Tutti i ragionamenti fatti dagli storici cattolici (e le
affermazioni apodittiche dei pontefici nelle Encicliche) per
spiegare la nascita dell’Azione Cattolica e per riallacciare
questa nuova formazione a movimenti e attività
«sempre esistiti» da Cristo in poi, sono di una
estrema fallacia.
Dopo il 1848 in tutta l’Europa (in Italia la
crisi assume la forma specifica e diretta dell’anticlericalismo e
della lotta anche militare contro la Chiesa) la crisi
storico‑politico‑intellettuale è superata con la netta
vittoria del liberalismo (inteso come concezione del mondo oltre
che come particolare corrente politica) sulla concezione
cosmopolitica e «papalina» del cattolicismo. Prima del
1848 si formavano partiti più o meno effimeri e insorgevano
singole personalità contro il cattolicismo; dopo il 1848 il
cattolicismo e la Chiesa «devono» avere un proprio
partito per difendersi, e arretrare il meno possibile, non possono
più parlare (altro che ufficialmente, perché la
Chiesa non confesserà mai l’irrevocabilità di tale
stato di cose) come se sapessero di essere la premessa necessaria
e universale di ogni modo di pensare e di operare.
Molti oggi non
riescono più neanche a persuadersi che così potesse
essere una volta. Per dare un’idea di questo fatto, si può
offrire questo modello: oggi nessuno può pensare sul serio
a fondare un’associazione contro il suicidio (è possibile
che in qualche parte esista una qualche società del genere,
ma si tratta di altra cosa), perché non esiste nessuna
corrente d’opinione che cerchi persuadere gli uomini (e riesca sia
pure parzialmente) che occorre suicidarsi in massa (sebbene siano
esistiti singoli individui e anche piccoli gruppi che hanno
sostenuto tali forme di nichilismo radicale, pare in Ispagna): la
«vita» è la premessa necessaria di ogni
manifestazione di vita, evidentemente.
Il cattolicismo ha avuto
una tale funzione e di ciò rimangono tracce abbondanti nel
linguaggio e nei modi di pensare specialmente dei contadini:
cristiano e uomo sono sinonimi, anzi sono sinonimi cristiano e
«uomo incivilito». («Non sono cristiano!»
– «E allora cosa sei, una bestia?») I coatti dicono
ancora: «cristiani e coatti» (ad Ustica prime
meraviglie quando all’arrivo del vaporetto si sentiva dire dai
coatti: «sono tutti cristiani, non ci sono che cristiani,
non c’è neanche un cristiano»). I carcerati invece
dicono più comunemente: «borghesi e detenuti»,
o scherzosamente: «soldati e borghesi», sebbene i
meridionali dicano anche «cristiani e detenuti».
Sarebbe così interessante studiare tutta la serie di
passaggi storico‑semantici per cui nel francese da
«cristiano» si è ottenuto
«crétin» (donde l’italiano
«cretino») e addirittura «grédin»;
il fenomeno deve essere simile a quello per cui
«villano» da «uomo di campagna» ha finito
per significare «screanzato» e addirittura
«gaglioffo e mascalzone», cioè il nome
«cristiano» impiegato dai contadini (pare dal
contadini di alcune regioni alpine) per indicare se stessi come
«uomini», si è, in alcuni casi di pronunzia
locale, staccato dal significato religioso ed ha avuto la stessa
sorte di «manant». Forse anche il russo
«krestianin» = contadino ha la stessa origine, mentre
«cristiano» in senso religioso, forma più
colta, ha mantenuto l’aspirazione X greco (in senso spregiativo si
diceva «muĝik»). A questa concezione è forse da
legare anche il fatto che in alcuni paesi, dove gli ebrei non sono
conosciuti, si crede o si credeva che essi avessero la coda e le
orecchie di porco o altro attributo animalesco.
continua
L’esame storico critico del movimento d’Azione Cattolica
può dar luogo, analiticamente, a diverse serie di ricerche
e di studi.
I Congressi nazionali. Come sono preparati dalla stampa centrale
e locale. Il materiale ufficiale preparatorio: relazioni ufficiali
e d’opposizione.
L’Azione Cattolica è stata sempre un organismo complesso,
anche prima della costituzione della Confederazione bianca del
Lavoro e del Partito Popolare. La Confederazione del Lavoro era
considerata organicamente una parte costitutiva dell’Azione
Cattolica, il Partito Popolare invece no, ma lo era di fatto.
Oltre che alle altre ragioni, la costituzione del Partito Popolare
fu consigliata da ciò che si riteneva inevitabile nel dopo
guerra una avanzata democratica, alla quale occorreva dare un
organo e un freno, senza mettere in rischio la struttura
autoritaria dell’Azione Cattolica che ufficialmente è
diretta personalmente dal Papa e dai Vescovi: senza il Partito
Popolare e le innovazioni in senso democratico portate nella
Confederazione sindacale, la spinta popolaresca avrebbe sovvertito
tutta la struttura dell’Azione Cattolica, mettendo in quistione
l’autorità assoluta delle gerarchie ecclesiastiche.
La
stessa complessità si verificava e si verifica ancora nel
campo internazionale; sebbene il Papa rappresenti un centro
internazionale per eccellenza, di fatto esistono alcuni uffici che
funzionano per coordinare e dirigere il movimento politico e
sindacale cattolico in tutti i paesi, come l’Ufficio di Malines
che ha compilato il Codice Sociale e l’Ufficio di Friburgo per
l’azione sindacale (è da verificare la funzionalità
di questi uffici dopo i mutamenti avvenuti nei paesi tedeschi
oltre che in Italia nel campo dell’organizzazione politica e
sindacale cattolica).
Svolgimento dei Congressi. Argomenti messi all’ordine del giorno
e argomenti omessi per evitare conflitti radicali.
L’ordine del giorno dovrebbe risultare dai problemi concreti che
si sono imposti all’attenzione nello spazio tra un congresso e
l’altro e dalle prospettive avvenire, oltre che dai punti
dottrinari intorno ai quali si formano le correnti generali
d’opinione e si raggruppano le frazioni.
