitica. Già prima della guerra Rodolfo Kjellén, sociologo svedese, cercò di costruire su nuove basi una scienza dello Stato o Politica, partendo dallo studio del territorio organizzato politicamente (sviluppo delle scienze geografiche: geografia fisica, geografia antropica, geopolitica) e della massa di uomini viventi in società in quel territorio (geopolitica e demopolitica). I suoi libri, specialmente i due:Lo Stato come forma di vita e Le grandi Potenze attuali (Die Grossmächte der Gegenwart, del 1912, rielaborato dall’autore, divenne Die Grossmächte und die Weltkrise, pubblicato nel 1921; il Kjellén è morto nel 1922) ebbero grande diffusione in Germania dando luogo a una corrente di studi. Esiste una «Zeitschrift für Geopolitik»; e appaiono opere voluminose di geografia politica (una di esse, Weltpolitisches Handbuch, vuol essere un manuale per gli uomini di Stato) e di geografia economica. In Inghilterra e in America e in Francia.
Mat. Bibl.: La Geopolitica
40 Il problema scandinavo e baltico, articolo di A. M. (?) nella Nuova Antologia del 1° agosto 1927.
48 Costituzione dell’Impero Inglese. Articolo nella «Nuova Antologia» del 16 settembre 1927 di «Junius», Le prospettive dell'Impero Britannico dopo l'ultima conferenza imperiale.
Mat. Bibl.: L'imperialismo britannico
50 Roberto Cantalupo, La Nuova Eritrea, Nuova Antologia, 1° ottobre 1927.
59 Tittoni. Ha certamente avuto sempre molta importanza l’opinione di Tittoni nello stabilire i programmi di politica estera del governo dal 23 in poi: seguire l’attività pratica e letteraria di Tittoni in questi anni. Alla sua raccolta di articoli di politica estera del 1928, Quistioni del giorno, ha fatto precedere una interessante prefazione politica il Capo del Governo. Passato di Tittoni. Sua attività. Giudizi su Tittoni di diplomatici stranieri (vedi i Carnets di Georges Louis, ecc.). Suoi rapporti con Isvolsky. (Libro nero di Marchand).
Tittoni come letterato e la sua fissazione linguaiola, curiosa perché la Nuova Antologia pubblica cose errorose per la lingua, specialmente traduzioni, ecc. Vedi l’articolo Per la verità storica, firmato «Veracissimus», nella Nuova Antologia del 16 marzo ‑ 1° aprile 1928: l’autore (Tittoni) vi parla dei suoi rapporti con Isvolsky, dei suoi rapporti con la stampa francese (Isvolsky in un rapporto pubblicato dal Libro Nero aveva accennato al molto denaro che Tittoni distribuì alla stampa al tempo della guerra libica, ecc.), fa degli accenni interessanti al convegno di Racconigi del 1909.
Ricordare il libro di Alberto Lumbroso sulle cause economiche della guerra e i suoi accenni a Tittoni (nell’episodio del Carthage e Manouba accennato dal Lumbroso quanta responsabilità spetta a Tittoni?). Nell’articolo c’è anche un accenno rozzo (da mercante di campagna, direbbe Georges Louis) all’ambasciata attuale russa a Parigi e ai suoi possibili contatti col conte Manzoni. (Perché questo animus particolarmente aggressivo di Tittoni? Ricordare lo scandalo provocato nel 1925 – mi pare –, dal Tittoni come Presidente del Senato e per cui il governo dovette domandare scusa1.
L’episodio più interessante della vita di Tittoni è la sua permanenza a Napoli come prefetto in un tempo di grandi scandali: nella stampa del tempo si potrà trovare il materiale; forse nella «Propaganda», ecc.).
63 Italia ed Egitto. Articolo di Romolo Tritonj nella «Nuova Antologia» del 16 aprile 1928, Le Capitolazioni e l'Egitto
78 Atlantico‑Pacifico. Funzione dell’Atlantico nella civiltà e nell’economia moderna. Si sposterà questo asse nel Pacifico? Le masse più grandi di popolazione del mondo sono nel Pacifico: se la Cina e l’India diventassero nazioni moderne con grandi masse di produzione industriale, il loro distacco dalla dipendenza europea romperebbe appunto l’equilibrio attuale: trasformazione del continente americano, spostamento dalla riva atlantica alla riva del Pacifico dell’asse della vita americana, ecc. Vedere tutte queste quistioni nei termini economici e politici (traffici, ecc.).
97 Augur, Il nuovo aspetto dei rapporti tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti d’America, Nuova Antologia del 16 dicembre 1928. (Espone questa ipotesi: che gli Stati Uniti cerchino di diventare la forza politica egemone dell’Impero inglese, cioè conquistino l’impero inglese dall’interno e non dall’esterno con una guerra).
Nello stesso fascicolo della Nuova Antologia vedi anche Oscar di Giamberardino La politica marittima degli Stati Uniti d’America; questo articolo è molto interessante e da tener presente.
90 La nuova evoluzione dell’Islam, 1) Michelangelo Guidi, 2) Sirdar Ikbal Ali Shah, Nuova Antologia, 1° ottobre 1928. Si tratta di un articolo mediocre del diplomatico afgano anglofilo Ikbal Ali Shah e di una breve nota introduttiva del prof. Michelangelo Guidi. La nota del Guidi pone, senza risolverlo, il problema se l’Islam sia come religione conciliabile con il progresso moderno e se esso sia suscettibile d’evoluzione. Si riferisce a un recente libretto del prof. R. Hartmann, «profondo e diligente studioso tedesco di lingue e civiltà orientali», Die Krisis des Islams, pubblicato dopo un soggiorno ad Angora e che risponde affermativamente alla quistione; e riporta il giudizio espresso dal prof. Kampffmeyer in una recensione pubblicata del libretto dello Hartmann nell’«Oriente Moderno» (agosto 1928) che un breve soggiorno in Anatolia non può essere sufficiente per giudicare su quistioni così vive, ecc., e che troppe delle fonti dell’Hartmann sono di origine letteraria e le apparenze ingannano, in Oriente più che altrove, ecc. Il Guidi (almeno in questa nota) non conclude, ricordando solo che può soccorrerci l’opinione degli orientali stessi (ma non sono essi «apparenza» che inganna, presi uno per uno ecc.?), sebbene all’inizio abbia scritto che sarebbe utopistico pensare che l’Islam possa mantenersi nel suo splendido isolamento e che nell’attesa maturino in esso nuovi formidabili agenti religiosi e la forza insita nella concezione orientale della vita abbia ragione del materialismo occidentale e riconquisti il mondo.
Mi pare che il problema sia molto più semplice di quanto lo si voglia fare apparire, per il fatto che implicitamente si considera il «cristianesimo» come inerente alla civiltà moderna, o almeno non si ha il coraggio di porre la quistione dei rapporti tra cristianesimo e civiltà moderna. Perché l’Islam non potrebbe fare ciò che ha fatto il cristianesimo? Mi pare anzi che l’assenza di una massiccia organizzazione ecclesiastica del tipo cristiano‑cattolico dovrebbe rendere più facile l’adattamento.
