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di Roberto Rusconi
Nacque ad Assisi, forse il 24 giugno 1182, da Pietro di Bernardone e
da Giovanna (il soprannome di Pica della madre è attestato
solo da un exemplum tardivo). Venne chiamato a sua volta Giovanni,
in assenza del padre: questi, di ritorno da un viaggio in Francia,
gli mise il nome di Francesco, con cui egli venne sempre indicato a
partire da quel momento. Aveva almeno un fratello di nome Angelo.
La maggior parte delle fonti relative ai primi anni di vita di F.
è costituita dalle diverse biografie agiografiche e dalle
compilazioni redatte nel corso del secolo XIII. Si tratta di testi
che inglobano frammenti di informazione all'interno di una
narrazione rivolta principalmente a finalità liturgiche e
devozionali. A ciò si aggiunga che, in connessione con il
dibattito interno all'Ordine dei frati minori concernente le
caratteristiche dell'identità francescana e il ruolo della
povertà religiosa, con il trascorrere dei decenni si
affermò la tendenza a retrodatare agli anni dell'esistenza di
F. determinate problematiche e a filtrare la memoria di quegli
avvenimenti alla luce delle esigenze religiose e nel contesto della
politica ecclesiastica di un'epoca successiva.
Da ciò deriva la difficoltà a fissare una datazione
attendibile degli avvenimenti, qualora non intervenga altra
documentazione, dal momento che nelle biografie agiografiche essi
vengono collocati, in genere, secondo una cronologia relativa.
Alla fine dell'esistenza, dettando il proprio Testamentum, F. aveva
selezionato, al di fuori degli schemi di una puntuale ricostruzione
biografica, i momenti salienti della sua vita (che gli agiografi,
invece, tenteranno di disporre secondo un assetto narrativo): la
conversione alla penitenza, espressa da un diverso rapporto con i
lebbrosi; l'abbandono di un'esistenza secolare in un'assoluta
fiducia nelle istituzioni della Chiesa romana e soprattutto nei
sacerdoti a essa fedeli (in quanto essi consacrano l'eucarestia, nei
confronti della quale egli nutrì una particolare devozione);
la nascita della prima fraternitas, la scoperta della "forma sancti
evangelii" e l'approvazione di una forma vitae da parte del
pontefice; la povera comunità dei primordi, formata da
chierici e da laici, con i frati che lavoravano per il proprio
sostentamento e che eventualmente mendicavano; l'annuncio della pace
evangelica.
Nel 1202 (forse nell'estate) F. prese parte, in località
Collestrada, allo scontro con i Perugini e con i fuoriusciti
assisani i quali, dopo la distruzione della rocca e delle case torri
nel 1198, si erano rifugiati nella città vicina a partire dal
gennaio 1200.
In seguito alla sconfitta degli armati di Assisi, F. fu condotto
prigioniero a Perugia, dove restò per almeno un anno, sino a
che, nel novembre 1203, venne sottoscritta una pacificazione tra gli
homines populi, cui egli si era aggregato, e i boni homines (i
nobili fuorusciti vittoriosi).
Prima della conversione a vita religiosa fu partecipe della cultura
e della mentalità del proprio ceto di appartenenza e della
propria area di provenienza: una società in cui, tra gli
ultimi anni del secolo XII e i primi del XIII, il figlio di un ricco
mercante, certo anch'egli mercante, poteva aspirare a divenire
miles. La formazione culturale del laico, borghese e mercante, la
sua mentalità, la tensione al raggiungimento di ideali
cavallereschi e cortesi, compenetrarono profondamente gli anni in
cui F. maturò la propria scelta religiosa, vissuta all'inizio
- e in parte anche in seguito - come una sorta di aventure nella
quale progressivamente viene meno l'ideologia cavalleresca, e
permane al contrario la cultura cortese (ne conservano il ricordo,
in particolare, la tradizione che faceva capo a frate Leone e un
anonimo scritto allegorico, il Sacrum commercium). A un siffatto
retroterra rimandano episodi collocati ben oltre la giovinezza e la
prima maturità di F.: come il parlare e il cantare in lingua
"gallica", l'idioma del canto profano e della letteratura cortese, i
cui ricordi emergono allorché, ad esempio, egli si paragona
all'"araldo del gran re", oppure assimila se stesso e gli altri
frati minori ai cavalieri della tavola rotonda ovvero chiede
l'elemosina in quella lingua, durante un pellegrinaggio a Roma.
Secondo Tommaso da Celano, dopo una lunga malattia F. partì
da Assisi per la Puglia (nel 1205, fra aprile-maggio e la fine di
luglio), al seguito di un miles, allo scopo di essere creato
cavaliere a sua volta: una decisione preceduta, nel racconto
dell'agiografo, da un sogno in cui gli apparvero delle splendide
armi. Nel De inceptione si aggiunge che, arrivato a Spoleto, F. ebbe
un colloquio nel dormiveglia e ne venne indotto a rientrare ad
Assisi, per mettersi al servizio del Signore. Passò allora
per Foligno, dove vendette il proprio cavallo e le ricche vesti e
indossò poveri panni.
Al principio del mese di agosto del 1205 la cronologia suggerita
dalle biografie agiografiche fa risalire i primi passi di un lungo
processo di conversione a vita religiosa. Prima di adottare una
condizione di vita solitaria in un'area fitta di istituzioni
monastiche, abbandonando le precedenti consuetudini di vita e di
comportamento, per gli agiografi F. trascorse un periodo di
preghiera e di elemosine ai poveri e alle chiese: determinante
è soprattutto l'incontro con un lebbroso, cui egli
baciò la mano e da cui ricevette il bacio della pace. In
seguito ad esso F. si decise a portare elemosine a un lebbrosario.
È esplicito, da parte degli scrittori, il richiamo alle prime
frasi del Testamentum di F., laddove egli fa risalire a un mutato
atteggiamento nei confronti dei lebbrosi il momento di maturazione
della propria conversione.
Nei primi mesi del 1206 il contrasto che ormai lo opponeva al padre,
a causa della sua scelta di vita, lo portò a rinunciare
pubblicamente all'eredità nelle mani del vescovo di Assisi,
Guido II, assumendo, di conseguenza, la condizione canonica di
penitente volontario. In tale periodo, secondo il racconto dei primi
agiografi, egli si dedicò all'assistenza ai malati nei
lebbrosari del contado assisano e, nella medesima area, al restauro
materiale di chiese rurali in rovina (in un'epoca in cui appariva
assai fervida l'edilizia ecclesiastica, con la costruzione della
cattedrale di S. Rufino ad Assisi e del chiostro dell'abbazia
benedettina di S. Croce a Sassovivo, presso Foligno).
Tale aspetto della biografia francescana, che interessò
almeno la chiesa di S. Damiano subito al di fuori delle mura
cittadine, e forse in seguito la chiesetta rurale di S. Maria degli
Angeli (la Porziuncola) nella piana sottostante Assisi, viene
riproposto nel racconto degli agiografi in un'ottica
storico-teologica, al cui interno il restauro materiale di un
edificio ecclesiastico in rovina, era figura della reparatio
dell'intera Chiesa romana. Lo stesso avviene con il racconto del
crocifisso di S. Damiano, che si rivolge a F. per esortarlo a
riparare la casa del Signore, e anche con il sogno di Innocenzo III,
di un misero religioso il quale impediva il crollo della chiesa
papale di S. Giovanni in Laterano (un episodio analogo è
riferito anche a s. Domenico di Caleruega nella sua biografia
agiografica scritta dal frate domenicano Costantino da Orvieto nel
1246-47).
Attirati dal suo modo di vita, a F. si associarono progressivamente
alcuni assisani, dando vita al primo nucleo della fraternità
minoritica: di essi le biografie agiografiche si sforzano di
indicare i nomi, a cominciare dal miles Bernardo di Quintavalle,
annoverandoli in numero di dodici, in chiave sicuramente simbolica.
In un passo del Testamentum F. ricorda come, in seno a tale
ristretto gruppo, fosse maturata la scelta di vivere in
conformità al modello evangelico, attinto in maniera diretta
dalle Scritture.
Sulla base del racconto della prima Vita di Tommaso da Celano il
momento dell'abbandono della precedente forma di vita penitenziale
viene collocato in occasione dell'ascolto di una messa alla
Porziuncola (in una data che da taluni si vorrebbe porre fra 1208 e
1209), allorché F. sentì leggere un passo evangelico
relativo alla missio apostolorum. Se non si tratta del medesimo
episodio, il De inceptione ricorda invece che F., insieme a Bernardo
di Quintavalle e a un altro compagno, fece ricorso alla triplice
apertura di un evangeliario in una chiesa cittadina, identificata
dagli agiografi in S. Nicolò "de plathea" (si può
forse riconoscere quel manoscritto in un messale, esemplato fra 1172
e 1228 in uno scriptorium della diocesi di Assisi).