Su quale base e con quali criteri vengono scelte o rinnovate le
direzioni? Sulla base di una tendenza dottrinaria generica, dando
alla nuova Direzione una fiducia generica, oppure dopo che il
Congresso ha fissato un indirizzo concreto e preciso di
attività? La democrazia interna di un movimento
(cioè il grado più o meno grande di democrazia
interna, cioè di partecipazione degli elementi di base alla
decisione e alla fissazione della linea di attività) si
può misurare e giudicare anche e forse specialmente a
questa stregua.
Altro elemento importante è la composizione sociale dei
Congressi, del gruppo degli oratori e della direzione eletta, in
rapporto alla composizione sociale del movimento nel suo
complesso.
Rapporto tra le generazioni adulte e quelle giovanili. I
Congressi si occupano essi direttamente del movimento giovanile,
che dovrebbe essere la fonte maggiore per il reclutamento e la
migliore scuola per il movimento, o lascia ai giovani di pensare a
se stessi?
Che influsso hanno (avevano) nei Congressi le organizzazioni
subordinate e sussidiarie (o che tali dovrebbero essere), il
gruppo parlamentare, gli organizzatori sindacali, ecc.? Ai
deputati e ai capi sindacali viene fatta nei Congressi una
posizione speciale, ufficialmente e organicamente o sia pure solo
di fatto?
Oltre che nelle discussioni dei Congressi è necessario
fissare lo svolgimento che hanno avuto nel tempo e nello spazio i
problemi concreti più importanti: la quistione sindacale,
il rapporto tra il centro politico e i sindacati, la quistione
agraria, le quistioni di organizzazione interna, in tutte le diverse
interferenze. Ogni quistione presenta due aspetti: come è
stata trattata teoricamente e tecnicamente e come è stata
affrontata praticamente.
Altra quistione è quella della stampa, nei suoi diversi
aspetti: quotidiana, periodica, opuscoli, libri, centralizzazione
o autonomia della stampa ecc.
La frazione parlamentare: trattando di ogni determinata
attività parlamentare, occorre tener presenti alcuni
criteri di ricerca e di giudizio. Quando il deputato di un
movimento popolaresco parla in Parlamento (e un senatore al
Senato) ci possono essere tre o più versioni del suo
discorso: 1) la versione ufficiale degli Atti parlamentari, che di
solito è riveduta e corretta e spesso edulcorata post
festum; 2) la versione dei giornali ufficiali del movimento al
quale il deputato appartiene ufficialmente: essa è
combinata dal deputato d’accordo col corrispondente parlamentare,
in modo da non urtare certe suscettibilità o della
maggioranza ufficiale del partito o dei lettori locali e non
creare ostacoli prematuri a determinate combinazioni in corso o
desiderate; 3) la versione dei giornali di altri partiti o dei
così detti organi della pubblica opinione (giornali a
grande diffusione) che è fatta dal deputato d’accordo coi
rispettivi corrispondenti parlamentari in modo da favorire
determinate combinazioni in corso: tali giornali possono mutare da
un periodo all’altro a seconda dei mutamenti avvenuti nelle
rispettive direzioni politiche o nel governi.
Lo stesso criterio
può essere esteso al campo sindacale, a proposito
dell’interpretazione da dare a determinati eventi o anche
all’indirizzo generale della data organizzazione sindacale. Per
esempio: la «Stampa», il «Resto del
Carlino», il «Tempo» (di Naldi) hanno servito,
in certi anni, da casse di risonanza e da strumenti di
combinazioni politiche tanto ai cattolici come ai socialisti. Un
discorso parlamentare (o uno sciopero, o una dichiarazione di un
capo sindacale) socialista o popolare, era presentato sotto una
certa luce da questi giornali per il loro pubblico, mentre era
presentato sotto altra luce dagli organi cattolici o socialisti. I
giornali popolari e socialisti tacevano addirittura al loro
pubblico certe affermazioni di rispettivi deputati che tendevano a
rendere possibile una combinazione parlamentare‑governativa delle
due tendenze, ecc. ecc.
È indispensabile anche tener conto
delle interviste date dai deputati ad altri giornali e degli
articoli pubblicati in altri giornali. L’omogeneità
dottrinale e politica di un partito può anche essere
saggiata con questo criterio: quali indirizzi sono favoriti dai
soci di questo partito nella loro collaborazione ai giornali di
altra tendenza o così detti di opinione pubblica: talvolta
i dissensi interni si manifestano solo così, i dissidenti
scrivono, in altri giornali, articoli firmati o non firmati, danno
interviste, suggeriscono motivi polemici, si fanno provocare per
essere «costretti» a rispondere, non smentiscono certe
opinioni loro attribuite ecc.
§2 L’Azione Cattolica e i terziari francescani. Può
farsi un paragone qualsiasi tra l’Azione Cattolica e le
istituzioni come i terziari francescani? Certo no, quantunque sia
bene accennare introduttivamente non solo ai terziari, ma anche al
fenomeno più generale dell’apparire nello sviluppo storico
della Chiesa degli ordini religiosi, per meglio definire i
caratteri e i limiti della stessa Azione Cattolica.
La creazione
dei terziari è un fatto molto interessante di origine e
tendenza democratico‑popolare, che illumina meglio il carattere
del francescanesimo come ritorno tendenziale ai modi di vita e di
credenza del cristianesimo primitivo, comunità di fedeli e
non del solo clero come esso era venuto sempre più
diventando. Sarebbe perciò utile studiare bene la fortuna
di questa iniziativa, che non è stata molto grande,
perché il francescanesimo non divenne tutta la religione,
come era nell’intenzione di Francesco, ma si ridusse a uno dei
tanti ordini religiosi esistenti.
L’Azione Cattolica segna
l’inizio di una epoca nuova nella storia della religione
cattolica: quando essa da concezione totalitaria (nel duplice
senso: che era una totale concezione del mondo di una
società nel suo totale), diventa parziale (anche nel
duplice senso) e deve avere un proprio partito.
