Cadornismo
da
Gramsci
le sue idee nel nostro tempo
Editrice l'Unità, Roma 1987
Del generale Luigi Cadorna, capo di Stato maggiore nella prima
guerra mondiale fino al disastro di Caporetto, Gramsci si era
occupato con particolare attenzione in occasione delle accese
polemiche sollevate intorno alla sua responsabilità per
quella catastrofica sconfitta militare. Ma Cadorna e Caporetto
diventano ben presto nella riflessione gramsciana soprattutto
metafore di un pensiero politico.- Molto spesso del resto nel
linguaggio dei Quaderni la strategia militare si trasforma da forma
apparente di modello in metafora eloquente della riflessione
politica (vedi il caso più noto del confronto tra
«guerra di movimento» e «guerra di
posizione»), Cadorna è visto da Gramsci come un
burocrate della strategia: colui che sacrifica la realtà allo
schema e che dopo aver costruito il suo piano strategico con ipotesi
«logiche» non esita a dar torto alla realtà e si
rifiuta di prenderla in considerazione. In questo tipo di strategia
agli individui non spetta altra sorte che quella di essere
sacrificati, e non ha senso quindi parlare di sacrifici inutili.
Gramsci comincia col mettere in dubbio che questa logica sia valida
già sul terreno della strategia militare. Ma ciò che
più gli preme è il discorso polemico contro quelli che
definisce gli «strateghi del cadornismo politico» (Marx
li chiamava «gli alchimisti della rivoluzione»).
È difficile, sottolinea Gramsci, estirpare dai
«dirigenti» il «cadornismo»:
«cioè la persuasione che una cosa sarà fatta
perché il dirigente ritiene giusto e razionale che sia fatta,
se non viene fatta, "la colpa" viene riversata su chi "avrebbe
dovuto" ecc. Così è difficile estirpare l'abitudine
criminale di trascurare di evitare i sacrifici inutili. Eppure il
senso comune mostra che la maggior parte dei disastri collettivi
(politici) avvengono perché non si è cercato di
evitare il sacrificio inutile, o si è mostrato di non tener
conto del sacrificio altrui e si è giocato con la pelle
altrui».
Estirpare le cattive abitudini della politica era diventato il
chiodo fìsso di Gramsci. Si era convinto che queste cattive
abitudini erano radicate in una concezione della politica basata
sulla divaricazione dei compiti dei governanti e dei governati,
dei dirigenti da una parte e dei diretti dall'altra: ai primi spetta
solo decidere, ai secondi solo eseguire. Il vizio cadornistico di
giocare con la pelle altrui trova qui il suo più succoso
alimento. Per questo gli errori più gravi sono anche i
più difficili da raddrizzare.
Con un'altra immagine, cambiando metafora, Gramsci tornava a
insistere: «è vero che si è formata una
mentalità sportiva che ha fatto della libertà un
pallone con cui giocare a football. Ogni "villan che parteggiando
viene" immagina se stesso dittatore e il mestiere del dittatore
sembra facile: dare degli ordini imperiosi, firmare carte ecc.
poiché si immagina che "per grazia di Dio" tutti ubbidiranno
e gli ordini verbali e scritti diverranno azione: il verbo si
farà carne. Se non si farà, vuol dire che
occorrerà attendere ancora, finché la "grazia" (ossia
le cosiddette "condizioni obiettive") lo renderanno
possibile».
Da questo testo dei Quaderni del carcere appare confermata
l'impressione che la polemica gramsciana contro il «cadornismo
politico» fosse anche una polemica interna di partito. Gramsci
aveva infatti, com'è noto, disapprovato la politica della
«svolta» con cui gli strateghi del Komintern avevano
deciso tra il 1929 e il 1930 il rientro in Italia di centinaia di
militanti comunisti, ai quali era affidato sulla carta il compito di
guidare una allora improbabile insurrezione popolare, ma che erano
destinati nella realtà a marcire nelle prigioni fasciste.
Anche a questo doveva pensare scrivendo con durezza della
«abitudine criminale di trascurare di evitare i sacrifici
inutili».
Valentino Gerratana
Docente di storia della filosofia all'Università di Salerno