In seguito alla scelta di imitare alla lettera il modello della vita
apostolica, F. e gli altri fratres si vestirono con una rozza
tunica, cinta da un cordone, e intrapresero a due a due una forma di
predicazione itinerante nell'Italia centrale rivolgendo alle
popolazioni esortazioni a fare penitenza e inviti alla
pacificazione.
La predicazione ad opera di laici non autorizzati incorreva
però nelle sanzioni ecclesiastiche, applicate con
severità a partire dalla decretale Ad abolendam hereticam
pravitatem di Lucio III del 1184, in particolare nei confronti dei
poveri di Lione e degli umiliati lombardi. F. e i primi fratres
decisero, allora, di recarsi presso la Sede apostolica a Roma nel
1209 (oppure nel 1210), per ottenere un riconoscimento della propria
forma di vita religiosa. Fu una scelta autonoma e consapevole, come
F. ribadisce nel Testamentum, dal momento che al vescovo di Assisi
avrebbe potuto e dovuto rivolgersi una piccola comunità di
penitenti volontari (cui si riferisce il De inceptione).
L'approvazione canonica dell'ordinario diocesano, peraltro, non
avrebbe potuto includere la predicazione itinerante.
Arrivati a Roma in un clima non scevro di sospetti, che neppure
l'agiografia francescana riuscì in seguito a occultare, il
gruppo di assisani sperimentò la diffidenza della Curia e il
reale attendismo nell'atteggiamento di papa Innocenzo III (anche se
la presenza a Roma del vescovo di Assisi, Guido II, e il subitaneo
intromettersi nella vicenda del cardinale benedettino Giovanni di S.
Paolo, menzionati sin dall'inizio dagli agiografi, toglierebbero
ogni sapore di ingenuità all'iniziativa).
Il loro viaggio, in effetti, avvenne in un periodo cruciale di quel
pontificato. Il papa, che nel 1208 aveva bandito la crociata contro
gli albigesi nel Sud della Francia, aveva promosso la
riconciliazione con la Chiesa romana, tra 1208 e 1209, di una parte
dei poveri di Lione e dei poveri di Lombardia, nel tentativo di
contenere il diffondersi di dottrine e gruppi eterodossi.
In quella circostanza gli assisiati avrebbero anche adottato una
diversa denominazione, per effetto dell'intervento della Sede
apostolica - da "minores pauperes" a "minores fratres" -, se si
può prestare fede alla cronaca, redatta a una certa distanza
di tempo, dal monaco premostratense Burcardo di Ursperg (che pure
aveva soggiornato a Roma in quel volgere di anni).
Un riconoscimento da parte di Innocenzo III, tramandato con
sfaccettature assai diverse nei racconti agiografici, produsse esiti
innegabili, e di fatto decisivi, a livello istituzionale. Nel
Testamentum F. rammenta solamente in qual modo il proposito della
prima fraternitas fosse stato avallato di persona dal pontefice. Di
un testo scritto, che deve pur essere esistito - alla stregua del
propositum conversationis di altri gruppi riconciliatisi con il
Papato -, non è rimasta però alcuna traccia
documentaria e, fra le svariate ipotesi di ricostruzione, la
più verosimile accosta una scomparsa forma vitae (o
protoregola) almeno al primo capitolo della posteriore regula non
bullata.
Nel racconto del De inceptione l'incontro di F. con Innocenzo III si
chiude, al contrario, con la concessione di una regola, ma anche con
un'esplicita autorizzazione a predicare che non poteva essere
concessa se non determinando la condizione giuridica dei fratres.
Una conferma pontificia consentiva loro una predicazione
penitenziale itinerante, senza incorrere in sanzioni da parte di F.
e degli altri frati ai quali, per intervento del cardinale Giovanni
di S. Paolo, sarebbe stata effettuata una tonsura, allo scopo di
farli rientrare in una condizione canonicamente approvata e di
sottrarli a un'eventuale scomunica.
Negli anni fra il 1209-1210 e il 1215-1216 sono pochi gli
avvenimenti della vita di F. da registrare, una volta sfrondato il
racconto delle fonti agiografiche, che riferiscono di un primo
soggiorno a Rivotorto e di un successivo trasferimento della
fraternità in crescita presso la chiesa rurale di S. Maria
degli Angeli, dipendente dall'abbazia di S. Benedetto sul monte
Subasio. Alcune narrazioni, fatte risalire ai compagni di F.,
riportano a quegli anni una serie di episodi volti a testimoniarne
l'incontaminata esemplarità, privi però di attendibili
riferimenti cronologici e biografici, in un contesto
progressivamente trasformato dal lievitare del meraviglioso. Con
ogni probabilità, in quel periodo F. e gli altri frati
andavano percorrendo l'area appenninica con la loro predicazione
itinerante di penitenza.
A un F. tonsurato si può legittimamente far risalire il gesto
con cui, la domenica delle palme dell'anno 1212, nella notte tra il
18 e il 19 marzo (secondo alcuni il 28 marzo 1211), tagliando
davanti all'altare della Porziuncola i capelli a Chiara di Favarone
di Offreduccio, appartenente a una famiglia della nobiltà
assisana a suo tempo fuoriuscita a Perugia, egli ne sanciva
l'ingresso nello stato penitenziale (senza con ciò avere
affatto intenzione di dare avvio a un nuovo ordine religioso
femminile).
Secondo le testimonianze rese al processo di canonizzazione della
santa nel 1253, F. condusse Chiara al monastero di S. Paolo delle
Badesse, presso Bastia e non lontano da Assisi, dove ella
entrò verosimilmente in veste di conversa. A quello stesso
anno viene tradizionalmente fatta risalire una forma vivendi che F.
avrebbe dato per scritto a Chiara, il cui tenore è tramandato
unicamente da un brano inserito nel capitolo VI della regula
clariana approvata nel 1253.
Secondo la prima Vita di Tommaso da Celano, F. tentò
ripetutamente di recarsi nei paesi musulmani. Nell'estate del 1212,
suggestionato forse da un movimento di pellegrini detto "la crociata
dei fanciulli", che tra giugno e settembre dalla Germania aveva
raggiunto Genova per dirigersi verso la Terrasanta, egli si
imbarcava con l'intenzione di raggiungere la Siria, ma a causa dei
venti sbarcava in Dalmazia e di lì rientrava ad Ancona. Un
ulteriore tentativo, non riuscito, di spingersi questa volta in
Marocco, andrebbe ricollegato al fervore suscitato dalla vittoria di
Alfonso di Castiglia nella battaglia di Las Navas de Tolosa, il 16
luglio 1212.
Molti episodi, che gli agiografi e la devozione collocarono in quel
volgere di anni, non trovano peraltro adeguato riscontro nella
documentazione: la donazione del monte della Verna da parte del
conte Orlando di Chiusi nel 1213, menzionata solo in un documento
del 1274; un incontro a Roma negli ultimi mesi del 1215 con Domenico
di Caleruega, fondatore dei frati predicatori, nel corso del IV
concilio del Laterano, al quale non pare F. abbia assistito; la
concessione a Perugia, da parte del neoeletto papa Onorio III, nel
luglio del 1216, dell'indulgenza plenaria per la chiesa della
Porziuncola, da celebrarsi ogni anno il 2 agosto (una tradizione
formatasi piuttosto dopo il 1276).
Malgrado l'incerta collocazione istituzionale della
fraternità minoritica, il numero di quanti si aggregavano a
F. e ai primi frati si accresceva. Al canonico Jacques de Vitry si
deve la prima testimonianza coeva su di essi, senza che F.
però vi venga nominato. In una lettera inviata da Genova
nell'ottobre del 1216, egli riferiva di avere incontrato nei pressi
di Perugia, dove era giunto alla metà di luglio, i fratres
minores e le sorores minores: dei frati annotava che vivevano in
eremi o luoghi posti al di fuori delle città in cui
svolgevano il proprio apostolato. Inoltre a quella data essi
tenevano una riunione annuale, nel corso della quale si davano delle
norme per le quali avrebbero in seguito ricevuto l'approvazione del
pontefice (il cui apprezzamento nei loro confronti è
rimarcato nel testo).
Alla lettera di Jacques de Vitry corrisponde in parte il racconto
del De inceptione, secondo cui F., sin dall'incontro romano con papa
Innocenzo III, aveva introdotto la consuetudine di tenere una
riunione periodica dei frati due volte l'anno, in corrispondenza
della festa della Pentecoste e della ricorrenza di s. Michele
Arcangelo (29 settembre). Nella prima occasione si discutevano le
norme, che andavano stratificandosi nel corso degli anni, e si
decidevano le spedizioni missionarie che nel 1216, secondo Jacques
de Vitry, si sarebbero svolte in Italia, dalla Lombardia alla
Sicilia.
Con il coinvolgimento di F., dunque, era in atto un processo
istituzionale, nel cui ambito anche i frati minori adottarono la
consuetudine di origine monastica di tenere capitoli periodici, a
fini normativi e organizzativi.
