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'Islam (in arabo: إسلام), da pronunciare "Islàm" -
sostantivo verbale traducibile con "sottomissione [a Dio]", che
deriva dalla radice "S-L-M", ovvero "essere salvato" - è una
religione monoteista; musulmani è il nome dato a chi la
osserva. L'Islam si è manifestato per la prima volta nella
cittadina higiazena di La Mecca (Penisola Araba) nel VII secolo. Suo
portavoce è stato Maometto (in arabo: محمد, Muḥammad),
considerato dai musulmani l'ultimo e definitivo profeta inviato da
Dio (in arabo: الله, Allāh) al mondo intero. Quanto a numero di
fedeli, l'Islam (con tutte le sue varianti) è al secondo
posto con 1,5 miliardi di fedeli, dietro al Cristianesimo con 2,1
miliardi.
Ecumenismo islamico
L'Islam è considerato dai suoi fedeli come l'insieme delle
rivelazioni elargite da Allah all'umanità fin dall'epoca del
suo primo profeta, Adamo. Dal punto di vista dei musulmani, l'islam
non deve quindi essere considerata come ultima in ordine di tempo
rispetto alle altre due grandi fedi monoteistiche (Ebraismo e
Cristianesimo) ma come l'ennesima riproposizione della
volontà divina all'umanità, resa necessaria dalle
continue distorsioni (taḥrīf) intervenute come effetto del fluire
del tempo e dell'azione (talora maliziosa) degli uomini. Torah
(Tōrāh), Salmi, Avesta e Vangelo (Ingīl), cui si aggiungeranno in
seguito anche i Veda dell'Induismo, sono perciò considerati
testi che, in origine, non contenevano rivelazioni diverse da quella
coranica.
Per questo motivo è corretto definire Maometto "Sigillo dei
profeti" (khaṭam al-nabiyyīn) ed è un principio fondamentale
per la fede islamica credere che con la sua morte sia terminato per
sempre il ciclo profetico, tanto che viene accusato di massima
empietà (kufra), e di fatto posto al di fuori dell'Islam,
chiunque s'azzardasse a dichiararlo riaperto.
Nell'Islam non vengono pertanto disconosciuti il Vecchio e il Nuovo
Testamento, della cui origine celeste non si discute, riconoscendo
per logica conseguenza il carisma dei profeti vetero-testamentari
(da Adamo a Noè, da Abramo a Mosè), come pure quello
di Gesù.
Secondo i musulmani, il Corano è però l'unica e non
più modificata affermazione della volontà divina,
destinata a perdurare inalterata fino al Giorno del Giudizio.
Modelli ispiratori
Quali siano stati i modelli religiosi ispiratori è ancora
argomento di discussione fra gli storici delle religioni. Se infatti
si può parlare, coi dovuti distinguo, di debiti contratti
verso il Giudaismo, lo Zoroastrismo, il Cristianesimo orientale e,
più ancora, verso il credo delle comunità
ebraico-cristiane attive nella stessa Penisola Araba - debiti per
molti versi e in diversa misura difficilmente negabili - non manca
però chi sostiene l'indubbia esistenza di una matrice
indigena sud-arabica che affrancherebbe l'Islam da una sorta di
tutela strettamente allogena. Del resto non sono episodiche le
prove, epigrafiche, artistiche (statuaria votiva) e archeologiche,
circa l'esistenza di culti monoteistici negli ambienti culturali
sud-arabici e il loro lento accostamento a forme sempre più
spiccatamente monoteistiche.
Che l'Islam appartenga al medesimo contesto di valori dell'Ebraismo
e del Cristianesimo, viene sottolineato dalla sua inclusione tra le
cosiddette religioni abramitiche.
Differenze fra i concetti di Islam e Islamismo
Quanto al lessico impiegato, se in contesti linguistici diversi da
quello italiano la differenza fra il termine Islam e Islamismo
è abbastanza sfumata, in italiano una diversità
sostanziale invece esiste, perché con la parola Islam
s'intende quell'insieme di atti di fede, di pratiche rituali e di
norme comportamentali che è praticato da sunniti e sciiti
che, insieme, rappresentano quasi il 99% dei fedeli musulmani,
mentre il termine Islamismo indica di fatto una concezione dell'uomo
e del mondo che s'ispira ai valori dell'Islam ma che si esprime a
livello più propriamente politico.
