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Uomo politico e giornalista italiano (Torino 1879 - Firenze 1976).
Redattore della Stampa, ne uscì nel 1915 perché
favorevole all'intervento dell'Italia in guerra, alla quale
partecipò come volontario. Deputato nazionalista per
più legislature, fu sottosegretario alla Presidenza nel
gabinetto Bonomi (1921-1922), corrispondente da Roma della Gazzetta
del Popolo (1919-23) e direttore del Secolo di Milano (1923-26).
Senatore del regno nel 1924, fu presidente dell'Istituto nazionale
delle assicurazioni. Ha pubblicato, tra l'altro, L'Italia e la Santa
Sede, 1929.
DBI
di Giuseppe Sircana
Nacque a Torino il 27 dic. 1879 da Carlo e da Maria Alloj. Dopo
essersi laureato in giurisprudenza intraprese l'attività
giornalistica, divenendo nel 1904 redattore dei quotidiano La
Stampa. Per questo giornale fu corrispondente da Londra e quindi,
nel 1910, inviato speciale in Argentina. Nel 1911 fu protagonista
dalle colonne del quotidiano torinese di un'accesa campagna a favore
della conquista della Libia.
A Torino favorevoli all'impresa libica erano anche gli ambienti
industriali e il quotidiano cattolico Il Momento. Il B. si rese
dunque in terprete di posizioni condivise da vasti settori di
opinione pubblica, quegli stessi che avrebbero costituito la sua
base elettorale allorché fu candidato al Parlamento.
Tra il 1911 ed il 1912 fu in Tripolitania: i suoi articoli e le
corrispondenze evidenziavano i molti presunti vantaggi, soprattutto
economici che sarebbero venuti all'Italia dalla conquista di quel
territorio.
La nuova colonia avrebbe risolto, secondo il B., il problema
meridionale, quello dell'emigraziong ed avrebbe procurato larghi
profitti all'industria italiana. Tripoli veniva additata come "la
Terra Promessa, che dobbiamo conquistare prosperando, o perdere
spargendoci pel mondo a servire e soffrire" (La volontà
d'agire, in La Stampa, 21 ag. 1911). Sempre nel 1912, con una serie
di corrispondenze dai Balcani, richiamò l'attenzione
sull'importanza che anche questa zona rivestiva, a suo parere, per
l'Italia e sollecitò un intervento a tutela degli interessi
nazionali. Questi articoli gli procurarono una certa
notorietà, facendo maturare le condizioni per un syo
più diretto impegno nella lotta politica.
Nel giugno 1914, allorché si rese vacante per la morte dei
deputato socialista Pilade Gay il quarto collegio, i nazionalisti,
con il pieno appoggio dei cattolici, proposero la candidatura del
Bevione. Benché fosse sostenuto anche dalla Stampa e dalla
Lega industriale, egli non partiva certo favorito, dovendo misurarsi
con il candidato socialista Mario Bonetto in un collegio con forte
presenza operaia. Il B. avrebbe dovuto far convergere sul proprio
nome i consensi di tutto il composito fronte moderato-conservatore,
facendo leva sulla comune avversione ai socialisti. Favorito dal
clima creatosi in seguito alla "settimana rossa", s'impegnò
particolarmente in direzione dell'elettorato cattolico. In articoli,
comizi e pubblici contraddittori (ne ebbe di accesi con Bonetto e
con l'allora direttore dell'Avanti! Mussolini) il B. fu prodigo di
riconoscimenti nei confronti dei cattolici, con i quali occorreva, a
suo parere, non stipulare patti occulti, bensì trattare e
cooperare alla luce del sole. Uscito di scena al primo turno il
candidato liberale Paniè, il B. affrontò nel turno di
ballottaggio il candidato socialista in "una delle più aspre
battaglie elettorali delle prime elezioni a suffragio quasi
universale in Italia" (Salvadori, p. 252). L'esito delle votazioni,
svoltesi il 28 giugno 194, assegnò la vittoria al B., che
ebbe 11.058 voti, appena 67 in più dell'avversario.
L'elezione del B. rese evidente da un lato la consistenza e
l'influenza politica dei cattolici e, dall'altro,
l'aggressività con cui i nazionalisti contendevano ai
liberali i voti dell'elettorato conservatore.
