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di Elisa Signori
Nacque a Milano il 27 nov. 1853 dal nobile Carlo e da Maria Padulli.
Avviato sin dalla giovinezza agli studi giuridici ed economici,
trasse dall'illustre tradizione familiare e dalle carte
setteottocentesche dell'archivio domestico, di cui fu attento
studioso, stimolo per ricerche di storia finanziaria e politica, ma
soprattutto per un impegno di operoso civismo, che lo portò a
distinguersi come uno fra gli esponenti rappresentativi del
liberalismo moderato lombardo.
Presidente di orfanotrofi e membro dei consigli d'amministrazione di
Opere pie e istituti ospedalieri, presidente dell'Opera Bonomelli
per la protezione degli italiani emigrati all'estero, fu consigliere
comunale di Milano per quasi trent'anni nelle giunte Belinzaghi,
Negri, Vigoni, Ponti, dando prova di competenza amministrativa e
finanziaria e conquistando una riconosciuta autorevolezza. Nella
seconda metà degli anni Ottanta seguì le vicende della
progettazione del piano regolatore di Milano, ove crescita
demografica e sostenuto sviluppo economico-produttivo imponevano
scelte fondanti per un generale riassetto edilizio e urbanistico.
L'unificazione, anche tributaria ed elettorale, della città e
dei suoi "corpi santi", la demolizione della cinta dei bastioni e il
conseguente varo di grandi iniziative di costruzione viaria, la
sistemazione della piazza d'armi e la progettazione di un quartiere
residenziale nell'area compresa tra il foro Bonaparte e l'arco del
Sempione, gli interventi di edilizia scolastica, ospedaliera,
cimiteriale, le opere idrauliche e di decoro monumentale - come in
piazza Cinque giornate - erano gli ambiti cruciali dell'impegno
amministrativo nella modernizzazione strutturale della città:
il G. ne offrì un'accurata disamina nel 1890, affrontando il
problema chiave del rapporto tra finanze comunali, entità
dell'indebitamento e urgenze di spesa (Le opere e le spese edilizie
del Comune di Milano nell'ultimo quinquennio, Milano 1890).
La competenza del G. in materia di pubblica amministrazione e in
particolare in tema di rapporti finanziari Comune-Stato trovò
un congeniale contesto anche nell'attività dell'Associazione
nazionale dei Comuni italiani (ANCI), la cui costituzione, nel 1901,
diede vita a un'originale esperienza di approfondimento della
cultura amministrativa italiana.
L'Associazione divenne luogo di confronto delle istanze del
municipalismo, ma anche strumento di autodifesa dei Comuni dalle
ingerenze delle autorità governative e il G., pur
politicamente distante dalle posizioni del sindaco radicale di
Milano G. Mussi che l'aveva promossa, s'impegnò in questa
stessa linea divenendo per alcuni anni presidente dell'ANCI e
promuovendo la riforma dei tributi locali (Per le finanze comunali.
L'opera dell'associazione dei Comuni. Le direttive e gli aspetti
pratici della riforma dei tributi locali, ibid. 1913).
Membro della giunta liberale capeggiata da E. Ponti, al governo
della città dal 7 febbr. 1905 all'11 maggio 1909, ne
condivise l'impostazione riformatrice di largo respiro e l'approccio
pragmatico più adeguato ai bisogni di un grande comune
moderno e industriale. Nel luglio 1906, tuttavia, le sue dimissioni
dall'incarico di assessore alle Finanze, motivate ufficialmente da
condizioni di salute, furono il primo sintomo del manifestarsi di
divergenze interne allo schieramento liberale.
Di fatto, la gestione Ponti, connotata da un'audace politica di
spesa, dinamicamente proiettata verso investimenti produttivi
ingenti e volta allo sviluppo di servizi pubblici meno costosi e
più efficienti, finì per suscitare critiche via via
più aspre, specie in merito al progetto di sostituire
all'imposta sul valore locativo una tassa di famiglia "di
ragionevole progressività".
Proprio nella discussione su questo punto il G. rese esplicito il
suo dissenso, astenendosi poi nella votazione relativa.
