Il colonialismo italiano

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LA POLITICA DEL COLONIALISMO ITALIANO, I SUOI MITI E LA SUA MEMORIA

di Nicola Labanca

Fra le nazioni europee l'Italia fu quella che ebbe l''impero coloniale forse geograficamente più ristretto ed economicamente meno produttivo. Se si esclude la Germania dal 1884 al 1918, l'Italia fu anche la potenza che mantenne possedimenti oltremare per il lasso di tempo più breve.

D'altra parte, però, in Italia la conquista di territori africani (nel 1885 in Eritrea, nel 1889 in Somalia, nel 1911 in Libia e nel 1935 in Etiopia), la loro gestione (fino al 1941-1942) e tutte le esperienze 'coloniali' o 'imperiali' a essa connesse ebbero un'importanza e una risonanza così grandi che fanno del passato coloniale uno degli aspetti meno ricordati e meno studiati ma cruciale di tutta la storia nazionale unitaria.

Una memoria del colonialismo tra silenzio e nostalgia

Poche grandi potenze europee, con fasi alterne e fra grandi contrasti d'interesse, si erano assicurate a partire dal Quattrocento grandi imperi oltremare, sfruttandoli per secoli. Fra l'ultimo ventennio dell'Ottocento e il primo decennio del Novecento, esse si affrontarono, pur senza mai incrociare le armi frontalmente, in una corsa alla definitiva spartizione del mondo. Spartitosi il mondo in questa 'età dell'imperialismo', negli anni fra le due guerre mondiali il colonialismo europeo conobbe il suo momento di maggior successo – ma fu al tempo stesso la vigilia della 'decolonizzazione', cioè la sua fine, realizzatasi per gran parte nel quindicennio successivo alla seconda guerra mondiale. È vero che in quasi cinque secoli e mezzo il colonialismo europeo ha contribuito a dare forma al mondo moderno. Gli scambi, i domini e i conflitti oltremare hanno segnato radicalmente la storia del pianeta, oltre che dell'Europa. Ma non possiamo non osservare che l'Italia si inserì in questo colossale processo storico solo nella sua fase finale e più bellicosa. Va aggiunto che, per vent'anni, il colonialismo italiano fu quello di un regime fascista.
Con la fine dell'Impero gli Italiani avrebbero potuto, e dovuto, stilare un bilancio di questa esperienza storica nazionale.

Non si era trattato di un colonialismo plurisecolare, non c'erano stati grandi vantaggi economici, il movente politico dell'espansione coloniale era stato evidente – tanto nell'Italia liberale che con il fascismo –, i benefici guadagnati da parte dei coloni, degli 'Italiani d'Africa' che nel frattempo avevano popolato le 'neoItalia d'Africa' apparivano nel complesso assai contenuti, e in ogni caso di breve durata. Peraltro, per puro caso della storia, l'Italia democratica e repubblicana si trovava ad avere, unica fra le potenze imperiali avanti la seconda guerra mondiale, e non disporre di territori coloniali: avrebbe potuto presentarsi con le 'mani nette', negli anni della decolonizzazione, alle nuove classi dirigenti e ai nuovi paesi che da quest'ultima sarebbero usciti. Ma, senza un dibattito civile sul passato coloniale, niente di tutto questo fu fatto e le continuità continuarono a prevalere sulle discontinuità.
La congiunzione di silenzio e di nostalgia ha aggravato le conseguenze del mancato dibattito critico sul passato. Contagiato da analoghi atteggiamenti di generica e qualunquistica assoluzione invalsi a proposito della partecipazione degli Italiani alla guerra fascista (quando non al fascismo stesso), il processo di revisione del passato imperiale si è arenato. E sino a tutti gli anni Sessanta e anche nei primi anni Settanta non sono state rare le occasioni in cui, in mancanza di antidoti, sono state le nostalgie (o le rimozioni) a fare opinione comune.

Lo stereotipo degli 'Italiani brava gente'

Fra le varie, un'eredità del colonialismo nostrano, forse la più inossidabile, è stata il rafforzamento dell'immagine per cui gli Italiani all'oltremare si sarebbero comportati sempre e comunque da 'brava gente'. Lo stereotipo dell'Italiano non razzista ma bonario, accomodante e pacioso nei suoi rapporti con l'Altro era peraltro una delle componenti basilari del carattere nazionale.

Lo stato delle cose, da un punto di vista comparato, è un po' diverso. Non si tratta di opporre ideologia a ideologia, malagente a bravagente. Ma è un dato di fatto che non pochi fenomeni contraddicono profondamente quella autoconsolatoria autoraffigurazione.

Sarebbe quindi opportuno non dimenticare le decine di oppositori (o anche solo di capi tradizionali semplicemente dissidenti) fucilati sommariamente dai tribunali speciali e da plotoni improvvisati durante il primo colonialismo in Eritrea o la campagna contro l'Etiopia del 1895-1896. È importante non dimenticare eventi come la deportazione di decine di migliaia di Cirenaici, cui il regime fascista ricorse per piegare la resistenza antiitaliana nel 1929-1931: con la costruzione di 'campi di concentramento' - la definizione è dei protagonisti - in cui furono isolati adulti e vecchi, donne e bambini, per separarli dalle mehalle di patrioti resistenti. È altrettanto importante ricordare l'uso dei gas da parte italiana nel corso della guerra d'Etiopia: come, sempre in Etiopia, sono da citare le brutalità cui si permise che si lasciassero andare squadre di fascisti (ma anche di 'semplici' cittadini italiani) dopo l'attentato del febbraio 1937 al vicerè e governatore generale Rodolfo Graziani, con fucilazioni sommarie e violenze che insanguinarono la capitale per più giorni. Come sarebbero poi da ricordare le brutalità con cui i comandanti e le truppe incaricate eseguirono le attività di repressione della resistenza patriottica etiopica fra 1936 e 1941, eufemisticamente denominate 'operazioni di grande polizia coloniale'. Come sarebbe infine da ricordare, e da studiare meglio, il sistema di sfruttamento del lavoro forzato praticato in Somalia, nella piantagioni e nella fattorie dei concessionari italiani. Ma la lista rischia di allungarsi man mano che gli studi procedono.