I diversi ordini
religiosi rappresentano la reazione della Chiesa (comunità
dei fedeli o comunità del clero), dall’alto o dal basso,
contro le disgregazioni parziali della concezione del mondo
(eresie, scismi ecc. e anche degenerazione delle gerarchie);
l’Azione Cattolica rappresenta la reazione contro l’apostasia di
intere masse, imponente, cioè contro il superamento di
massa della concezione religiosa del mondo.
Non è
più la Chiesa che fissa il terreno e i mezzi della lotta;
essa invece deve accettare il terreno impostole dagli avversari o
dall’indifferenza e servirsi di armi prese a prestito
dall’arsenale dei suoi avversari (l’organizzazione politica di
massa). La Chiesa, cioè, è sulla difensiva, ha
perduto l’autonomia dei movimenti e delle iniziative, non è
più una forza ideologica mondiale, ma una forza subalterna.
Cattolici integralisti, gesuiti e modernisti
§4
Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. I «cattolici
integrali» ebbero molta fortuna sotto il papato di Pio X;
rappresentarono una tendenza europea del cattolicismo,
politicamente di estrema destra,
ma naturalmente erano più forti in certi paesi, come
l’Italia, la Francia, il Belgio, dove, in forme diverse, le
tendenze di sinistra in politica e nel campo intellettuale, si
facevano sentire più fortemente nell’organizzazione
cattolica. Nel Belgio, durante la guerra, i tedeschi sequestrarono
una grande quantità di documenti riservati e segreti degli
integrali, in seguito pubblicati e così si ebbe la prova
abbondante che gli integrali avevano costituito una vera e propria
associazione segreta per controllare, dirigere,
«purgare» il movimento cattolico in tutti i suoi gradi
gerarchici, con cifrari, fiduciari, corrispondenze clandestine,
agenti per lo spionaggio ecc.
Il capo degli integrali era
monsignor Umberto Benigni, e una parte dell’organizzazione era
costituita dal «Sodalitium Pianum» (da Papa Pio V),
Monsignor Benigni, morto nel 1934, era un uomo di grande
capacità teorica e pratica e di una attività
incredibile: ha scritto, tra l’altro, un’opera di grande mole, La
Storia sociale della Chiesa, di cui sono usciti 4 volumi d’oltre
600 pagine l’uno, in gran formato, editi dalla casa Hoepli. Come
appare dalla «Civiltà Cattolica», il Benigni
non ha mai interrotto la sua azione cospirativa nell’interno della
Chiesa, nonostante le difficoltà in cui gli integrali sono
venuti a trovarsi per il corso della politica di Pio XI, esitante, titubante, timida, ma tuttavia con indirizzo
popolare democratico per la necessità di creare forti masse
di Azione Cattolica.
Gli integrali appoggiavano in Francia il
movimento dell’Action Française, furono contro il Sillon:
da per tutto sono contro ogni modernismo politico e religioso.
Di fronte ai gesuiti assumevano un atteggiamento quasi
giansenistico, cioè di grande rigore morale e religioso,
contro ogni forma di lassismo, di opportunismo, di centrismo. I
gesuiti naturalmente accusano gli integrali di giansenismo (di
ipocrisia giansenistica) e ancor di più, di fare il gioco
dei modernisti (teologanti): 1) per la loro lotta contro i
gesuiti; 2) perché allargavano talmente la nozione di
modernismo e quindi ampliavano talmente il bersaglio, da offrire
ai modernisti un campo di manovra comodissimo. Di fatto è
avvenuto che nella loro comune lotta contro i gesuiti, integrale e
modernisti si siano trovati obbiettivamente nello stesso terreno e
abbiano collaborato tra loro (il Buonaiuti avrebbe scritto nella
rivista del Benigni).
Cosa rimane oggi dei modernisti e degli integrali? È
difficile identificare e calcolare la loro forza oggettiva
nell’organizzazione ecclesiastica, specialmente dei modernisti
(gli integrali hanno mantenuto le loro forze quasi intatte, anche
dopo la campagna contro l’Action Française): in ogni modo
essi sono sempre dei «fermenti» che continuano ad
operare, in quanto rappresentano la lotta contro i gesuiti e il
loro strapotere, lotta condotta anche oggi da elementi di destra e
di sinistra, nell’apparente indifferenza della massa del clero e
con risultati non trascurabili nella massa dei fedeli, che ignora
queste lotte e il loro significato, ma appunto perciò non
può raggiungere una mentalità unitaria e omogenea di
base.
A queste forze interne, antagonistiche e clandestine o quasi,
della Chiesa (per il modernismo la clandestinità
è indispensabile) conviene avere dei
«centri» esterni pubblici, o con efficacia diretta sul
pubblico, con periodici o edizioni di opuscoli e di libri. Tra i
centri clandestini e quelli pubblici esistono collegamenti
clandestini che diventano il canale delle ire, delle vendette,
delle denunzie, delle insinuazioni perfide, dei pettegolezzi per
tenere sempre viva la lotta contro i gesuiti (che hanno anche loro
una organizzazione non ufficiale o addirittura clandestina, alla
quale devono contribuire i così detti «gesuiti
laici», curiosa istituzione forse copiata dai terziari
francescani e che numericamente pare rappresentino circa 1/4 di
tutte le forze gesuitiche: questa istituzione dei «gesuiti
laici» merita di essere studiata con attenzione).
Tutto
ciò dimostra che la forza coesiva della Chiesa è
molto minore di ciò che si pensa, non solo per il fatto che
la crescente indifferenza della massa dei fedeli per le quistioni
puramente religiose ed ecclesiastiche dà un valore molto
relativo alla superficiale ed apparente omogeneità
ideologica, ma per il fatto ben più grave che il centro
ecclesiastico è impotente ad annientare le forze
organizzate che lottano coscientemente nel seno della Chiesa.
Specialmente la lotta contro il modernismo ha demoralizzato il
giovane clero, che non esita a pronunziare il giuramento
antimodernista pur continuando a conservare le sue opinioni.
