DI CARLO, Eugenio

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DBI

di Maria Cristina Laurenti

Nacque a Palermo il 21 genn. 1882, da Salvatore e da Rosa Caravella.

Laureato in filosofia, iniziò l'insegnamento all'università di Camerino come titolare della cattedra di filosofia del diritto nel 1919: di qui passò successivamente a Macerata, Messina, Perugia e finalmente a Palermo ove rimase in ruolo dal 1936 al 1952. Rivestì incarichi di notevole prestigio: fu presidente dell'Accademia di scienze, lettere e arti di Palermo, direttore del Circolo giuridico dal 1942 al 1969, preside della facoltà di giurisprudenza all'università di Palermo dal 1950 al 1957, membro effettivo per sei anni del Consiglio superiore delle accademie e biblioteche e del Consiglio superiore degli archivi di Stato, consigliere di amministrazione dell'Istituto Luigi Sturzo di Roma; fece parte infine della Consulta e in quell'assemblea partecipò alla redazione del progetto di statuto della regione siciliana.

La posizione del D. rientra nell'ambito della tradizione cattolica, per la quale non esiste diritto che non sia diritto giusto e il diritto ingiusto è un "non-diritto". Evidenti sono quindi i richiami alle tematiche rosminiane (esaltazione della giustizia, l'innesto dei diritto sulla giustizia, giustizia come lume di ragione ecc.) e, in genere, a quell'atteggiamento aristotelico-tomistico (da ricordare il volume La filosofia giuridica e politica di s. Tommaso, Palermo 1945) riemerso nel pensiero giuridico italiano agli inizi del secolo, grazie ai contributi di F. B. Cicala, di G. Capograssi e, non ultimo, di F. Olgiati.

Di qui il tentativo di restituire al diritto naturale il prestigio che gli compete e che taluni volevano negargli, e in questo il D. subì soprattutto l'influenza del Petrone, al quale dedicò un ampio saggio, L'opera filosofico-giuridica di Igino Petrone, in Saggi critici di filosofia del diritto, Palermo 1913, I, pp. 9-165.

In esso studiò e ricostruì il pensiero del Petrone, quale risulta dai suoi rapporti con l'idealismo hegeliano, col neohegelismo italiano, col positivismo e con le posizioni più significative di maestri italiani, come G. D. Romagnosi. Merito precipuo del Petrone, a giudizio del D., fu di avere ripreso e difeso posizioni filosofiche ritenute superate dai nuovi indirizzi soprattutto positivistici della filosofia del diritto. Sempre in nome di quelle posizioni il D. criticava con energia Croce, secondo il quale il diritto si ridurrebbe a mera attività economica. Già nella nota critica La filosofia del diritto ridotta alla filosofia dell'economia apparsa in Rivista filosofica (IX [1907], pp. 654-71), il D. aveva affrontato la posizione crociana e sostenuto che il diritto non è attività, ma criterio di valutazione dell'operare umano e, quindi, anche di quella speciale attività dell'uomo rivolta alla soddisfazione dei bisogni e all'acquisto dei beni materiali, ossia dell'attività economica: in tale ottica il diritto è sopraordinato all'economia.

Il diritto ha pertanto per il D., come per Petrone, carattere fondamentalmente sociale, in quanto si risolve in un vincolo che lega l'ego all'alter. "Questa condizione fondamentale necessaria della esperibilità del diritto - scriveva il D. nella citata nota, pp. 654 s. - ha riconosciuto e dimostrato il Petrone: solo per l'altro e con l'altro si pone il diritto. Senza la nozione dell'altro non c'è diritto. Perché attività giuridica sia possibile, non basta un solo individuo, ma questo dev'essere per lo meno pensato in relazione con altri individui". Perciò l'opera di Petrone poteva essere considerata la migliore risposta e ai positivisti e a Croce "che il carattere sociale del diritto negò" (ibid.). S'intende pertanto la dialettica della meditazione del D. tra positivisti e neohegeliani che per motivi diversi e per scopi diversi negavano il diritto naturale. "Se il positivismo ... in nome dei fatti e del processo psichico-sociale rifiuta il vero diritto naturale, contentandosi delle idealità sociali, che germogliano dal sottosuolo della vita sociale e puntano su queste, fanno opposizione pure al diritto naturale alcune direzioni del pensiero contemporaneo italiano e cioè il neohegelismo crociano e gentiliano che si appoggiano allo storicismo" (in Filosofia del diritto, Palermo 1940, pp. 65 s.).

Ma la conquista della dottrina del diritto naturale non fu semplice. Si è osservato che alla posizione giusnaturalistica il D. arrivò attraverso un cammino abbastanza complesso. Infatti le prime opere (Per la dottrina e la storia della filosofia del diritto, Palermo 1910; Contributi alla critica di recenti concezioni filosofico-giuridiche, ibid. 1913; Saggi critici di filosofia del diritto, cit.) si ispirano al neokantismo: nelle successive invece, e soprattutto nella già citata Filosofia del diritto, del 1940, egli abbandona le tesi precedenti, riconoscendo nella ragione una mera funzione ricognitiva e non costitutiva del diritto naturale.