Come è possibile parlare di bravagente, con questo passato nazionale? Proprio in quanto colonialismo demografico – sia pure non esteso quanto la retorica propagandistica colonialista intendeva accreditare – questi fenomeni, queste prassi, questi comportamenti di massa sono tanto più rilevanti perché coinvolsero in prima persona e direttamente una parte minoritaria certo, ma non trascurabile, degli Italiani.

Peraltro, erano essi atti di forza, o di debolezza da parte del colonialismo italiano? A giudicare dalla costanza, dalla determinazione e dai tragici risultati, parrebbe ragionevole affermare che di forza bruta si trattasse. Ma a guardare meglio, a ricordare le fragili basi diplomatiche, economiche e strutturali del colonialismo italiano anche l'altra interpretazione non merita di essere scartata: se qui, come sembra opportuno, debolezza significa anche incertezza nell'intervenire nella realtà sociale autoctona e nell'essere certi di poter reggerla senza dover ricorrere alla maniera forte.

Quante lacerazioni quelle norme, quelle pratiche e questi atti abbiano inferto alla coscienza civile italiana, che le ha rimosse, è evidente. Quante ferite abbiano lasciato sul corpo delle società post-coloniali è questione non meno evidente ma più complessa che qui si può solo porre perché richiama quella più generale sul significato e sulle conseguenze del colonialismo.

Pare davvero singolare che la più piccola delle potenze, per il più piccolo nonché il più breve degli imperi oltremare, quello forse meno fruttifero e quello in cui certo si investì meno (anche se si spese e si sperperò molto), sia arrivata a codificare norme giuridiche e figure istituzionali come quelle previste dalla legislazione razziale del 1937.

Più in generale, pare singolare che ancora oggi molti Italiani non conoscano questa pagina di storia nazionale o, il che è lo stesso, siano disposti a ripetere stereotipi come quello dell'Italiano bravagente che ammantano la realtà storica di un imperialismo demografico, anche se demografico in misura minore e diversa da quanto al tempo propagandato, che fu per quattro decenni liberale e per due fascista.

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Wikipedia

Colonialismo italiano

Il colonialismo italiano fu un fenomeno storico che comportò l'espansione della sovranità del Regno d'Italia su 4 territori d'Africa: la Libia, la Somalia, l'Etiopia e l'Eritrea, oltre che, dal 1939 al 1943, sull'Albania. In Cina vi fu una piccola colonia a Tientsin. Con la seconda guerra mondiale tutte le colonie furono perse; solamente la Somalia italiana rimase sotto amministrazione fiduciaria italiana fino al 1960.

Storia

Subito dopo l'Unità il Regno d'Italia iniziò ad ambire possedimenti coloniali.

Il colonialismo italiano ebbe inizio con la presa di possesso dei porti di Assab e Massaua sulla costa africana del mar Rosso negli ultimi decenni del XIX secolo ed ebbe termine con la sconfitta dell'Asse nella seconda guerra mondiale che comportò la perdita di tutte le colonie italiane (eccetto la Somalia Italiana che rimase in Amministrazione fiduciaria ONU: tuttavia, rimanendo la Somalia de facto protettorato italiano fino al 1960, alcuni prendono tale data come termine del colonialismo italiano).

Le colonie italiane furono in Africa l'Eritrea, la Somalia Italiana, la Libia (strappata all'Impero ottomano nel 1912) e l'Etiopia italiana (conquistata ed annessa nel 1936) ed in Europa il Dodecaneso e l'Albania (occupata dalle truppe italiane nel 1939).

I territori sotto il comando degli italiani nel continente africano raggiunsero la massima estensione nell'estate del 1940, quando fu occupata anche la Somalia Britannica (3-19 agosto), aree intorno a cittadine sudanesi (come Cassala) e keniane (Moyale), ed alcune località egiziane vicino al confine con la Libia (settembre): l'impero all'inizio del 1941 raggiungeva oltre 4,1 milioni di km².

A differenza delle altre potenze europee, l'Italia non stabilì mai nessun possedimento coloniale negli altri continenti oltre l'Africa e l'Europa, se si esclude la piccola concessione italiana di Tientsin in Cina (e l'occupazione dell'Anatolia sudoccidentale).

L'Italia puntava a stabilire il proprio dominio sulla vicina Tunisia, paese sulla sponda opposta mediterranea, in cui si era stabilita da qualche anno una nutrita comunità di connazionali. Ma la Francia se ne impadronì nel 1881, provocando una indispettita reazione del governo Depretis e una svolta nella politica estera italiana. Fu proprio per l'azione improvvisa del paese d'oltralpe che l'Italia intraprese i contatti diplomatici con la Germania e L'Austria-Ungheria che portarono alla firma del trattato della Triplice Alleanza nel 1882, determinando così l'interruzione del processo di riunificazione nazionale con il Trentino e la Venezia Giulia ancora in mano all'impero Austriaco.

Frizioni con la Francia si ebbero, nel medesimo periodo, anche in Algeria dove a Bona era attiva una comunità italiana di pescatori di corallo.

