Castellini Gualtiero
www.treccani.it
Giornalista e uomo politico italiano (Milano 1890 - Saint-Imoges,
Francia, 1918); nipote di Nicostrato, aderì al partito
nazionalista fin dalla fondazione; seguì come corrispondente
di giornali la guerra libica e quelle balcaniche e nel 1914 fu
acceso interventista. Morì sul fronte francese per malattia.
Scrisse Pagine garibaldine (1909), Tunisi e Tripoli (1911); Tre anni
di guerra, diario (post., 1919).
***
DBI
di Riccardo Merolla
Di famiglia di origine trentina, nacque a Milano il 13 genn. 1890 da
Orsini ed Emma Sighele.
Il nonno paterno, Nicostrato, nato a Rezzate (Brescia) il 17 ott.
1829, era maggiore garibaldino quando cadde in combattimento a Vezza
d’Oglio il 4 luglio 1866: volontario nel ’48, aveva poi partecipato
alla difesa di Venezia nel ’49; nel 1860, raggiunto Garibaldi con la
spedizione Medici, s’era distinto nelle battaglie di Milazzo,
Caiazzo e del Volturno; aveva seguito Garibaldi nel ’62 (ma era in
missione il giorno di Aspromonte). A Milano, dove si era stabilito
nel ’53, ebbe parti di rilievo in numerosi organismi garibaldini, e
fu promotore e dirigente della società di Tiro a segno;
collaborò con L. Luzzatti nella promozione e creazione di
istituti cooperativi.
Di un interesse non puramente documentario risultano pertanto alcuni
dati biografici essenziali del C.: non è del tutto casuale,
infatti, che una delle prime opere, Pagine garibaldine, tenti una
ricostruzione di quell’arco di tempo tenendo direttamente presenti
le memorie del nonno paterno Nicostrato. In realtà doveva
trattarsi di un episodio tutt’altro che marginale ed isolato, e non
solamente in quanto la sua produzione annovera anche altre pagine
“garibaldine”, ma soprattutto perché la sua particolare
biografia contribuì in qualche misura a configurare quella
presunta filiazione risorgimentale del nazionalismo italiano, che fu
centrale nelle formulazioni teoriche come nelle posizioni politiche
del Castellini.
Significativa da questo punto di vista è una sua più
tarda biografia di Francesco Crispi, cui si deve, almeno in parte,
la ripresa di quel mito crispino che fu proprio di certi settori
dell’opinione pubblica e degli schieramenti ideologici italiani.
Nell’ex garibaldino il C. poté indicare, fra l’altro, uno dei
precursori delle sue ferme convinzioni colonialiste e imperialiste,
le quali erano venute maturando dall’opera giovanile Nell’Africa
romana, frutto delle impressioni di un suo breve viaggio scolastico
nel Nordafrica, fino alle posizioni più compiute e articolate
delle sue corrispondenze giornalistiche dell’inizio dei 1911 (ora in
Tunisi e Tripoli) e di quelle inviate direttamente dal fronte libico
alla Gazzetta di Venezia (ora in Nelle trincee di Tripoli).
Lo zio materno era il sociologo bresciano Scipio Sighele, seguace
della scuola positiva di diritto penale del Lombroso, tenace
irredentista, onde fu processato ed espulso dalle autorità
austriache, e infine uno tra i più noti teorici e fondatori
del nazionalismo italiano.
L’irredentismo e l’antitriplicismo furono anche gli elementi
costitutivi di maggior rilievo e i motivi più costanti della
formazione dello stesso C. ed indubbiamente caratterizzarono,
insieme ad una particolare posizione sulla questione adriatica,
anche la sua adesione al nazionalismo (per tutti questi aspetti
cfr., fra l’altro, le corrispondenze di guerra del 1911 dal fronte
balcanico per L’Illustrazione italiana, ora in I popoli balcanici
nell’anno della guerra, e Trento e Trieste, l’irredentismo e il
problema adriatico).
Dopo aver collaborato a Il Carroccio di Roma e a La Grande Italia di
Milano, che nel 1910 doveva diventare l’organo ufficiale
dell’Associazione Trento e Trieste, il C. fu poi fra i collaboratori
principali del più importante foglio nazionalista, L’Idea
nazionale, il cui primo numero uscì il 1° marzo 1911,
quindicesimo anniversario della disfatta di Adua, e che nell’ottobre
1914 doveva trasformarsi da settimanale in quotidiano. Aderì
quindi all’Associazione nazionalista italiana fin dalla sua
costituzione con il congresso di Firenze del 1910, dei cui atti egli
stesso curò la pubblicazione, e, nonostante alcune sue
divergenze dall’ala che faceva capo a Corradini, riuscì
sempre a mantenere posizioni di un certo rilievo nell’ambito
dell’Associazione, venendo riconfermato come membro del Comitato
centrale anche dai successivi congressi di Roma (1912) e di Milano
(1914).