Se si ammette che la civiltà moderna nella sua manifestazione industriale economico‑politica finirà col trionfare in Oriente (e tutto prova che ciò avviene e che anzi queste discussioni sull’Islam avvengono perché c’è una crisi determinata appunto da questa diffusione di elementi moderni) perché non bisogna concludere che necessariamente l’Islam si evolverà? Potrà rimanere tal quale? No: già non è più quello di prima della guerra. Potrà cadere d’un colpo? Assurdo. Potrà essere sostituito da una religione cristiana? Assurdo pensarlo per le grandi masse. Il Vaticano stesso si accorge come sia contradditorio voler introdurre il cristianesimo nei paesi orientali in cui viene introdotto il capitalismo: gli orientali ne vedono l’antagonismo che nei nostri paesi non si vede perché il cristianesimo si è adattato molecolarmente ed è diventato gesuitismo, cioè una grande ipocrisia sociale: da ciò le difficoltà dell’opera delle missioni e lo scarso valore delle conversioni, d’altra parte molto limitate.
In realtà la difficoltà più tragica per l’Islam è data dal fatto che una società intorpidita da secoli di isolamento e da un regime feudale imputridito (naturalmente i signori feudali non sono materialisti!!) è troppo bruscamente messa a contatto con una civiltà frenetica che è già nella sua fase di dissoluzione. Il Cristianesimo ha impiegato nove secoli a evolversi e ad adattarsi, lo ha fatto a piccole tappe, ecc.: l’Islam è costretto a correre vertiginosamente. Ma in realtà esso reagisce proprio come il cristianesimo: la grande eresia su cui si fonderanno le eresie propriamente dette è il «sentimento nazionale» contro il cosmopolitismo teocratico.
Appare poi il motivo del ritorno alle «origini» tale e quale come nel cristianesimo; alla purezza dei primi testi religiosi contrapposta alla corruzione della gerarchia ufficiale: i Wahabiti rappresentano proprio questo e il Sirdar Ikbal Ali Shah spiega con questo principio le riforme di Kemal Pascià in Turchia: non si tratta di «novità» ma di un ritorno all’antico, al puro, ecc. ecc. Questo Sirdar Ikbal Ali Shah mi pare dimostri proprio come tra i mussulmani esista un gesuitismo e una casistica altrettanto sviluppati che nel cattolicismo.
Diplomazia
33 Documenti diplomatici. Un articolo di A. De Bosdari nella «Nuova Antologia» del 1° luglio 1927: I documenti ufficiali britannici sull'origine della guerra (1898-1914).
85 Daniele Varé,
Pagine di un diario in Estremo Oriente, «Nuova Antologia» del 16 settembre, 1° e 16 ottobre 1928.
4 Dal rapporto letto dall'ing. Giacinto Motta all'Assemblea ordinaria del 27 marzo 1927 della «Edison»
6 Articolo «Problemi finanziari firmato Verax (Tittoni) nella «Nuova Antologia» del 1° giugno 1927
94 Sulla finanza dello Stato. Le riforme del Tesoro, di «Alacer», nella Nuova Antologia del 16 novembre 1928.
12 La marina mercantile italiana. Estratti dall'articolo La nostra marina transatlantica di L. Fontana Russo, nella «Nuova Antologia» del 16 aprile 1927.
34 Per una politica annonaria di Guido Borghesani, nella Nuova Antologia del 1° luglio 1927
43 Il macinato. Nel discorso tenuto da Alberto De Stefani a Biella per commemorare il centenario della nascita del Sella (riportato nella Nuova Antologia del 16 settembre 1927)
54 Olii, petrolii e benzine, di Manfredi Gravina nella «Nuova Antologia» del 16 dicembre 1927 (l'articolo continua nella «Nuova Antologia» del 1° gennaio 1928 ed è interessante per avere un accenno generale al problema del petrolio).
65 Claudio Faina, Foreste, combustibili e carburante, Nuova Antologia del 1° maggio 1928.
71 Sui bilanci dello Stato. Vedere la letteratura in proposito e seguire le pubblicazioni del De Cillis. L'articolo è interessante perché realistico.
72 A proposito dei bilanci.
79 I contadini italiani. Problemi contadini: malaria, brigantaggio, terre incolte, pellagra, analfabetismo, emigrazione. (Nel Risorgimento questi problemi furono trattati? come? da chi?). Nel periodo del Risorgimento alcuni di questi malanni raggiungono il grado massimo di gravità: il Risorgimento coincide con un periodo di grande depressione economica in larghe regioni italiane, che viene aumentata dal sommovimento politico. La pellagra apparve in Italia nel corso del 700, e andò sempre più aggravandosi nel secolo successivo: ricerche sulla pellagra di medici ed economisti. (Quali le cause della pellagra e della cattiva nutrizione dei contadini che ne è l’origine?). Confrontare il libro di Luigi Messedaglia: Il Mais e la vita rurale italiana (Piacenza, Ed. Federazione dei consorzi agrari, 1927). Questo libro del Messedaglia è necessario per lo studio della quistione agraria italiana, come il libro del Jacini e quelli di Celso Ulpiani.
122 Giuseppe Paratore, La economia, la finanza, il denaro d’Italia alla fine del 1928, Nuova Antologia, 1° marzo 1929.
123 La riforma fondiaria cecoslovacca, del padre Veriano Ovecka,
125 Lodovico Luciolli, La politica doganale degli Stati Uniti d’America, Nuova Antologia del 16 agosto 1929.
Articolo molto interessante e utile da consultare perché fa un riassunto della storia tariffaria negli Stati Uniti e della funzione particolare che le tariffe doganali hanno sempre avuto nella politica degli Stati Uniti. Sarà interessante una rassegna storica delle varie forme che ha assunto e sta assumendo la politica doganale dei vari paesi, ma specialmente dei più importanti economicamente e politicamente, ciò che in fondo significa dei vari tentativi di organizzare il mercato mondiale e di inserirsi in esso nel modo più favorevole dal punto di vista dell’economia nazionale, o delle industrie essenziali dell’attività economica nazionale.
Una nuova tendenza del nazionalismo economico contemporaneo da seguire è questa: alcuni Stati cercano di ottenere che le loro importazioni da un determinato paese siano «controllate» in blocco con un corrispettivo di «esportazione» ugualmente controllato. Che una tale misura giovi alle nazioni la cui bilancia commerciale (visibile) sia in deficit, è manifesto. Ma come spiegare che un tale principio si incominci ad affermare da parte della Francia, che esporta merci più che non ne importi? Si tratta inizialmente di una politica commerciale rivolta a boicottare le importazioni da un determinato paese, ma da questo inizio può svilupparsi una politica generale da inquadrare in una cornice più ampia e di carattere positivo che può (svilupparsi) in Europa in conseguenza della politica tariffaria americana e per cercare di stabilizzare certe economie nazionali. Cioè: ogni nazione importante può tendere a dare un sostrato economico organizzato alla propria egemonia politica su le nazioni che le sono subordinate. Gli accordi politici regionali potrebbero diventare accordi economici regionali, in cui l’importazione e l’esportazione «concordata» non avverrebbe più tra due soli Stati, ma tra un gruppo di Stati, eliminando molti inconvenienti non piccoli evidentissimi. In questa tendenza mi pare si possa far rientrare la politica di libero scambio interimperiale e di protezionismo verso il non‑Impero del gruppo nuovamente formatosi in Inghilterra intorno a lord Beaverbrook (o nome simile), così come l’intesa agraria di Sinaia poi ampliata a Varsavia.
Questa tendenza politica potrebbe essere la forma moderna di Zollverein che ha portato all’Impero Germanico federale, o dei tentativi di lega doganale fra gli Stati italiani prima del 1848, e più innanzi del mercantilismo settecentesco: e potrebbe diventare la tappa intermedia della Paneuropa di Briand, in quanto essa corrisponde a un’esigenza delle economie nazionali di uscire dai quadri nazionali senza perdere il carattere nazionale.
