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Germanista e scrittore italiano (Acqui 1879 - Firenze 1965); prof.
di lingua e letteratura tedesca nelle univ. di Napoli e Firenze.
Pubblicò opere di critica (La poesia latina del rinascimento
germanico, 1907; La selva e il tempio, 1935; Medaglioni, 1940), di
pensiero religioso (Verso una nuova mistica, 1922; Poesia e
contemplazione, 1947; Delle cose supreme, 1948) e di poesia (Le
nuove solitudini, 1942). Notevoli le sue traduzioni dal tedesco,
come quelle dei Drammi di R. Wagner (11 voll., 1919-36) e del Faust
di Goethe (1937).
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DBI
di Benedetta Garzarelli
MANACORDA, Guido.
Nacque ad Acqui, il 5 giugno 1879, da Vittorio, insegnante, e
Francesca Demartini, ultimo di tre figli.
Dopo la laurea in lettere presso l'Università di Pisa, il
diploma di magistero alla Scuola normale superiore e studi di
perfezionamento a Firenze e in Germania, dal 1906 il M.
lavorò come bibliotecario, poi come direttore, presso la
Biblioteca universitaria di Catania e, dal 1911, in quella di Pisa.
Furono anni segnati da lutti famigliari: nel 1896 scomparve il
padre, nel 1903, il fratello maggiore Umberto. Nel 1906 il M. si
sposò con Emma Lanterno; il figlio Tristano nacque nel 1920.
Nel gennaio 1908 partecipò al salvataggio dei manoscritti
della Biblioteca universitaria di Messina, distrutta dal terremoto.
In questi anni il M. pubblicò numerosi saggi di bibliografia,
filologia ed erudizione letteraria, tra cui la guida bibliografica
Germania filologica (Cremona 1909), che diede origine a una vivace
polemica con A. Farinelli. Nel 1908 fondò la rivista Studi di
filologia moderna, che guidò sino al 1914. Dal 1912 al 1914
diresse per Laterza la collana "Scrittori stranieri". Libero docente
presso le Università di Catania e di Pisa, nel 1913 fu
nominato professore straordinario di letteratura tedesca
nell'Università di Napoli (divenne ordinario nel 1919). Nel
luglio 1915 il M. si arruolò volontario.
Partecipò ai combattimenti sul Carso, sul Piave, alla
battaglia di Vittorio Veneto e all'ingresso delle truppe in Trieste;
nell'ultimo anno di guerra coordinò uno speciale reparto
costituito all'interno della 3ª armata, chiamato La Giovane
Italia, che compì missioni segrete nelle linee nemiche, le
cui vicende furono ricostruite dal M. nel suo La Giovane Italia
(Milano 1919; nuova ed., Brescia 1935). Fu decorato con una medaglia
d'argento, due di bronzo e una croce di guerra.
Dopo la guerra il M. assunse la direzione della collana "Biblioteca
Sansoniana straniera" (1920-27) e avviò la pubblicazione
delle sue traduzioni, con l'uscita di Le elegie, le epistole e gli
epigrammi veneziani di W. Goethe e di tre drammi musicali di R.
Wagner, Rienzi, Il vascello fantasma e Tannhäuser (Firenze
1921), che segnarono l'inizio dell'impresa di traduzione dell'intero
corpus drammatico wagneriano (Firenze 1921-36), portata a compimento
quindici anni dopo. Nel 1922 apparve un volume di Studi e saggi
(Firenze), la cui sezione Wagneriana raccoglieva i principali
scritti critici su Wagner. Questi furono anche anni di viaggi
all'estero: in Polonia, per ordinare la prima esposizione del libro
e della stampa italiana a Varsavia, in Germania, in Francia e nei
Paesi scandinavi.
Le tragedie della guerra e un dopoguerra segnato da nuovi lutti
famigliari, con la morte della madre e del fratello Giuseppe,
produssero nel M. una profonda crisi spirituale che lo portò
a elaborare un sistema di pensiero filosofico-religioso fortemente
antidealistico (Verso una nuova mistica, Bologna 1922; Mistica
minore, Foligno 1926). La "nuova mistica" del M. attrasse un gruppo
di giovani intellettuali che con lui condividevano il bisogno di
spiritualità diffuso nella crisi di quegli anni. I "mistici
di Ripafratta", come li apostrofò G. Gentile, dal nome della
località toscana dove all'epoca il M. si ritirava, promossero
una serie di convegni, proclami e appelli, e la rivista Giornale di
poesia, il cui numero dell'aprile 1924 fu dedicato al Manacorda.