Mire in Asia e Concessione a Sabah (Borneo)

Nei due decenni dopo l'Unità, l'Italia guardava con un certo appetito ai pochi territori asiatici ancora liberi da altre potenze coloniali, in particolare la Thailandia, l'Alta Birmania, il sultanato di Aceh, le isole Andamane e Nicobare. Nel 1880 il Barone Von Overbeck, console dell'Impero Austro-Ungarico ad Hong Kong, visto il rifiuto del proprio governo di Vienna di un aiuto nella sua concessione del Borneo settentrionale, l'attuale stato di Sabah della Malaysia, chiese al governo Italiano se fosse interessato ad acquisire la concessione e creare la prima colonia italiana nell'Asia insulare (Borneo), ma il progetto naufragò per il rifiuto di Roma di intervenire, lasciando così mano libera alla Gran Bretagna, che occupò successivamente la concessione, inglobandola nella Malesia Britannica. La motivazione iniziale di Von Oberbeck riguardava la possibilità di creare una colonia penale del governo italiano nell'area di Sabah:
« … analoghi passi e proprio in quei mari (della Malesia) -oltre che in Argentina- avrebbe fatto, pochi anni dopo, il governo italiano, desideroso di confinare lontano dalla madrepatria i detenuti più pericolosi, specialmente dopo la repressione del Brigantaggio meridionale (1860-64); tentativi che, peraltro, non ebbero esito positivo. »

Del resto alla fine del 1869 l'esploratore Emilio Cerruti fu mandato nella Nuova Guinea per allacciare rapporti con le popolazioni locali, ottenendo buoni risultati per la creazione di un'eventuale colonia commerciale e/o colonia penale, ma il timore di inimicarsi l'Inghilterra e l'Olanda fece fallire tutto. Il Cerruti infatti era tornato nel 1870 a Firenze con bozze di trattati firmati dai sultani delle isole di Aru, Kai e Balscicu nella Nuova Guinea, dove veniva accettata da loro la sovranità italiana (il Cerruti aveva finanche preso possesso di alcuni settori della costa settentrionale ed occidentale nella Nuova Guinea in nome dell'Italia).

Comunque nel 1883 il governo italiano chiese a quello inglese per via diplomatica se avrebbe accettato che la Nuova Guinea potesse divenire una colonia italiana: al rifiuto britannico l'Italia abbandonò ogni tentativo di colonizzazione nel Pacifico asiatico.

Il primo tentativo nel Corno d'Africa

I primi tentativi di acquisire veri e propri possedimenti coloniali, risalgono ai tempi della Sinistra di Agostino Depretis e di Francesco Crispi, anche se alcuni governi precedenti avevano appoggiato, sebbene non in maniera esplicita, alcune iniziative private, come l'acquisizione della baia di Assab da parte della Compagnia di Navigazione Rubattino. Nel corso degli anni ottanta del secolo XIX vi furono almeno tre tentativi ufficiali del governo italiano per l'acquisizione di un porto nel Mar Rosso il quale potesse fungere da base verso un futuro impero coloniale in Asia o in Africa.

Eritrea e Somalia
   
Oltre all'acquisto di Assab dalle mani della compagnia Rubattino (nel 1882), lo Stato italiano cercò di acquistare od occupare il porto di Zeila, a quel tempo controllato dagli egiziani, ma senza esito. Quando gli egiziani dovettero ritirarsi dal Corno d'Africa nel corso del 1884, i diplomatici italiani fecero un accordo con la Gran Bretagna per l'occupazione del porto di Massaua che assieme ad Assab formò i cosiddetti possedimenti italiani nel Mar Rosso (dal 1890 denominati Colonia eritrea).

Per i governi crispini, la città di Massaua diventò il punto di partenza per un progetto che doveva sfociare nel controllo dell'intero Corno d'Africa. Agli inizi degli anni ottanta questa zona era abitata da popolazioni etiopiche, dancale, somale e oromo autonome o sottoposte formalmente a diversi dominatori: gli egiziani (lungo le coste del Mar Rosso), sultani (Harar, Obbia, Zanzibar i più importanti), emiri o capi tribali. Diverso il caso dell'Etiopia, allora retta dal Negus Neghesti (Re dei Re) Giovanni IV, ma con la presenza di un secondo Negus (Re) nei territori del sud: Menelik.

Attraverso gli studiosi e i commercianti italiani che frequentavano la zona già dagli anni sessanta, l'Italia cercò di dividere i due Negus al fine di penetrare, dapprima politicamente e in seguito militarmente, all'interno dell'altopiano etiopico. Tra i progetti vi furono l'occupazione della città santa di Harar, l'acquisto di Zeila dai britannici e l'affitto del porto di Chisimaio posto alla foce del Giuba in Somalia. Tutti e tre i progetti non si conclusero positivamente, in particolare la presa della città di Harar da parte delle forze etiopiche di Menelik impedì l'esecuzione di un'operazione simile da parte delle forze italiane. È senz'altro da ricordare, anche per l'eco suscitata in patria, la disfatta nella battaglia di Dogali del 1887, durante un tentativo di espansione italiana.
Nel 1889 l'Italia ottenne, tramite un accordo da parte del console italiano di Aden con i rispettivi sultani, i protettorati sul sultanato di Obbia e su quello della Migiurtinia. Nel 1892 il Sultano di Zanzibar concesse in affitto i porti del Benadir (fra cui Mogadiscio e Brava) alla società commerciale "Filonardi". Il Benadir, sebbene gestito da una società privata, fu sfruttato dal Regno d'Italia come base di partenza per delle spedizioni esplorative verso le foci del Giuba e dell'Omo e per l'assunzione di un protettorato sulla città di Lugh.

A seguito della sconfitta e della morte dell'imperatore Giovanni in una guerra contro i dervisci sudanesi, l'esercito italiano in stanza a Massaua occupò una parte dell'altopiano etiopico, compresa la città di Asmara, sulla base di precedenti ambigui accordi fatti con Menelik il quale, con la morte del rivale, era riuscito a farsi riconoscere Negus Neghesti. Con il trattato che seguì, Menelik accettò la presenza degli italiani sull'altopiano e riconobbe di utilizzare l'Italia come canale di comunicazione di preferenza con i paesi europei. Quest'ultimo riconoscimento venne interpretato dagli italiani (e tradotto dalla lingua amarica di conseguenza) come l'accettazione di un Protettorato e per cinque anni sarà fonte di discordie fra i due paesi.

Queste differenti interpretazioni del trattato posero le basi per lo scoppio di un conflitto e la successiva avanzata italiana in Abissinia (ora Etiopia); ma la pronta reazione delle truppe abissine costrinse inizialmente alla resa. Dopo questa prima sconfitta l'Italia subì, il 1º marzo 1896, la definitiva e pesante disfatta di Adua, nella quale caddero sul campo circa 7.000 uomini. Il 26 ottobre 1896 fu conclusa la pace di Addis Abeba, con la quale l'Italia rinunciava alle sue mire espansionistiche in Abissinia. La disfatta provocò forti reazioni in tutta Italia, dove vi fu chi propose un immediato rilancio del progetto coloniale e chi, come una parte del partito socialista, propose di abbandonare immediatamente queste imprese.
   
