Impero Britannico

 

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L'Impero Britannico fu il più vasto Impero nella storia dell'umanità; nel 1921 dominava su una popolazione di oltre 500 milioni di persone (circa un quarto della popolazione mondiale) e misurava 37.162.548 milioni di km² (esclusi gli 8.055.900 milioni di km² di rivendicazioni antartiche) con una densità media di circa 14 ab./km², anche se più della metà di essi, ovvero circa 300 milioni, erano insediati in India, circa il 27% delle terre abitabili, se si considerano anche i domini antartici esso misurava 45.218.448 milioni di Km², il 30% della superficie complessiva della Terra. Si estendeva su tutti e cinque i Continenti, dal Canada alla Guyana, dall'Egitto al Sud Africa, dall'India all'Australia; controllava territori ricchissimi di materie prime, e ciò permise al Regno Unito di diventare la più grande potenza economico-militare del pianeta per quasi cento anni.

Descrizione
L'Impero Britannico nel 1921 quando, sotto re Giorgio V del Regno Unito, raggiunse la sua massima espansione.

L'Impero Britannico si formò in 300 anni, attraverso una serie di fasi di espansione tramite il commercio, la colonizzazione o la conquista, alternate con fasi di diplomazia pacifica e commercio o da contrazione dell'Impero. I suoi territori si trovavano in ogni continente e in ogni Oceano, e fu spesso accostato all'Impero Spagnolo, sul quale "non tramontava mai il sole". Benché la sua superficie massima fu raggiunta nel 1918 e mantenuta tale fino al 1932 (anno in cui fu concessa l'indipendenza all'Iraq), il suo culmine come potenza economico-politica fu tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX. Esso andò gradualmente ad essere smantellato dopo la seconda metà degli anni cinquanta; il primo duro colpo per la potenza imperiale britannica, però, fu nel 1947, con la concessione dell'indipendenza all'India; nonostante ciò, nel 1955 l'Impero Britannico era ancora vastissimo e misurava 29.804.182 milioni di km². Gli anni sessanta in particolare videro una forte accelerazione del processo di dissoluzione dell'Impero, già nel 1963 la superficie dell'Impero era scesa a soli 4.711.160 milioni di Km² (esclusi quindi i Domini di Canada, Australia e Nuova Zelanda), la denominazione di Impero Britannico comunque, entrata ormai nel gergo comune fu largamente utilizzata su mappe ed enciclopedie fino agli anni 1965/1966 (i più conservatori fino agli anni settanta), quando ormai solo pochi territori rimanevano soggetti al Regno Unito; convenzionalmente, però, la fine "ufficiale" dell'Impero Britannico avvenne il 1º luglio 1997, giorno in cui Hong Kong, l'ultimo grande possedimento britannico in Asia, fu restituito alla Cina — in senso politico, tuttavia, il dissolvimento dell'Impero Britannico era già avvenuto da diverso tempo. Diversamente da molti altri Imperi della Storia, l'Impero britannico non crollò in un momento preciso (come successe invece per l'Impero Romano, l'Impero Germanico, quello austriaco, quello russo o quello ottomano), bensì ebbe un crollo diluito nel tempo; la seconda guerra mondiale contribuì in maniera decisiva all'inizio della crisi imperiale inglese. Gli storici appongono l'inizio della fine dell'Impero britannico nel 1947 (come detto, con l'indipendenza dell'India) ed il suo termine nel 1997, con la restituzione di Hong Kong alla Cina. L'Impero si formò dunque in 300 anni circa e si dissolse in 50 anni. La seconda guerra mondiale fu quindi la causa principale della fine dell'Impero Britannico: lo sforzo umano ed economico richiesto — o meglio, imposto — dal Regno Unito alle sue colonie fu elevatissimo; inoltre i valori che il Regno Unito, entrando in guerra, voleva salvaguardare — ovvero libertà ed uguaglianza —, molto spesso non venivano garantiti alle popolazioni locali delle stesse colonie inglesi. Nacque quindi un sentimento autonomista ed indipendentista, che sfociò talvolta in vere e proprie guerre d'indipendenza e guerre civili.

L'Impero facilitò la diffusione della tecnologia, del commercio, della lingua e del sistema di governo britannici in tutto il mondo. L'egemonia imperiale contribuì alla crescita economica straordinaria della Gran Bretagna e le diede il ruolo di prima potenza mondiale fino alla fine della prima guerra mondiale dove l'Europa ne uscì distrutta, e gli Stati Uniti d'America e il Giappone ne uscirono rafforzati, potendo vantare la supremazia mondiale.