La disciplina che studia l'Islam è tradizionalmente detta in
italiano islamistica, e islamisti sono detti i suoi cultori e
studiosi. Sennonché, per il disinvolto e improprio uso
fattone dai media, il termine "islamista" tende a essere per lo
più percepito come sinonimo di "estremista islamico",
generando comprensibile e crescente disagio per gli studiosi della
materia, che potrebbero in alternativa ricorrere al gallicismo
islamologi, se esso non risultasse estraneo alla tradizione degli
studi italiani. Dunque islamistica o islamologia? Si può dire
che islamistica rimane la dizione ufficiale della branca
disciplinare relativa alla cultura dell'Islam, anche se esiste la
possibilità che il sostantivo islamologia - del tutto assente
dalla nomenclatura accademico-scientifica in Italia - per le ragioni
predette possa trovare una maggior diffusione.
Altra fonte di confusione terminologica si ha negli ultimi anni con
il crescente e improprio uso come sostantivo dell'aggettivo
islamico. Il sostantivo che si riferisce a chi professa la religione
islamica è infatti musulmano (nell'uso corretto si dovrebbe
dire: i musulmani e non gli islamici). L'uso come sostantivo
dell'aggettivo sembra nato - come il sostantivo islamista - per
indicare i militanti di movimenti radicali di matrice islamica che
spesso tracimano nel terrorismo, il che conferisce a quest'uso una
sfumatura negativa. Ciononostante si assiste a una sua crescente
diffusione nei mezzi di comunicazione di massa come semplice
sinonimo di musulmano.
La fede per i musulmani è basata sui "cinque pilastri". Per
essere un "uomo dell'Islam" si deve possedere perfettamente la fede
(īmān) in questi principi ed esercitare il bene e la pietà
(birr). Le parole "Islam" e "salam" (pace) hanno la stessa radice
consonantica e sono come fuse. L'Islam si configura quindi come
"intima pace dell'uomo con Dio" e il mùslim (musulmano)
è colui che si affida con pienezza al Signore. Questo
fiducioso abbandono è manifestato dal credente assolvendo per
quanto può ai doveri espressi dai cinque arkān al-Islām, vale
a dire i cinque "pilastri della fede islamica".
L'Islam non è soltanto una religione, nel senso tecnico del
termine (cfr. il latino religio), che si basi principalmente su
un'intima persuasione di fede, ma è anche (e non
secondariamente) un'ortoprassi, una serie cioè di azioni e
comportamenti obbligatori. I comportamenti esteriori sono giudicati
secondo la sharīʿa, la disciplina legale islamica, mentre per quelli
interiori il solo giudice è Dio.
Ciò non toglie che, dopo un lungo e animato dibattito
teologico durato quasi un secolo, mirante a determinare se per
potersi definire "musulmano" bastasse l'imān (la fede) o se invece
essa dovesse accompagnarsi o addirittura essere subordinata alle
opere (aʿmāl) la risposta è stata quella di dare assoluta
preminenza alla prima, tant'è vero che per essere considerato
a pieno titolo "musulmano" è sufficiente una seria shahāda,
anche se un musulmano non potrà poi esimersi dall'esprimere
coerentemente nei fatti della vita la profondità e la
sincerità della sua fede.
Questo di per sé eliminerebbe la necessità di parlare
di un "integralismo islamico", dal momento che l'Islam ha per
definizione un approccio "integrale" alla realtà
fenomenologica, senza alcuna separazione fra aspetti mondani e
ultramondani.
