Il Resto del Carlino

 

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Il Resto del Carlino è il giornale simbolo di Bologna e uno dei più antichi fra i quotidiani italiani tuttora in vita. È il primo quotidiano per diffusione in Emilia-Romagna e Marche (dati ADS).

A Firenze circolava già nel 1885 un giornale di nome Il Resto al sigaro. Viene venduto nelle tabaccherie al prezzo di 2 centesimi. Siccome un sigaro costa 8 centesimi, è facile per gli esercenti abbinare la vendita dei due prodotti e rendersi così promotori del giornale. Un gruppo di amici che frequentava abitualmente il capoluogo toscano prendono l'idea e, nel giro di due mesi, la portano a Bologna. I loro nomi sono: Cesare Chiusoli, Giulio Padovani e Alberto Carboni. Tutti e tre hanno alle spalle studi di giurisprudenza e un'attività consolidata di giornalismo in altri quotidiani cittadini (Stella d'Italia, La Patria)[3].

Il loro giornale esce con le stesse dimensioni e con lo stesso prezzo del foglio fiorentino. Costa due centesimi (invece dei 5 della stampa "seria" e di quella sportiva) ed ha un formato di 19 × 29 cm, addirittura più piccolo dell'attuale A4. Secondo i canoni dell'epoca la pagina "a lenzuolo" (broadsheet) è tipica della stampa d'informazione; invece i fogli cittadini popolari adottano un formato ridotto. I fondatori scelgono questo secondo formato poiché il nuovo giornale non deve fare concorrenza alla stampa "seria", ma inserirsi nel mercato delle letture leggere.

Rimane ora da scegliere il nome. Ovviamente non può essere uguale a quello del foglio ispiratore fiorentino. Ma deve mantenere un tono originale, scanzonato e bizzarro. Nella Bologna ottocentesca la moda giornalistica impone nomi come "La Striglia", "La Frusta", "Lo scappellotto". I fondatori scelgono "il Resto… del Carlino". Il carlino era stata una moneta dello stato Pontificio coniata dal XIII secolo al 1796, quindi alla fine dell'Ottocento non era più in circolazione da tempo. Con l'unità d'Italia e la nuova monetazione imperniata sulla lira, la moneta da 10 centesimi di lire continuava comunque, nell'uso popolare, ad essere chiamata "carlino". I puntini di sospensione nel nome del nuovo giornale non sono messi a caso. La testata si rifà, infatti, a un diffuso modo di dire locale: "dare il resto del carlino" significa "dare ad ognuno il suo avere", "regolare i conti" e, per estensione, "pungolare i potenti e fustigare i prepotenti".

Il primo numero de Il Resto... del Carlino esce il 20 marzo 1885. L'editoriale, di Giulio Padovani, s'intitola semplicemente «?». Padovani esordisce con queste parole:
    
« Il punto interrogativo che scriviamo in fronte al primo articolo sta a sintetizzare la curiosità dei lettori riguardo al come e al perché della nostra pubblicazione. Questa curiosità ci affrettiamo di appagare il più breve e il più chiaramente possibile, a scanso di futuri equivoci. Vogliamo fare un giornale piccolo per chi non ha tempo di leggere i grandi: vogliamo fare un giornale per la gente che ha bisogno o desiderio di conoscere i fatti e le notizie senza fronzoli rettorici [sic], senza inutili e diluite divagazioni: un giornale il quale risponda al quotidiano e borghese che c'è di nuovo? che ogni galantuomo ha l'abitudine di rivolgere ogni mattina al primo amico o conoscente che incontra, (…) [un giornale] dove l'uomo d'affari, l'operaio, l'artista, la donna, tutti, troveranno in un batter d'occhio... le notizie sugli avvenimenti più importanti. »

Sulla testata del nuovo quotidiano compare una giovane donna con una camicia bianca e un sigaro fumante in bocca - riferimento al tabaccaio da cui "si va a comprare il primo sigaro della giornata". La pagina è divisa in tre colonne. La forma di esposizione delle notizie è agile e si presta alla lettura "in un batter d'occhio".

Lo stampatore è la Tipografia Azzoguidi in via Garibaldi 3, dove è sistemata anche la redazione. Alberto Carboni firma il quotidiano come redattore responsabile. La prima tiratura è di 8.000 copie; il giornale è venduto sia nelle tabaccherie, dove viene distribuito come resto al sigaro, sia nelle altre botteghe, oltre che nelle ancora rarissime edicole. In maggio la signorina toglie la camicetta bianca e mette un abito nero. Dopo sei mesi le copie tirate diventano 14.000, ma anche i costi di produzione crescono e la proprietà non può fare altro che ritoccare il prezzo. L'aumento è minimo: un solo centesimo, che viene compensato con l'aumento del formato. La decisione però ha un effetto controproducente: i lettori sono spiazzati dalle nuove dimensioni mentre ai tabaccai il giornale non fa più comodo perché "non serve più come resto"'. Le vendite precipitano, si arriva allo stato di crisi.