La politica coloniale britannica fu sempre guidata da interessi strategici, politici e commerciali. Mentre le economie dei colonizzatori avevano mezzi culturali e infrastrutture per sostenere uno sviluppo bilanciato, i territori tropicali Africani si ritrovarono declassati a meri fornitori di materie prime. Le politiche britanniche basate sul vantaggio comparato lasciavano spesso le colonie dipendenti da una singola coltura da esportazione. La tendenza alla manipolazione delle identità etniche e razziali, per dividere e dominare la popolazione, lasciò una tragica eredità di guerre dopo la decolonizzazione in Irlanda, India, Zimbabwe, Sudan, Uganda, Iraq, Guyana e Figi. Il colonnello Frank Kitson, nel suo libro Bande e controbande (1960), descrive come le autorità britanniche manipolarono la rivolta Mau Mau fino a farla diventare una guerra tra fazioni rivali; alla fine solo 28 bianchi furono uccisi, opposti a 18000 - 30000 nativi.

Il merito di aver per primo usato le parole "Impero Britannico" è di solito attribuito a John Dee, astrologo, alchimista e matematico di Elisabetta I.

Il retroterra: colonialismo inglese

Dopo la conquista dell'Inghilterra da parte dei Normanni nel 1066, l'Inghilterra sostenne inizialmente i possedimenti francesi di Guglielmo il Conquistatore. La sua politica di coinvolgimento attivo negli affari continentali europei sarebbe durata parecchie centinaia di anni. Entro la fine del XIV secolo il commercio estero, basato inizialmente sulla lana esportata in Europa, era uno dei fondamenti della politica nazionale.

Questi secoli videro l'inizio dell'espansione politica inglese, con la conquista del Galles (1282) e dell'Irlanda (1169). Un breve trionfo in Scozia nel 1296 fu annullato dalla battaglia di Bannockburn, nel 1314. Le due corone si sarebbero poi unite attraverso un'unione personale nel 1603. Nonostante la perdita della Normandia nel 1204, attraverso matrimoni e eredità dinastica, l'Inghilterra guadagnò ampi territori nella parte ovest della Francia, che perse nel 1453. L'Inghilterra mantenne solo il porto strategico di Calais, perso anch'esso nel 1563.

Espansione delle colonie d'oltremare

La fondazione di colonie d'oltremare (intesa come l'esplorazione oceanica e la colonizzazione fuori dall'Europa e dalle isole britanniche) ebbe origine nelle politiche marittime pionieristiche di Enrico VII, che regnò dal 1485 al 1509. Basandosi sulle connessioni commerciali nel campo della lana stabilite durante il regno del suo predecessore Riccardo III, Enrico stabilì il moderno sistema marittimo mercantile inglese, che incrementò ulteriormente la costruzione di navi ed espanse il loro raggio d'azione. La marina mercantile fornì la base per istituzioni marine che avrebbero giocato un ruolo cruciale nei secoli successivi nel controllo o l'acquisizione di territori imperiali britannici. Esempi ne furono la Massachusetts Bay Company e la British East India Company. Enrico ordinò anche la costruzione del primo porto asciutto e migliorò la piccola Royal Navy.

Enrico VIII e la crescita della Royal Navy

Le basi del potere marittimo britannico, poste durante il regno di Enrico VII, furono ulteriormente ampliate per proteggere il commercio britannico e per proteggere le linee mercantili. Il re Enrico VIII fondò la marina inglese moderna, triplicando il numero di navi da guerra e costruendo il primo grande vascello con cannoni pesanti e a lungo raggio. Iniziò la centralizzazione dell'apparato amministrativo; costruì nuovi porti e un sistema di fari che facilitò enormemente la navigazione costiera. Fu la Royal Navy di Enrico VIII che sconfisse l'Invincibile Armada nel 1588, e le sue innovazioni gettarono le basi per la Imperial Navy dei secoli successivi.

L'era elisabettiana

Durante il regno di Elisabetta I, Sir Francis Drake circumnavigò il globo tra il 1577 e il 1580, il secondo a raggiungere questo obiettivo dopo la spedizione di Magellano. Nel 1579 raggiunse il nord della California, che ribattezzò Nova Albion; tuttavia a questa scoperta non seguì una colonizzazione. Di qui in poi gli interessi extraeuropei crebbero stabilmente. Sir Walter Raleigh organizzò la prima colonia in Virginia nel 1584, a Roanoke, che ebbe breve vita. La colonia di Roanoke fu abbandonata per la mancanza di cibo, il clima impietoso e l'ostilità indigena.

L'era Stuart

La sconfitta dell'Invincibile Armada nel 1588 affermò decisamente l'Inghilterra come potenza navale, sebbene le successive sconfitte navali subite dalla Spagna negli anni novanta del XVI secolo fermarono i tentativi di colonizzazione del periodo.