Gli arkān al-Islām ("Pilastri dell'Islam") sono quei doveri
assolutamente cogenti per ogni musulmano osservante (pubere e sano
di corpo e di mente) per potersi definire a ragione tale. La loro
intenzionale evasione comporta una sanzione morale o materiale. Essi
sono:
la shahāda, o "testimonianza" di fede
(affermazione, espressa con retta intenzione, dell'esistenza in Dio
Uno e Unico nella missione profetica di Maometto);
la ṣalāt, preghiera canonica da effettuare 5
volte al giorno, in precisi momenti (awqāt) che sono scanditi dal
richiamo del muʾadhdhin (arabo: مؤذن, muezzin) che operano nelle
moschee (oggi spesso sostituiti da registrazioni diffuse con
altoparlanti);
la zakāt, (l'elemosina) devoluta volontariamente
a persone bisognose, organizzazioni di carità.(daʿwa);
Ṣawm ramaḍān (arabo: صوم رمضان), ovvero digiuno
- dal sorgere al tramonto del sole - durante il mese lunare di
Ramadan per chi sia in grado di sostenerlo senza sensibili
inconvenienti di salute;
ḥajj (arabo: الحج), pellegrinaggio canonico a
Mecca e dintorni, nel mese lunare di Dhū l-hijja, per chi sia in
grado di sostenerlo fisicamente ed economicamente.
In ambienti come quello hanbalita, si aggiunge un sesto pilastro, il
jihad.
Obblighi morali e sociali
Il musulmano ha comunque il diritto-dovere di assolvere al jihād
(arabo: جهاد), indicato letteralmente dai musulmani come "sforzo" o
"impegno [del singolo] sulla Strada di Dio" (jahada fī sabīl Allāh),
nella speranza di poter vedere nell'Aldilà il Suo Volto
(li-wajhihi), grazie alla riuscita lotta decisa contro le pulsioni
negative del proprio corpo e del proprio spirito.
Se il jihād si presentasse esclusivamente nella sua accezione
prioritaria ("maggiore", akbar, dice la giurisprudenza), esso
andrebbe a costituire senza alcuna obiezione il sesto Pilastro della
fede islamica. Il fatto però di prevedere anche una sua forma
di minor rilevanza spirituale (aṣghar), ossia quella di combattere
una concreta "guerra obbligatoria" contro i nemici dell'Islam, non
consente un siffatto inserimento a pieno titolo tra i cinque arkān
al-Islām.
Anche nella sua veste minore, il jihād deve essere ulteriormente
definito e differenziato dalla sharīʿa. Se infatti un'offesa o
un'aggressione sono portate dalla dar al-Harb nel cuore della dar
al-Islam, l'impegno a prendere le armi per contrastare ed eliminare
l'oltraggio incombe su tutta la Umma, mentre se si intendesse
realizzare l'espansione dei confini fisici e spirituali della Umma,
l'impegno al jihād incomberebbe esclusivamente su volontari espressi
dalla Umma. Nel primo caso si parla allora di farḍ ʿayn (obbligo
individuale), nel secondo invece di farḍ kifāya (obbligo
collettivo).
Il "jihād maggiore" costituisce il sesto pilastro anche per l'intero
Sciismo. Per spiegazioni più dettagliate si rinvia al
relativo lemma.
Generico obbligo è anche quello di "ordinare il bene e
vietare il male" (al-amr bi-l-maʿrūf wa-nahy ʿan al-munkar) ovunque
essi si presentino, ricorrendo a ogni mezzo lecito e necessario (con
la mano, la parola, la penna o la spada), laddove il bene e il male
sono determinati esplicitamente da Dio nel Corano, dovendosi
intendere come Bene la sua volontà e Male il disobbedirgli.
Nessuna "teologia naturale" è ammessa, che possa far
presumere all'intelligenza umana di penetrare razionalmente i
confini tra il Volere di Dio e la Sua non-Volontà, essendo la
creatura umana tenuta ad assoggettarsi senza distinguo al dettato
coranico. In senso letterale, la parola "Islàm" significa
infatti sottomissione, abbandono o obbedienza a Dio. Abbandono a un
Progetto divino che concerne l'umanità intera e che l'uomo
non può conoscere per la sua intrinseca limitatezza, al quale
tuttavia esso si dovrà abbandonare, fiducioso della
bontà e della misericordia divina.
Dio - al contrario di quanto pensavano i mutaziliti - non concede il
libero arbitrio all'uomo, essendo ogni atto (compreso quello umano)
creato da Dio. Egli dà all'uomo tutt'al più il
possesso (iktisāb) dell'atto compiuto, mentre il presumere di poter
creare qualcosa o di penetrare l'insondabile Volontà divina
sono peccati di massima superbia, con la conseguenza che il Volere
divino dovrà essere accettato senza condizione alcuna da
parte delle Sue creature.