Il mercato mondiale, secondo questa tendenza, verrebbe ad essere costituito di una serie di mercati non più nazionali ma internazionali (interstatali) che avrebbero organizzato nel loro interno una certa stabilità delle attività economiche essenziali, e che potrebbero entrare in rapporto tra loro sulla base dello stesso sistema. Questo sistema terrebbe più conto della politica che dell’economia nel senso che nel campo economico darebbe più importanza all’industria finita che all’industria pesante. Ciò nel primo stadio dell’organizzazione. Infatti: i tentativi di cartelli internazionali basati sulle materie prime (ferro, carbone, potassa, ecc.) hanno messo di fronte Stati egemonici, come la Francia e la Germania, delle quali né l’una né l’altra può cedere nulla della sua posizione e della sua funzione mondiale. Troppo difficile e troppi ostacoli. Più semplice invece un accordo della Francia e dei suoi Stati vassalli per un mercato economico organizzato sul tipo dell’Impero Inglese, che potrebbe far crollare la posizione della Germania e costringerla a entrare nel sistema, ma sotto l’egemonia francese.
Sono tutte ipotesi molto vaghe ancora, ma da tener presenti per studiare gli sviluppi delle tendenze su accennate.
Mat. Bibl.: Protezionismo
137 Città e campagna. Giuseppe De Michelis, Premesse e contributo allo studio dell’esodo rurale, Nuova Antologia, 16 gennaio 1930.
141 Passato e presente. Il consumo del sale.
55 L’enfiteusi. Il proprietario si chiama direttario, il possessore utilista.
Relativismo
103 Adriano Tilgher, Perché l’artista scrive o dipinge, o scolpisce, ecc.?, nell’«Italia che scrive» del febbraio 1929.
Articolo tipico della incongruenza logica e della leggerezza morale del Tilgher, il quale dopo aver «sfottuto» banalmente la teoria del Croce in proposito, alla fine dell’articolo la ripresenta tale e quale come sua, in una forma fantasiosa e immaginifica. Dice il Tilgher che secondo il Croce «l’estrinsecazione fisica … del fantasma artistico ha scopo essenzialmente mnemonico», ecc. Questo argomento è da vedere: cosa significa per il Croce in questo caso «memoria»? Ha un valore puramente personale, individuale, o anche di gruppo? Lo scrittore si preoccupa solo di sé o storicamente è portato a pensare anche agli altri? ecc.
Storia
119 Il tentativo di riforma religiosa francescana. Quanto rapidamente sia decaduto lo spirito di san Francesco appare dalla Cronaca di fra Salimbene da Parma. Cfr Nuova Antologia del 16 febbraio 1929: Vittorio Marvasi, Frate Salimbene da Parma e la sua Cronaca. La Cronaca è stata tradotta nel 1928 da F. Bernini ed edita da un Carabba di Lanciano. Vedere in quanto il tentativo «laico» di Federico II coincide col francescanesimo: certo dei rapporti ci sono stati e lo stesso Salimbene è ammiratore di Federico, anche scomunicato.
Chiesa e Stato
20 Per i rapporti tra il Centro tedesco e il Vaticano
35 Francesco Orestano, La Chiesa Cattolica nello Stato Italiano e nel mondo, Nuova Antologia, 16 luglio 1927. Articolo importante nel periodo delle trattative per il Concordato. (Confrontare con polemiche tra «Popolo d’Italia», Gentile, «Osservatore Romano», riprodotte in opuscolo dalla «Civiltà Cattolica»). (La legge delle guarantigie, in quanto avente valore statutario, aveva abrogato l’articolo 1° dello Statuto?).
L’articolo dell’Orestano pare scritto da un gesuita. È favorevole alla concessione di un territorio al Papa e nei limiti del plebiscito del 2 ottobre 1870 (cioè tutta la città Leonina, che mi pare fu appunto esclusa dal plebiscito ufficiale). (L’Orestano scrisse nel 1924 uno studio, Lo Stato e la Chiesa in Italia, Roma, Casa Editrice Optima, e nel 1915 una Quistione Romana ristampata in Verso la nuova Europa, Casa Editrice Optima, 1917).
73 L’Action Française e il Vaticano. Bibliografia dal Mercure de France del 1° maggio 1928
132 L’Action Française e il Vaticano. Cfr La crisi dell’«Action française» e gli scritti del suo «maestro», nella «Civiltà Cattolica» del 21 settembre 1929. (È un articolo del padre Rosa contro Maurras e la sua «filosofia»).
Azione Cattolica
128 Azione Cattolica. Sindacalismo cattolico. Cfr nella «Civiltà Cattolica» del 6 luglio 1929 l’articolo La dottrina sociale cristiana e l’organizzazione internazionale del lavoro (del padre Brucculeri). Vi si parla della sezione riguardante il pensiero sociale della Chiesa, del rapporto fatto da Albert Thomas alla XII sessione della Conferenza Internazionale del Lavoro e pubblicato a Ginevra nel 1929. Il padre Brucculeri è estremamente soddisfatto del Thomas e ne riassume i passi più importanti, riesponendo così il programma sociale cattolico.
131 Azione Cattolica. Il conflitto di Lilla. Nella «Civiltà Cattolica» del 7 settembre 1929 è pubblicato il testo integrale del giudizio pronunziato dalla Sacra Congregazione del Concilio sul conflitto tra industriali e operai cattolici della regione Roubaix‑Tourcoing. Il lodo è contenuto in una lettera in data 5 giugno 1929 del cardinale Sbarretti, Prefetto della Congregazione del Concilio, a mons. Achille Liénart, vescovo di Lilla.
Il documento è importante, perché in parte integra il Codice Sociale e in parte ne amplia il quadro, come per esempio là dove riconosce agli operai e ai sindacati cattolici il diritto di formare un fronte unico anche con gli operai e i sindacati socialisti nelle quistioni economiche. Bisogna tener conto che se il Codice Sociale è un testo cattolico, è però privato o soltanto ufficioso, e in tutto o in parte potrebbe essere sconfessato dal Vaticano. Questo documento invece è ufficiale.
Questo documento è certamente legato al lavorìo del Vaticano in Francia per creare una democrazia politica cattolica e l’ammissione del «fronte unico», anche se passibile di interpretazioni cavillose e restrittive, è una «sfida» all’Action française e un segno di détente coi radicali socialisti e la C.G.T.
Nello stesso fascicolo della «Civiltà Cattolica» è un diffuso e interessante articolo di commento al lodo vaticano. Questo lodo è costituito di due parti organiche: nella prima, composta di 7 brevi tesi accompagnate ognuna di ampie citazioni tolte da documenti pontifici, specialmente di Leone XIII, si dà un riassunto chiaro della dottrina sindacale cattolica; nella seconda si tratta del conflitto specifico in esame, cioè le tesi sono applicate e interpretate nei fatti reali.
136 Azione Cattolica. Cfr l’articolo La durata del lavoro nella «Civiltà Cattolica» del 15 marzo 1930 (del padre Brucculeri). Difende il principio e la legislazione internazionale sulle 8 ore contro Lello Cangemi e il libro di costui, Il problema della durata del lavoro, Vallecchi, Firenze, pp. 526. L’articolo è interessante; il libro del Cangemi è stroncato molto bene. È interessante che un gesuita sia più «progressista» del Cangemi che è abbastanza noto nella politica economica italiana attuale come discepolo del De Stefani e della sua particolare tendenza nel campo della politica economica.