Sudan

La sconfitta dei mahdisti ad Agordat (Eritrea), da parte delle truppe italiane ed ascare, spinse il generale Oreste Baratieri ad ordinare un'incursione oltre il confine con il Sudan. Il 16 luglio 1894, Baratieri condusse personalmente una colonna di 2.600 tra ascari ed italiani verso la città sudanese di Cassala, conquistandola dopo un breve combattimento; a Cassala venne lasciato un presidio al comando del maggiore Domenico Turitto, mentre Baratieri con il grosso delle truppe rientrò in Eritrea. Nelle intenzioni degli italiani, Cassala doveva fare da trampolino di lancio per una campagna contro lo stato mahdista da tenersi in collaborazione con i britannici, ma questi ultimi rifiutarono l'aiuto italiano, temendo che esso celasse mire espansionistiche in Sudan.
La guarnigione italiana di Cassala venne ritirata nel dicembre del 1897, quando la città venne restituita agli anglo-egiziani; la rivolta madhista sarà infine schiacciata dagli anglo-egiziani con la vittoria nella battaglia di Omdurman il 2 settembre 1898.

La Cina e la Concessione di Tientsin

Durante la Rivolta dei Boxer in Cina (1899-1901), l'Italia intervenne nel paese asiatico con un corpo di spedizione, al fianco delle altre Grandi Potenze; alla fine del conflitto, il governo cinese concesse all'Italia una piccola zona nella città di Tientsin, il porto di Pechino.

La conquista della Libia

Nel 1911-12 il Governo Giolitti, dopo una serie di accordi con la Gran Bretagna e la Francia, che ribadivano le rispettive sfere d'influenza nell'Africa settentrionale, dichiarò guerra all'Impero ottomano (Guerra italo-turca) ed occupò la Tripolitania e la Cirenaica, dando vita alla formazione della colonia della Libia italiana, il cui possesso venne consolidato nel corso degli anni venti e trenta.
Successivamente un trattato del 1935 tra l'Italia e la Francia, rispettivamente potenze coloniali in Libia e in Ciad, assegnò la Striscia di Aozou alla Libia italiana: si trattava del cosiddetto Trattato Mussolini-Laval (mai peraltro ratificato ufficialmente).

Gli Anni Venti (Anatolia) e Trenta (Abissinia)

Una delle richieste italiane durante la stesura del Trattato di Versailles del 1919, dopo la fine della prima guerra mondiale, fu quella di ricevere la Somalia Francese e il Somaliland Britannico in cambio della rinuncia alla ripartizione delle ex colonie tedesche tra le forze dell'Intesa. Fu l'ultimo tentativo dello stato liberale di perseguire la politica di penetrazione nel Corno d'Africa. Dopo il Trattato l'Italia ottenne però solo l'Oltregiuba dalla Gran Bretagna, da annettere alla Somalia Italiana ed una ridefinizione dei confini della Libia, che venne così ampliata.
Nel 1919 e nei primi anni venti si ebbe l'Occupazione italiana di Adalia in Anatolia, che finì dopo soli tre anni con un nulla di fatto una volta che Kemal Ataturk riconobbe la sovranità italiana nel Dodecaneso. Infatti il 9 marzo 1919, il governo italiano fece sbarcare truppe italiane ad Adalia e successivamente furono occupate anche le località vicine: Makri Budrun, Kuch-Adassi, Alanya, Konya, Ismidt e Eskişehir. Nell'autunno 1922 le truppe italiane lasciarono l'Anatolia.

Il colonialismo italiano venne rilanciato quindi dal regime fascista soprattutto durante gli anni '30 e portò alla conquista dell'Etiopia nel 1935/36.

Altre mire del governo italiano: dalla Sirte al Ciad, l'Angola, la Georgia e lo Yemen

Il secondo tentativo di creare un vasto impero coloniale si poneva come obiettivo il controllo di una zona di territorio che andasse dal mar Mediterraneo al Golfo di Guinea. Allo stesso tempo si considerò la possibilità di ottenere l'Angola dal Portogallo.

Ciad

Il progetto non venne mai esplicitato pubblicamente, ma fu strategicamente chiaro durante le trattative per il Trattato di Versailles (1919) e causò frizioni diplomatiche con la Francia. Per realizzare questo progetto, avendo già formale possesso della Libia, il corpo diplomatico italiano chiese di avere la colonia tedesca del Camerun (o quella del Togo) e cercò di ottenere, come compenso per la partecipazione alla guerra mondiale, il passaggio del Ciad dalla Francia all'Italia.
Il progetto fallì quando il Camerun venne assegnato alla Francia e l'Italia ottenne solamente l'Oltregiuba dal Regno Unito. Per compensare la perdita britannica dell'Oltregiuba fu concesso 1/5 del Camerun ex tedesco che sarebbe poi stato unito alla Nigeria britannica, l'Italia ottenne inoltre una ridefinizione dei confini tra Libia e Ciad.

Angola

Anche l'Angola portoghese fu ambita nelle trattative per il Trattato di Versailles.
Una richiesta alternativa del programma delle rivendicazioni coloniali italiane riguardava la colonia portoghese dell'Angola (anche per il Congo belga fu fatta richiesta analoga).
Infatti il governo italiano a Parigi dichiarava che il Portogallo aveva un impero sproporzionato rispetto alle sue piccole dimensioni, al contrario dell'Italia che si trovava in una situazione opposta. Furono avanzate due proposte:
il riconoscimento all'Italia da parte del Portogallo di concessioni agricole in Angola per emigranti italiani.
nel caso che il Portogallo venisse privato di alcune sue colonie, la Gran Bretagna e la Francia avrebbero riconosciuto all'Italia il diritto sull'Angola.