Questo avviene non solo nelle pratiche di culto (modalità
minuziose nell'assolvimento della preghiera, senza osservare con
precisione le quali l'obbligo non si considera convenientemente
assolto; precise ritualità da osservare nel corso del
pellegrinaggio obbligatorio a Mecca e nei suoi dintorni) ma anche
nell'ottemperare alle precise e cogenti norme alimentari che,
secondo lo schema vetero-testamentario, non si giustificano con
motivazioni di carattere razionale, in grado cioè di essere
percepite dall'intelligenza umana, ma che devono essere accettate
come tutto il resto "senza chiedersi il come e il perché"
(bi-lā kayfa).
Assenza di clero
Le correnti principali dell'Islam non ammettono né
riconoscono clero e tanto meno gerarchie (indirettamente una forma
di ambiente clericale esiste però nell'ambito sciita), dal
momento che si crede non possa esistere alcun intermediario fra Dio
e le Sue creature.
Da non confondere col clero è la categoria degli imam,
musulmani che per le loro buone conoscenze liturgiche, sono
incaricati dalla maggioranza dei fedeli di condurre nelle moschee la
preghiera obbligatoria.
Neppure gli ʿulamāʾ che si limitano a interpretare il Corano possono
essere avvicinati a una forma di clero, anche se, nell'assolvere
alla loro funzione, di fatto tendono a riaffermare il ruolo
privilegiato che deve svolgere la religione islamica nella
società.
A un ben delimitato ambito giuridico vanno invece ricondotti i
mufti, che sono autorizzati a esprimere pareri astratti nelle
diverse fattispecie giuridiche, indicando se una data norma sia o
meno coerente con l'impianto giuridico islamico.
Similmente deve dirsi dei qāḍī. Di nomina governativa, essi
eventualmente sono chiamati a giudicare in base alle norme della
sharīʿa all'interno di particolari tribunali (definiti sciaraitici)
che un tempo prevalevano nelle società islamiche ma che oggi
sono soppiantati dai tribunali statali. Questi ultimi giudicano
sulla base di codici, per lo più d'ispirazione occidentale,
anche se ispirati alla normativa sciaraitica.
Forma di ricerca interiore, il misticismo dell'Islam, è
incarnato dai sufi.
Il fatto di interfacciarsi direttamente col sacro e di non ammettere
intermediari tra uomo e Dio non rende necessaria la figura del
sacerdote (cui quindi non sono, almeno nel Sunnismo, minimamente
assimilabili gli ulema o i mufti). Diverso il caso dello Sciismo,
dove gli Ayatollah fungono in qualche misura da intermediazione tra
i devoti e l'"Imam nascosto", la cui parusia è attesa alla
fine dei tempi ma che agisce ineffabilmente proprio attraverso i
dotti.
Scuole giuridiche e teologiche
Distribuzione delle scuole giuridico-religiose islamiche nel mondo.
Se ognuno è sacerdote di sé stesso e responsabile dei
suoi errori, il discrimine fra quanto è considerato consono
all'Islam e quanto gli è contrario potrà scaturire
solo dall'approfondito dibattito fra esperti "dottori" (ʿulamāʾ).
Esiste in materia un pluralismo di scuole giuridiche (madhhab) e
teologiche, con numerose diverse interpretazioni di una stessa
fattispecie giuridica (salvo, ovviamente, l'impossibilità di
discutere gli assetti dogmatici dell'Islam, che non sono
contestabili, per non incorrere automaticamente nella condanna di
kufra - infedeltà massima - che fa conseguire la qualifica di
"eretico" - kāfir, pl. kāfirūn).
Tutte le cosiddette "scienze religiose" (ʿulūm dīniyya) tendono alla
formazione di un consenso maggioritario (Ijmāʿ) circa il modo
d'interpretare il disposto coranico e sciaraitico. Tale consenso
potrà comunque mutare nel tempo, in caso si esprima in tal
senso una nuova maggioranza. Si parla di una vera e propria
"polverizzazione" dei modi di giudicare della umma, divisa in
numerose scuole teologiche e giuridiche, alle quali potrebbe
aggiungere anche l'enorme differenziato panorama costituito dalle
confraternite mistiche, tanto che qualcuno ha proposto che,
più che parlare di Islam, si dovrebbe parlare di
"pluralità di Islam" (Islams in inglese).