Cattolici integralisti, gesuiti e modernisti
61 Controriforma. Nella Nuova Antologia del 16 aprile 1928 Guido Chialvo
62 Giuseppe De Maistre. Nel 1927 fu pubblicato a Firenze dalla Libreria editrice fiorentina il libro del De Maistre sul papa (Il papa, traduzione di Tito Casini). In un articolo della «Nuova Antologia» del 16 aprile 1928 (Guelfismo e nazionalismo di Giuseppe De Maistre) Niccolò Rodolico ricorda come il De Maistre nel 1820, in un tempo di restaurate antiche Monarchie e di rinnovata autorità della Santa Sede, ebbe amareggiato l’ultimo anno di sua vita da indugi e da difficoltà opposti per la dedica e per la stampa della seconda edizione di questo libro (che fu pubblicata a Lione nel 1822 postuma). Il De Maistre desiderava dedicare il libro a Pio VII che aveva per lui grandissima stima, e desiderava pubblicarlo in Piemonte, il cui re egli aveva fedelmente servito durante la Rivoluzione, ma non riuscì.
Secondo il Rodolico la condotta di questi cattolicissimi governanti si spiega con le condizioni dello spirito pubblico dal 19 al 20 in Europa, quando liberali, giansenisti e settari anticlericali si agitavano, e con la paura di provocare nuove e più vivaci polemiche. «Dopo più di un secolo – aggiunge il Rodolico – compare in Italia, e senza provocare polemiche, una buona traduzione del libro Du pape, che può ora serenamente essere esaminato sotto un aspetto politico, collegandolo ad altre manifestazioni del pensiero politico del tempo».
La quistione però è che questa pubblicazione, come altre del genere, non è stata fatta «serenamente», per dare agli studiosi un documento, ma è stata fatta come «polemica attuale». Si tratta di un segno dei tempi. La stessa Libreria editrice fiorentina pubblica tutta una collana di tal genere, dove è apparso il Sillabo e altri fossili del genere, preceduti da introduzioni «attuali» scritte da neocattolici del tipo Papini, Manacorda, ecc.
Allo stesso clima di serra calda è dovuta la ristampa del Memorandum di Solaro della Margarita, lanciato in commercio come «attualità». (A questo proposito occorre ricordare la discussione in Senato tra Ruffini e il capo del governo a proposito dello Statuto e il paragone spiritosissimo di Ruffini col Solaro della Margarita1).
Notare queste pubblicazioni che sono tipiche, anche se la loro importanza abbia o possa avere una efficacia trascurabile, distinguendole da quelle puramente «clericali». Ma si pone il problema: perché gli stessi clericali non le hanno stampate prima di ora e preferivano essi stessi che non se ne parlasse? Sarebbe interessante vedere quante ristampe abbia avuto il Sillabo negli ultimi tempi: credo che lo stesso Vaticano preferisse lasciarlo cadere nel dimenticatoio e che dopo Pio X «seccasse» la Cattedra del Sillabo creata da monarchici francesi nelle loro scuole di partito. (Questo argomento di De Maistre, Solaro, Sillabo, ecc., occorre tenerlo presente per un paragrafo della rubrica «Passato e presente».
L’articolo del Rodolico è interessante per ciò che dice sulle opinioni antiaustriache del De Maistre, sulle sue convinzioni che il Piemonte dovesse fare una politica nazionale e non angustamente piemontese, ecc. Dal corso dell’articolo appare che il libro sul papa non fu lasciato stampare in Piemonte perché erano al governo i «piemontesisti» assoluti e nel libro del De Maistre sono esposte opinioni che poi saranno riprese dal Gioberti del Primato, sulla funzione nazionale italiana del Papato.
Sul De Maistre libro del Mandoul, Joseph De Maistre et la politique de la Maison de Savoie, Paris, Alcan. (Questa opposizione al De Maistre, moderatissimo uomo, bisogna studiarla nel suo complesso politico per giungere alla esatta comprensione del nesso storico 1848‑49 e alla spiegazione di Novara: rivedere questo articolo del Rodolico, se del caso, e cercare l’altra letteratura documentaria).
Dottrina
134 Cattolici, neomaltusianismo, eugenetica. A quanto pare neanche fra i cattolici le idee sono ormai più concordi sul problema del neomaltusianismo e dell’eugenetica. Dalla «Civiltà Cattolica» del 21 dicembre 1929 (Il pensiero sociale cristiano. La decima sessione dell’“Unione di Malines”) risulta: alla fine del settembre 1929 è stata tenuta l’assemblea annuale dell’«Unione Internazionale di studi sociali» che ha sede a Malines, il cui lavoro si concentrò specialmente su questi tre soggetti: lo Stato e le famiglie numerose; il problema della popolazione; il lavoro forzato. Sul problema demografico si verificarono forti differenziazioni: l’avv. Cretinon, «pur seguendo una politica della popolazione che faccia credito alla Provvidenza, fa rilevare che non bisogna rappresentare l’eugenismo come semplicemente materialistico, giacché ha pure intenti intellettuali, estetici e morali». Le conclusioni adottate furono concertate non senza difficoltà dal padre Desbuquois e dal prof. Aznar: i due compilatori erano profondamente divisi. «Mentre il primo propugnava il progresso demografico, l’altro era piuttosto inclinato a consigliar la continenza per timore che le famiglie cattoliche non si condannassero alla decadenza economica a causa della troppa prole».
Altre religioni
86 Giuseppe Tucci, La religiosità dell’India, Nuova Antologia 16 settembre 1928. Articolo interessante. Critica tutti i luoghi comuni che di solito si ripetono sull’India e sull’«anima» indiana, sul misticismo, ecc. L’India attraversa una crisi spirituale; il nuovo (spirito critico) non è ancora così diffuso da formare un’«opinione pubblica» che si contrapponga al vecchio: superstizione nelle classi popolari, ipocrisie, mancanza di carattere nelle classi superiori così dette colte. In realtà anche in India, le quistioni e gli interessi pratici assorbono l’attenzione pubblica. (È evidente che in India, dato il secolare intorpidimento sociale, e le stratificazioni ossificate della società e data anche, come avviene nei grandi paesi agrari, la grande quantità di intellettuali medii, specialmente ecclesiastici, la crisi durerà molto a lungo e sarà necessaria una grande rivoluzione perché si abbia l’inizio di una soluzione). Molte osservazioni che il Tucci fa a proposito dell’India si potrebbero fare per molti altri paesi e altre religioni. Tenere presente.
135 Pancristianesimo e propaganda del protestantesimo nell’America Meridionale. Cfr l’articolo Il protestantesimo negli Stati Uniti e nell’America latina, nella «Civiltà Cattolica» del 1° marzo ‑ 15 marzo ‑ 5 aprile 1930. Studio molto interessante sulle tendenze espansionistiche dei protestanti nord‑americani, sui metodi di organizzazione di questa espansione e sulla reazione cattolica.
È interessante notare che i cattolici trovano nei protestanti americani i soli concorrenti, e spesso vittoriosi, nel campo della propaganda mondiale e ciò nonostante che negli Stati Uniti la religiosità sia molto poca (la maggioranza dei censiti professa di non aver religione): le Chiese protestanti europee non hanno espansività o minima. Altro fatto notevole è questo: dopo che le chiese protestanti sono andate sminuzzandosi, si assiste ora a tentativi di unificazione nel movimento pancristiano. (Non dimenticare però l’Esercito della Salute, di origine e organizzazione inglese).