A un capitolo celebrato probabilmente alla Porziuncola il 14 maggio
1217, viene fatta risalire dal De inceptione la decisione di inviare
i frati minori nelle diverse parti del mondo cristiano, al di fuori
dell'Italia. Anche F. si mise in cammino per la Francia, e nel corso
del viaggio incontrò per la prima volta a Firenze il
cardinale Ugolino dei Conti di Segni, vescovo di Ostia, allora
legato papale in Toscana. La spedizione minoritica Oltralpe non
venne interrotta, mentre F. fu personalmente dissuaso dal cardinale
a proseguire ed esortato, almeno secondo la prima Vita di Tommaso da
Celano, a rimanere in Italia per prendersi cura della sorte dei
frati (a fronte di difficoltà nei rapporti con la Curia
romana, verosimilmente connesse anche con il mancato adeguamento dei
frati alle prescrizioni conciliari in materia di nuove forme di vita
religiosa).
Le prime spedizioni minoritiche al di fuori dell'Italia si risolsero
in un autentico disastro, anche a causa dell'incomprensione
linguistica tra i frati e le popolazioni, come ricorda il De
inceptione e, con ampi dettagli, la cronaca di frate Giordano da
Giano: la maggiore difficoltà era però costituita
dall'assenza di un riconoscimento formale da parte
dell'autorità ecclesiastica. Proprio le reazioni
dell'episcopato francese sembrano avere ulteriormente persuaso la
Curia romana a cercare di determinare la condizione istituzionale
dei frati: dopo che il capitolo minoritico del 26 maggio 1219 ebbe
deciso un'altra ondata di spedizioni al di fuori della penisola
italiana, a Rieti l'11 giugno 1219 papa Onorio III sottoscrisse la
lettera Cum dilecti filii, indirizzata a tutti i prelati della
Chiesa, ad attestare in primo luogo l'ortodossia dei frati minori
facendo seguito a una richiesta inoltrata da un prelato, che le
biografie agiografiche individueranno nel cardinale Ugolino di
Ostia. Per la prima volta in un documento pontificio venivano
nominativamente menzionati "frater Franciscus et socii de vita et
religione minorum fratrum".
Alla fine del 1219, nei Sermones super Evangelia dominicalia,
ultimati a Parigi dal monaco inglese Odo da Cheriton, si riferisce
esplicitamente a frate F. una parabola concernente le vicende dei
frati e formulata alla stregua di un conte d'ispirazione
cavalleresca: un racconto appreso con una certa verosimiglianza per
il tramite dei frati minori che per primi erano giunti nell'Europa
settentrionale.
A questa data è possibile risalga un primo scontro - che in
alternativa si dovrebbe invece datare al capitolo del 1222 - tra F.
e una parte dei frati (indicati come sapientes nel racconto della
Legenda antiqua, detta Perusina). Essi avrebbero fatto ricorso
proprio al cardinale Ugolino di Ostia per indurre F. ad accettare un
processo di istituzionalizzazione che, alla luce delle disposizioni
conciliari del 1215, avrebbe effettivamente conferito ai minori la
configurazione di un Ordine approvato. Secondo il racconto
tramandato dalla Legenda antiqua, F. ebbe una reazione assai dura,
rifiutando recisamente l'adozione di una regola monastica
preesistente e rivendicando l'assoluta originalità
dell'ispirazione evangelica della propria forma di vita.
In seguito alle decisioni del capitolo di Pentecoste del 1219, i
frati minori si diressero anche nei paesi musulmani: lo stesso F. si
imbarcò per l'Egitto nel mese di giugno di quell'anno,
insieme a un compagno.
Approdato nel porto di Damietta, durante una tregua nei
combattimenti della quinta crociata, F. si recò con il
compagno presso il malik al-kamil, di fronte al quale
annunciò la fede cristiana nel corso di una disputa con i
dotti musulmani (di essa è rimasta una labile traccia anche
in fonti arabe). Secondo la Chronique d'Ernoul e il Liber de
acquisitione Terrae Sanctae di Bernardo il Tesoriere, che si
riferiscono in maniera generica a due chierici, essi sfuggirono alla
decapitazione solo per l'intervento personale del sultano (di
un'ordalia del fuoco, ad affrontare la quale F. avrebbe invano
sfidato i savi dell'Islam, narra solo la testimonianza di fra
Illuminato dell'Arce, inserita nella Legenda maior di Bonaventura da
Bagnoregio). Durante il soggiorno nel vicino Oriente F. contrasse
una grave malattia agli occhi (il tracoma), che andò
gradualmente peggiorando dopo il suo rientro in Italia.
A F., spintosi in terra di infedeli anche allo scopo di condurre
sino in fondo l'imitazione della vita degli apostoli, non si
offrì la possibilità di conseguire il martirio per la
fede, come ai cinque frati uccisi in Marocco il 16 genn. 1220. A lui
si presentò, al contrario, la necessità di rientrare
in Italia in un momento di grave travaglio per tutti i minori.
Nel partire per l'Egitto, secondo la cronaca di Giordano da Giano,
in Italia F. aveva lasciato due vicari, Gregorio da Napoli e Matteo
da Narni. Durante la sua assenza, i frati si erano egualmente
riuniti nel capitolo annuale di Pentecoste, il 17 maggio 1220, e vi
avevano adottato in particolare norme relative al digiuno e
all'astinenza delle carni. Inoltre sempre più forte si faceva
la spinta della gerarchia ecclesiastica verso una regolarizzazione
delle istituzioni minoritiche (anche la formazione di un "Ordo
pauperum dominarum de Valle Spoleti sive Tuscia" per impulso del
cardinale Ugolino di Ostia, a partire dal 1218-1219, poneva il
problema dell'assetto delle comunità religiose femminili
legate ai frati e del ruolo di questi nei loro confronti). In
effetti, a pochi giorni di distanza da quel capitolo, da Viterbo il
29 maggio 1220 papa Onorio III aveva emesso una seconda lettera a
favore dei frati, Pro dilectis filiis, indirizzata ai prelati di
Francia per attestare l'ortodossia dei minori: in essa F. non
è nominato, mentre per ben quattro volte, in un testo assai
breve, i frati vengono definiti un Ordine che - come alla fine si
precisa - era da includersi tra quelli approvati.
F. rientrò in Italia dall'Egitto nel corso di quell'estate.
Nominativamente indirizzata a lui, e agli altri superiori dei frati,
fu un'altra lettera di Onorio III, sottoscritta a Orvieto il 22
sett. 1220, Cum secundum consilium: con essa si imponeva la norma
dell'anno obbligatorio di prova, prima dell'ingresso definitivo tra
i minori, avviando con ciò una loro assimilazione agli
istituti fondamentali degli altri Ordini religiosi. Il 29 settembre
si riunì il capitolo autunnale dei minori: durante il quale
F. si sottrasse a qualsiasi specifica funzione di governo nei
confronti dei frati, a capo dei quali venne posto uno dei suoi primi
seguaci, Pietro Cattani, a quanto pare un giurista, che
rivestì il ruolo di vicario sino alla morte.
Additato dagli agiografi alla stregua di un comportamento esemplare
nell'esercizio della virtù dell'umiltà, ricondotto
anche alle sue cattive condizioni di salute, di fatto il suo gesto
lo sottraeva al diretto coinvolgimento in un'evoluzione
istituzionale che portava assai lontano dalla scelta originaria, da
lui posta alla base della propria opzione religiosa.
Nell'inverno del 1220-21 si pose in maniera ineludibile il problema
di redigere il testo di una regola da sottoporre all'approvazione
papale, dopo che F. aveva già ricusato di adeguarsi alle
disposizioni che imponevano di adottarne una preesistente. Sino a
quella data, in verità, F. e gli altri frati si erano dati di
volta in volta norme di organizzazione e direttive di comportamento
di fronte a situazioni nuove che si prospettavano loro: con una
certa verosimiglianza, discutendole e approvandole nei capitoli
minoritici tenuti nel corso degli anni (come emerge dalla Epistola
ad ministrum).
A partire dal momento del rientro in Italia, nell'estate del 1220,
si addensano gran parte degli scritti di F.: in particolare, a essi
fece ricorso per mantenere comunque una funzione di indirizzo nei
confronti del numero ormai estremamente dilatato dei frati minori.
Il 30 maggio 1221 si radunò in Assisi il capitolo generale
minoritico detto "delle stuoie" nella cronaca di Giordano da Giano,
secondo cui ad esso prese parte un numero davvero rilevante di
frati: tra i presenti era da annoverare anche il cardinale Raniero
Capocci. Morto il 10 marzo 1221 Pietro Cattani, a lui era subentrato
nel governo dell'Ordine frate Elia da Assisi.