L'esperienza mistica fu anche la prima tappa di un avvicinamento
alla religione, che si concluse, nel 1927, con l'adesione al
cattolicesimo, in coincidenza con la pubblicazione del "dramma
sacro" Paolo di Tarso (Firenze 1927). La conversione
influenzò la successiva opera politico-culturale del M., che,
dalla fine del 1925, era stato trasferito alla cattedra di
letteratura tedesca dell'Università di Firenze.
Il M. si avvicinò al gruppo di intellettuali cattolici
fiorentini schierati su posizioni antidealistiche, da G. Papini a P.
Bargellini, che nel 1929 diedero vita alla rivista Frontespizio,
della quale il M. condivise, in parte anche contribuendo a
definirli, scopi e politica culturale, soprattutto in relazione ai
rapporti tra cattolicesimo e fascismo negli anni che seguirono la
conciliazione.
Prima espressione di questa nuova fase, oltre alla collaborazione
con Frontespizio già dal primo numero, fu la direzione per la
Libreria editrice fiorentina della collana "Testi cristiani"
(1930-32). A cavallo tra gli anni Venti e Trenta avviò la
collaborazione con le terze pagine de La Nazione e del Corriere
della sera, che proseguì fino al 1944; in questo periodo
pubblicò la raccolta poetica Sinfonie e pastelli (Bologna
1926) e il romanzo Giorgio Delgani (Milano 1930), a sfondo
autobiografico.
Nel 1932 uscì la seconda grande impresa di traduzione del M.:
Il Faust di Goethe (ibid.), cui seguì la raccolta di saggi La
selva e il tempio. Studi sullo spirito del germanesimo (Firenze
1933), con scritti sul Faust, su Wagner, sui miti germanici e su
Lutero. Per lo più ben accolto dalla stampa, il Faust del M.
subì tuttavia la pesante stroncatura di B. Croce nella
Critica.
Il M. rispose con il libello Benedetto Croce, ovvero
Dell'improntitudine (ibid. 1932), nel quale mosse un attacco a tutto
campo al filosofo, a partire dalla sua opera di traduttore di
Goethe. Ultimo eclatante atto di una schermaglia iniziata già
negli anni della guerra, la polemica con Croce diede
visibilità al Manacorda.
Tra coloro che simpatizzarono con lui in questa circostanza fu anche
B. Mussolini, come ebbe a riferirgli l'amico A. d'Alba. Da
ciò nacque l'iniziativa del M. di chiedere un'udienza al
duce, tramite il capo dell'Ufficio stampa G. Polverelli. L'udienza
si tenne il 12 dic. 1933 e segnò l'avvio di una fase di
impegno politico del M. in appoggio al regime fascista, che ebbe
riflessi sulla sua attività pubblicistica, orientata
all'obiettivo di promuovere la convergenza fra cattolici e fascismo.
Inizialmente il M. presentò al duce alcuni incartamenti sul
razzismo tedesco e sulle organizzazioni di destra francesi. La
posizione di contrasto nei confronti della dottrina nazista della
razza, espressa nel suo Rosenberg e il mito della razza (in
Frontespizio, novembre 1934; poi in I contrafforti. Scritti di
religione e di pensiero, Brescia 1935), coincideva con
l'atteggiamento del regime fascista a quell'epoca.
Alla metà del 1935 il M. cominciò a caldeggiare il
progetto di un incontro con A. Hitler, che si realizzò alla
fine di settembre, seguito da un secondo colloquio nel gennaio 1936.
In un passaggio cruciale quale la vigilia e il corso della campagna
etiopica, i contatti del M. con Hitler, centrati sulla questione
austriaca e sulla posizione tedesca verso le sanzioni, contribuirono
al processo di riavvicinamento tra i due regimi. In questi mesi il
M. si recò anche in Francia, Olanda e Svizzera, nell'intento
di guadagnare solidarietà all'Italia. Per questo suo operato,
nel giugno 1936 ebbe la tessera ad honorem del partito fascista.
In due successivi incontri con Hitler (maggio 1936 e marzo 1937) il
M. si occupò della persecuzione dei cattolici in Germania,
tentando una mediazione tra Terzo Reich e Vaticano. A tal scopo fu
ricevuto da Pio XI, nell'ottobre 1936 e nell'aprile 1937.
