Wahhabismo

 

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Movimento rigorista musulmano sorto nel Neged (Arabia centrale) alla metà del 18° sec. e dal 1925 esteso anche al Hegiaz. Fondatore fu Muḥammad ibn ‛Abd al-Wahhāb (n. 1703 - m. 1792), le cui idee ebbero l’appoggio dell’emiro Muḥammad ibn Sa‛ūd, fondatore della dinastia (Āl Sa‛ūd) tuttora regnante in Arabia Saudita. I w. ripudiano ogni credenza o usanza giudicata contrastante o introdotta posteriormente ai primi insegnamenti dell’islamismo, e tra queste il culto dei santi e delle loro tombe (compresa quella del Profeta stesso); rifiutano inoltre il misticismo e la teologia speculativa (kalām).

 

Wikipedia

Wahhabismo è il nome del movimento riformatore, sviluppatosi in seno alla comunità islamica, fondato da Muhammad ibn ʿAbd al-Wahhāb (al-ʿUyayna, Najd, 1703 - Darʿiyya, pressi di Riyāḍ, 1792).

La storia

Di formazione giuridica e teologica hanbalita, particolarmente influenzato dalla dottrina espressa da Ibn Taymiyya (ma del tutto erroneo e fuorviante sarebbe prospettare un'equivalenza fra hanbalismo e wahhabismo), Muhammad ibn ʿAbd al-Wahhāb si recò da giovane dalla nativa regione del Najd (attuale Arabia Saudita) a Medina, Basra, Baghdad, in Iran, e al Cairo e, tornato infine nella penisola araba, si stabilì nell'oasi di al-ʿUyayna dove entrò in contatto amichevole con l'emiro Muhammad bin Saʿūd, fondatore della Casa di Al Saud.

Spostatosi a Darʿiyya (o Dirʿiyya), egli guadagnò alla sua visione del mondo il figlio dell'emiro e nel 1744 Ibn ʿAbd al-Wahhāb e Muhammad ibn Saʿūd si giurarono fedeltà reciproca, con l'intento di realizzare una comune azione per il rinnovamento dei costumi che entrambi giudicavano eccessivamente rilassati.

L'alleanza fra il leader religioso e il signore della città fu la pietra angolare di quello che sarebbe divenuto, molto tempo dopo, il regno saudita. Ma fu anche la ragione della diffidenza che la Wahhābiyya suscitò nell'Impero Ottomano. Allorché i Sa'ud si impadronirono delle città sante di Mecca e Medina, con una serie di pesanti azioni di guerriglia che - senza decisivi risultati - furono contrastate col massimo dell'impegno dai vari khedivè egiziani che avevano la "tutela" dei Luoghi Santi del Ḥijāz, il Sultano di Costantinopoli chiese a Mehmet Ali, governatore dell'Egitto, di eliminare i wahhabiti. La campagna militare ebbe successo, ma i sauditi, dopo la partenza degli egiziani, riuscirono a ricostituire uno Stato fortemente religioso.

Quando nel 1924 ʿAbd al-ʿAzīz ibn Saʿūd prese il potere in Arabia, abbattendo il breve regno del Ḥijāz (1924-1925) - sorto col beneplacito dalla Gran Bretagna per rimeritare il suo antico alleato, lo sharīf di Mecca, al-Ḥusayn ibn ʿAlī ibn ʿAwn, nominale capo della Rivolta Araba anti-ottomana nel corso della I Guerra Mondiale - il nuovo Stato adottò il wahhabismo come dottrina ufficiale e traeva la sua legittimità dal possesso di due fra i tre grandi luoghi santi dell'Islam. Ma la sua influenza non sarebbe stata così importante se il suo territorio non avesse custodito, insieme alla Mecca e alla Medina, una straordinaria ricchezza petrolifera.

È questa la ragione per cui il regno dei Saud, costituzionalmente legittimato dalla sua missione spirituale e prodigiosamente arricchito dal petrolio, deve giustificare ancora oggi in termini religiosi ogni sua importante iniziativa internazionale.

Il pensiero

Agli inizi la Wahhābiyya era soltanto uno dei tanti ritorni alla purezza e al rigore originale. L'insegnamento del suo iniziatore era fondato sull'unicità di Dio, sull'osservanza rigorosa del Corano e sulla severa condanna delle consuetudini religiose (la visita ai sepolcri dei personaggi famosi, per esempio) che si erano depositate come altrettante stratificazioni, nel corso del tempo, sulle pratiche devozionali dei musulmani.

Rigorosamente ostile a ogni interpretazione personale (raʾy) dei giurisperiti musulmani, il wahhabismo (come ogni movimento neo-hanbalita) guarda con sospetto anche le pratiche del sufismo ed è a favore di una lettura esoterica della sharīʿa, seguendo la dottrina del "bi-lā kayfa".

In base a ciò la monarchia saudita si è sempre sentita legittimata a proporre un regime di tipo tradizionale quanto ad assetti politici interni e a costumi (rigida separazione dei sessi). Per questo essa non ha sentito alcun bisogno di adottare una Costituzione che ne potesse limitare e controllare i poteri assoluti né ha mai avviato un reale processo di codificazione giuridica. Gli stessi organismi politici rappresentativi non sono espressi da apposite elezioni cui concorra una qualche varietà di partiti ma dalla benevola scelta discrezionale operata nella società dalla famiglia saudita che, in politica estera, ha mantenuto peraltro un costante orientamento filo-occidentale.

Il richiamo ai valori islamici più restii ad accogliere il prodotto delle complesse e raffinate elaborazioni proposte nei secoli dal pensiero non-hanbalita e gli orientamenti politici filo-statunitensi affermatisi nel regno dopo la seconda guerra mondiale sono diventati, specie dopo la guerra dei sei giorni, oggetto di profonda riflessione, discussione e persino di contestazione più o meno violenta all'interno del regno.

Forte rimane l'influenza del Wahhabismo sui movimenti militanti contemporanei arabi e islamici che si propongono di disegnare nuovi equilibri geo-strategici planetari in funzione dell'eccellenza del modello islamico, ma problematico rimane un giudizio non di parte sulla sua positività o negatività, dal momento che il pensiero hanbalita sembra possedere in teoria gli strumenti metodologici meglio orientati per affrontare positivamente, con l'arma dialettica dell'ijtihād, lo spinoso e finora non ben risolto problema del rapporto fra modernità e Islam.