Culto
Mentre il culto per Dio, chiamato Allah, è immutabile e del
tutto indifferente all'epoca e allo spazio fisico in cui esso
è praticato, la liturgia espressa potrà in varie
occasioni adattarsi invece al tempo e al luogo in cui il fedele
vive.
Ciò è in perfetta coerenza col principio condiviso che
l'Islam sia una religione wusṭa, cioè collocata su una linea
"mediana" rispetto agli opposti estremi costituiti dall'ateismo da
un lato e da un formalismo rigido di facciata, non pervaso dalla
reale comprensione e dalla tolleranza nei confronti di chi
sbaglia[11]. È nota l'affermazione di Muḥammad, secondo cui
l'Islam aborre gli eccessi e il fanatismo, basandosi sull'assunto,
più volte ribadito nel Corano, che "Dio non ama gli
eccessivi" (II:190; VI:141; VII:31; XVII:26-27; XXV:67; XLIV:31 e
LVII:23). Per questo motivo l'estremo rigore sul piano, sia della
lettera, sia dei contenuti della Legge, corrisponde nei fatti a
un'estrema flessibilità.
Testi fondamentali
I testi fondamentali a cui fanno riferimento i musulmani sono, in
ordine di importanza:
il Corano (letteralmente "Recitazione"), che
è considerato dai musulmani espresso parola per parola da Dio
(Allah). I musulmani ritengono che Maometto abbia ricevuto il Corano
da Dio attraverso l'Arcangelo Gabriele, che glielo avrebbe rivelato
in lingua araba.[12] È per questo che i fondamentali atti
liturgici islamici sono recitati in tale idioma in tutto il mondo
musulmano. Dopo la Rivelazione ricevuta da Maometto l'Islamismo
crede, per dogma, che nessun altro profeta sarà più
identificato da Dio fra gli uomini. Volendo fare un paragone con il
Cristianesimo, il Corano, più che al Nuovo Testamento,
è assimilabile al Cristo stesso, in quanto "Verbo di Dio".
Secondo i fedeli, il Corano non venne messo immediatamente per
iscritto: Maometto sarebbe stato analfabeta, secondo una "comoda" ma
improbabile ipotesi[13] e lo avrebbe "letto" per grazia divina via
via che l'Arcangelo Gabriele glielo srotolava attorno alla testa
come una lunga fascia luminosa; lo memorizzò e lo
recitò più volte ai suoi seguaci finché essi
stessi non lo memorizzarono. Solo più tardi fu messo per
iscritto e da allora il testo è immutabile.
la Sunna (letteralmente "consuetudine") è
una serie di detti e fatti di Maometto, basata su hadith (ḥadīth -
tradizioni), tramandati da testimoni ritenuti sicuri. Essa è
rintracciabile nei Sei libri (al-kutub al-sitta), i più
importanti dei quali sono quelli di Bukhārī e di Muslim mentre gli
altri furono composti da Ibn Māja, al-Nasāʾī, al-Tirmidhī e Abū
Dāwūd al-Sījistānī.
I musulmani credono che siano d'ispirazione divina, ma corrotti dal
tempo e dagli uomini:
il Vangelo (chiamato Injīl);
i Salmi (chiamati al-Zabūr);
la Tōrāh (chiamata Tawrā);
l'Avesta degli zoroastriani.
Il dilemma se trattare gli induisti come politeisti cui offrire
l'opportunità fra conversione o morte fu superata grazie
all'interpretazione di numerosi dotti musulmani, secondo cui anche i
Veda sarebbero stati un testo d'origine divina, per quanto
particolarmente corrotti.
Accanto alle sacre scritture, e da esse direttamente ispirata,
v'è un'immensa letteratura prodotta nei secoli dalla
comunità dei dottori appartenenti sia all'Islam sunnita sia a
quello sciita: testi di fiqh (giurisprudenza), di kalām (teologia),
di tasawwuf (mistica). Non è da trascurarsi infine che,
soprattutto per quanto riguarda la mistica islamica o sufismo, molta
pregevole letteratura è stata prodotta in versi da autori di
espressione araba e persiana soprattutto, ma anche in turco, urdu
ecc.