Del resto il C. doveva consegnare il complesso delle sue posizioni
ideologiche e politiche a un volumetto, Fasi e dottrine del
nazionalismo italiano, che veniva ad essere contemporaneamente un
interessante consuntivo degli sviluppi e delle trasformazioni del
movimento.
Egli vi sosteneva la tesi che il nazionalismo italiano, quale si era
venuto configurando agli inizi del secolo nell’esperienza del Regno
di Corradini, aveva avuto un carattere prevalentemente teorico e
intellettuale, sostanzialmente ridotto ad ambiti assai limitati. La
reazione nazionalista aveva invece cominciato a conseguire i suoi
primi risultati concreti, a giudizio del C., solo a partire
dall’annessione austriaca della Bosnia-Erzegovina nel 1905 e
dall’incontro con l’irredentismo di Sighele, che aveva contribuito
non poco a trasferire le precedenti teorizzazioni nel campo
operativo e a trasformare, quindi, il nazionalismo italiano in
concreta azione politica. Per cui il C., pur ammettendo che la
soluzione triplicista poteva essere stata tatticamente proficua ai
fini degli interessi italiani nel Mediterraneo, finiva col
concludere tuttavia, magari all’intemo di una posizione molto
articolata, che al congresso di Firenze le indicazioni nazionaliste
in materia di politica estera erano risultate sostanzialmente
irredentiste e che urgeva ormai muoversi apertamente nella direzione
della guerra all’Austria per la restituzione dei territori
nazionali.
Riprova dei ritardi e delle incertezze di alcuni settori del
nazionalismo italiano, rimasti legati ad una visione politica ancora
retorica e risorgimentale, il libretto dimostra anche la scarsa
consapevolezza del C. relativamente alle trasformazioni sostanziali
verificatesi all’interno stesso del movimento, dopo la scissione
dell’ala “democratica” di Arcari e Sighele e la prevalenza del
gruppo corradiniano prima e di A. Rocco poi, entrato nella direzione
dell’Associazione nel 1914. Tuttavia, se si tiene presente la data
di pubblicazione del volume (1915), l’appello irredentista che vi si
lanciava poté giocare ancora almeno un ruolo contingente
nell’ambito del variegato fronte interventista, in cui confluirono,
dopo qualche residua esitazione triplicista, i nazionalisti stessi.
Dopo aver partecipato attivamente alla campagna per l’intervento, il
C. partì per il fronte, passando in un battaglione alpino
poco dopo la dichiarazione di guerra. Medaglia d’argento al valor
militare sul campo, ebbe anche tre encomi solenni e due promozioni
per merito di guerra, in seguito alle quali raggiunse il grado di
capitano.
Lasciò consegnate le proprie impressioni ad un diario (Tre
anni di guerra) e a un folto carteggio (Lettere), che, pur
riconfermando alcuni principi ed atteggiamenti della sua complessiva
formazione precedente, lasciano trapelare assai spesso una
disposizione riflessiva, e perfino dolorosa e realistica, nei
confronti degli avvenimenti di cui il C. fu testimone oculare.
Già prima contrario alla esaltazione corradiniana della
guerra, egli ne deriva ora, in alcuni momenti, una vera e propria
impressione di languore e di smarrimento, “un senso grande di
tristezza”. In particolare confessa di soffrire principalmente per
la lontananza dal consorzio civile e per la scarsa occupazione
dell’intelligenza, che lo rendono sufficientemente consapevole di
una sorta di regressione e di contrazione della sfera della
coscienza, fino a giungere a uno stato fatto di pacata
animalità quotidiana, di tic e automatismi mentali. In
conclusione, pur permanendo costante un atteggiamento nutrito di
rigoristiche tensioni morali e civili, di frequenti e quasi
fideistiche riaffermazioni di doveri e valori patriottici, si fanno
comunque sempre meno ricorrenti, con il passare dei mesi, le
espressioni-spia di fanatismo sciovinista e bellicista, e si giunge
fino alle soglie di un ripensamento più equilibrato di taluni
motivi precedenti e di certi presupposti.
Distintosi durante la ritirata di Caporetto, il C. fu proposto per
la nomina a maggiore, ma, aggregato nel frattempo al corpo di
spedizione francese. morì di polrnonite a Saint-Imoges il 15
giugno 1918, in seguito ad un’influenza contratta al fronte.