Contemporaneamente il governo italiano promosse la costituzione da parte delle 11 banche italiane più importanti di una "Società Coloniale per l'Africa Occidentale" per la gestione delle concessioni agricole in Angola. Comunque questo progetto trovò una ferma opposizione da parte delle autorità portoghesi.
Alla proposta italiana poi definita "assurda" risposero con fermezza Regno Unito e Francia in difesa portoghese ribadendo che le colonie portoghesi erano frutto di una conquista coloniale secolare da parte dei lusitani e che non c'era alcuna ragione concreta a che il Portogallo che pure aveva (molto limitatamente) partecipato alla I guerra mondiale cedesse la colonia all'Italia. L'Italia a giudizio franco-britannico aveva ottenuto già abbastanza con la conquista del Trentino Alto Adige e dell'Istria nonché le rettifiche territoriali sempre a vantaggio italiani nell'Oltregiuba.

Georgia

Nel 1919 il Re d'Italia Vittorio Emanuele III, invocando uno dei diritti italiani stabiliti in favore delle potenze vincitrici del 1° conflitto mondiale, all'articolo n. 9 del celeberrimo "Patto di Londra" dell'aprile 1915, chiese ed ottenne l'assenso di un'altra potenza vincitrice, l'Impero Britannico, attraverso i buoni uffici di Lloyd George, per l'invio in Georgia, terra in fermento indipendentista sia verso l'Impero russo e sia verso la Turchia, di un contingente italiano di ben 85.000 uomini agli ordini del generale Giuseppe Pennella.

Pennella avrebbe dovuto difendere l'indipendenza della Georgia e sostenere la neonata Federazione delle Repubbliche Transcaucasiche (Georgia, Armenia e Azerbaigian) per controbattere una possibile ingerenza dell'imperialismo russo dei Soviet. In altri termini, si può dire che la proposta di Lloyd George ricalcava gli esordi dell'espansione coloniale italiana nel Mar Rosso, nel penultimo decennio dell'Ottocento, che erano stati, in fondo, un episodio collaterale delle difficoltà britanniche nel Sudan all'epoca del ritiro delle guarnigioni egiziane dall'Eritrea e, poi, della grande insurrezione mahdista.

Del resto il governo Orlando, poco prima di cadere, decise con un apposito decreto, la spedizione italiana in Georgia e ne stabilì perfino i termini e le date. Ma il successivo Governo Nitti decise di soprassedere per non compromettere le nuove relazioni tra l'Italia e la neocostituita Unione Sovietica. Successivamente Mussolini, nel 1941, cercò di creare una Georgia "Protettorato italiano" sfruttando anche i legami tra le due nazioni, originati da Pennella nel 1919.

Yemen

In questa fase la colonia eritrea, sotto l'amministrazione del Governatore Jacopo Gasparini cercò di ottenere nel 1926 un protettorato sullo Yemen e creare una base per un impero coloniale sulla penisola araba.
Ma Mussolini non volle inimicarsi la Gran Bretagna e fermò il progetto. Infatti tergiversò e si lasciò sfuggire il possibile controllo di un'interessante area petrolifera. Del resto in quegli anni Mussolini era in continuo contatto epistolare con Winston Churchill (allora suo amico), che lo convinse a non appoggiare il governatore Gasparini.

Europa orientale

In Europa orientale il regime fascista tessette disegni imperiali in Albania, Dalmazia, gan parte della Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia e Grecia basati sui precedenti dell'antica dominazione romana di queste regioni[14]. Il regime cercò inoltre di stabilire un rapporto di protezione patrono-cliente con l'Austria, l'Ungheria, la Romania e la Bulgaria.

La conquista dell'Etiopia e la nascita dell'Impero

Il fascismo cercò inizialmente di presentarsi in maniera propositiva nei confronti dell'Etiopia cercando di attuare un trattato di amicizia con l'amministrazione del reggente Haile Selassie. Tale accordo si concretizzò nel 1928.

A seguito della completa conquista della Libia, avvenuta alla fine degli anni venti, Mussolini manifestò l'intenzione di dare un Impero all'Italia e l'unico territorio rimasto libero da ingerenze straniere era l'Abissinia, nonostante fosse membro della Società delle Nazioni. Il progetto d'invasione iniziò all'indomani della conclusione degli accordi sul trattato di amicizia e si concluse con l'ingresso dell'esercito italiano ad Addis Abeba il 5 maggio 1936. Quattro giorni dopo venne proclamata la nascita dell'Impero italiano e l'incoronazione di Vittorio Emanuele III come Imperatore d'Etiopia (con il titolo di Qesar, anziché quello di "Negus Neghesti").

A seguito dell'uccisione di civili e militari italiani in Libia ed Etiopia negli anni venti e trenta, durante il dominio coloniale italiano in Africa furono usate armi vietate, quali gas asfissianti e iprite. La successiva pacificazione attuata dal Fascismo nelle colonie africane, talora brutale, fu totale in Libia, Eritrea e Somalia (mentre in Abissinia, dopo meno di cinque anni, nel 1940 oltre il 75% del territorio era completamente controllato dagli Italiani) e risultò in un notevole sviluppo economico dell'area, accompagnato da una consistente emigrazione di coloni italiani.
Con la conquista di gran parte dell'Etiopia si procedette ad una ristrutturazione delle colonie del Corno d'Africa. Somalia, Eritrea ed Abissinia vennero riunite nel vicereame dell'Africa Orientale Italiana (AOI). Il progetto coloniale terminò con l'occupazione britannica dei territori soggetti al dominio italiano nel 1941.

Ambizioni del regime fascista

Nel settembre 1923 il neo-primo ministro Mussolini fece occupare per circa un mese l'isola di Corfù, con mire annessionistiche (Crisi di Corfù). Nel corso della Seconda guerra mondiale, Corfù fu rioccupata dall'Esercito Italiano nell'aprile 1941. Tale occupazione durò fino al settembre 1943: durante questo periodo, sempre insieme alle Isole Ionie, venne amministrata come entità separata rispetto alla Grecia con l'intento di prepararne l'annessione al Regno d'Italia.