Nel 1604, Giacomo I pose fine alle ostilità con la Spagna con il Trattato di Londra; a questo seguì il primo insediamento stabile a Jamestown, in Virginia.

Nei tre secoli successivi l'Inghilterra estese la sua influenza oltremare e consolidò il suo sviluppo politico in patria.

Nel 1707 i parlamenti di Inghilterra e Scozia furono uniti, a Londra, nel parlamento della Gran Bretagna.
La colonizzazione delle Americhe

Il primo impero britannico prese forma nel primo XVII secolo, con la fondazione delle 13 colonie in Nord America — che sarebbero in seguito diventate gli Stati Uniti — e delle province atlantiche del Canada, e con la colonizzazione di isole più piccole nei Caraibi come Giamaica e Barbados.

Le colonie produttrici di zucchero dei Caraibi, dove la base dell'economia divenne schiavistica, furono agli inizi le colonie più importanti e lucrative. Le colonie americane avevano meno successo commerciale, producendo tabacco, cotone e riso nel sud e materiale navale e pellicce nel nord. Avevano in compenso ampie aree di terra coltivabile e attrassero un maggior numero di colonizzatori inglesi.

L'Impero in America fu lentamente ampliato con guerra e colonizzazione. L'Inghilterra prese possesso di Nuova Amsterdam (in seguito New York) nelle guerre anglo-olandesi. Le colonie americane in crescita si espansero ad ovest in cerca di nuove terre coltivabili. Durante la guerra dei sette anni i francesi furono sconfitti nelle Pianure di Abraham e persero tutta la Nuova Francia nel 1760, dando alla Gran Bretagna il potere sulla maggior parte dell'America del Nord.

In seguito, con la colonizzazione dell'Australia (colonia penale inglese dal 1788) e della Nuova Zelanda (1840), si creò un'ampia zona di migrazione britannica: quest'ultima causò enormi sofferenze alle popolazioni indigene in quanto foriera di guerre e malattie, che ridussero la popolazione locale del 60 - 70% in un secolo. Le colonie ottennero in seguito l'autogoverno, e divennero esportatori di lana e oro.

Libero commercio e "impero informale"

Il vecchio sistema coloniale inglese cominciò a declinare nel XVIII secolo. Durante il lungo periodo di egemonia conservatrice nella politica interna inglese (1714-1762), l'Impero diventò sempre meno importante e rispettato, fino a che un tentativo fallito di cambiarne le sorti (attraverso tasse, monopoli e maggiore controllo) provocò la guerra d'indipendenza americana (1775-1783), privando l'Inghilterra delle sue colonie più popolose.

Ci si riferisce al periodo come alla fine del "primo impero britannico", per indicare lo spostamento dell'espansione britannica dalle Americhe all'Asia e, nel XVIII secolo, all'Africa ("secondo impero britannico"). La perdita degli Stati Uniti mostrò che le colonie non erano particolarmente benefiche in termini economici, in quanto la Gran Bretagna poteva controllare il commercio con le ex colonie senza pagare per la loro difesa e amministrazione.

Il mercantilismo che aveva caratterizzato il primo periodo coloniale lasciò il posto, in Gran Bretagna e altrove, al liberismo di Adam Smith e Richard Cobden.

La lezione delle colonie americane (il commercio poteva continuare a portare prosperità anche senza il controllo coloniale) contribuì (tra gli anni cinquanta e i sessanta dell'Ottocento) all'estensione dello status di "colonia autogovernantesi" alle colonie in Canada e Australia, considerando i loro abitanti come pionieri della madrepatria. L'Irlanda venne trattata diversamente: nel 1801 fu incorporata nel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda.

In questo periodo la Gran Bretagna mise fuori legge il commercio degli schiavi (1807) e cominciò a imporre questo principio ad altre nazioni. Per la metà del XIX secolo la schiavitù era sradicata dal mondo occidentale, sebbene continuasse attraverso canali orientali. Il lavoro forzato rimase comunque nelle colonie britanniche fino a circa il 1920. Con la scusa di "bloccare la schiavitù" la Gran Bretagna avrebbe esteso il proprio potere in Africa.

La fine del commercio degli schiavi e del vecchio sistema coloniale portarono all'affermazione del libero commercio. Alcuni sostengono che questa nascita riflettesse semplicemente la posizione economica britannica e non fosse collegata a veri cambiamenti ideologici. In effetti la Gran Bretagna è sempre stata più diligente nell'imporre la propria politica su altri che nel praticarla essa stessa. Nonostante la perdita delle 13 colonie, la sconfitta di Napoleone nel 1815 rese la Gran Bretagna la prima potenza mondiale. Mentre la Rivoluzione industriale le dava la predominanza economica la Royal Navy dominava i mari. L'attenzione prestata dai rivali alle questioni europee permise alla Gran Bretagna di completare la fase di espansione dell'"impero informale", caratterizzato da libero commercio e predominanza strategica.