109 Gli intellettuali francesi e la loro attuale funzione cosmopolita. La funzione cosmopolita degli intellettuali francesi dal 700 in poi è di carattere assolutamente diverso da quella esercitata dagli italiani precedentemente. Gli intellettuali francesi esprimono e rappresentano esplicitamente un compatto blocco nazionale, di cui sono gli «ambasciatori» culturali, ecc.
Per la situazione attuale dell’egemonia culturale francese confrontare il libro dell’editore Bernardo Grasset, La chose littéraire, Paris, Gallimard, 1929, in cui si parla specialmente dell’organizzazione libraria della produzione culturale francese nel dopo guerra coi nuovi fenomeni tipici dell’epoca presente.
116 La funzione cosmopolita degli intellettuali italiani . Da un articolo di Nello Tarchiani nel «Marzocco» del 3 aprile 1927:
117 Funzione cosmopolita degli intellettuali italiani. «Nel 1563, durante la guerra civile contro gli Ugonotti,
Letteratura non nazionale-popolare
Letteratura popolare
47 Ada Negri. Articolo di Michele Scherillo nella Nuova Antologia del 16 settembre 1927. Su Ada Negri bisognerebbe fare uno studio storico‑critico. Può chiamarsi, in un periodo della sua vita, «poetessa proletaria» o semplicemente «popolare»? Nel campo della cultura mi pare rappresenti l’ala estrema del romanticismo del 48; il popolo diventa sempre più proletariato, ma è visto ancora sotto la specie di popolo, non per i germi di originale ricostruzione che contiene in sé (ma piuttosto per la caduta che rappresenta da «popolo» a «proletariato»?) (In Stella mattutina, Treves, 1921, la Negri ha narrato i casi della sua vita di bambina e adolescente).
53 Giovanni Cena. La figura di Cena deve essere studiata sotto due punti di vista: come scrittore e poeta «popolare» (Cfr Ada Negri) e come uomo attivo nel cercare di creare istituzioni per l’educazione dei contadini (scuole dell’Agro Romano e delle Paludi Pontine, fondate con Angelo e Anna Celli). Il Cena nacque a Montanaro Canavese il 12 gennaio 1870, morì a Roma il 7 dicembre 1917. Nel 1900-1901 fu corrispondente della Nuova Antologia a Parigi e a Londra. Nel 1902 redattore‑capo della rivista fino alla morte. Discepolo di Arturo Graf. (Nei Candidati all’Immortalità di Giulio De Frenzi è pubblicata una lettera autobiografica del Cena). Ricordare l’articolo del Cena Che fare? pubblicato dalla «Voce» nel 1912 (mi pare).
108 Letteratura popolare. Edoardo Perino. Sull’attività editoriale del Perino, che segnò un’epoca a Roma (il Perino stampò letteratura anticlericale a dispense illustrate, cominciando con la Beatrice Cenci di Guerrazzi), cfr il Memoriale di G. De Rossi, che dovrebbe essere stato pubblicato nel 27 o nel 28.
Txt: F. D. Guerrazzi - Beatrice Cenci
112 Letteratura popolare. Victor Hugo. A proposito di V. Hugo ricordare la sua dimestichezza con Luigi Filippo e quindi il suo atteggiamento monarchico costituzionale nel 48. È interessante notare che, mentre scriveva i Miserabili, scriveva anche le note di Choses vues (pubblicate postume) e che le due scritture non sempre vanno d’accordo. Vedere queste quistioni, perché di solito l’Hugo è considerato uomo d’un blocco solo, ecc. (Nella «Revue des Deux Mondes» del 28 o 29, più probabilmente del 29, ci deve essere un articolo su questo argomento).
26 I giornali tedeschi.
133 Leggenda albanese delle «Zane» e le «Zane» sarde.
57 Tendenze contro le città. Ricordare nel libro del Gerbi sulla Politica del 700 l’accenno alle opinioni di Engels sulla nuova disposizione da dare agli agglomerati cittadini industriali, dal Gerbi malamente interpretate (e le opinioni di Ford che il Gerbi anche interpreta male)1. Questi modi di vedere non sono da confondere con le tendenze «illuministiche» contro la città. Vedere le opinioni di Spengler sulle grandi città, definite «mostruosi crematorii della forza del popolo, di cui essi assorbono e distruggono le energie migliori». Ruralismo, ecc.
58 Sulla moda. Un articolo molto interessante e intelligente nella Nuova Antologia del 16 marzo 1928: Formazione e organizzazione della moda di Bruno De Pol. (Il De Pol credo sia un industriale milanese del cuoio). Molti spunti, spiegazione della moda dallo sviluppo economico (lusso non è la moda, la moda nasce col grande sviluppo industriale); spiegazione dell’egemonia francese per la moda femminile e inglese per la maschile; situazione attuale di lotta per ridurre queste egemonie a un «condominio»: attività dell’America e della Germania in questo senso. Conseguenze economiche specialmente per la Francia, ecc.
88 Ettore Fabietti, Il primo venticinquennio delle Biblioteche popolari milanesi, Nuova Antologia, 1° ottobre 1928. Articolo molto utile per le informazioni che dà sull’origine e lo sviluppo di questa istituzione che è stata la più cospicua iniziativa per la cultura popolare del tempo moderno. L’articolo è abbastanza serio, sebbene il Fabietti abbia dimostrato di non essere lui molto serio: bisognerà riconoscergli tuttavia molte benemerenze e una indiscutibile capacità organizzativa nel campo della cultura operaia in senso democratico. Il Fabietti mette in luce come gli operai fossero i migliori «clienti» delle biblioteche popolari: curavano i libri, non li smarrivano (a differenza delle altre categorie di lettori: studenti, impiegati, professionisti, donne di casa, benestanti (?), ecc.); le letture di «belletristica» rappresentavano una percentuale relativamente bassa, inferiore a quella di altri paesi: operai che proponevano di pagare la metà di libri costosi pur di poterli leggere: operai che davano oblazioni fino di cento lire alle biblioteche popolari; un operaio tintore che è divenuto «scrittore» e traduttore dal francese con le letture e gli studi fatti nelle biblioteche popolari, ma continua a rimanere operaio.
La letteratura delle biblioteche popolari milanesi dovrà essere studiata per avere spunti «reali» sulla cultura popolare: quali libri più letti come categoria e come autori, ecc.; pubblicazioni delle biblioteche popolari, loro carattere, tendenze, ecc. Come mai una tale iniziativa solo a Milano in grande stile? Perché non a Torino o in altre grandi città? Carattere e storia del «riformismo» milanese; Università Popolare, Umanitaria, ecc. Argornento molto interessante ed essenziale.