In quella circostanza venne decisa una nuova spedizione in Germania,
ma soprattutto si discusse il testo di una regola da sottoporre alla
Curia romana per l'approvazione. Si trattava di uno scritto di
notevole ampiezza - ben 23 capitoli -, indicato dalle fonti come
regula prima (o sine bulla) e detto comunemente regula non bullata
(cioè non approvata da una lettera pontificia con bolla
pendente). La sua complessa stratificazione rifletteva l'evoluzione
storica dell'Ordine dei frati minori, a partire dalla forma vitae
confermata da Innocenzo III. Nella redazione di quel testo F. venne
coadiuvato, in particolare, dal frate tedesco Cesario da Spira,
rientrato con lui dal Levante: un chierico che ebbe il compito di
inserire nello scritto le opportune citazioni bibliche.
Nella redazione sottoposta alla Curia romana la regola minoritica -
che rifletteva le caratteristiche di una fraternità composta,
sin dal principio e sul medesimo piano, da laici e da chierici, e
solo progressivamente trasformatasi in un Ordine religioso - non
venne però approvata: sia per la sua stesura, troppo ampia,
sia per il suo carattere scarsamente giuridico. Ebbe di conseguenza
inizio un processo di revisione, del quale si possono trovare forse
tracce in taluni testi frammentari.
In quel periodo - secondo gli episodi riferiti in maniera più
o meno esplicita dagli agiografi che vi conferirono con il passare
del tempo un tenore assai drammatico - si ebbero notevoli tensioni
tra F., i frati e la gerarchia ecclesiastica. Di esse tracce
innegabili possono essere rintracciate nel testo medesimo della
regula non bullata: in particolare negli interventi personali di F.,
marcati dall'utilizzo di forme verbali alla prima persona singolare,
oscillanti fra l'esortazione e l'ordine, il più delle volte
in relazione a problemi che non rientrarono in seguito nelle
prescrizioni della regola approvata. Nella parte finale, F.,
peraltro, fece inserire una formulazione perentoria, di osservare la
regola e di non modificarla in nulla, con termini che in seguito
marcheranno anche gli inserti da lui voluti e ottenuti nel testo
della regola approvata e verranno riutilizzati nel Testamentum.
Assai vicina al dettato degli ultimi capitoli della regula non
bullata appare una lettera di F. indicata come Epistola ad fideles:
indirizzata nella versione più ampia "universis christianis
religiosis", rappresenta un testo scritto appunto in fase di
redazione della regola; è pertanto da escludere una
destinazione a penitenti minoritici, uomini e donne, dei quali una
tradizione agiografica senza fondamento ha preteso che F. fosse
iniziatore e legislatore, nell'anno in cui venne approvato da papa
Onorio III, il 16 dic. 1221, il Memoriale propositi dell'Ordine
della penitenza. In toni che l'hanno fatto definire in parte della
tradizione manoscritta un "opusculum commonitorium et
exhortatorium", questo testo esprime una forte preoccupazione di F.
per la loro "catholicitas": una preservazione dell'ortodossia che
non deve far pensare a finalità antiereticali in senso
stretto.
Al medesimo periodo risale verosimilmente anche una Epistola ad
ministrum, indirizzata da F. a frate Elia in vista di un capitolo
minoritico di Pentecoste, nel quale si sarebbe dovuto prendere in
esame il problema dei capitoli della regula non bullata, relativi
alla penitenza, all'ammonizione e alla correzione dei frati (che
avrebbero assunto una forma più marcatamente giuridica in un
unico capitolo della regola approvata). Mentre nella prima parte
della lettera il lessico e l'intonazione richiamano il biglietto
autografo di F. a frate Leone, la parte restante contiene uno
specifico testo normativo a documentare in maniera pregnante la
prassi secondo la quale prendeva forma la legislazione minoritica.
A una predica tenuta da F. a Bologna, sulla piazza antistante il
palazzo comunale, il 15 ag. 1222 assistette una folla enorme di
persone che si accalcavano per toccare colui il quale ormai godeva
di fama di santità (tra essi anche Federico Visconti, in
seguito arcivescovo di Pisa). Era presente anche un chierico di
Spalato, Tommaso, allora studente di diritto allo Studium felsineo e
poi arcivescovo della città dalmata, e autore di una Historia
pontificum Salonitanorum et Spalatensium. In un testo svincolato dal
quadro di riferimento delle biografie agiografiche, egli annotava
con esattezza che F. non predicava alla stregua dei modelli
codificati per i chierici nelle artes praedicandi, ma si rivolgeva
ai fedeli "ad modum concionantis": utilizzando cioè un modulo
espressivo caratteristico nella pratica oratoria nei regimi
dell'Italia comunale, da lui appreso evidentemente durante la
propria formazione di giovane laico. Nel racconto del cronista si
trova un'ulteriore conferma del fatto che finalità di quelle
prediche di F. era indurre alla pace le fazioni cittadine. La
verosimiglianza di tali annotazioni trova riscontro in alcuni
episodi narrati nelle biografie agiografiche, il cui comune
denominatore è costituito dalla rilevazione che F. non
predicava in accordo con le modalità della retorica
ecclesiastica del tempo e che faceva, invece, ampio ricorso ad una
gestualità alla quale era stato acculturato.
Dopo il ritorno dal Levante la prima Vita di Tommaso da Celano
colloca l'episodio di F. che predica agli uccelli, a Bevagna, nella
valle spoletana, e poi ad Alviano, fra Orte e Orvieto, richiamato
dagli agiografi all'evidente scopo di conferire una legittimazione
soprannaturale alla predicazione francescana (e di conseguenza
largamente riutilizzato nell'iconografia). Un siffatto comportamento
da parte di F. rientrava all'interno di un atteggiamento, personale
e religioso, nei confronti della creazione e trovò compiuta
espressione e sostanziale chiarimento delle sottostanti motivazioni
teologiche nel Cantico di frate Sole (ben diverso fu l'orientamento
della letteratura agiografica, nella quale lo sviluppo andò
piuttosto nella direzione del prodigio, ad esempio nell'episodio del
lupo di Gubbio, narrato in un exemplum e poi negli Actus beati
Francisci e nei Fioretti). La scelta di predicare agli uccelli, da
parte di F., in altre circostanze poteva comportare anche una chiave
polemica, come emerge da una tradizione estranea all'agiografia
minoritica e connessa al resoconto di una predica tenuta a Roma,
inserito nella cronaca redatta da due monaci benedettini di Saint
Albans, Roger di Wendover e Matthew Paris.
Il 23 nov. 1223, veniva datata nel palazzo del Laterano la lettera
pontificia Solet annuere di papa Onorio III, con la quale era
approvata formalmente la regola minoritica (indicata dalle fonti
come regula secunda e comunemente detta regula bullata), assai
probabilmente discussa in precedenza da un capitolo dell'Ordine:
certo l'11 giugno e forse anche il 29 settembre di quell'anno si
erano tenute le abituali riunioni dei frati. La lettera papale era
indirizzata nominativamente a F. e agli altri frati dell'Ordine dei
minori (nel brano inseritovi alla fine F., al contrario, parla
ancora di fraternitas). Dal punto di vista meramente formale, il
testo si presentava come una concessione pontificia, in cui era
accolta una richiesta dei frati e, con decisa forzatura sul piano
giuridico, vi si indicava la regola come già approvata al
tempo di papa Innocenzo III e quindi semplicemente confermata da
papa Onorio III.
Si trattava di un testo assai più breve di quello della
regula non bullata, annoverando esso solo i dodici capitoli che
potevano agevolmente rientrare nello spazio di una pergamena
(attualmente conservata in un reliquiario presso il Sacro Convento
di Assisi). Evidente frutto della rielaborazione di un testo in
antecedenza discusso dai capitoli minoritici, la regola approvata
risentiva della formalizzazione giuridica conferitagli da diversi
apporti.
Il dettato della regula bullata è profondamente diverso, in
punti numerosi e spesso assai qualificanti, dalle prescrizioni
tramandate dal precedente progetto di regola, anche perché vi
si assumeva per oggetto una realtà alquanto diversa. Nel
corso degli anni la primitiva fraternitas minoritica, formata da uno
sparuto gruppo di assisani, si era progressivamente trasformata di
fatto in un Ordine religioso, anche in connessione con un massiccio
afflusso di chierici: i frati minori, ormai diffusi in tutta la
società occidentale, non potevano affatto essere governati al
di fuori di un adeguato assetto istituzionale, al cui interno era
assai difficile mantenere una prassi ispirata ad un'imitazione
letterale della vita apostolica in forme marcatamente pauperistiche.
Il ruolo di F. nella redazione della regola recepita dalla Curia
papale è segnalato, in maniera inequivocabile, dai frequenti
passi inseritivi, che iniziano con una precisa forma verbale alla
prima persona singolare: difformi dall'usuale dettato normativo,
impersonale, a indicare i punti sui quali egli fu in grado di
imporre energicamente i propri convincimenti.