La svolta arriva con l'ingresso di Amilcare Zamorani come socio e come gerente responsabile. Avvocato di origini ferraresi trapiantato a Bologna, Zamorani, a partire dal 1886, trasforma il "Resto del Carlino" (i tre puntini sono già scomparsi in dicembre) in un vero quotidiano di informazione. Il giornale assume il tono dei maggiori giornali nazionali e si colloca in un'area politica di riferimento, quella dell'"Associazione democratica" di radicali, repubblicani e socialisti legalitari. Il formato aumenta a 37x52 cm, le colonne pure (da tre a cinque), così come il prezzo: 5 centesimi.

Il 1º gennaio 1888 il Carlino assorbe il concittadino La Patria. Inoltre il giornale si dota di una propria tipografia. Per sfruttare al meglio la capacità produttiva, alla fine del 1889 nasce Italia Ride, settimanale satirico-umoristico a colori. Il periodico vive solo una stagione; tra i collaboratori figurano artisti del calibro di Galantara, Ardengo Soffici e Carlo Corsi.

Entro il 1890 il Carlino è diventato il primo quotidiano bolognese, forte delle 20.000 copie vendute. Nel 1895 viene acquistata la prima macchina rotativa; il giornale si trasferisce nella nuova sede di piazza Calderini.

Negli ultimi anni dell'era Zamorani (1903-1905), il Carlino mantiene una linea di appoggio al governo Giolitti. Zamorani lascia nel 1905, affetto da una grave malattia, dopo avere indicato come successore Pio Schinetti.

Il quotidiano aumenta la tiratura durante tutta l'epoca giolittiana. Nel 1909, due anni dopo la morte di Zamorani, il giornale si sposta dall'area democratica-popolare a quella conservatrice-agraria. Entra in redazione Filippo Naldi (ex direttore de La Patria), che avrà una lunga carriera nel Carlino.

Nel 1911 il Carlino, in occasione del 50º anniversario dell'Unità d'Italia, lancia un'iniziativa promozionale: il "Raid aviatorio Bologna-Venezia-Rimini-Bologna". È la prima manifestazione del genere in Italia. Il circuito aereo, di circa 640 km, deve essere percorso senza scalo. Al vincitore sarebbe andato un premio di 15.000 lire. Partecipano dieci aviatori: sei italiani e quattro francesi. La gara si disputa il 19 settembre. Vince il transalpino Andrè Frey in 1h, 46' 53". Durante la gara si registra un fatto di portata storica: un aviatore, fuori concorso, copre la prima tappa Bologna-Venezia trasportando a bordo un sacco di corrispondenza. Effettua così il primo servizio di posta aerea in Italia, appena dieci giorni dopo il primo esperimento mondiale, avvenuto in Inghilterra il 9 settembre.

Nei primi anni dieci la Terza pagina del quotidiano si arricchisce della collaborazione di alcuni tra i massimi intellettuali italiani: Alfredo Oriani, Giuseppe Prezzolini, Giovanni Papini, Giovanni Gentile, Giovanni Amendola, Aldo Valori, Ernesto Bonaiuti e Benedetto Croce. Tutti furono chiamati al Carlino da Mario Missiroli, vero e proprio direttore de facto del quotidiano[6].

Nel 1914-1915, due dei tre principali quotidiani di Bologna, il liberale Carlino e il Giornale del mattino, democratico, si schierano tra i giornali interventisti, mentre il cattolico L'Avvenire d'Italia è più prudente. La Grande guerra fa salire la tiratura da 38.000 a 150.000 copie, grazie anche al servizio speciale per i soldati al fronte predisposto dal giornale (Gino Piva è il più valente corrispondente di guerra).

Forte del successo di vendite, il quotidiano raddoppia: nel settembre 1919 viene varata l'edizione pomeridiana: il Resto del Carlino sera.

A partire dal 1923 il Carlino entra nell'orbita del regime fascista, che ha conquistato il potere l'anno prima. Tra il 1923 e il 9 settembre 1943, alla guida del quotidiano si succedono ben nove direttori, la cui nomina è controllata dal regime, quasi nessuno dei quali è giornalista di professione.