150 Argomenti di cultura. Il problema: «Chi è il legislatore?» in un paese, accennato in altre note, può ripresentarsi per la definizione «reale», non «scolastica», di altre quistioni. Per esempio: «Cosa è la polizia?» (a questa domanda si è accennato in altre note, trattando della reale funzione dei partiti politici). Si sente spesso dire, come se si trattasse di una critica demolitrice della polizia, che il 90 % dei reati, oggi perseguiti (un gran numero non è perseguito perché o non se ne ha notizia o è impossibile ogni accertamento, ecc.) rimarrebbero impuniti se la polizia non avesse a sua disposizione i confidenti ecc. Ma in realtà, questa specie di critica è inetta. Cosa è la polizia? Certo essa non è solo quella tale organizzazione ufficiale, giuridicamente riconosciuta e abilitata alla funzione pubblica della pubblica sicurezza che di solito si intende. Questo organismo è il nucleo centrale e formalmente responsabile, della «polizia», che è una ben più vasta organizzazione, alla quale, direttamente o indirettamente, con legami più o meno precisi e determinati, permanenti o occasionali, ecc., partecipa una gran parte della popolazione di uno Stato. L’analisi di questi rapporti serve a comprendere cosa sia lo «Stato» ben più di molte dissertazioni filosofico‑giuridiche
146 Passato e presente. Emigrazione. Nel Congo Belga sono 1600 immigrati italiani: nel solo Katanga, la zona più ricca del Congo, ve ne sono 942. La maggior parte di questi immigrati italiani è al servizio di Compagnie private in qualità di ingegneri, ragionieri, capomastri, sorveglianti di lavoro. Dei 200 medici che esercitano la professione al Congo per conto dello Stato e di società, i due terzi sono italiani («Corriere della Sera», 15 ottobre 1931).
45 America e Europa. Madison Grant (scienziato e scrittore di grande fama), presidente della Società biologica di New York, ha scritto un libro Una grande stirpe in pericolo in cui «denuncia» il pericolo di un’invasione «fisica e morale» dell’America da parte degli Europei, ma restringe questo pericolo nell’invasione dei «mediterranei», cioè dei popoli che abitano nei paesi mediterranei. Il Madison Grant sostiene che, fin dal tempo di Atene e di Roma, l’aristocrazia greca e romana era composta di uomini venuti dal Nord e soltanto le classi plebee erano composte di mediterranei. Il progresso morale e intellettuale dell umanità fu dunque dovuto ai «nordici».
Per il Grant i mediterranei sono una razza inferiore e la loro immigrazione è un pericolo; essa è peggiore di una conquista armata e va trasformando New York e gran parte degli Stati Uniti in una «cloaca gentium».
Questo modo di pensare non è individuale: rispecchia una notevole e predominante corrente di opinione pubblica degli Stati Uniti, la quale pensa che l’influsso esercitato dal nuovo ambiente sulle masse degli emigranti è sempre meno importante dell’influsso che le masse degli emigranti esercitano sul nuovo ambiente e che il carattere essenziale della «miscela delle razze» è nelle prime generazioni un difetto di armonia (unità) fisica e morale nei popoli e nelle generazioni seguenti un lento ma fatale ritorno al tipo dei vari progenitori.
Su questa quistione delle «razze» e delle «stirpi» e della loro boria alcuni popoli europei sono serviti secondo la misura della loro stessa pretesa. Se fosse vero che esistono razze biologicamente superiori, il ragionamento del Madison Grant sarebbe abbastanza verosimile. Storicamente, data la separazione di classe‑casta, quanti romani‑ariani sono sopravvissuti alle guerre e alle invasioni?
Ricordare la lettera di Sorel al Michels, «Nuovi Studi di Diritto, Economia e Politica», settembre‑ottobre 1929: «Ho ricevuto il vostro articolo su la “sfera storica di Roma”, le cui tesi sono quasi tutte contrarie a ciò che lunghi studi m’hanno mostrato essere la verità più probabile. Non c’è paese meno romano dell’Italia; l’Italia è stata conquistata dai Romani perché essa era altrettanto anarchica quanto i paesi berberi; essa è rimasta anarchica per tutto il Medio Evo, e la sua propria civiltà è morta quando gli Spagnoli le imposero il loro regime amministrativo; i Piemontesi hanno compiuto l’opera nefasta degli Spagnoli. Il solo paese di lingua latina che possa rivendicare l’eredità romana è la Francia, dove la monarchia si è sforzata di mantenere il potere imperiale. Quanto alla facoltà d’assimilazione dei Romani, si tratta di uno scherzo. I Romani hanno distrutto la nazionalità sopprimendo le aristocrazie».
Tutte queste quistioni sono assurde se si vuole fare di esse elementi di una scienza e di una sociologia politica. Rimane solo il materiale per qualche osservazione di carattere secondario che spiega
138 America. Nel n. del 16 febbraio 1930 della «Nuova Antologia» sono pubblicati due articoli: Punti di vista sull’America: Spirito e tradizione americana del professor J. P. Rice (il Rice nel 1930 fu designato dall’Italy-America Society di New York a tenere l’annuale ciclo di conferenze stabilito dalla Fondazione Westinghouse per intensificare i rapporti tra l’America e l’Italia); l’articolo vale poco; e La rivoluzione industriale degli Stati Uniti, dell’ing. Pietro Lanino, interessante da questo punto di vista: come un accreditato pubblicista e teorico dell’industria italiana non ha capito nulla del sistema industriale capitalistico americano. (Il Lanino nel 1930 ha scritto anche una serie di articoli sull’industria americana nella «Rivista di politica economica» delle società per azioni).
Fin dal primo paragrafo il Lanino afferma che in America è avvenuto «un capovolgimento completo di quelli che sino allora erano stati i criteri economici fondamentali della produzione industriale. La legge della domanda e dell’offerta rinunziata nelle paghe. Il costo di produzione diminuito pure aumentando queste». Non è stato rinunziato nulla: il Lanino non ha compreso che la nuova tecnica basata sulla razionalizzazione e il taylorismo ha creato una nuova e originale qualifica psico‑tecnica e che gli operai di tale qualifica non solo sono pochi, ma sono ancora in divenire, per cui i «predisposti» sono contesi con gli alti salari; ciò conferma la legge dell’«offerta e della domanda» nelle paghe. Se fosse vera la affermazione del Lanino non si spiegherebbe l’alto grado di turnover nel personale addetto, cioè che molti operai rinunzino all’alto salario di certe aziende per salari minori di altre. Cioè non solo gli industriali rinuncerebbero alla legge della domanda e dell’offerta, ma anche gli operai, i quali talvolta rimangono disoccupati rinunziando agli alti salari. Indovinello che il Lanino si è ben guardato dal risolvere. Tutto l’articolo è basato su questa incomprensione iniziale.
Che gli industriali americani, primo Ford, abbiano cercato di sostenere che si tratta di una nuova forma di rapporti, non fa maraviglia: essi cercarono di ottenere oltre all’effetto economico degli alti salari, anche degli effetti sociali di egemonia spirituale, e òènormale.
107 Lo «stellone d’Italia». Come è nato questo modo di dire sullo «stellone» che è entrato a far parte dell'ideologia patriottica e nazionale italiana?
§1 Vittorio Giglio Milizie ed eserciti d'Italia, in 8°, 404 pp., illustr., L. 80, C. E. Ceschina (Dall'epoca romana alle milizie comunali, all'esercito piemontese, alla M.V.S.N.). Cercare come mai nel 48 in Piemonte non esistesse nessun capo militare e sia stato necessario ricorrere a un generale polacco. Nel Quattrocento‑Cinquecento e anche dopo, buonissimi capitani (condottieri, ecc.), sviluppo notevole della tattica e strategia, eppure impossibilità di creare esercito nazionale, per il distacco tra il popolo e le classi alte.
2 Italo Raulich, Storia del Risorgimento politico d'Italia, Zanichelli, cinque volumi, vol. IV, marzo‑novembre 1848, L. 32; vol. V, 1849, L. 36.