Mussolini richiese anche, come risarcimento del suo intervento nella guerra civile spagnola, l'isola di Minorca nelle Baleari allo scopo di farvi una base aeronavale italiana, ma la ferrea opposizione di Francisco Franco annullò ogni pretesa italiana. Secondo storici come Camillo Berneri, Mussolini ambiva non solo le Baleari, ma anche il Marocco Spagnolo (specialmente l'area di Ceuta, che confinava con il Territorio Internazionale di Tangeri nel quale l'Italia era co-garante dal 1928)

Dopo l'occupazione, tra il 1940 e il 1941, di alcune zone della Dalmazia, del Montenegro, dell'Albania, del Kosovo e della Somaliland inglese, da parte delle truppe italiane, l'obiettivo di Mussolini fu quello di estendere la presenza italiana anche a Malta, Tunisia, Somalia francese e Corsica.

Dopo la caduta della Francia, l'illusione di una vittoria sulla Gran Bretagna spinse Mussolini e il Ministro degli Esteri Ciano ad iniziare una serie di colloqui con gli ambiti civili di Algeria, Egitto e Sudan. I colloqui vennero ben presto ostacolati dall'alleato tedesco e terminarono con la controffensiva britannica in Cirenaica.

Ai primi di novembre 1942, l'Italia raggiunse il suo massimo dominio nel Mediterraneo, quando truppe italiane occuparono la Corsica, il Nizzardo e la Savoia mentre si svolgeva la Seconda battaglia di El Alamein.
Sul finire del 1941 Italia e Germania intavolarono una trattativa per occupare militarmente e politicamente la Svizzera, progetto poi mai andato in opera.

Prevedeva la spartizione in 2 parti: alla Germania la parte settentrionale di lingua tedesca e francese, all'Italia il Canton Ticino, il Vallese e i Grigioni oltre a Ginevra aggregata alla Savoia italiana.

Fine dell'Impero

L'Impero italiano tramontò definitivamente nel corso del 1943, dopo l'espulsione del regio esercito ad opera delle forze britanniche e del Commonwealth, prima dall'Africa orientale (Campagna Alleata in Africa Orientale), nel novembre del 1941, e successivamente dal Nord Africa (Campagna del Nord Africa), nella primavera del 1943.
Le truppe italiane in Albania, nel Dodecaneso e nelle altre isole greche, non senza episodi cruenti come la Strage di Cefalonia, vennero ritirate a partire dal settembre 1943 dopo la caduta di Mussolini e la successiva resa dell'Italia.
Formalmente l'Italia venne privata di tutti i propri possedimenti coloniali con il trattato di Parigi del 1947. Nel 1950 le Nazioni Unite riconobbero all'Italia l'amministrazione fiduciaria della Somalia Italiana fino al 1960.

Colonie italiane


Eritrea (1882 - 1947)
   
L'area del Mar Rosso fu una delle zone che suscitò il maggior interesse dei governi della Sinistra italiana.
Primo nucleo della futura colonia Eritrea fu l'area commerciale stabilita dalla società Rubattino nel 1869 presso la baia di Assab. Abbandonata per una decina d'anni, fu poi acquistata dallo stato italiano nel 1882, venendo a costituire il più antico fra i possedimenti coloniali italiani in Africa e nel resto del mondo. Nel 1885 anche il porto di Massaua cadde sotto il dominio italiano.

Con il trattato di Uccialli i possedimenti italiani vennero estesi nell'entroterra fino alle sponde del fiume Mareb. Di conseguenza il 1º gennaio 1890 fu istituzionalizzato il possesso di quei territori con la creazione di una colonia retta da un governatore (il primo ad occupare tale carica fu il generale Baldassarre Orero), e avente capoluogo la città di Asmara (climaticamente più confortevole per gli italiani rispetto a Massaua).

La massima espansione dei suoi confini fu raggiunta agli inizi del 1896, quando il Governatore della colonia, Oreste Baratieri dovette tramutare in realtà il progetto di occupazione dell'entroterra etiopico. Nel 1894 aveva fatto occupare la città sudanese di Cassala, allora possedimento derviscio, mentre nel 1895 durante la campagna d'Africa Orientale, occupò ampie zone del Tigrè, comprendenti la città di Axum. A seguito della sconfitta nella battaglia di Adua, i confini della colonia ritornarono ad essere quelli stabiliti dal Trattato e tali rimasero fino alla Guerra d'Etiopia.
Primo governatore non militare fu Ferdinando Martini a quel tempo convinto sostenitore della necessità per lo stato italiano di possedere colonie. A costui toccò il compito di ristabilire contatti pacifici con l'Etiopia, di migliorare i rapporti fra italiani e popolazioni indigene e di creare un corpo di funzionari che portasse avanti l'amministrazione della colonia. Fu grazie alla sua politica che la colonia ebbe degli Ordinamenti Organici e dei codici coloniali.
Uno degli ufficiali più attivi presso il Commissariato di Adua in Eritrea fu il friulano Giovanni Ellero.

Durante il fascismo, la colonia fu oggetto di un ambizioso progetto di modernizzazione, voluto dal Governatore Jacopo Gasparini, che cercò di tramutarla in un importante centro per la commercializzazione dei prodotti e materie prime. Asmara, la capitale dell'Eritrea italiana popolata nel 1939 da 53.000 Italo-eritrei su un totale di 98.000 abitanti, fu luogo di un notevole sviluppo urbanistico/architettonico.

La colonia Eritrea venne inglobata nell'Africa Orientale Italiana nel 1936, diventando uno dei sei governi in cui era diviso il vicereame, i confini della colonia vennero riportati a quelli del 1895 con l'annessione del territorio del Tigrè.
Nella primavera del 1941 la colonia venne occupata, insieme al resto dell'Africa Orientale Italiana, dalle truppe britanniche

Somalia italiana (1890 - 1960)
  
La prima colonia italiana fu stabilita nel sud della Somalia tra il 1889 e il 1890, inizialmente come protettorato. Nel giugno 1925 la sfera di influenza italiana venne estesa fino ai territori dell'Oltregiuba e le Isole Giuba, fino ad allora parte del Kenya inglese e cedute come ricompensa per l'entrata in guerra a fianco degli Alleati durante la prima guerra mondiale.