Tra il Congresso di Vienna del 1815 e la guerra franco-prussiana del 1870, la Gran Bretagna divenne la prima potenza industriale, con il controllo su oltre il 30% della produzione industriale nel 1870. Come "officina del mondo" la Gran Bretagna poté, grazie alle stabile condizione politica dei mercati d'oltremare, prosperare attraverso il libero commercio senza ricorrere al controllo diretto.

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L'Impero britannico dopo il 1870, ritrovatosi in una Europa dall'assetto geopolitico profondamente cambiato, viveva le spinte del nascente movimento sindacale, i problemi di un'economia che mostrava i segni del rallentamento, le contraddizioni della questione irlandese, oltre i problemi che la politica coloniale poneva.

Nel 1874 Benjamin Disraeli, capo dei conservatori inglesi, assunse il potere in seguito alla vittoria conseguita nell'elezione di quell'anno.

Disraeli attuò importanti leggi sociali a favore della condizione operaia e portò la Gran Bretagna su posizioni di forza nelle relazioni internazionali. La crisi irlandese, relativa alla richiesta d'autonomia, creò, tuttavia, le condizioni per il ritorno al potere nel 1883 di William Ewart Gladstone.

Gli irlandesi avevano un capo assai abile in Charles Stewart Parnell, che voleva far mettere all'ordine del giorno la questione irlandese ed imporre l'autonomia dell'Irlanda, ma di fronte alle resistenze britanniche la situazione s'inasprì sempre di più.

Il tentativo compiuto da Gladstone nel 1893 di accordare all'Irlanda l'autogoverno fallì, tale sconfitta portò alle sue dimissioni.

I propositi di Disraeli vennero accantonati; l'aristocrazia conservatrice accentuò la sua integrazione con gli ambienti della grande finanza e dell'industria e si attenne alla più stretta difesa degli interessi delle classi privilegiate. Alle masse popolari si chiese una forte solidarietà nazionale per il proseguimento della politica imperialista.

L'economia britannica si avviava verso un periodo di crescenti difficoltà: cresceva costantemente la popolazione e bisognava, perciò, trovare una via d'uscita alle tensioni sociali ed ai problemi economici.

Il coronamento del piano era la formazione di un'unione doganale interna all'Impero, tutelata da un protezionismo atto a difendere l'industria britannica dalla concorrenza estera, ma la classe dirigente non si convertì a questa linea protezionistica che appariva pericolosa.

Il movimento operaio britannico

La disoccupazione di massa, che si fece sentire in modo particolarmente acuto dopo il 1879, peggiorò enormemente la condizione di larghi strati popolari.

Anche gli operai meno qualificati si organizzarono sindacalmente, determinando la nascita delle nuove Trade Unions molto più aggressive. L'inizio degli anni '80 vide così risorgere in Gran Bretagna correnti che si richiamavano direttamente al socialismo.

Il movimento operaio inglese si mantenne però estraneo alle influenze del marxismo, ma rivendicò l'esigenza che i lavoratori costituissero un partito del lavoro indipendente per far valere il proprio peso in Parlamento direttamente con propri deputati. Il partito fu fondato nel 1893.

La politica coloniale britannica

Il trentennio di fine secolo vide una possente spinta imperialista della Gran Bretagna, che portò a pericolose tensioni con la Francia, l'Impero russo e la Germania.

La perla dell'Impero britannico rimase l'India, di cui nel 1876 la regina Vittoria venne proclamata Imperatrice.

Garantire i confini dell'India e le vie di comunicazione verso di essa era una necessità vitale per la Gran Bretagna. L'apertura del canale di Suez nel 1869 abbreviava enormemente la via per l'India e il governo britannico si accinse ad assumerne il controllo nel 1882.

A seguito di alcune rivolte e per l'importanza strategica dei territori Egitto (1882) e Sudan (1899) divennero dei possedimenti britannici. Dopo il 1870 anche l'Africa del Sud era stata oggetto di una sistematica azione coloniale ad opera di esploratori privati quali Cecil Rhodes che scoprì e occupò le zone poi denominate in suo onore Rhodesie (attuali Zambia e Zimbabwe) o di compagnie private quali la British Imperial Est Africa Company (B.I.E.A.C.) che occupò gli attuali Kenya e Uganda o la British Niger Company che occupò la Nigeria.