Tali interventi si articolavano a diversi livelli. Si andava
dall'ammonizione - nel riprodurre in più punti l'ideale della
minoritas come orizzonte specifico dell'esperienza religiosa dei
frati, sia pure in chiave ascetica e morale (passando per un
toccante elogio della povertà) - all'ordine fermo e reciso,
formulato facendo ricorso agli stessi termini adottati nella regula
non bullata e nel Testamentum, a non ricevere denaro, a obbedire ai
superiori, a occuparsi di religiose e di monache solo a determinate
condizioni. In quest'ultimo caso era particolarmente vistosa la
difformità con le esortazioni contenute nel corrispondente
capitolo della regula non bullata, a fronte di un processo di
incorporazione delle comunità femminili di ispirazione
minoritica all'interno dell'Ordine monastico istituito alcuni anni
prima da Ugolino di Ostia: si apriva di conseguenza la strada alla
nomina dei frati a visitatori monastici, dal caso isolato del
monastero di S. Salvatore di Colpersito nelle Marche, perfezionatosi
già il 24 dic. 1223, alla nomina di un visitatore delle
monache di quell'Ordine nella persona di frate Pacifico, a
ciò designato dal cardinale sin dagli inizi del 1226.
Alla fine della regola approvata si collocava l'ingiunzione di F. a
richiedere, per obbedienza, alla Chiesa di Roma la designazione di
un cardinale protettore, con una formula del tutto analoga a quella
inserita al termine della regula non bullata. Quest'ultima
indicazione attesta, innanzitutto, che a F., di certo preoccupato
per la sorte dell'Ordine minoritico, interessava sancire in una
nuova figura istituzionale il rapporto di stretta collaborazione con
Ugolino di Ostia, intensificatosi dopo il proprio rientro dal
Levante e nel corso del faticoso processo di elaborazione e di
approvazione della regola (come ricorderà in maniera
esplicita il cardinale stesso, divenuto papa Gregorio IX, nella
lettera Quo elongati indirizzata da Anagni il 28 sett. 1230 al
ministro generale e ai ministri provinciali dei minori).
Anche se al proprio rientro dal Levante F. si era sottratto a
funzioni di governo nei riguardi dei frati, la sua presenza
carismatica aveva continuato a farsi sentire, come attestano, al di
là dell'accumularsi di episodi esemplari nelle narrazioni
agiografiche, i suoi interventi nel processo di redazione del testo
della regola. Nel periodo successivo all'approvazione definitiva
della regola minoritica egli accentuò un itinerario personale
di sequela Christi che lo portò sempre più al margine
del nuovo Ordine.
Tematiche cristologiche ricorrono in maniera sempre più
accentuata negli scritti francescani che possano essere
attendibilmente datati a quegli anni. Allora si collocano anche
episodi i quali riflettono un itinerario in cui si ripercorrono le
tappe dell'esistenza terrena del Cristo. Nella notte di Natale di
quel medesimo 1223 a Greccio (sulle alture sovrastanti la piana
reatina, dove F. aveva trascorso lunghi periodi di isolamento, nel
periodo delle estenuanti trattative con la Curia in vista
dell'approvazione della regola), nel corso della celebrazione
liturgica, egli, nella propria veste di diacono, cantò il
brano del Vangelo del giorno - secondo la prima Vita di Tommaso da
Celano - e a uno degli astanti, che ascoltavano le fervide parole
con cui F. poi si rivolse loro, apparve Gesù bambino nella
mangiatoia ivi allestita.
F. si ritrasse in ulteriore isolamento rispetto all'Ordine,
accompagnato da un ristretto numero di frati, alcuni dei quali
avevano fatto parte della fraternità primitiva (si tratta di
quei socii ai quali, più tardi, si farà risalire la
memoria di una serie di episodi non inclusi nelle biografie
agiografiche ufficiali).
A tale epoca potrebbe essere fatto risalire uno scritto denominato
in taluni codici De religiosa habitatione in eremitoriis (con
notevole forzatura indicato usualmente come regula pro eremitoriis
data): non tanto un antico frammento normativo, non inserito nelle
regole, quanto un testo posteriore all'approvazione papale della
regola e analogo ad altre Admonitiones (al termine delle quali
è tràdito nella maggior parte dei codici). In
realtà, una forma di vita solitaria era marginalmente
prevista nella regula non bullata, laddove non erano date
però indicazioni particolari né di comportamento
né di organizzazione, dal momento che non erano esistite
specifiche norme volte a reggere comunità minoritiche
caratterizzate da un originario assetto eremitico (sul quale invece
si accumulano devote tradizioni nell'agiografia francescana). Di una
siffatta forma di vita, al contrario, non si faceva cenno adeguato
nella regola approvata.
Dopo il capitolo del 2 giugno 1224, e prima del capitolo del 29
settembre, F. si ritirò con frate Leone sul monte della
Verna, nei pressi di Arezzo, per celebrarvi un periodo di ritiro e
di digiuno - una quaresima extraliturgica - in onore di s. Michele
Arcangelo.
Nessuna fonte ha tramandato una versione degli avvenimenti sulla
Verna, per lui più simile al monte degli Ulivi che al
Calvario, che possa essere fatta risalire in maniera affatto diretta
a F.: vale a dire, se egli abbia mai riconosciuto, in modo
esplicito, nelle piaghe del proprio corpo (alle mani, ai piedi e al
costato), le ferite che fecero di lui un alter Christus nella
devozione propagandata dai frati dopo la sua morte. A fronte di un
accumularsi di episodi cristomimetici ad opera degli agiografi, si
pone l'annotazione di frate Leone sulla chartula autografa di F.
(attualmente conservata in un reliquiario presso il Sacro Convento
di Assisi), in cui si menzionano la visione di un serafino che gli
parlò e l'"impressio stigmatum" nel suo corpo.
Nel mese di settembre del 1224 F. scrisse di propria mano, sul recto
di quella medesima cedola di pergamena, le cosiddette Laudes Dei
altissimi in cui uno dei motivi principali è la tribolazione
dell'anima, alla quale soccorre solo la misericordia divina.
Composte in un latino sostanzialmente corretto sul piano lessicale e
grammaticale, esse rientravano nel novero di numerosi testi latini
attribuiti a F., con caratteristiche analoghe: centoni di passi
concatenati, con riprese e con amplificazioni, ricavati da brani
liturgici e da versetti biblici (desunti innanzitutto dalla recita
quotidiana del suo breviario, nel quale i brani del Salterio erano
stati riportati nella redazione romana).
È di fatto impossibile determinare in maniera plausibile i
tempi e i luoghi della composizione di ognuno di questi testi che
erano in origine privi dei titoli assegnati loro nelle rubriche
dalla tradizione manoscritta: memorizzabili, e quindi trasmissibili
anche oralmente, erano esposti di conseguenza a rimaneggiamenti e a
devote attribuzioni. Espunte talune preghiere, o almeno la redazione
pervenutane, come ad esempio nel caso della Oratio ante Crucifixum,
a F. si può attribuire una Salutatio beatae Virginis (altre
due preghiere si trovano al termine della Epistola toti ordini missa
e nel cap. XXIII della regula non bullata), ma anche testi come la
Exhortatio ad laudem Dei (che una testimonianza tardiva voleva
autografa), le Laudes ad omnes horas dicendas e l'Officium
Passionis, e brani biblici commentati, come nella Expositio in Pater
noster e nella Salutatio virtutum.
Probabilmente dopo l'approvazione della regola nel 1223, F. si
dovrebbe essere procurato un codice membranaceo portatile, esemplato
in una minuta scrittura gotica da un cappellano della Curia papale
dopo il 1216, dove erano contenuti un breviario e un evangeliario.
Una nota di frate Leone, apposta sul verso della prima carta
allorché questi lo consegnò alla badessa del
protomonastero di Assisi (dove è ancora conservato), attesta
che F. se ne serviva per la recita dell'ufficio prevista nella
regola; peraltro, anche nella regula non bullata si considerava il
possesso di libri liturgici alla stregua di un comportamento che non
infrangesse l'osservanza della povertà minoritica: nella
tradizione di memorie che facevano capo a frate Leone, invece, a
tale possesso veniva ricollegata una forte contrarietà di
Francesco.
A richiesta di frate Leone, in un momento successivo, ma sempre
durante il soggiorno sulla Verna, F. vergò sul verso della
chartula una formula di benedizione, desunta dal libro biblico dei
Numeri, trasformandola - con l'aggiunta di un'altra formula - in una
sorta di breve, con funzioni apotropaiche, e tracciandovi un "tau"
(il cui uso, a guisa di sottoscrizione, è comprovato dalla
copia dall'originale di una versione della Epistola ad clericos,
eseguita nel monastero benedettino di Subiaco, oltre che dalle
asserzioni negli scritti di Tommaso da Celano).