Negli anni venti e trenta si ebbe l'insediamento di numerosi coloni italiani a Mogadiscio e nelle aree agricole come Villabruzzi, con notevole sviluppo della colonia.

Dopo l'entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale (10 giugno 1940), nell'agosto 1940 le truppe italiane occuparono la Somalia britannica (Somaliland), che fu amministrativamente incorporata nella Somalia italiana[senza fonte]. Nei primi mesi del 1941 le truppe inglesi occuparono tutta la Somalia italiana e riconquistarono anche il Somaliland.

Dopo l'invasione da parte delle truppe alleate nella seconda guerra mondiale la Somalia Italiana fu consegnata all'Italia in amministrazione fiduciaria decennale nel 1950.

Libia (1911 - 1943)
  
Dopo una breve guerra contro l'Impero ottomano nel 1911, l'Italia acquisì il controllo della Tripolitania e della Cirenaica, ottenendo il riconoscimento internazionale a seguito degli accordi del Trattato di Losanna. Le mire italiane sulla Libia vennero appoggiate dalla Francia, che vedeva di buon occhio l'occupazione di quel territorio in funzione anti-britannica. Con il fascismo, alla Libia venne attribuito l'appellativo di quarta sponda negli anni trenta, dopo che negli anni venti vi fu una sanguinosa pacificazione della colonia ad opera di Rodolfo Graziani.

Nel 1934, Tripolitania e Cirenaica vennero riunite per formare la colonia di Libia, nome utilizzato 1.500 anni prima da Diocleziano per indicare quei territori. Il governatore Italo Balbo avviò un piano di colonizzazione che portò decine di migliaia di Italiani in Libia, con un conseguente enorme sviluppo socio-economico della Libia.

L'Italia perse il controllo sulla Libia quando le forze italo-tedesche si ritirarono in Tunisia nel 1943. Dopo la fine della guerra, la Libia venne provvisoriamente amministrata dalla Gran Bretagna e dalla Francia nel Fezzan fino al conseguimento definitivo dell'indipendenza nel 1951.

Abissinia (1936 - 1941)
  
L'Abissinia (l'odierna Etiopia) fu conquistata dalle truppe italiane, comandate dal generale Pietro Badoglio dopo la guerra del 1935-1936. La vittoria fu annunciata il 9 maggio 1936, il Re d'Italia Vittorio Emanuele III assunse il titolo di Imperatore d'Etiopia, Mussolini quello di Fondatore dell'Impero, e a Badoglio fu concesso il titolo di Duca di Addis Abeba.

Con l'annessione dell'Etiopia, i possedimenti italiani in Africa Orientale (Etiopia, Somalia ed Eritrea) furono unificati sotto il nome di Africa Orientale Italiana A.O.I., e posti sotto il governo di un Viceré.

L'Etiopia, insieme all'Eritrea, fu molto interessata dalla emigrazione italiana e dalla costruzione di nuove strade, grandi infrastrutture (ponti, ecc.) e anche dalla sistemazione delle città, specie della capitale Addis Abeba secondo un piano regolatore prestabilito (nuovi quartieri, una nuova ferrovia). La breve presenza italiana, di soli 5 anni, e le difficoltà di pacificazione della zona, non permise la sistemazione totale della città, che sarebbe dovuta essere il fiore all'occhiello del colonialismo italiano. Tuttavia, quale membro della Lega delle Nazioni, l'Italia ricevette la condanna internazionale per l'occupazione dell'Etiopia, che era uno stato membro.

Nei primi mesi del 1941 le truppe inglesi sconfissero gli italiani ed occuparono l'Etiopia, anche se alcuni focolai di resistenza italiana si mantennero attivi a Gondar fino all'autunno del 1941. Inoltre si ebbe anche una guerriglia italiana durata fino al 1943. Gli inglesi reinsediarono il deposto Negus, Haile Selassie, esattamente cinque anni dopo la sua cacciata.

Albania (1939 - 1943)
  
L'Albania era sotto la sfera di influenza italiana dagli anni venti, e l'isola di Saseno davanti Valona era parte integrante del Regno d'Italia dai tempi della "Pace di Parigi" (1919).

Dopo alterne vicende, l'Albania venne occupata militarmente da truppe italiane nel 1939. Alla base di questa decisione, vi fu il tentativo di Mussolini di controbilanciare l'alleanza con la sempre più potente Germania nazista di Hitler, dopo l'occupazione dell'Austria e della Cecoslovacchia. L'invasione dell'Albania, iniziata il 7 aprile 1939 fu completata in cinque giorni. Il re Zog si rifugiò a Londra.

Vittorio Emanuele III ottenne la corona albanese, e venne insediato un governo fascista guidato da Shefquet Verlaci. Le forze dell'esercito albanese vennero incorporate in quello italiano.
Nel 1941 vennero uniti all'Albania il Cossovo, alcune piccole aree del Montenegro ed una parte della Macedonia (territori già iugoslavi).

La resistenza albanese contro l'occupazione italiana iniziò nell'estate 1942 e si fece più violenta e organizzata nel 1943: nell'estate del 1943 le montagne interne erano difatti sotto il controllo diretto della resistenza albanese guidata da Enver Hoxha. Nel settembre 1943, dopo la caduta di Mussolini, il controllo sull'Albania venne assunto dalla Germania nazista.