In questo periodo si recò nuovamente in Svizzera, Olanda,
Francia e anche in Belgio, tenendo contatti con esponenti delle
organizzazioni di destra di quei Paesi. Di tutte queste missioni il
M. riferì puntualmente a Mussolini, come si può
ricostruire dalla ricca documentazione conservata nel suo archivio
personale (Roma).
Risvolto pubblico di tale attività, dopo i corsivi pubblicati
in Frontespizio a firma Opifex (febbraio-ottobre 1935) - nei quali
il M. aveva espresso un punto di vista di cattolico filofascista su
temi come universalità e internazionalismo, pace e guerra -,
fu la sua risposta (ibid., novembre 1935) al manifesto di condanna
dell'aggressione italiana all'Etiopia firmato da un gruppo di
intellettuali cattolici francesi. Dopo l'accendersi della guerra in
Spagna e il riavvicinamento italo-tedesco, suoi principali bersagli
polemici diventarono il comunismo e le democrazie borghesi. Negli
interventi sulla stampa e nei rapporti a Mussolini, si occupò
spesso anche delle presunte tendenze filocomuniste di esponenti
cattolici stranieri.
Dal 1938 gli incontri con il duce si diradarono, per motivi non del
tutto chiari, ma probabilmente riconducibili alle posizioni del M.
sul razzismo e sulla questione dei cattolici tedeschi.
Il M. rischiò addirittura di essere escluso dalle
manifestazioni in occasione del viaggio di Hitler in Italia: fu
invitato al ricevimento fiorentino solo dopo un'esplicita
rimostranza a Mussolini. L'invio di resoconti e le dimostrazioni di
fiducia al duce tuttavia continuarono; emblematica la lettera a
Mussolini del 28 sett. 1938, in cui, la guerra sembrandogli
imminente, il M. si offriva "a servizio Vostro e Impero", vantando
"lunga esperienza comando, organizzazione, servizi Informazioni
militari e politiche, più delicati e rischiosi (Giovane
Italia e altre imprese)" (cit. in M. Canali, Le spie del regime,
Bologna 2004, p. 291), dove evidentemente il riferimento era allo
speciale corpo da lui coordinato durante la prima guerra mondiale, e
non - come è stato scritto - al suo essere stato in passato
al servizio della polizia politica fascista e "aver contribuito a
sgominare l'organizzazione antifascista "Giovane Italia"" (ibid.).
Una simile offerta fu da lui replicata nel 1940, anche questa volta
senza seguito.
Tra la fine degli anni Trenta e i primi anni Quaranta il M. fu
impegnato in cicli di conferenze in Germania, nell'ambito degli
accresciuti scambi culturali tra i due Paesi. Sin dal 1940
lavorò, per incarico di G. Bottai, a un piano organico per lo
studio comparato delle civiltà italiana e germanica, che fu
avviato solo nel 1943.
Pochi mesi dopo il patto Molotov-Ribbentrop, il M. aveva pubblicato
Il bolscevismo (Firenze 1940; nuova ed., ibid. 1942), uno studio
sull'URSS di grande fortuna editoriale, nel quale si sottolineava la
maggiore autenticità dell'anticomunismo fascista rispetto a
quello del nazionalsocialismo, venuto a patti con la Russia
sovietica.
Dopo l'8 sett. 1943 il M. proseguì le sue collaborazioni
giornalistiche, che persero ogni connotato politico, e
l'attività di conferenziere, ma non ebbe incarichi ufficiali
nella Repubblica sociale italiana (RSI). Dopo la liberazione di
Firenze fu sospeso dalle funzioni di docente. Sottoposto a
procedimento dalla I Commissione di epurazione del personale
universitario, che ne propose la dispensa dal servizio, fu collocato
a riposo con decreto luogotenenziale del 22 genn. 1946, atto che
pose fine al procedimento di epurazione.
Dal 1947 diresse per la casa editrice fiorentina Fussi, già
Monsalvato, la collana "Il Melograno", collaborò a diversi
quotidiani e si dedicò alla stesura dell'opera
filosofico-religiosa Delle cose supreme, prevista in vari volumi,
dei quali uscirono solo Preludio (Firenze 1950) e, postumo, Estetica
del silenzio. Nuovi principî di una estetica del trascendente
(Vicenza 1990).
Il M. morì a Firenze il 25 febbr. 1965.