Dall'autografia della chartula assisana e della Epistola ad fratrem
Leonem - una minuscola striscia di pergamena scritta sul recto
(conservata nel duomo di Spoleto) - emerge l'uso di un tipo di
scrittura notarile, diffuso in centri urbani minori dell'Umbria fra
XII e XIII secolo, di modesta tradizione culturale: a una cultura
grafica appresa da laico corrispondeva, in F., una cultura
linguistica latina non mediocre, derivata dalla consuetudine con la
Bibbia e con la liturgia (secondo la prima Vita di Tommaso da Celano
egli avrebbe appreso a leggere presso la chiesa assisana di S.
Giorgio, presumibilmente sul Salterio). La lettera a frate Leone,
databile forse dopo la fine del 1223, rientra piuttosto nella
consuetudine monastica delle lettere spirituali, anche se la
propensione a scrivere di F. ha radici assai complesse.
Nel periodo successivo all'approvazione papale della regola, dunque,
si incrementarono gli scritti indirizzati da F. a diversi
destinatari, la cui datazione è spesso del tutto
congetturale.
Una breve lettera, dal tenore estremamente secco (sempre che ne sia
stato tramandato integralmente il testo) venne da lui indirizzata,
forse tra la fine del 1223 e gli inizi del 1224, a frate Antonio da
Lisbona (in seguito detto da Padova): in essa, richiamandosi al
quinto capitolo della regola, concernente il lavoro e la
mendicità dei frati, F. precisava quali fossero le
priorità della vocazione minoritica, nel momento in cui si
autorizzava Antonio a insegnare la teologia ai frati dell'Ordine.
A riflettere in maniera diretta i problemi che si prospettavano a
F., anche se è davvero assai difficile determinare in quali
anni a partire dal 1220 (né è indispensabile
ricollegarsi in maniera troppo stretta alle riunioni capitolari
minoritiche ovvero al processo di elaborazione della regola), una
serie di detti risalenti ai suoi ultimi anni di vita vennero
raccolti dai frati nelle Admonitiones ("verba sacrae admonitionis",
come li definisce la rubrica del manoscritto 338 della Biblioteca
comunale di Assisi, esemplato presso il Sacro Convento tra la fine
del XIII e gli inizi del XIV secolo, a configurare una sorta di
autorevole antologia degli scritti francescani). Sviluppate in un
testo dove le riflessioni si susseguono - alla stregua di altri
scritti francescani e in particolare del Testamentum - con il metodo
della concatenazione, nel loro caso è però evidente un
intervento di rielaborazione, perlomeno stilistica a ricomporre
brani che avevano avuto una genesi anche diversificata (del genere
di quella attestata dalla trasmissione dell'episodio "De vera
laetitia").
Nell'ultimo biennio di vita si colloca anche la redazione del
Cantico di frate Sole (o Cantico delle creature ovvero Laudes
creaturarum), in una lingua volgare umbra, marcata decisamente da
forme latine di derivazione biblica, desunte dalla liturgia, dalla
quale tecnicamente derivava la stessa intitolazione, attribuitagli
dagli agiografi e dalla tradizione manoscritta.
Nel racconto della Legenda antiqua la composizione del testo viene
disposta secondo una precisa scansione temporale, a partire
dall'autunno-inverno 1224-1225 e da un soggiorno di F., malato,
presso il monastero di S. Damiano in Assisi: a una parte iniziale,
concernente le creature inanimate, sarebbero stati aggiunti alcuni
versi, in occasione di un conflitto tra il vescovo e il
podestà di Assisi, e altri in prossimità della morte
di F. (in ciò riflettendo forse circostanze legate a
un'effettiva esecuzione canora). Si tratta comunque di un
componimento fortemente unitario, al di là delle circostanze
della sua redazione finale (il che svuota di contenuto ogni disputa
sul presunto luogo di composizione e sulla connessa cronologia).
Ispirato al Benedicite (Daniele III, 52-90) e al Salmo 148, risulta
essere in realtà un testo pensato con molta cura, nella
corrispondenza fra le parti e nella struttura numerico-simbolica,
con un retroterra non esclusivamente biblico-liturgico, ma anche
teologico (nell'assorbimento di talune tematiche da parte di F. deve
aver contribuito la sua familiarità con chierici divenuti
frati).
Il Cantico è redatto in un volgare umbro di impronta
prosastica, in membri di uguale estensione, sul modello dei ritmi
biblici nella versione latina della Vulgata, con rime e assonanze
finali a cadenzarlo in conformità alla prassi curiale del
cursus. Era corredato da una notazione musicale, probabilmente una
melodia corale gregoriana, purtroppo non conservata dalla tradizione
manoscritta del testo (senza che peraltro sia necessario pensare a
una composizione e a una trasmissione esclusivamente orali).
Rispetto alle altre preghiere paraliturgiche opera di F.,
l'innovazione, da parte sua, fu costituita dalla redazione in lingua
volgare, alla quale non era estranea la dichiarata volontà
che il Cantico venisse eseguito anche in seguito.
Dal punto di vista linguistico molto si è discusso
soprattutto sul valore da dare all'uso fatto nel testo della
preposizione "per" (in effetti non del tutto in piena corrispondenza
con quello allora corrente): in verità, se essa intende
esprimere una lode rivolta a Dio a causa degli attributi riferiti
alle sue creature, il Cantico assume l'ulteriore significato di
un'esplicita professione di fede cristiana (almeno se messo a
confronto con le credenze dualistiche, a quel tempo professate dagli
aderenti alle chiese catare in Italia con le quali, peraltro, non
risulta F. polemizzasse direttamente).
All'inverno 1224-1225, oltre alle Laudes creaturarum, la Legenda
antiqua faceva risalire anche la composizione da parte di F. di
"sancta verba cum cantu" (forse una melodia corale gregoriana), per
le monache di S. Damiano di Assisi di cui tramandava il tenore in
lingua latina (il testo che inizia con le parole Audite poverelle,
tràdito esclusivamente da un manoscritto veronese dal quarto
decennio del secolo XIV, ne offre una versione in volgare).
L'attenzione che F. prestava alla comunità religiosa delle
damianite è attestata anche da una Ultima voluntas, che egli
fece pervenire loro poco prima di morire: tramandata però
unicamente in quello stesso capitolo VI della regola redatta da
Chiara d'Assisi (approvata da papa Innocenzo IV il 9 ag. 1253), in
cui è inserita anche una forma vivendi redatta per loro. Nei
due testi sono conservate rispettivamente un'esortazione a
perseverare nella sequela Christi e a non abbandonare l'altissima
povertà, e la promessa di assistenza da parte di F. e dei
frati: ad attestare ulteriormente gli stretti rapporti tra F. e
quella comunità di religiose la Legenda antiqua riferisce di
una sua benedizione indirizzata loro, sempre al volgere
dell'esistenza.
La Epistola toti ordini missa (detta anche ad capitulum) costituisce
lo scritto francescano con la più ampia tradizione
manoscritta (con l'ovvia eccezione delle regole e del testamento).
Indirizzata al ministro generale, quindi a frate Elia, e a tutti gli
altri superiori dell'Ordine, venne redatta, in un testo rivisto da
un segretario, in un'epoca successiva all'approvazione papale della
regola (se non a un'altra lettera di Onorio III, Quia populares
tumultus, del 3 dic. 1224). Quella Epistola aveva per destinatari
soprattutto i chierici, tra i frati, e consisteva in una strenua
esortazione a osservare i punti della regola che a F. parevano
più qualificanti: l'invito a conservarne il testo, il
contenuto, i toni e l'uso delle forme verbali la inserivano nel
novero delle riflessioni che si coagularono poi nel Testamentum. I
copisti successivi tentarono di razionalizzarne le circostanze di
composizione, rubricandola anche come "epistola sancti Francisci de
corpore Christi" a rimarcare il principale argomento in essa
trattato. A influenzare in maniera profonda la devozione di F. per
l'eucaristia aveva da tempo contribuito la lettera Sane cum olim di
papa Onorio III, del 22 nov. 1219, con la quale il pontefice ne
aveva energicamente promosso il culto.
Anche la Epistola ad custodes rifletteva il medesimo genere di
preoccupazioni: in essa, assai più succintamente, si
invitavano i superiori dei frati a far curare la manutenzione degli
arredi liturgici e ad assicurare un'adeguata conservazione delle
sacre specie. Alla fine vi era un'esortazione a predicare la
devozione per l'eucaristia, ma anche a far riprodurre e a conservare
il testo della lettera stessa (notevoli dubbi solleva, invece, la
genuinità di una sua ulteriore redazione, tramandata solo in
una versione in lingua spagnola).
Analogamente incentrata sulla devozione eucaristica era una lettera
indirizzata da F. agli altri chierici dell'Ordine, con l'invito a
conservarla, la cosiddetta Epistola ad clericos (indicata nella
redazione manoscritta anche come "De reverentia corporis Domini et
de munditia altaris"): un testo dalle caratteristiche assai simili a
quelli raccolti nelle Admonitiones, e che di certo ebbe una
circolazione scritta in forma epistolare (temi similari si trovavano
anche in una Epistola ad populorum rectores, della cui
autenticità e genuinità è perlomeno lecito
dubitare).