Esemplari, in quest'opera, le ultime pagine in cui sono esaminati i caratteri essenziali del concetto di giustizia, un concetto che non è creato dalla coscienza: "...noi sentiamo che la valutazione sulla giustizia è un dato fondamentale della nostra coscienza, con valore universale, oggettivo, che il giusto è un valore in sé che, se anche noi non arriviamo a cogliere nel giudizio particolare instaurato su un'azione, tuttavia esiste, e ad esso noi aspiriamo..." (p. 122). Né il giusto è l'utile, né la forza, né l'arbitrio, né il diritto del più forte. Sono formule antiche che, però, si ritrovano in posizioni moderne. E poi la parte positiva sul concetto stesso di giustizia, il rapporto ad alterum, l'eguaglianza di trattamento, l'attribuzione a ciascuno di quel che gli spetta e via dicendo. Tale posizione trova il suo coronamento nell'ultima fase in cui più chiara appare l'adesione del D. a una forma di giusnaturalismo che vede in Dio la sua fonte suprema. Per lui, insomma, il diritto naturale si salda alla metafisica, e precisamente a una metafisica di stampo teologico (cfr. Il diritto naturale vigente, in Idea, XIV [1958], pp. 596-600).

Gli stessi criteri usò nello studio di Marx e del marxismo. Egli respinse la pretesa di considerare tutte le manifestazioni dello spirito meri fatti economici, pur riconoscendo l'importanza dell'ideale umano che, secondo Marx, vorrebbe moralizzare l'azione di classe promossa dal proletariato. La critica che il D. muove a Marx riguarda la nozione di homo oeconomicus in quanto ignora quei problemi che interessano la parte migliore dell'uomo stesso, il suo profondo bisogno di conoscere il perché delle cose, del mondo, della vita e della morte. La realtà non può quindi consistere solo nei rapporti di produzione e di scambio, ma vive in orizzonti più ampi e più liberi che superano gli angusti limiti delle concezioni materialistiche (Per l'interpretazione e la critica di alcune dottrine del Marx e dell'Engels, Palermo 1914).

Numerosi saggi dedicò il D. alla storia della sua isola, per dimostrare come nell'Ottocento non fosse rimasta estranea alla vita politica, sociale e culturale del resto d'Italia. Significativa in proposito la comunicazione da lui presentata al congresso siciliano di storia del Risorgimento, tenuto a Trapani nell'aprile del 1960, La letteratura in Sicilia nel periodo 1830-60, nella quale la tesi è dimostrata con abbondanti riferimenti e con numerosi esempi. Nel quadro di questi interessi risorgimentali si collocano le tante pagine da lui dedicate alle figure di Tommaseo, di Gioberti, di D'Azeglio, di Michele ed Emerico Amari, di Ventura, di altri personaggi dell'epoca. Di molti di essi il D. pubblicò lettere inedite che ne testimoniano l'opera patriottica e l'amore per la causa italiana.

La concezione ch'egli ebbe della filosofia del diritto spiega il suo atteggiamento di fronte alla sociologia. Pur apprezzando i meriti di tale scienza, ch'egli definisce "teoria della socialità, del sociale" (La filosofia del diritto, p. 14), si oppose sempre all'identificazione e addirittura all'assorbimento in essa della filosofia del diritto. "È estraneo alla sociologia la rivendicazione di ideali, giacché essa non è disciplina deontologica, ma disciplina che ha per oggetto la realtà sociale, ciò che è, non ciò che deve essere. La filosofia del diritto è propugnatrice di valori assoluti, quelli di giustizia: essa, quindi, non può essere sostituita dalla sociologia, che non implica valori ideali" (ibid., pp. 16 s.).

Appare facilmente, in conclusione, come il momento fondamentale dell'opera del D. è la convinzione che compito della filosofia del diritto sia quello di trattare "del problema della giustizia, problema che a questa disciplina è sempre stato considerato come pertinente e che di essa disciplina è il problema precipuo, la sua ragion d'essere" (ibid., p. 6). Mentre l'opera del giurista rimane circoscritta, "essa non va per necessità di cose al di là di singole disposizioni" (ibid., p. 38), il filosofo del diritto, potendo usufruire di criteri di valutazione, agisce e opera là dove il diritto positivo si ferma. Per questo l'azione della filosofia del diritto è indispensabile, per il D., in quanto il diritto positivo, se vuole ricercare la vera giustizia, deve necessariamente rifarsi ad essa: diversamente resta privo di sostegno e la sua giustificazione è solo e soltanto la forza (Forza e diritto, comunicazione tenuta alla Biblioteca filosofica di Palermo nelle sedute del 25 aprile e 2 maggio 1916, Palermo 1918).

L'opera del D. è molto vasta: abbraccia problematiche non solo filosofiche, ma storiche, sociali, politiche, sociologiche e tutte le esamina alla luce dei principi di cui s'è detto. Ricevette numerose onorificenze, la qualifica di emerito e nel 1959 gli furono offerti due volumi di scritti, ai quali collaborarono estimatori ed amici, non solo italiani (Miscellanea di studi in onore di E. D., Trapani 1959).

Il D. morì a Palermo il 19 genn. 1969.