Profeti
I musulmani dichiarano che la loro religione si riallaccia
direttamente alle tradizioni religiose che sarebbero state predicate
dal patriarca biblico Abramo, considerato da Maometto come il suo
più autorevole predecessore. È per questo che, in
chiave puramente formale, l'Islam viene classificato come religione
abramitica, al pari dell'Ebraismo e del Cristianesimo.
Il primo profeta islamico sarebbe peraltro stato Adamo e, dopo di
lui, Nūḥ (Noè). Sono annoverati fra i tanti profeti islamici,
dopo Ibrāhīm (Abramo), i suoi figli Isḥāq (Isacco) e Ismāʿīl
(Ismaele), Yaʿqūb (Giacobbe), Yūsuf (Giuseppe), Mūsā (Mosè),
Dāwūd (Davide), Sulaymān (Salomone), Yaḥyā (Giovanni Battista) e,
prima di Muḥammad, ʿĪsā ibn Maryam (cioè Gesù di
Nazareth figlio di Maryam, ossia quella che in altro contesto
è chiamata Maria, vedi Gesù secondo l'Islam). Maria
è considerata anche nel Corano come esempio sublime di
devozione femminile a Dio.
Dopo Maometto, chiamato per questo "il sigillo dei profeti" (khātim
al-anbiyāʾ), è un dogma per l'Islam che la profezia abbia
termine e credere nella riapertura del ciclo profetico è
senz'altro kufra.
Gruppi religiosi
I musulmani vengono differenziati in:
Sunniti, che sono la grande maggioranza in quasi
tutti i paesi islamici (tranne l'Iran, l'Iraq e l'Oman).
Sciiti, che costituiscono la minoranza più
consistente (circa il 10%). Essi si richiamano all'eredità di
ʿAlī ibn Abī Ṭālib, cugino e genero di Muḥammad, e dei suoi figli
al-Ḥasan b. ʿAlī e, più in particolare, di al-Ḥusayn b. ʿAlī.
Dominante in Iran, lo Sciismo è maggioritario in Iraq, in
Libano e in Bahrein. Gli sciiti si dividono a loro volta in:
un gruppo maggioritario
(duodecimano, o imamita o ithnaʿashariyya),
un gruppo minoritario
(ismailita, o settimano o sabaʿiyya). Gruppi di Ismaeliti sono
presenti in India,
un gruppo più
esiguo, detto "zaydita" e prevalente in Yemen, teorizza la
possibilità che a guidare legittimamente la Comunità
islamica (Umma) possa essere qualsiasi discendente del Profeta
purché questi agisca concretamente contro i musulmani
usurpatori del califfato e reprobi, con deciso impegno militante e
che non lasci spazio a un comodo quietismo limitato a
un'attività puramente teoretica.
Kharigiti, un tempo abbastanza diffusi,
specialmente in Nordafrica, Iraq e Penisola Araba, si dividevano in
numerosi sottogruppi - sufriti, Azraqiti, Najadāt, Nukkariti - di
cui sussistono solo gli:
Ibaditi, oggi
maggioritari nel solo Oman, ma presenti anche in qualche
località del Nordafrica e dell'Africa Orientale.
Di derivazione islamica ma considerati eterodossi sono invece:
gli Alawiti, appartenenti a una setta minoritaria
d'ispirazione sciita ma con forti tratti gnosticheggianti. Esprime
il gruppo dirigente in Siria fin dall'epoca del Presidente Ḥāfiẓ
al-Asad.
i Drusi, di originaria ispirazione ismailita (ma
presto abbondantemente diversificatisi), sorti in età
fatimide all'epoca dell'Imàm al-Hākim e presenti in Libano,
nella regione montagnosa dello Shūf, in Siria (Golan, Gebel Druso) e
Israele.
gli appartenenti all'Aḥmadiyya di Qādyān (India
settentrionale) e Lahore (Pakistan), fondata da Mirza Ghulam Ahmad.
I Bahá'í, a loro volta gemmati dal
Babismo, costretti dalla Rivoluzione Islamica dell'Iran a rifugiarsi
in India e in Occidente (soprattutto Canada e Stati Uniti). Sono
considerati tuttavia appartenenti a una religione completamente
distaccata dall'Islam, e non una sua setta.