Nelle biografie agiografiche il periodo che va dalla metà del
1225 ai primi mesi del 1226 è caratterizzato soprattutto
dalle traversie che, a causa della malattia agli occhi, F.
subì, nell'inutile tentativo di essere curato, soprattutto a
Rieti, dove allora soggiornava la Curia papale.
All'incirca sei mesi prima della morte, vale a dire
nell'aprile-maggio del 1226, mentre si trovava a Siena, F.
patì un improvviso peggioramento delle proprie condizioni
generali di salute e, secondo la Legenda antiqua e lo Speculum
perfectionis, avrebbe fatto chiamare frate Benedetto "de Piratro" e
gli avrebbe dettato una benedizione per tutti i frati e un sommario
testamento, il cui tenore è stato però conservato solo
nelle compilazioni agiografiche.
Non è peraltro necessario pensare a una pluralità di
testamenti, dettati ripetutamente nell'ultima fase dell'esistenza,
anche se F. dovette ribadire a più riprese, a voce, ai socii
che lo assistevano, la propria fedeltà ai motivi ispiratori
di una scelta di vita religiosa (rimane comunque aperta la
possibilità di eventuali stesure, a precedere la redazione di
quello dettato ad Assisi prima della morte).
Il Testamentum beati Francisci venne espressamente da lui definito,
nel testo stesso, una "recordatio, admonitio, exhortatio et meum
testamentum", che egli lasciava ai frati per favorire una migliore
osservanza della regola approvata da Onorio III tre anni prima:
escludendo, in modo esplicito, che potesse venire inteso alla
stregua di un'altra regola.
Se nella prima parte dello scritto F. scandiva i momenti della
propria esistenza, sulla base di episodi ben selezionati (nel cui
novero non aveva rilevanza tanto la successione cronologica, quanto
l'indicazione dei momenti qualificanti delle proprie scelte di
vita), nella seconda parte del Testamentum egli esprimeva le sue
preoccupazioni più profonde, non avendo di mira tanto le
prescrizioni della regola approvata da Onorio III, come parrebbe
suggerire il continuo richiamo a situazioni diversamente codificate
nella regula non bullata, quanto le numerose lettere pontificie
concernenti i frati minori emanate sin dalla fine del 1223 a
ratificare un assetto istituzionale dell'Ordine in una direzione
della quale F. era ben consapevole. Tracce di una presa di posizione
in merito si trovano nel Testamentum, in talune dure affermazioni
sulla povertà delle abitazioni dei frati e delle loro chiese
e sulla precarietà del loro possesso: se nella lettera di
Onorio III, Devotionis vestre, indirizzata da Anagni il 31 marzo
1222 (e reiterata il 5 aprile) a F. e agli altri frati minori,
l'ipotesi che essi possedessero chiese per celebrarvi i divini
uffici era puramente eventuale, nella lettera Quia populares
tumultus, che dal Laterano il medesimo pontefice indirizzò il
3 dic. 1224 all'Ordine dei frati minori, si dava per scontato che
essi ne possedessero e si estendeva loro un privilegio liturgico,
concesso in via ordinaria agli altri Ordini religiosi (anzi, per
almeno tre volte fra l'agosto e il settembre del 1225, papa Onorio
III dovette ribadirne il contenuto in lettere indirizzate a diversi
prelati francesi).
Un siffatto moltiplicarsi di lettere pontificie a favore dei frati,
dopo l'approvazione della regola, venne aspramente deplorato da F.
nel Testamentum, allorché vi si ordinava, con una formula
perentoria già presente nella regola stessa, di non
richiederne in alcun modo la concessione: anzi, talune espressioni
del testo richiamavano in modo particolare tre lettere papali,
inviate fra l'ottobre del 1225 e il marzo del 1226, e concernenti i
frati minori e i frati predicatori i quali si recavano in missione
nel Marocco.
Prima della benedizione finale, che F. impartiva a tutti i suoi
frati, egli inserì una ferma prescrizione alla gerarchia
dell'Ordine, a non modificare questo testo, a osservarlo insieme
alla regola e a leggerlo con essa, a non volerne chiosare le
disposizioni letterali. Alla disputa sul valore da assegnargli papa
Gregorio IX volle assai presto mettere fine, su richiesta di una
delegazione di frati, con la lettera Quo elongati del 28 sett. 1230
nella quale, oltre a chiarire l'interpretazione di alcuni punti
controversi della regola minoritica, egli affermò con
decisione che il Testamentum non aveva alcun valore giuridico per i
frati.
Dopo aver soggiornato in diverse località (individuate a
partire dalla prima Vita di Tommaso da Celano), quando le sue
condizioni si aggravarono in maniera definitiva, F. venne trasferito
presso la chiesa della Porziuncola, dove morì nella notte fra
il 3 e il 4 ott. 1226. Il giorno seguente il suo corpo venne
trasportato, con una sosta lungo il percorso presso il monastero di
S. Damiano, nella chiesa di S. Giorgio, eretta all'interno delle
mura cittadine (nel luogo dove in seguito fu edificata la basilica
intitolata a S. Chiara d'Assisi).
A frate Elia, allora a capo dell'Ordine dei frati minori, è
attribuito da tempo il testo di una lettera indirizzata a frate
Gregorio da Napoli, Ministro della provincia minoritica di Francia,
in cui egli prospettava in maniera esplicita, per la prima volta,
l'assimilazione delle piaghe sul cadavere di F. con le ferite di
Cristo crocifisso. F. fu ufficialmente ascritto nel novero dei santi
universali della Chiesa con la lettera Mira circa nos di papa
Gregorio IX, datata a Perugia il 19 luglio 1228, al termine di un
processo di canonizzazione dai ritmi insolitamente accelerati,
condotto fra Assisi e Perugia nel periodo compreso fra il 10 giugno
e il 16 luglio di quell'anno (i cui atti, peraltro, non ci sono
pervenuti; una parziale traccia ne è rimasta nei miracoli
elencati alla fine della prima Vita di Tommaso da Celano). La
solenne canonizzazione ebbe luogo in Assisi il 16 luglio 1228,
verosimilmente nell'area antistante la chiesa di S. Giorgio. Dopo
l'inizio dei lavori di costruzione della grande basilica intitolata
a F., le sue spoglie vennero fatte tumulare da frate Elia nell'area
sottostante l'altare maggiore della chiesa inferiore, il 25 maggio
1230.
Scritti. Gli scritti francescani appaiono di natura alquanto
diversa. Vi sono gli autografi, soprattutto la chartula assisana,
contenente le Laudes Dei altissimi, la benedizione a frate Leone e
il biglietto a frate Leone. Altri testi vennero probabilmente
riportati dalla sua viva voce, e in parte rielaborati sul piano
dello stile, come ad esempio i verba sacrae admonitionis. In
prevalenza, però, F. si avvalse di un frate, che facesse da
segretario-scrivano, per dettargli i propri testi ed eventualmente
farli redigere in un corretto latino.
Tracce della dettatura da parte di F., in volgare umbro e almeno in
parte in latino, si trovano in numerosi testi, caratterizzati dalla
persistenza della paratassi e dell'uso di specifiche forme verbali:
indenni da qualsiasi forma di rielaborazione, tali elementi sono
stati integralmente conservati nel Testamentum, per essere stato
redatto nel periodo antecedente alla morte.
L'unica traccia dell'effettiva circolazione delle lettere di F. si
trova nella copia di una Epistola ad clericos, eseguita sul foglio
di guardia di un manoscritto proveniente dal monastero benedettino
di Subiaco. Altre lettere sono state conservate unicamente dalla
tradizione manoscritta delle raccolte dei testi francescani oppure
dalle compilazioni agiografiche: in queste ultime, e nelle cronache,
si accenna a ulteriori lettere, anche autografe, andate smarrite
(indirizzate, nel caso, al cardinale Ugolino; a Chiara e alle
sorores di S. Damiano; al ministro e ai frati di Francia, scritta di
sua mano in occasione del capitolo del 1221; a tutte le scuole di
Bologna, nel 1222; a Jacopa dei Settesoli, nei giorni immediatamente
precedenti la morte).
Più complesso appare, invece, il carattere di scritti
francescani da attribuirsi alle regole minoritiche, nel cui processo
di redazione egli ebbe comunque una parte di rilievo. Tanto nella
prima quanto nella seconda regula, le parti inserite per immediata
volontà di F., nell'insieme di norme stratificatesi negli
anni e dopo la loro revisione ad opera della Curia romana, sono
agevolmente identificabili per l'uso di formule precettive alla
prima persona singolare.
