Alfonso Ferrero della Marmora

 

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Alfonso Ferrero della Marmora (o Alfonso della Marmora o Alfonso La Marmora) (Torino, 17 novembre 1804 – Firenze, 5 gennaio 1878) è stato un generale e politico italiano.

Biografia

Alfonso fu il dodicesimo nato, settimo tra i maschi, dei sedici figli del marchese Celestino Ferrero della Marmora e di Raffaella Argentero di Bersezio. Tra i fratelli di Alfonso, ci furono altri tre generali La Marmora, il senatore Carlo Emanuele, braccio destro di re Carlo Alberto, il senatore Alberto che fu anche scienziato e studioso e Alessandro fondatore del corpo dei Bersaglieri.

Diplomato presso l'Accademia militare di Torino nel 1822, nel 1823 fu incaricato dal Re di Sardegna Carlo Alberto di dirigere il rammodernamento dell'artiglieria sarda. Come il fratello Alessandro La Marmora, fondatore dei Bersaglieri, Alfonso Ferrero della Marmora fu un riformatore dell’esercito sabaudo. Dopo numerosi viaggi in Europa, mise a punto un nuovo corpo di artiglieria a cavallo, le Voloire, sul “modello degli affusti di tipo Gribeauval”, un tipo di cannoni ad alta manovrabilità messo a punto alla fine del Settecento da Jean Baptiste Vaquette de Gribeauval. Il nuovo corpo venne istituito l’8 aprile 1831 con Regie Patenti della regina Maria Cristina di Savoia, dopo che le prime due batterie erano già state predisposte nel 1828 quando Alfonso era ancora tenente.

Nel 1848 ottenne il grado di colonnello e la medaglia d'argento durante l'assedio di Peschiera. Il 5 agosto 1848 liberò Carlo Alberto dai rivoluzionari milanesi. Nel mese di ottobre dello stesso anno, venne promosso generale e successivamente divenne ministro della guerra con il gabinetto Perrone, carica riottenuta nel 1849 con Vincenzo Gioberti.

Dopo la sconfitta di Novara fu inviato a Genova che era insorta contro la monarchia sabauda, rivendicando l'indipendenza ligure. La Marmora sedò la ribellione nota come Moti di Genova al prezzo di una feroce repressione :

«A mezzogiorno del 5 aprile ‘49 le batterie dei piemontesi cominciarono a sparare sulla città. Il bombardamento durò 36 ore, provocando incendi, crolli, devastazioni sui quartieri più poveri e una moltitudine di vittime e feriti. Poi entrarono in azione i bersaglieri e furono saccheggi, stupri e violenze d'ogni genere contro gli insorti».

Al termine della rivolta e della risposta militare si contarono più di 450 morti. Dopo questa azione, La Marmora fu promosso tenente generale.

Con Massimo d'Azeglio e Camillo Cavour fu nominato nuovamente ministro della guerra e riorganizzò l'esercito rendendolo forte e flessibile, nonostante il ridotto numero degli effettivi.

Nel 1855 fu al comando della spedizione di Crimea, distinguendosi nel combattimento della Cernaia.

Una volta firmata la pace venne promosso generale di corpo d'armata. Combatté a San Martino nel 1859 contro l'esercito austriaco. Dopo l'armistizio di Villafranca fu per sei mesi Presidente del Consiglio, in sostituzione di Cavour, che si era dimesso.

Nel 1860 fu inviato a Berlino e San Pietroburgo con il compito di ufficializzare il riconoscimento del Regno d'Italia presso gli altri paesi europei. Successivamente ottenne la carica di governatore di Milano. Nel 1861 venne nominato prefetto di Napoli e comandante della città, sostituendo Enrico Cialdini nella repressione del brigantaggio.

Il 15 settembre 1864 il capo del governo Marco Minghetti sottoscrisse una convenzione franco-italiana, in forza della quale otteneva da Napoleone III il ritiro della guarnigione francese da Roma, ma accettava di trasferire la capitale da Torino a Firenze. Il Re licenziò Minghetti con un telegramma e, il 28 settembre 1864, lo sostituì con il La Marmora. Nel corso del suo governo egli trasferì la capitale in tempo record (3 febbraio 1865) ed ottenne dalla Spagna il riconoscimento del Regno d'Italia.

Nel 1865 rassegnò le dimissioni, ma subito dopo per ordine del Re si ritrovò a dover formare un nuovo ministero: come primo ministro stipulò l'Alleanza italo-prussiana (1866) e, pur di rimanere coerente ad essa, rifiutò l'offerta austriaca del Veneto in cambio della neutralità italiana in quella che sarà la Terza guerra di indipendenza.

Il 20 giugno 1866 lasciò il governo per entrare in guerra con la carica di comandante dell'esercito, ma, a causa della perdita della guerra culminata nella sconfitta di Custoza del 23 giugno 1866, ne fu esonerato durante l'armistizio di Cormons (12 agosto 1866). Fu ancora a capo, per un breve periodo, del corpo d'armata di Firenze, dove nel frattempo era stata trasferita la capitale.

Dopo la presa di Roma fu primo luogotenente del Re d'Italia nei territori ex-pontifici. Infine si ritirò a vita privata. Morì a Firenze il 5 gennaio 1878. Venne sepolto nella città avita di Biella, nella cripta La Marmora presso la chiesa di San Sebastiano dove riposano anche gli altri tre fratelli generali.