(Ricordare gli ambienti torinesi dei giovani ecclesiastici, anche
domenicani, prima della guerra, e le loro deviazioni che andavano
fino ad accogliere benevolmente le tendenze modernizzanti
dell’islamismo e del buddismo e a concepire la religione come un
sincretismo mondiale di tutte le religioni superiori: dio è
come il sole, di cui le religioni sono i raggi e ogni raggio guida
all’unico sole ecc.),
continua
Da un articolo di padre Rosa (Risposta ad «Una polemica
senza onestà e senza legge», nella
«Civiltà Cattolica» del 21 luglio 1928) sono
tolte queste indicazioni: Monsignor Benigni continua (nel 1928) ad
avere una notevole organizzazione: una collezione intitolata
Vérités è pubblicata a Parigi e vi appaiono
le firme Récalde, Luc Verus, Simon: Luc Verus è lo
pseudonimo collettivo degli «integrali». Il Rosa cita
l’opuscolo Les découvertes du jésuite Rosa,
successeur de Von Gerlach, Parigi, Linotypie G. Dosne, Rue Turgot
20, 1928, che attribuisce al Benigni almeno per il materiale. I
gesuiti sono accusati di essere «amici dei massoni e dei
giudei» (fa ricordare la «dottrina» di
Ludendorff sull’«internazionale
massonico‑giudeo‑gesuitica»), sono chiamati «demagoghi
e rivoluzionari» ecc.
A Roma il Benigni si serve
dell’agenzia Urbs o Romana e firma le sue pubblicazioni col nome
di suo nipote Mataloni. Il bollettino romano del Benigni si
intitolava «Veritas» (esce ancora o fino a quando
è uscito?) Il Benigni (nel 1928 o prima?) ha pubblicato un
opuscolo Di fronte alla calunnia, di poche pagine, con documenti
che concernono il Sodalizio Piano, opuscolo che è stato
riprodotto in parte e difeso da due periodici cattolici:
«Fede e Ragione» (di Firenze) e la «Liguria del
Popolo» di Genova). Il Benigni diresse il periodico
«Miscellanea di storia ecclesiastica».
L’opuscolo Una polemica senza onestà e senza legge contro
il p. Rosa è del prof. E. Buonaiuti. Il Rosa parla del
libro di Buonaiuti: Le Modernisme catholique (pubblicato
collezione diretta da P. L. Couchaud, edito dal Rieder) e osserva
che l’autore finalmente ammette una serie di fatti che avrebbe sempre negato durante la polemica modernista (per es. che il
Buonaiuti fu l’autore della campagna modernistica del
«Giornale d’Italia», ciò che veramente il
Buonaiuti nel suo libro non dice esplicitamente, ma che si
può dedurre come verosimile, data la tortuosità di
questi scrittori). Il Benigni organizzò il servizio stampa
contro i modernisti al tempo dell’Enciclica Pascendi. Nelle sue
«Ricerche religiose» (luglio 1928, p. 335) il
Buonaiuti racconta un episodio caratteristico (riportato dal p.
Rosa con espressioni di biasimo ecc.).
Nel 1909 il modernista
prof. Antonino De Stefano (attualmente prete spretato e insegnante
di storia all’Università) doveva pubblicare a Ginevra una
«Revue moderniste internationale»: il Buonaiuti
scrisse una lettera. A poche settimane di distanza è
chiamato al Sant’Uffizio. L’assessore del tempo, il domenicano
Pasqualigo, gli contestò parola per parola la lettera al Da
Stefano. La lettera era stata trafugata a Ginevra; un emissario
romano si era «traforato» in casa De Stefano ecc.
(Naturalmente per il Buonaiuti, Benigni è stato uno
strumento e un complice dei gesuiti, ma pare che nel 1904 il
Buonaiuti abbia collaborato nella «Miscellanea» del
Benigni).
Su questo argomento, Cattolici integrali - gesuiti ‑ modernisti
che rappresentano le tre tendenze «organiche» del
cattolicismo, cioè sono le forze che si contendono
l’egemonia nella Chiesa romana, occorre raccogliere tutto il
materiale e costruire una bibliografia. (La collezione della
«Civiltà Cattolica», delle «Ricerche
religiose» del Buonaiuti, «Miscellanea» del
Benigni, le collezioni di opuscoli polemici delle tre correnti
ecc.).
continua
Da quanto si rileva dalla «Civiltà Cattolica»
pare che «Fede e Ragione» sia oggi la rivista
più importante dei cattolici integrali. Vedere quali ne
sono i principali collaboratori e in quali punti si pone in
contrasto coi gesuiti: se in punti riguardanti la fede, la morale,
la politica ecc. Gli «integrali» sono forti nel
complesso di qualche ordine religioso rivale dei gesuiti
(domenicani, francescani): è da ricordare che neanche i
gesuiti sono perfettamente omogenei: il cardinale Billot,
integrale intransigente fino ad abbandonare la porpora, era
gesuita, e gesuiti furono alcuni modernisti di grido come il
Tyrrell.
L’articolo: L’equilibrio della verità tra gli estremi
dell’errore, nella «Civiltà Cattolica» del 3
novembre 1928, prende lo spunto dalla pubblicazione di Nicolas
Fontaine: Saint‑Siège, «Action
Française», et «Catholiques
intégraux», Parigi, Gamber, 1928, di cui, in nota, si
dà questo giudizio: «L’autore è dominato da
pregiudizi politici e liberali, massime quando vede la politica
nella condanna dell’Action Française; ma i fatti e i
documenti, da lui allegati, sul famoso “Sodalizio” non furono
smentiti». Ora il Fontaine non ha pubblicato nulla di
completamente inedito (i documenti del Fontaine sugli
«integrali» erano stati pubblicati nell’aprile 1924
dal «Mouvement»); perché dunque i gesuiti non
se ne sono serviti prima?
La quistione è importante e pare
possa essere risolta in questi termini: l’azione pontificia contro
l’Action Française è l’aspetto più
appariscente e risolutivo di un’azione più vasta per
liquidare una serie di conseguenze della politica di Pio X (in
Francia, ma indirettamente anche negli altri paesi), cioè Pio
XI vuole limitare l’importanza dei cattolici integrali,
apertamente reazionari e che rendono quasi impossibile in Francia
l’organizzazione di una forte Azione Cattolica e di un partito
democratico‑popolare che possa far la concorrenza ai radicali,
senza però attaccarli di fronte. La lotta contro il
modernismo aveva squilibrato troppo a destra il cattolicismo;
occorre pertanto nuovamente «incentrarlo» nei gesuiti,
cioè ridargli una forma politica duttile, senza
irrigidimenti dottrinari, con una grande libertà di manovra
ecc.; Pio
XI è veramente il papa dei gesuiti.