3 Giorgio Macaulay Trevelyan, Daniele Manin e la rivoluzione veneziana del 48 con pref. di P. Orsi, Zanichelli, L. 35.
7 Articoli di Luzzatti nella Nuova Antologia che potrebbero essere interessantiLa tutela del lavoro nelle fabbriche (febbraio 1876); Il socialismo e le quistioni sociali dinanzi ai Parlamenti d'Europa (gennaio e febbraio 1883); Schulze‑Delitzsch (maggio 1883); I recenti scioperi del Belgio (aprile 1886); Le diverse tendenze sociali degli operai italiani (ottobre 1888); Il Risorgimento dell'internazionale (dicembre 1888); La pace sociale all'Esposizione di Parigi (dicembre 1889 ‑ gennaio 1890); Le classi dirigenti e gli operai in Inghilterra. A proposito della lotta di classe (novembre 1892); La partecipazione degli operai ai profitti dell'azienda industriale (16 maggio 1899); Le riforme sociali (1° novembre 1908); La cooperazione russa (1° luglio 1919); Gli ordinamenti tecnici delle industrie in relazione all'obbligo internazionale delle 8 ore di lavoro (1° marzo 1922).
14 Amy A. Bernardy, Forme e colori di vita regionale italiana. Piemonte, Vol. I, Zanichelli, Bologna, L. 20. (Fare bibliografie di tutte le collezioni che si occupano della vita regionale e che abbiano un certo valore. Bibliografia legata alla quistione del folklore).
44 Su Quintino Sella, cfr nella Nuova Antologia del 16 settembre 1927 P. Boselli, Roma e Quintino Sella; Alberto De Stefani, Quintino Sella (1827‑1884); Bruno Minoletti, Quintino Sella storico, archeologo e paleografo.
46 Istituzioni internazionali. La Camera di Commercio Internazionale. (Un articolo sul IV Congresso della Camera di Commercio Internazionale tenuto a Stoccolma nel giugno‑luglio 1927 è nella Nuova Antologia del 16 settembre 1927).
64 R. Garofalo, Criminalità e amnistia in Italia, Nuova Antologia del 1° maggio 19281. Per la figura del Garofalo.
67 Nicola Zingarelli, Le idee politiche del Petrarca, «Nuova Antologia», 16 giugno 1928.
68 E. De Cillis, Gli aspetti e le soluzioni del problema della colonizzazione agraria in Tripolitania, Nuova Antologia, 16 luglio 1928. Vedere la letteratura in proposito e seguire le pubblicazioni del De Cillis. L'articolo è interessante perché realistico.
74 Bibliografia varia.
1) C. Smogorzeriski, Le jeu complexe des Partis en Pologne, «Geebethner et Wolff».
2) Louis Fischer, L’Impérialisme du pétrole, Rieder. (Esposizione della storia della produzione del petrolio secondo i documenti del Ministero tedesco e del Commissariato russo. Contro Sir Henri Deterding e gli altri re del petrolio).
3) Charles Benoist, Les lois de la Politique française, A. Fayard. (Tra l’altro: «il francese è guerriero, ma non militare», ha bisogno di essere disciplinato, perciò «il servizio militare di corta durata non è possibile che con quadri solidissimi»).
4) Georges Valois, Basile ou la Politique de la Calomnie, «Valois». (Contro Maurras e l’Action Française: autobiografico. Storia del «Cercle Proudhon» e dei suoi «Cahiers». Vedere a proposito della partecipazione di Sorel il libro su Sorel di Pierre Lasserre e la corrispondenza Sorel‑Croce. Per la situazione esistente in Francia nel 1925 e per le speranze dei reazionari, «Maurras s’était presque engagé à faire la monarchie pour le fin de 1925». Per la storia lamentevole del movimento di Valois in Francia).
5) Edouard Champion, Le livre aux Etats Unis; lungo articolo nella «Revue des Deux Mondes» del 15 maggio e 1° giugno 1927.
6) Ottavio Cina, La Commedia Socialista, Bernardo Lux edit., Roma, 1914, pp. VIII‑102, 3° migliaio (?).
Titolo preso dal libro di Yves Guyot, La Comédie Socialiste, Paris, 1897, Charpentier (ma non lo dice). Questo del Cina è un libercolo molto banale e pedestre, a tipo libellistico. Può essere considerato solo in una bibliografia di questa specie di letteratura ai margini estremi della polemica di quel tempo. Molto generico. Se cita fatti concreti o nomi, commette errori grossolani (cfr a p. 5, a proposito del contrasto Turati-Ferri). Vedi a che titolo lo cita Croce nella bibliografia della sua Storia d’Italia dal 1871 al 1915. Il Cina rimanda, a p. 34, a suoi articoli nell’«Economista d’Italia» del 1910. Fa un esame delle condizioni economiche in quegli anni, molto superficiale e banalmente tendenzioso, naturalmente, e finisce con un appello alla resistenza delle classi borghesi contro gli operai, anche con la violenza. Da questo punto di vista è interessante, come un segno dei tempi. Bisognerebbe vedere chi era (o è) questo signor Cina. Non pare un «nazionalista» nel senso di partito.
Mat. Bibl.: Milza, Berstein - La sconfitta del Socialismo italiano
80 Sull’emigrazione italiana. Articolo di Luigi Villari nella Nuova Antologia del 16 febbraio 1928: L'emigrazione italiana vista dagli stranieri. Sull'emigrazione il Villari ha scritto parecchio: vedere. (In questo articolo recensisce alcuni libri americani, inglesi e francesi che parlano dell'emigrazione italiana).
83 Francesco Tommasini, La Conferenza panamericana dell’Avana, Nuova Antologia del 16 agosto e 1° settembre 1928. Articolo molto analitico e minuzioso.
84 G. E. di Palma Castiglione, L’organizzazione internazionale del lavoro e la XI sessione della Conferenza internazionale del lavoro, Nuova Antologia del 16 agosto.
87 Oscar di Giamberardino, Linee generali della politica marittima dell'Impero britannico, Nuova Antologia, 16 settembre 1928. Utile.
92 I problemi dell’automobilismo al Congresso mondiale di Roma, di Ugo Ancona, nella Nuova Antologia del 1° novembre 1928. (Contiene qualche spunto interessante sulla mania delle autostrade dispendiosissime di questi anni e sul «puricellismo»; possono servire per Passato e presente: bisognerebbe fissare quanto nelle spese statali e locali è andato a strade indispensasabili e quanto a strade di lusso.
93 Sull’americanismo. Roberto Michels, Cenni sulla vita universitaria negli Stati Uniti, Nuova Antologia, 1° novembre 1928. Qualche spunto interessante.
96 Alfredo Oriani. È interessante una nota di Piero Zama, Alfredo Oriani candidato politico, nella Nuova Antologia del 16 novembre 1928.
98 Nino Cortese, L'esercito napoletano e le guerre napoleoniche, Napoli, Ricciardi, 1928, pp. 199, in 8°, L. 12).
100 Pietro Silva, Bilanci consuntivi. La Storiografia, nell’«Italia che scrive» del settembre 1928. Interessante nota bibliografica sulle più recenti pubblicazioni storiche italiane. Da tener presente. Deve essere interessante, per le mie particolari ricerche, il volumetto di Arrigo Solmi, L’unità fondamentale della storia italiana (ed. Zanichelli), diretto a rintracciare e ad additare nella storia della penisola una continuità nazionale mai spezzata dai tempi di Roma in poi. Concezione interessante, ma certamente indimostrabile e riflesso indubbio degli attuali bisogni di propaganda. (Contro questa tesi: Croce e Volpe).