Fonti agiografiche. L'esigenza di diffondere il culto per il nuovo
santo indusse papa Gregorio IX ad affidare a un frate minore,
l'abruzzese Tommaso da Celano, la redazione di una leggenda
agiografica (Vita beati Francisci, detta comunemente Vita prima), da
questo portata a termine nel periodo compreso fra la cerimonia di
canonizzazione del luglio 1228 e gli inizi del 1229. Da essa dipese,
in maniera assai stretta, una Legenda ad usum chori, redatta dallo
stesso Tommaso intorno al 1230, per le necessità liturgiche
dei frati. All'incirca negli stessi anni, fra il 1232 e il 1235 il
frate minore tedesco Giuliano da Spira aveva versificato un ufficio
ritmico del santo, con testi derivati dalla Vita celaniana e da
utilizzare per la recita nel breviario minoritico: lo stesso frate a
Parigi scrisse anche una Vita sancti Francisci. Una Legenda sancti
Francisci versificata del chierico Henri d'Avranches, risalente al
1232-1234, a sua volta aveva per fonte il testo celaniano.
Intorno al 1240-1241 a Perugia un frate minore, di nome Giovanni,
socius di frate Egidio da Assisi, ne raccolse le memorie, unitamente
a quelle di frate Bernardo da Quintavalle, concernenti in
particolare i primordi della religio minoritica (un aspetto rimasto
in sottordine nella Vita del celanese), e le organizzò nel De
inceptione et actibus illorum fratrum minorum qui fuerunt primi
ordinis et socii b. Francisci (pubblicato come opera di un anonimo
perugino).
In un periodo di trasformazioni che interessavano anche l'altro
Ordine mendicante dei frati predicatori e che mettevano in questione
le figure dei rispettivi fondatori (con il connesso emergere di
racconti a loro riferiti), il capitolo generale minoritico radunato
a Genova nel 1244, sotto il ministro generale Crescenzio da Jesi,
promosse una raccolta di memorie relative, in particolare, alle
gesta e ai miracoli del santo assisiate. Si discute se una lettera
inviata dall'eremo di Greccio, l'11 ag. 1246, dai frati Leone,
Rufino e Angelo, abbia costituito la premessa a un perduto
florilegio: nella tradizione manoscritta essa viene costantemente
premessa al testo denominato Legenda trium sociorum, redatto in
ambiente assisano fra il 1246 e 1247, e in larga misura ricalcato
sul De inceptione di frate Giovanni da Perugia.
Alle "memorie" di frate Leone - il compagno costantemente vicino a
F. negli ultimi anni della vita e responsabile della conservazione
di importanti reliquie (oltre agli autografi, il cosiddetto
breviario di s. Francesco) - faceva capo una larga parte dei
materiali raccolti fra 1246 e 1247 in seguito confluiti, in ampia
misura, in un manoscritto prodotto fra 1310 e 1312 presso il Sacro
Convento di Assisi (pubblicato a più riprese e con diversi
titoli: Legenda antiqua - impropriamente detta Perusina -, Scripta
Leonis Rufini et Angeli, Compilatio Assisiensis). Dai medesimi
materiali pare dipendere, in ultima analisi, anche un'altra
raccolta, databile al 1318 e denominata Speculum perfectionis.
Sulla base delle testimonianze allora radunate, fra 1246 e 1247
frate Tommaso da Celano, a integrazione della propria precedente
opera, redasse una nuova leggenda agiografica, da lui definita
"memoriale de gestis et verbis sanctissimi patris nostri Francisci"
(comunemente indicata come Vita secunda). Ad essa fece seguire una
raccolta di "miracula beati Francisci" (usualmente denominata
Tractatus de miraculis).
Una collocazione a parte compete al Sacrum commercium sancti
Francisci cum domina Paupertate, un'allegoria in chiave cortese
della povertà minoritica, datata inverosimilmente in alcuni
manoscritti al 1227, e da assegnare con maggiore plausibilità
ai decenni centrali del secolo XIII.
Divenuto nel 1257 ministro generale dell'Ordine dei frati minori,
dopo essere stato maestro di teologia a Parigi, Bonaventura da
Bagnoregio fu incaricato dal capitolo generale, tenuto a Narbona nel
1260, di redigere una nuova legenda a carattere ufficiale, che fu
approvata dal capitolo generale di Pisa del 1263. Il capitolo
generale dell'Ordine, radunatosi a Parigi nel 1266, peraltro,
ordinò di distruggere ogni precedente legenda francescana,
allo scopo di diffondere in maniera esclusiva la ricostruzione
biografica e agiografica offerta dalla Vita beati Francisci
bonaventuriana (detta usualmente Legenda maior, per distinguerla
dalla Minor vita o Legenda minor, che egli stesso ricavò
dalla precedente, compendiandola ad uso liturgico). Anche se un
altro capitolo generale minoritico, adunato a Padova nel 1276,
revocò tale drastica disposizione, nei secoli successivi lo
scritto bonaventuriano rappresentò un filtro estremamente
efficace dell'immagine di F.: abile rielaborazione sul piano
religioso e politico-ecclesiastico delle precedenti biografie
agiografiche celaniane, condizionò anche la raffigurazione
artistica del santo e delle sue storie.
Quanto ai celeberrimi Fioretti, essi sono in verità il frutto
del volgarizzamento, ad opera di un anonimo toscano fra 1370 e 1390,
della gran parte della raccolta degli Actus beati Francisci et
sociorum eius, scritta fra 1327 e 1340 dai frati marchigiani Ugolino
Boniscambi da Montegiorgio e Ugolino da Bruniforte. Negli Actus
frammenti di memorie a fondamento storico sono calati all'interno di
un'atmosfera favolistica e irreale, in cui la narrazione è
fortemente condizionata dalle contemporanee polemiche dell'ala
radicale dei frati marchigiani nei confronti della dirigenza
dell'Ordine francescano.
Nelle compilazioni che si andarono moltiplicando nel corso del
secolo XIV confluirono sostanzialmente, oltre ad altri scritti
allora attribuiti a F., anche materiali compositi ricavati dal
precedente patrimonio agiografico.
Iconografia. In assenza di un'immagine risalente al medesimo F., la
sua prima rappresentazione, eseguita ad affresco da un maestro
laziale nella cappella di S. Gregorio nel Sacro Speco a Subiaco,
riproduceva una figura tradizionale di benedettino, adattata con la
sovrapposizione di un cordone minoritico all'abito monastico.
A partire da una perduta tavola cuspidata, eseguita da Bonaventura
Berlinghieri forse già nel 1228, il culto per il nuovo santo
si diffuse attraverso la tipologia della tavola istoriata: con la
figura di F. ritta al centro del dipinto, circondata da riquadri con
i prodigi operati in vita e dopo la morte (l'esemplare più
antico è una tavola, sottoscritta e datata al 1235 dallo
stesso Bonaventura Berlinghieri, per la chiesa del convento di S.
Francesco a Pescia). In stretta dipendenza dalle biografie
agiografiche ufficiali, redatte da Tommaso da Celano, attraverso
tavole istoriate e affreschi si affermano gli elementi
caratteristici dell'iconografia francescana medievale: la predica
del santo agli uccelli e la stigmatizzazione sulla Verna, episodi
che ebbero una vasta fortuna anche nel repertorio miniaturistico,
malgrado reiterate obiezioni e l'opposizione di ambienti
ecclesiastici. Solo nella tavola di un maestro toscano, eseguita nei
primi anni Quaranta del secolo XIII per la chiesa francescana di S.
Croce a Firenze, paiono emergere frammenti di altre tradizioni.
Alla diffusione di immagini isolate del santo, dipinte su tavola,
ispirate alla descrizione somatica di F. offerta dagli scritti
agiografici celaniani, si dedicò invece il pittore
Margaritone d'Arezzo (menzionato nel 1262).
Se anche il ciclo di affreschi eseguito nella chiesa inferiore della
basilica di S. Francesco in Assisi traeva sempre ispirazione dai
medesimi scritti celaniani, l'avvenuta eliminazione dei testi
agiografici anteriori alla Legenda maior di Bonaventura da
Bagnoregio fece assurgere quest'ultima a esclusiva fonte di
ispirazione della committenza per il ciclo con le Storie di san
Francesco, eseguito nella chiesa superiore, nel corso dell'ultimo
decennio del secolo XIII (come ulteriormente mostrano le didascalie
da essa tratte e collocate al di sotto dei singoli riquadri).
L'opera divenne, in sostanza, normativa sul piano iconografico per
gli artisti successivi.
Solo a partire dalla fine del secolo XIV il repertorio iconografico
si allargò a episodi narrati nei Fioretti (ad esempio negli
affreschi eseguiti da un maestro senese per il coro della chiesa di
S. Francesco a Pienza). La grande fortuna delle immagini di F.
nell'arte dell'età della Controriforma e del barocco, infine,
traeva un'ispirazione a carattere meramente strumentale dalle fonti
medievali, allo scopo di riferire, invece, la figura del santo alle
maggiori correnti devozionali di quell'epoca.