Ma lottare contro i cattolici integrali su un fronte organico
è molto più difficile che lottare contro i
modernisti. La lotta contro l’Action Française offre un
terreno ottimo; gli integrali sono combattuti non come tali, ma in
quanto sostenitori di Maurras, cioè la lotta è in
ordine sparso, contro singole persone che non obbediscono al papa,
che ne intralciano la difesa della fede e della morale contro un
ateo e un pagano confesso, mentre l’insieme della tendenza
è ufficialmente ignorato. Ecco l’importanza capitale del
libro del Fontaine, che mostra il nesso organico tra Maurras e
l’«integrismo» e aiuta energicamente l’azione del papa
e dei gesuiti (è da notare che il Fontaine a più
riprese insiste presso i «laicisti» francesi sul fatto
che gli integrali e non i gesuiti sono
«antidemocratici», che i gesuiti, in realtà,
aiutano la democrazia ecc.; chi è il Fontaine? è uno
specialista di studi sulla politica religiosa? non potrebbe essere
ispirato dagli stessi gesuiti?)
Questo articolo della «Civiltà Cattolica»,
scritto certo dal p. Rosa, è molto cauto nell’uso dei
documenti ristampati dal Fontaine, evita di analizzare quelli che
non solo screditano gli integrali, ma gettano un’ombra di
comicità e di discredito su tutta la Chiesa (gli integrali
avevano organizzato una vera società segreta con cifrari,
in cui il papa è chiamato «la baronessa
Michelina» e altre personalità con nomi altrettanto
romanzeschi, ciò che mostra la mentalità del Benigni
verso i suoi «gerarchi»).
Sulla quistione «di merito» della politica di Pio
XI le conclusioni non sono facili, come mostra lo stesso
corso di questa politica, corso incerto, timido, titubante per le
immense difficoltà contro cui deve cozzare continuamente.
Si è detto più volte che la Chiesa cattolica ha
virtù di adattamento e di sviluppo inesauribili. Ciò
non è molto esatto.
Nella vita della Chiesa possono essere
fissati alcuni punti decisivi: il primo è quello che si
identifica con lo scisma tra Oriente e Occidente, di carattere
territoriale, tra due civiltà storiche in contrasto, con
scarsi elementi ideologici e culturali, che ha inizio con
l’avvento dell’Impero di Carlo Magno, cioè con un rinnovato
tentativo di egemonia politica culturale dell’Occidente
sull’Oriente; lo scisma avviene in un periodo in cui le forze
ecclesiastiche sono scarsamente organizzate e si approfondisce
sempre più, automaticamente, per la forza stessa delle
cose, impossibili a controllare come avviene di due persone che
per decenni non hanno contatti e si allontanano una dall’altra
fino a parlare due lingue diverse.
Il secondo è quello
della Riforma, che avviene in ben diverse condizioni e che se ha
come risultato una separazione territoriale, ha specialmente un
carattere culturale e determina la Controriforma, e le decisioni
del Concilio di Trento che limitano enormemente le
possibilità di adattamento della Chiesa Cattolica.
Il terzo
è quello della Rivoluzione francese (Riforma
liberale‑democratica) che costringe ancor più la Chiesa a
irrigidirsi e mummificarsi in un organismo assolutistico e
formalistico di cui il papa è il capo nominale, con poteri
teoricamente «autocratici», in verità molto
scarsi perché tutto il sistema si regge solo per il suo
irrigidimento da paralitico.
Tutta la società in cui la
Chiesa si muove e può evolvere, ha la tendenza a
irrigidirsi, lasciando alla Chiesa scarse possibilità di
adattamento, già scarse per la natura attuale della Chiesa
stessa. L’irrompere di forme nuove di nazionalismo, che poi sono
il termine finale del processo storico iniziatosi con Carlo Magno,
cioè col primo rinascimento, rende non solo impossibile
l’adattamento, ma difficile l’esistenza, come si vede nella
Germania hitleriana. D’altronde il papa non può
«scomunicare» la Germania hitleriana, deve talvolta
persino appoggiarsi ad essa, e ciò rende impossibile ogni
politica religiosa rettilinea, positiva, di un qualche vigore. Di
fronte a fenomeni come l’hitlerismo, anche larghe concessioni al
modernismo non avrebbero nessun significato ormai, ma solo
aumenterebbero la confusione e l’imbroglio.
Né è
detto che in Francia le cose siano più allegre,
perché proprio in Francia è stata creata la teoria
di contrapporre la «religione della patria» a quella
«romana» e si può supporre un incremento di
nazionalismo patriottico, non di cosmopolitismo romano.
continua
Dall’articolo della «Civiltà Cattolica» del 3
novembre 1928 sono tratti questi spunti. Si accenna che anche in
Italia Maurras ha trovato difensori tra i cattolici: si parla di
«imitatori o fautori, palesi od occulti, ma del pari
aberranti dalla pienezza della fede e della morale cattolica, o
nella teoria o nella pratica, pure gridando e anche illudendosi di
volerle difendere integralmente e meglio di qualsiasi
altro». L’Action Française «avventò
contro chi scrive queste righe (il p. Rosa) un cumulo di
vilipendii e di calunnie incredibili (sic), fino a quelle
insinuate ripetutamente di assassinii ed esecuzioni spietate di
confratelli!» (è da vedere quando e come queste
accuse furono fatte al p. Rosa; tra i gesuiti c’era un’ala
integralista e favorevole al Maurras, con uomini di primo piano
come il cardinale Billot, che fu uno dei principali compilatori
dell’enciclica Pascendi e che rinunziò alla carica di
cardinale, cosa rarissima nella storia della Chiesa, che dimostra
l’ostinata pervicacia del Billot e la volontà risoluta del
papa di superare ogni ostacolo nella lotta contro Maurras).