Benché ancora sostenuta dal voto della maggioranza, la giunta
entrò pertanto in crisi per la strisciante opposizione
dell'ala liberale più conservatrice e, alle dimissioni di
Ponti, fece seguito un breve esperimento, pilotato dall'assessore
anziano B. Gabba (11 maggio 1909 - 21 giugno 1910). Il G. fu deciso
avversario anche della gestione Gabba, di cui criticò
apertamente il bilancio preventivo, connotato, a suo parere, da
un'eccessiva esposizione debitoria, e il programma complessivamente
giudicato generico. Non è un caso che, dopo la crisi apertasi
a palazzo Marino nel 1910, il G. diventasse il leader del gruppo
costituzionale milanese, appoggiato apertamente dal Corriere della
sera come la persona più adatta per realizzare una nuova
politica, che fosse "di raccoglimento" ma "non di inerzia" (Corriere
della sera, 18 genn. 1911). Alle elezioni comunali del 22 genn. 1911
la lista costituzionale risultò vittoriosa e in Consiglio il
G. fu designato quale sindaco. Deputato del secondo collegio di
Milano (eletto una prima volta nel 1897 e poi confermato nelle
legislature XXII e XXIII), il G. non poté accettare subito la
carica, incompatibile con il seggio parlamentare, e presiedette la
nuova giunta come assessore anziano facente funzione di sindaco sino
al 18 sett. 1911, quando furono formalizzate le sue dimissioni alla
Camera.
Espressioni non convenzionali di stima e apprezzamento da parte dei
presidenti del Consiglio e della Camera, L. Luzzatti e G. Marcora,
commentarono la conclusione di un'attività parlamentare
incisiva, che aveva visto il G. intervenire su temi per lo
più attinenti alla sua esperienza di amministratore, talvolta
facendosi interprete di istanze sostenute dalla già citata
ANCI, che svolse un ruolo importante di stimolo all'attività
legislatrice. In tal senso il G. intervenne nel 1909 a proposito del
progetto giolittiano di revisione della legge comunale e
provinciale, auspicando che, più che con parziali ma
inefficaci ritocchi, si procedesse a una riforma organica. Come
agenda di tale rielaborazione legislativa egli suggeriva alcuni
aspetti: la definizione dei poteri del sindaco, le attribuzioni del
commissario prefettizio, la natura dei reciproci rapporti tra
sindaco e giunta e, in generale, un riassetto delle finanze comunali
e della relativa gestione; erano tutti, secondo il G., altrettanti
nodi da sciogliere per rispondere alla domanda di semplificazione e
di efficienza che veniva dai poteri locali (Atti parlamentari, 27
maggio 1909, pp. 1444-1451). Tra gli altri interventi del G. alla
Camera spiccano la relazione a proposito dell'insegnamento
dell'educazione fisica nelle scuole comunali (ibid., tornate 18 e 20
nov. 1909), l'attenzione alla prassi delle municipalizzazioni, alla
disciplina del lavoro notturno, nonché l'opposizione alla
legge Credaro sui provvedimenti per la scuola elementare, in
particolare relativamente ai libri di testo.
Divenuto sindaco a tutti gli effetti del capoluogo lombardo, il G.
impostò quella che definì una politica "invernale",
ossia prioritariamente finalizzata al contenimento del deficit di
bilancio, in costante aumento da anni e tale da incrinare la
solidità delle finanze comunali.
La soluzione non poteva trovarsi nell'ambito della sola Milano,
costretta come altri grandi Comuni italiani a far fronte a ingenti
spese senza che fosse intervenuto un più equo riparto delle
entrate tra l'esazione fiscale statale e quella comunale. Né
poteva l'amministrazione presieduta dal G. sospendere in itinere
iniziative di spesa già avviate o ridimensionare bruscamente
servizi da tempo attivati: unica via praticabile restava una
politica di caute economie, coniugata con modesti aumenti fiscali
(nelle aliquote del dazio consumo su alcuni generi non di
necessità e nella sovraimposta sulle aree fabbricabili) e con
la razionalizzazione del servizio di accertamento delle tasse,
specie di quella di famiglia istituita in precedenza, il cui gettito
era passibile di espansione. I risultati si colsero nel 1912 e 1913
con una riduzione del disavanzo che la crisi del periodo bellico,
tuttavia, di lì a poco nuovamente dilatò.
Tra gli aspetti qualificanti della gestione del G. vanno in
particolare segnalati: la riorganizzazione del settore
dell'assistenza e beneficenza comunale, l'aumentato controllo
nell'esercizio dell'Azienda elettrica municipale, l'avvio dello
studio per la costruzione della metropolitana, il progetto del porto
fluviale e del canale navigabile volti a collegare Milano a Venezia,
la vertenza avviata nei rapporti Comune-Stato circa
l'inapplicabilità, sostenuta da Milano, dell'imposta di
ricchezza mobile ai redditi industriali del Comune, il varo del
piano per la costruzione della Città degli studi, in vista
dell'auspicata creazione del nuovo ateneo ambrosiano (cfr. I.
Superti-Furga, L'attività del Consiglio comunale e della
giunta municipale di Milano dal 1910 al 1922, in Il Comune di
Milano. Storia amministrativa delle province lombarde, Milano 1970,
pp. 199-229). Era quest'ultimo un progetto ambizioso, sorretto da
un'onerosa convenzione finanziaria approvata in Consiglio nel maggio
1913, che impegnava Stato, Comune ed enti locali a contribuire per
una spesa complessiva di 15 milioni. Malgrado l'opposizione dei
socialisti e la critica dell'ex sindaco B. Gabba, il progetto venne
approvato (Milano, Archivio comunale, 1912-13, I, Atti del Consiglio
comunale, sedute 16 e 19 maggio 1913, pp. 795-832; II, Allegati,
Proposta di convenzione per l'istituzione di un consorzio per
l'assetto generale degli istituti superiori di istruzione a Milano).