Anche dopo la sua elezione continuò nell'attività
giornalistica. Le corrispondenze politiche che il B. inviava da Roma
al suo giornale esprimevano le posizioni radicali dello schieramento
nazionalista a proposito della questione dell'intervento dell'Italia
nel conflitto. Il B. sosteneva che, di fronte alla conflagrazione in
atto, l'Italia avrebbe dovuto dichiarare la decadenza della Triplice
Alleanza e cogliere l'occasione per portare a compimento il processo
di unità nazionale. Queste sue prese di posizione erano
sempre meno condivise dalla direzione del giornale, al punto che
essa ritenne opportuno dissociarsi pubblicamente da quanto sosteneva
il Bevione. Con La Stampa orientata in senso neutralista, la
permanenza del B. divenne scomoda e si giunse così alle sue
dimissioni dal giornale.
Arruolatosi volontario, egli combatté come ufficiale degli
alpini ottenendo una medaglia di bronzo. Non cessò peraltro
di occuparsi della politica estera italiana intervenendo su tutte le
questioni più importanti. Nel 1916 e nel 1917 con alcuni
articoli su La Gazzetta del popolo richiamò il ministro degli
Esteri Sonnino ad una energica tutela degli interessi italiani in
Asia Minore. Dopo la disfatta di Caporetto ed il ritiro della Russia
dall'alleanza, la posizione del B. si fece più prudente;
affermando la necessità di adattare i programmi alla
realtà, egli sosteneva ora che bisognava tener ferme solo le
aspirazioni essenziali, senza più perseguire l'obiettivo
della dissoluzione dell'impero austriaco.
Il 13 febbr. 1918 espose questo suo convincimento alla Camera
motivandolo con il comportamento non corretto che gli alleati
avrebbero avuto nei confronti dell'Italia. Suscitando una vasta eco
in Parlamento e nel paese, il B. diede lettura del testo del patto
di Londra (già reso pubblico dai bolscevichi, ma ancora non
conosciuto in Italia) per deplorare la condotta diplomatica di
Russia, Inghilterra e Francia, soprattutto a proposito della
spartizione dell'Asia Minore fatta all'insaputa e a danno
dell'Italia.
Dal luglio al novembre 1918 il B. fu a Washington a capo della
missione militare aereonautica. Dal 1919 al 1923 fu corrispondente
politico a Roma de La Gazzetta del popolo. Fu riconfermato nel
seggio parlamentare riuscendo eletto nel 1919, sempre nel quarto
collegio di Torino. Uscito dal partito nazionalista, il B. sedette
tra i liberali di destra; nelle elezioni del 1921 venne presentato
capolista del blocco nazionale a Torino, fu rieletto e si iscrisse
al gruppo di Democrazia liberale. Dal 4 luglio 1921 al 26 febbr.
1922 fu sottosegretario alla presidenza dei Consiglio nel governo
Bonomi.
Di fronte al fascismo il B. ebbe inizialmente un atteggiamento
avverso: sulla Gazzetta del popolo apprezzò l'intervento del
deputato Francesco Cocco Ortu, che aveva illustrato alla Camera
l'ordine del giorno di fiducia al governo Facta. Alla vigilia della
marcia su Roma il B., che era stato attivissimo nel sollecitare una
rigorosa vigilanza da parte del governo, stese insieme con il
sottosegretario Aldo Rossini, il primo testo del manifesto per la
proclamazione dello stato d'assedio. Questo testo, giudicato troppo
violento ed inopportuno dal ministro Carlo Schanzer, fu tuttavia
ritirato e sostituito con un altro più moderato.
Affermatosi il fascismo, il B. aderì alla politica di
Mussolini, tanto da essere chiamato, nell'agosto 1923, a dirigere il
quotidiano milanese Il Secolo. All'antico giornale egli impose
subito un orientamento fascista, e ne rimase alla guida fino al
gennaio 1926. Fu allora, con il sostegno di Arnaldo Mussolini, uno
dei candidati alla direzione della Stampa.
Nominato senatore il 20 sett. 1924, fu chiamato dal regime a
ricoprire importanti cariche. Nell'ottobre 1929 fu nominato
presidente dell'Istituto nazionale delle assicurazioni, carica che
mantenne fino alla caduta del fascismo. Negli anni Trenta fu inoltre
presidente dell'Associazione nazionale fascista editori di giornali.
Nel dopoguerra riprese l'attività giornalistica collaborando
a vari giornali, tra cui 24 Ore e Roma con articoli su questioni
economiche e finanziarie.
Morì a Firenze il 31 luglio 1976.