La «Revue internationale des sociétés
secrètes», diretta dall’abbate Boulin, è
«integrale» e accanita antigesuita; il Boulin è
collegato a Benigni‑Mataloni e si serve di pseudonimi (Roger
Duguet). L’Action Française e gli integrali si attaccano
disperatamente a Pio X e pretendono di restare fedeli ai suoi
insegnamenti (ciò che nello sviluppo della Chiesa sarebbe
un bel precedente, perché ogni papa, morto, potrebbe
offrire il terreno per organizzare una setta che si attacca a un
suo particolare atteggiamento; gli «integrali»
vogliono rimettere in onore il Sillabo di Pio IX: nella proposta
dell’Action Française di avere un ecclesiastico per la
cattedra del Sillabo nelle sue scuole, era contenuta un’abile
provocazione, ma Pio XI non solo non vuole ridare attualità al Sillabo, ma
cerca perfino di attenuare ed edulcorare l’enciclica Pascendi).
L’articolo della «Civiltà Cattolica» è
veramente importante e occorrerà rivederlo per il caso di
un approfondimento della quistione. Bisognerà vedere tutte
le sfumature dei «distinguo» a proposito della
massoneria, dell’antisemitismo, del nazionalismo, della democrazia
ecc. Anche per i modernisti si distingue tra illusi, ecc., e si
prende posizione contro l’antimodernismo del Benigni ecc.:
«Tanto più che era da temere e non mancammo di farlo
notare fino da quegli anni a chi di dovere, che siffatti metodi
avrebbero fatto il gioco dei modernisti veri, preparando in futuro
gravi danni alla Chiesa. Il che si vide poi, ed anche al presente
si vede, nello spirito cattivo di reazione, non del vecchio
modernismo solamente e del liberalismo, ma del nuovo
altresì e dell’integralismo stesso. Questo mostrava allora
di volersi opporre ad ogni forma o parvenza di modernismo, anzi
presumeva essere, come suol dirsi, più papale del papa, ed
invece ora con grave scandalo o gli resiste ipocritamente o
apertamente lo combatte, come avviene tra i fautori rumorosi
dell’Action Française in Francia e i silenziosi loro
complici in Italia».
Gli integrali chiamano i gesuiti «modernizzanti» e
«modernizzantismo» la loro tendenza: hanno diviso i
cattolici in integrali e non integrali cioè
«papali» ed «episcopali» (pare che
l’enciclica di Benedetto XV Ad beatissimi abbia notato,
biasimandola, questa tendenza a introdurre tali distinzioni tra i
cattolici, che lederebbero la carità e l’unità dei
fedeli).
La «Sapinière» (da S. P. iniziali del
«Sodalizio Piano») era la società segreta che
si nascondeva dietro il velo del «Sodalizio Piano», ed
organizzò la lotta contro i gesuiti modernizzanti,
«in tutto contrariamente alla prima idea ed al programma
officiale proposto al Santo Pontefice Pio X, indi approvato dal
Segretario della Concistoriale, non certamente perché
servisse allo sfogo di passioni private, alla denuncia e
diffamazione di integerrimi ed anche eminenti personaggi, di
Vescovi e d’interi Ordini religiosi, nominatamente del nostro, che
mai finora erasi veduto in balia a siffatte calunnie, neppure ai
tempi della sua soppressione.
Da ultimo poi, finita la guerra e
molto più dopo lo scioglimento del “Sodalizio Piano” –
decretato dalla Sacra Congregazione del Concilio, non certo a
titolo di lode, ma di proibizione e di biasimo – fu promossa tutta
a spese di un noto e ricchissimo finanziere Simon di Parigi e
della sua larga consorteria, la pubblicazione e la prodiga
diffusione gratuita di libelli i più ignominiosi e
criticamente insipienti contro la Compagnia di Gesù, i suoi
Santi, i suoi dottori e le sue opere e le sue costituzioni, pure
solennemente approvate dalla Chiesa. È la nota collezione
dei così detti “Récalde”, cresciuta già ad
oltre una dozzina di libelli, alcuni di più volumi, in cui
è troppo riconosciuta e non meno retribuita la parte dei
complici romani. Essa viene ora rinforzata dalla pubblicazione
sorella di foglietti diffamatori, i più farneticanti, sotto
il titolo complessivo ed antifrastico di “Vérités”,
emuli dei fogli gemelli dell’Agenzia Urbs ovvero Romana, i cui
articoli ritornano poi talora, quasi a verbo, in altri fogli
“periodici”».
Gli integrali sparsero «le peggiori calunnie» contro
Benedetto XV, come si può vedere dall’articolo comparso
alla morte di questo papa nella «Vieille France» (di
Urbain Gohier) e nella «Ronda» (febbraio 1922),
«anche questo (periodico) tutt’altro che cattolico e morale,
ma onorato tuttavia dalla collaborazione di Umberto Benigni, il
cui nome si trova registrato nella bella compagnia di quei giovani
più o meno scapestrati». «Lo stesso spirito di
diffamazione, continuato sotto il presente Pontificato, in mezzo
alle file medesime dei cattolici, dei religiosi e del clero, non
si può dire quanto abbia fatto di male nelle coscienze,
quanto scandalo portatovi e quanta alienazione di animi, in
Francia sopra tutto. Quivi infatti la passione politica induceva a
credere più facilmente le calunnie, mandate spesso da Roma,
dopo che i ricchi Simon e altri compari, di spirito gallicano e
giornalistico (sic), ne spesarono gli autori e procurarono la
diffusione gratuita dei loro libelli, massime degli antigesuitici
sopra menzionati, nei seminari, nelle canoniche, nelle curie
ecclesiastiche, ovunque fosse qualche probabilità o
verosimiglianza che la calunnia potesse attecchire; ed anche fra
laici, massime giovani, e degli stessi licei governativi, con una
prodigalità senza esempio». Gli autori già
sospetti si servono dell’anonimo o di pseudonimi. «È
notorio, tra i giornalisti specialmente, quanto poco meriti
qualsiasi titolo di onore un siffatto gruppo col suo principale
ispiratore, il più astuto a nascondersi, ma il più
colpevole e il più interessato nell’intrigo» (si
riferisce al Benigni o a qualche altro pezzo grosso del Vaticano?)