In seguito alle elezioni politiche del 26 ott. 1913, prime in Italia
a suffragio universale maschile, il ridimensionamento dei consensi
espressi al partito liberale pose il problema della
rappresentatività della giunta milanese in carica e
determinò le dimissioni della maggioranza; queste, di fatto,
non erano state invocate dalla minoranza la quale, durante la
gestione del G., politicamente conciliativa, aveva collaborato in un
clima di correttezza e di fiducia. Tuttavia, nonostante l'importanza
delle questioni rimaste aperte e in sospeso - come la convenzione
con la società Edison e con l'Unione del gas, la tariffazione
dell'energia elettrica, il riassetto del servizio tramviario, il
nuovo regolamento per gli impiegati comunali - la giunta ritenne
mancassero le condizioni per rimanere in carica e, soprattutto, per
presentare un bilancio preventivo con impegni di spesa proiettati
anche nel futuro. È significativo, tuttavia, che, dopo le
elezioni amministrative del giugno 1914, all'atto dell'insediamento
in Consiglio della nuova giunta socialista il 30 di quel mese, il
sindaco E. Caldara rivolgesse agli avversari parole di stima e di
apprezzamento.
Seguendo l'esempio del proprio predecessore Ponti, anche il G.
pubblicò nella Nuova Antologia un appassionato quadro del
proprio operato come sindaco, rilevando una sostanziale
continuità d'impostazione nell'amministrazione cittadina del
primo cinquantennio postunitario e additando nell'irrisolta
problematica delle finanze comunali un campo aperto
all'improrogabile iniziativa legislativa sia a proposito del dazio
consumo, sia in tema di tassa di famiglia e imposta sui fabbricati
(I problemi municipali di Milano, 1° maggio 1914, pp. 48-63).
La crisi bellica aprì di lì a poco un nuovo ambito di
impegno per il G., nominato senatore il 16 ott. 1913 nella sua
qualità di deputato per tre legislature.
Durante la Grande Guerra il G. presiedette la commissione esecutiva
del Comitato per la raccolta dei fondi pro assistenza civile, dando
poi conto dei risultati della sottoscrizione, promossa in
collaborazione con i senatori Ponti e L. Mangiagalli e con le
testate del Corriere della sera e de Il Secolo, e finalizzata alla
fondazione di un ospizio a Gorla per la rieducazione professionale
dei mutilati e all'erogazione di finanziamenti agli ospedali e alle
famiglie dei richiamati (cfr. Il Comitato lombardo per la raccolta
dei fondi, in Assistenza civile, I [1919], 1, pp. 29 s.).
Proprio a partire da questo impegno assistenziale e patriottico va
forse inteso il successivo favore del G. per le iniziative del
fascismo milanese, da lui fiancheggiato sin dal suo sorgere.
Già nel giugno 1919 la contiguità e solidarietà
tra il Fascio delle associazioni patriottiche milanesi, di cui il G.
era personalità rappresentativa, e i Fasci di combattimento
di B. Mussolini erano segnalate nel rapporto dell'ispettore generale
di Pubblica Sicurezza G. Gasti (in R. Vivarelli, Storia delle
origini del fascismo, I, Bologna 1991, p. 626). Tale interesse si
trasformò in esplicita adesione all'epoca della crisi
Matteotti (E. Savino, La nazione operante, Milano 1928, p. 126).
Socio e poi presidente della Società storica lombarda, il G.
si era dedicato fin dalla giovinezza agli studi storici, con un
particolare riguardo alla storia finanziaria - per esempio nel
lavoro dedicato a Il Banco di S. Ambrogio, in Archivio storico
lombardo, X (1883), pp. 514-548 - e con una spiccata attenzione al
Settecento lombardo. L'impresa di maggior lena, comunque, fu
senz'altro l'edizione del Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, un
progetto accarezzato per decenni, anticipato dalla pubblicazione di
alcune lettere tratte dall'archivio familiare, e infine approdato -
sotto gli auspici della Società storica lombarda e grazie
alla disponibilità dell'archivio Sormani-Andreani - a
realizzazione graduale per l'impegno congiunto del G., di F. Novati
e di A. Giulini. Il primo tomo apparve a stampa nel 1923 (Milano),
con ampia prefazione del G., e l'opera era giunta all'ottavo al
momento della sua morte.
Il G. morì a Milano il 9 febbr. 1931.