Il Dodecaneso (1912 - 1943)
   
Tra l'aprile e l'agosto del 1912, durante la fase conclusiva della guerra in Libia contro l'Impero Ottomano, l'Italia decise di occupare dodici isole del Mar Egeo sottoposte al dominio turco: il cosiddetto Dodecaneso. A seguito del Trattato di Losanna, l'Italia poté mantenere l'occupazione militare delle dodici isole fino a quando l'esercito turco non avesse abbandonato completamente l'area libica. Questo processo avvenne lentamente, anche perché alcuni ufficiali ottomani decisero di collaborare con la resistenza libica, per cui l'occupazione dell'area nel mar Egeo venne mantenuta nei fatti fino al 21 agosto 1915, giorno in cui l'Italia, entrata nella prima guerra mondiale assieme le forze dell'Intesa, riprese le ostilità contro l'Impero Ottomano.

Durante la guerra e l'occupazione italiana di Adalia l'isola di Rodi fu sede di un'importante base navale per le forze marine britanniche e francesi.

Dopo la vittoria nella prima guerra mondiale, il Regno d'Italia intendeva consolidare formalmente la propria presenza nell'area dell'Egeo e lungo le coste turche. Tramite un accordo con il governo greco all'interno del Trattato di Sèvres del 1919, si stabilì che Rodi diventasse italiana anche dal punto di vista formale, mentre le altre undici isole sarebbero passate alla Grecia, come la totalità delle altre isole del mar Egeo. In cambio, l'Italia avrebbe ottenuto dallo stato greco il controllo della parte sud-ovest dell'Anatolia (Occupazione italiana di Adalia), che si estendeva da Konya fino ad Alanya e che comprendeva il bacino carbonifero di Adalia. La sconfitta dei greci nella guerra contro la Repubblica di Turchia nel 1922, rese impossibile l'accordo e l'Italia mantenne l'occupazione di fatto delle isole fino a quando, con il Trattato di Losanna del 1923, l'amministrazione dell'arcipelago non le fu riconosciuto internazionalmente.

Negli anni venti e trenta l'amministrazione fascista da un lato portò degli ammodernamenti, come la costruzione di ospedali e acquedotti, ma si distinse anche per il tentativo di italianizzare con diversi provvedimenti le dodici isole, i cui abitanti erano a maggioranza di lingua greca, con la presenza di una minoranza turca ed ebraica.
Nel settembre 1943 dopo l'Armistizio di Cassibile, i soldati del Terzo Reich occuparono le isole. L'8 maggio del 1945 le forze britanniche presero possesso dell'isola di Rodi e tramutarono il Dodecaneso in un protettorato. Con il Trattato di Parigi (1947), gli accordi fra Grecia e Italia stabilirono il possesso formale delle isole da parte dello stato greco, che assunse pieno controllo amministrativo solamente nel 1948.

L'Anatolia (1919 - 1922)
  
Mappa della zona di influenza italiana in Turchia (1919-1922) a seguito del Trattato di Sèvres del 1920
Per quasi quattro anni dopo la fine della Grande Guerra, l'Italia cercó di creare una colonia in Anatolia dove occupò militarmente la fascia costiera tra Smirne ed Adalia.
Infatti a partire dal 1912, dopo l'occupazione del Dodecaneso, l'Italia fece degli studi per una penetrazione sulla costa anatolica più prossima all'arcipelago. La città di Adalia rappresentava il centro di tale interesse, non escludendo anche la pianura del fiume Meandro e la città portuale di Smirne, considerata la porta commerciale dell'intera Turchia asiatica.

L'entrata in guerra al fianco dell'Intesa rappresentò per il governo di Roma un'occasione propizia per imporre le sue mire sull'Anatolia, tuttavia reciproci sospetti e incomprensioni tra gli italiani e gli scomodi alleati anglo-francesi portarono a un nulla di fatto, che si aggravò nel 1919 con la conferenza di Versailles. Infatti, conclusasi la guerra, la Grecia, che aveva gli stessi interessi italiani sulla zona dell'Egeo, oltre a pretendere la cessione del Dodecaneso da Roma, era favorita dalle simpatie di Londra e Parigi per ereditare dall'Impero ottomano tutte quelle colonie elleniche che risiedevano sulla costa anatolica.

L'Italia, non potendo ottenere nulla in sede diplomatica, agì di conseguenza, inviando nella primavera del 1919 una spedizione militare di circa 12.000 uomini con base Rodi e destinata ad occupare i principali centri e porti tra Adalia e Smirne. Quest'ultima città tuttavia nel frattempo fu concessa dal tavolo della pace ad Atene e quindi non fu mai occupata dalle truppe italiane.

Il comando italiano, su indicazioni del governo, mantenne per circa tre anni i suoi presidi, sperando che la situazione internazionale si sbloccasse in favore di Roma, arretrando però gradualmente le posizioni in relazione agli sviluppi diplomatici e all'inaspettata avanzata di Mustafa Kemal.

Le pesanti sconfitte inflitte dai kemalisti agli ellenici e la comprensione dell'escalation di violenza e di poca redditività politico-economica di tutta l'operazione, portò l'Italia a decidere il completo abbandono di un grande sogno nel Mediterraneo orientale. Nell'autunno del 1922 gli ultimi reparti lasciarono la terra ferma, per rientrare a Rodi, concludendo qualsiasi ambizione politica e militare sul territorio ex ottomano.

Tientsin, Cina (1901 - 1947)
  
Nel 1901, come a molte altre potenze straniere, fu garantito all'Italia una concessione commerciale nell'area della città di Tientsin (l'odierna Tianjin) in Cina. La concessione italiana, di 46 ettari, fu una delle minori concessioni concesse dal Celeste impero alle potenze europee. Dopo la fine della prima guerra mondiale la concessione austriaca nella stessa città fu inglobata in quella italiana. I termini di tale concessione vennero ridiscussi, e infine la stessa concessione venne di fatto sospesa, a seguito di un accordo tra la Repubblica Sociale Italiana e il governo filo-giapponese della Repubblica di Nanchino (che inglobò la concessione) nel 1944. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, la guarnigione italiana a Tientsin combatté contro i giapponesi, ma dovette poi arrendersi e pagare con la prigionia in Corea. La concessione di Tientsin, così come i quartieri commerciali italiani a Shanghai, Hankow e Pechino, furono nuovamente concessi alla Cina con il trattato di pace del 1947.