101 Albano Sorbelli, Opuscoli, stampe alla macchia e fogli volanti riflettenti il pensiero politico italiano (1830‑35). Saggio di bibliografia storica, Firenze, Leo S. Olschki, 1927, pp. LXXXVIII‑273, L. 70. Il Sorbelli registra quasi un migliaio di fogli volanti e opuscoli, raggruppati in ordine cronologico e con un cenno del contenuto. Nella prefazione studia le correnti di pensiero di quegli anni, che si raggrupperanno nei partiti più tardi.
102 Giuseppe Ferrari, Corso su gli scrittori politici italiani. Nuova edizione completa con prefazione di A. O. Olivetti. 1928, Milano, Monanni, pp. 700, L. 25.
104 Recensione del libro del Bonomi nell'«Italia che scrive» del maggio 1929, di Giuseppe A. Andriulli. (Bisognerebbe poter seguire tutte queste recensioni di simili libri, specialmente se dovute a ex socialisti come l'Andriulli).
105 «Mente et Malleo». Organo ufficiale dell’Istituto «M. Fossati» pubblicato a cura dell’Associazione Nazionale Esperti nell’Ordinamento della Produzione, Torino, via Rossini 18, Anno 1°, n. 1, 10 aprile 1929, in 4°, pp. 44‑XVI.
Bollettino tecnico quindicinale, si propone di portare un contributo all’organizzazione scientifica del lavoro od ordinamento razionale della produzione in qualsiasi campo dell’Industria, dell’Agricoltura, del Commercio.
110 Cultura popolare. I poeti del popolo siciliano di Filippo Fichera, Isola del Liri, Soc. Tip. A. Macioce e Pisani, 1929.
Credo si possano trovare in questo volume indicazioni per identificare l'importanza in Sicilia delle «gare poetiche» o «tenzoni» tenute in pubblico come rappresentazioni teatrali popolari. Che carattere hanno? Da una recensione pubblicata nel «Marzocco» del 1929 pare puramente religioso.
115 Sul Risorgimento e il Mezzogiorno. I libri di Marc Monnier, Notizie storiche sul brigantaggio nelle province napoletane, da Fra diavolo al 1862, e La Camorra, mysteres de Naples.
Txt: La Camorra di Marc Monnier
120 Sull’America. Nella Nuova Antologia del 16 febbraio 1929 questi articoli: 1) Il trattato di Washington per la limitazione degli armamenti navali e le sue conseguenze, di Ulisse Guadagnini; 2) Il patto Kellogg, di Carlo Schanzer; 3) La dottrina di Monroe, di Antonio Borgoni.
124 Giorgio Mortara, Natalità e urbanesimo in Italia, «Nuova Antologia», 16 giugno ‑ 1° luglio 1929.
126 Andrea Torre, Il principe di Bülow e la politica mondiale germanica , «Nuova Antologia», 1° dicembre 1929 (scritto in occasione della morte del Bülow e in base al libro dello stesso Bülow, Germania imperiale: è interessante e sobrio). «Nuova Antologia», 1° dicembre 1929 (scritto in occasione della morte del Bülow e in base al libro dello stesso Bülow, Germania imperiale: è interessante e sobrio).
127 Alfonso de Pietri‑Tonelli, Wall Street, «Nuova Antologia» del 1° dicembre 1929 (commenta in termini molto generali la crisi di borsa americana della fine del 29: bisognerà rivederlo per studiare l’organizzazione finanziaria americana).
129 Industrie italiane. Cfr l'articolo I «soffioni» della Maremma Toscana nella «Civiltà Cattolica» del 20 luglio 1929. Come articolo di divulgazione scientifica è fatto molto bene.
130 Storie regionali. La Liguria e Genova. Cfr Carlo Mioli, La Consulta dei Mercanti genovesi. Rassegna storica della Camera di Commercio e Industria. 1805‑1927, Genova, 1928. È recensito e riassunto nella «Civiltà Cattolica» del 17 agosto 1929. Deve essere molto interessante e irnportante per la storia economica di Genova nel periodo del Risorgimento e poi nel periodo dell'unità fino alla sostituzione dei Consigli d'Economia alle Camere di Commercio. Il Mioli era il segretario dell'ultima Camera di Commercio. Il libro ha una prefazione dell'avv. Pessagno, addetto all'archivio storico di Genova.
139 Mario Gianturco, La terza sessione marittima della Conferenza Internazionale del Lavoro, Nuova Antologia, 16 marzo 1930. (Riassume i punti anche delle precedenti riunioni dei marittimi; interessante e utile).
140 Giuseppe Frisella Vella,Temi e problemi sulla così detta questione meridionale, con introduzione e bibliografia, in 8°, pp. 56, Palermo, La Luce, Casa Editr. Sicula, L. 6,00.
142 Gaspare Ambrosini, La situazione della Palestina e gli interessi dell'Italia, Nuova Antologia del 16 giugno 1930. (Indicazioni bibliografiche sulla quistione).
143 Maria Pasolini Ponti, Intorno all’arte industriale, «Nuova Antologia», 1° luglio 1930.
144 Passato e presente. Un articolo interessante per constatare un certo movimento di riabilitazione dei Borboni di Napoli è quello di Giuseppe Nuzzo, La politica estera della monarchia napoletana alla fine del secolo XVIII, nella «Nuova Antologia» del 16 luglio 1930. Articolo insulso storicamente, perché parla di velleità burlesche.
145 Luigi Villari, L’agricoltura in Inghilterra, «Nuova Antologia», 1° settembre 1930. Interessante.
147 Risorgimento italiano. Nella Nuova Antologia del 1° ottobre 1930, Francesco Moroncini, Lettere inedite di Carlo Poerio e di altri ad Antonio Ranieri (1860‑66). Interessante per il periodo storico e per la quistione politica del Mezzogiorno.
149 Politica e comando militare. Confrontare nella «Nuova Antologia» del 16 ottobre e 1° novembre 1930 l'articolo di Saverio Nasalli Rocca La politica tedesca dell'impotenza nella guerra mondiale.
8 Un giudizio di Manzoni su Victor Hugo. «Il Manzoni mi diceva che Victor Hugo con quel suo libro sopra Napoleone rassomigliasse a uno che si creda gran suonatore d’organi e si metta a suonare, ma gli manchi chi gli tenga il mantice». R. Bonghi, I fatti miei e i miei pensieri, «Nuova Antologia», 16 aprile 27.
10 Un gondoliere veneziano faceva delle grandi sberrettate a un patrizio e dei piccoli saluti alle chiese. Un patrizio gli domandò perché facesse così e il gondoliere: Perché coi santi non si cogliona. (Bonghi, ibidem).
11 Manzoni e Rosmini su Napoleone III. «A lui (Manzoni) che questo Luigi Napoleone non sia un miracolo, né altro la crisi presente di Francia che una fermata nella Rivoluzione di Francia. Il Rosmini invece ne fa un braccio della Provvidenza, un inviato di Dio; il che riconosce alla sua moralità e Religione; e spera assai, assai. Io sto col Manzoni». (Bonghi, ibidem).
§15 Gli Albanesi d’Italia.
Quando fu occupata Scutari dopo le guerre balcaniche, l'Italia vi mandò un battaglione e in esso fu incorporato un certo numero di soldati albanesi d'Italia. Siccome parlavano l'albanese, solo con la pronunzia un po' diversa, furono accolti cordialmente. (Da un articolo molto scemo di Vico Mantegazza nella Nuova Antologia del 1° maggio 1927 Sulle vie dell'Oriente).