continua
Secondo il p. Rosa, tra l’Action Française e gli
«integrali» non c’era inizialmente
«accordo» ma esso si è venuto formando dopo il
1926; ma questa affermazione è certo fatta ad arte per
escludere ogni movente politico (lotta contro gli ultrareazionari)
dalla lotta contro l’Action Française e per diminuire le
responsabilità di Pio X. Nell’ultima nota dell’articolo si
dice: «Non si deve tuttavia confondere l’uno con l’altro
partito, come taluno ha fatto, per es. Nicolas Fontaine nell’opera
citata Saint‑Siège, “Action Française” et
“Catholiques intégraux”. Questo autore, come notammo,
è più che liberale, ma purtroppo (sic)
informatissimo dei casi niente edificanti della menzionata
società clandestina, detta della “Sapinière” e dei
suoi fautori francesi ed italiani, ed in ciò è
ridicolo rinfacciare il suo liberalismo: occorre smentire i fatti
su cui riparleremo a suo tempo».
In realtà il
Fontaine mostra esaurientemente il nesso tra integrali e Action
Française, anche se è possibile dire che si tratta
di due partiti distinti, di cui uno tende a servirsi dell’altro, e
mostra come tale nesso risalga a Pio X. È curioso quel
«purtroppo informatissimo», perché il Fontaine
si è servito di materiale di dominio pubblico, come
è «curioso» che il p. Rosa, nella
«Civiltà Cattolica» non abbia più
«riparlato» della «Sapinière» (fino
alla morte di Monsignor Benigni, che non è stato ricordato;
ed è difficile pensare che ne parli ancora, a meno che al
Benigni non succeda qualche altra forte personalità nella
direzione degli integrali): questo silenzio ha il suo significato.
L’articolo conclude: «Ma la verità non ha da temere:
e per parte nostra, noi siamo ben risoluti a difenderla senza
paura né trepidazione od esitanza, anche contro i nemici
interni, siano pure ecclesiastici facoltosi e potenti, che hanno
fuorviato i laici per trarli ai loro disegni e interessi».
Ricorda un viaggio del Benigni in America (di cui parla la
«Civiltà Cattolica», 1927, iv, p. 399) per la
distribuzione di libelli antigesuiti: a Roma ci sarebbe un
deposito di più decine di migliaia di copie di questi
libelli.
L’Action Française aveva a Roma un suo redattore, Havard
de la Montagne, che dirigeva un settimanale in lingua francese
«Rome» destinato specialmente ai cattolici francesi,
religiosi o laici, residenti o di passaggio a Roma: era il
portavoce degli integrali e dei maurrassiani, il centro del loro
raccoglimento e del servizio di informazione dell’Action
Française presso il Vaticano, non solo per le quistioni
religiose, ma specialmente per quelle politiche francesi e
internazionali di carattere riservato. Non bisogna dimenticare che
il Vaticano ha un servizio d’informazioni talvolta e per certi
argomenti più preciso, più largo e più
abbondante di qualsiasi altro governo. Poter servirsi di questa
fonte era per l’Action Française una ragione non delle
minori di certi successi giornalistici e di molte campagne
personali e scandalistiche. Pare che dopo la rottura del 1926,
«Rome» sia deperito e poi morto.
Il caso dell’abate Turmel di Rennes. Nella raccolta di scritti su
L’Enciclica Pascendi e il modernismo il p. Rosa (il libro è
del 1908‑1909) dedica alcune pagine «gustosissime»
(non per il garbo e le virtù stilistiche dell’autore, che
è un pedestre scribacchiatore, molto più pedestre,
incondito e rozzo del suo antagonista Buonaiuti che pure non
scherza) al caso «straordinario» dell’abate Turmel, modernista, che scriveva libri modernisti e persino di carattere
tutt’affatto ateistico sotto varii pseudonimi e poi li confutava
col suo vero nome. Dal 1908 al 1929 il Turmel ha continuato nel
suo gioco di pseudonimi finché, per un caso,
l’autorità ecclesiastica ebbe le prove palmari di questa
duplicità; ma queste prove non furono subito esibite per
liquidare l’abate: fu prima dato incarico al prof. L. Saltet,
dell’Istituto cattolico di Tolosa, di fare un’ampia dimostrazione
filologico‑critico-teologica (nel «Bulletin de
Littérature Ecclésiastique» di Tolosa) della
paternità turmeliana di tutta una serie di scritti
pubblicati con ben 14 pseudonimi, e poi il Turmel fu espulso dalla
Chiesa. (Su questo argomento vedi altra nota, più oltre).
(La quistione dell’anonimato e degli pseudonimi cui ricorrevano i
modernisti per sfuggire alle misure immediate di repressione
è trattata dal Buonaiuti nel suo libro del 1927 sul
modernismo Cattolico con qualche sofisma e con una certa
imbarazzata reticenza. È certo che questa tattica da
«politicante» nocque molto specialmente al Buonaiuti,
che dagli «idealisti» della «Voce» fu
presentato come una personalità quasi spregevole. La figura
del Buonaiuti non perde, nonostante tutto, una certa sua aura di
grandezza morale e di severità di carattere, se si pensa
che egli è il solo che da più di 30 anni si è
mantenuto nella sua posizione contro la Curia e i gesuiti,
abbandonato da sostenitori e da amici, che o sono rientrati
nell’ovile o sono passati decisamente nel campo laico. Né
la sua attività è senza conseguenze per la Chiesa
cattolica, se si tiene conto della diffusione dei suoi libri e del
fatto che la Chiesa ripetute volte gli ha offerto dei
compromessi).
continua
Cfr l’articolo «La lunga crisi dell’Action
Française» nella «Civiltà
Cattolica» del 7 settembre 1929. Si loda il libro La trop
longue crise de l’Action Française di Mons. Sagot du
Vauroux, évêque d’Agen, Parigi, ed. Bloud, 1929,
opera che «riuscirà utilissima anche agli stranieri,
i quali non riescono a comprendere le origini e meno ancora la
persistenza, congiunta a tanta ostinazione, degli aderenti
cattolici che li acceca fino a farli vivere e morire senza
sacramenti, piuttosto che rinunciare alle odiose esorbitanze di un
loro partito e dei suoi dirigenti increduli». La
«Civiltà Cattolica» cerca giustificarsi del
fatto che non si occupa più spesso della polemica
dell’Action Française e tra l’altro dice: «Oltre a
ciò la prolungata crisi non tocca l’Italia se non per
riverbero, ossia per una lontana (!?) concomitanza ed analogia,
che essa potrebbe (!) avere con le tendenze generali paganeggianti
dell’età moderna».