Gli Aleviti appartenenti a una setta minoritaria
d'ispirazione sciita duodecimana, ma con forti aspetti prossimi allo
gnosticismo. Sono presenti soprattutto in Turchia dove rappresentano
almeno il 15% della popolazione.
Gli Ahl-e Haqq, presenti in Iraq e in Iran, di
ispirazione sciita ma molto eterodossa.
Islam politico
Dal 632 al 1924 l'Islam politico si è sviluppato nel
califfato. Dal 1969 i paesi musulmani fanno riferimento per la
difesa dei valori dell'Islam all'associazione Organizzazione della
Conferenza Islamica. Dal 1945 quelli arabofoni fanno anche
riferimento, ma essenzialmente politico, alla Lega Araba. Oggi sono
6 i paesi retti ufficialmente da una repubblica islamica, anche se
ci sono paesi a maggioranza musulmana che sono repubbliche
democratiche (vedi Indonesia, Turchia). Gli altri Stati a
maggioranza musulmana sono o monarchie assolute o dittature o
repubbliche (o monarchie costituzionali) democratiche solo
nominalmente (Tunisia, Egitto), anche se dopo la primavera araba
questi paesi sembra possano entrare a far parte delle democrazie
islamiche.
Concezione del mondo
Questa dottrina esposta è la tradizionale concezione
dell'Islam elaborata dai pensatori musulmani nei primi cinque secoli
(il Corano non ne fa infatti il minimo accenno). Il mondo sarebbe
diviso per essa in tre parti
La Casa della Pace, "Dār al-Salām" o "Dār
al-Islām", "la Casa dell'Islam", dove vivono i musulmani sotto la
protezione della Legge islamica e i popoli sottomessi - dhimmi
(dhimmī) - appartenenti cioè a fedi diverse da quella
islamica e sottoposti al pagamento di un tributo personale, la
jizya, che garantisce loro la "protezione" da parte dello Stato
islamico. Le interpretazioni dei teologi musulmani differiscono
sulla possibilità di accettare come dhimmī fedeli di
religioni differenti da quella dei cristiani, ebrei, zoroastriani e
sabei ma, storicamente, si accettò anche l'Induismo come
religione proteggibile, in quanto esso poteva vantare un testo
scritto (i Veda) che fu considerato anch'esso ispirato divinamente.
La Casa della Tregua, "Dār al-Hudna", dove vivono
i popoli non sottomessi con i quali è stata conclusa una
tregua temporanea nell'attesa di riprendere le ostilità per
l'affermazione universale dell'Islamismo.
La Casa della Guerra, "Dār al-ḥarb", dove vivono
tutti i popoli non sottomessi. Gli infedeli sono penalizzati dalla
non-conoscenza di Dio, che naturalmente genera ingiustizia e quindi
violenza.
Il proselitismo è un obbligo morale per il musulmano (daʿwa,
"appello" alla conversione) contro il paganesimo e l'idolatria, ma
non riguarda i popoli monoteisti, che in diversa misura posseggono
già una parte della Rivelazione tramite l'uso delle Sacre
Scritture, che sono sempre ispirate dallo stesso Dio, ma rese
incomplete e corrotte per via della manipolazione umana. Le
popolazioni del Libro sono innanzitutto ebrei e cristiani, ma nel
corso dell'espansione islamica vi furono compresi anche mandei,
mazdei, induisti e buddisti. Maometto stesso ha sottolineato in vari
hadith della sua Sunna il portato della Rivelazione coranica.
specificando con precisione quali differenze vi siano tra fede e
sottomissione politica e impositiva per le Genti del Libro, cui la
Umma islamica deve garantire il libero esercizio del proprio credo
nei territori dell'Islam, pur dovendo rinunciare a qualsiasi forma
di proselitismo e pur accettando, in quanto comunità
protette, la superiorità politica dell'Islam, la
lealtà verso la Umma in quanto entità politica e il
pagamento di un tributo. Questa sostanziale "tolleranza religiosa"
fu tra i fattori che permisero la veloce conquista dei territori
dell'Impero bizantino, dove le eresie cristiane (come il
monofisismo) erano invece pesantemente combattute e dove la
tassazione era più alta di quella richiesta dagli arabi
conquistatori.