(Questo maltusianismo polemico
costituisce appunto la debolezza principale della posizione
gesuitica contro l’Action Française ed è la causa
maggiore del furore fanatico di Maurras e dei suoi seguaci: questi
sono persuasi, non a torto, che il Vaticano fa su di loro una
esperienza «in corpore vili», che essi hanno la
funzione del ragazzo che, una volta, accompagnava il principe
ereditario inglese e si pigliava le nerbate per conto del regale
padrone; da ciò a far persuasi i seguaci di Maurras che
l’assalto subìto è meramente politico, perché
non universale che a parole, ci vuol poco. In verità il
papa si è ben guardato, e così la
«Civiltà Cattolica», di identificare e
«punire» con le stesse sanzioni, negli altri paesi,
gli elementi individuali o di gruppo che hanno le stesse tendenze
di Maurras e non le nascondono).
Altre indicazioni di «cattolici integrali»: il Bloc
antirévolutionnaire di Felix Lacointe, «degno amico
del citato Boulin e dei suoi soci» (il Boulin dirige la
«Revue Internationale des Sociétés
secrètes»). Il Lacointe avrebbe pubblicato che il
cardinale Rampolla era iscritto alla Massoneria o qualcosa di
simile (al Rampolla si rimprovera la politica del ralliement fatta
da Leone XIII; ricordare a proposito del Rampolla che il veto al
Conclave contro la sua elezione al ponteficato fu fatto
dall’Austria, ma per domanda di Zanardelli; sul Rampolla e la sua
posizione verso lo Stato italiano offre elementi nuovi il Salata
nel I° volume, e solo pubblicato, dei suoi Documenti
diplomatici sulla questione romana).
Un elemento ideologico molto significativo del lavoro che i
gesuiti esplicano in Francia per costituire una larga base
popolare al movimento cattolico‑democratico è questo
giudizio storico‑politico: Chi è responsabile
dell’«apostasia» del popolo francese? Solo gli
intellettuali democratico-rivoluzionari che si richiamavano al
Rousseau? No. I più responsabili sono gli aristocratici e
la grande borghesia che hanno civettato con Voltaire: «… le
rivendicazioni tradizionali (dei monarchici) del ritorno
all’antico sono pure rispettabili, quantunque inattuabili, nelle
condizioni presenti. E sono inattuabili anzitutto per colpa di
tanta parte dell’aristocrazia e borghesia di Francia,
poiché dalla corruzione e dall’apostasia di questa classe
dirigente fino al secolo XVIII originò la corruzione e
l’apostasia della massa popolare in Francia, avverandosi anche
allora che regis ad exemplum totus componitur orbis. Il Voltaire
era l’idolo di quella parte dell’aristocrazia corrotta e
corrompitrice del suo popolo, alla cui fede e costumatezza
procurando scandalose seduzioni, essa scavava a se medesima la
fossa. E sebbene poi al sorgere del Rousseau con la sua democrazia
sovversiva in opposizione all’aristocrazia volterriana, si fecero
opposizione teorica le due correnti dell’apostasia – come tra i
due tristi corifei – che parevano muovere da contrari errori,
confluirono in una stessa pratica ed esiziale conclusione:
nell’ingrossare cioè il torrente rivoluzionario ecc.
ecc.».
continua
Così oggi: Maurras e C. sono avversari della democrazia
alla Rousseau e delle «esagerazioni democratiche»
(«esagerazioni», si badi bene, solo
«esagerazioni») del Sillon, ma sono discepoli e
ammiratori di Voltaire (Jacques Bainville ha curato un’edizione di
lusso degli scritti di Voltaire e i gesuiti non lo dimenticano).
Su questo nesso storico-critico riguardante le origini
dell’«apostasia» popolare in Francia la
«Civiltà Cattolica» cita un articolo della
«Croix» del 15‑16 agosto 1929: L’apostasie navrante de
la masse populaire en France che si riferisce al libro: Pour faire
l’avenir del P. Croizier dell’«Action populaire» edito
nel 1929 dalle edizioni Spes di Parigi.
Tra i seguaci di Maurras e C. oltre ai conservatori e monarchici
la «Civiltà Cattolica» (sulle tracce del
vescovo di Agen) rileva altri quattro gruppi: 1) gli snobisti
(attratti dalle doti letterarie, specialmente del Maurras); 2) gli
adoratori della violenza e della maniera forte, «con le
esagerazioni dell’autorità, spinta verso il dispotismo,
sotto colore di resistenza allo spirito di insubordinazione o
sovvertimento sociale, dell’età contemporanea»; 3) i
«falsi mistici», «creduli a vaticinii di
straordinarie ristaurazioni, di conversioni meravigliose o di
provvidenziali missioni» assegnate proprio a Maurras e C.
Questi, fin dal tempo di Pio X, «imperterriti»,
scusano l’incredulità di Maurras, imputandola «al
difetto della grazia», «quasi che non fosse data a
tutti la grazia sufficiente per la conversione, né fosse
imputabile a chi vi resiste il cadere o il persistere nella
colpa» (sarebbero questi, pertanto, semieretici,
perché, a giustificare Maurras, ripetono le posizioni
giansenistiche o calviniste.
A questo proposito occorre spiegare
la pervicacia di Maurras nel non volersi «convertire»
cosa che non può essere solo dovuta alla
«integrità e lealtà etica e
intellettuale» e appunto perciò fa trepidare i
gesuiti: essi comprendono che se il gruppo Maurras prendesse il
potere statale, la situazione di fatto del cattolicismo in Francia
diverrebbe più difficile dell’attuale. Fa meraviglia
perciò l’atteggiamento del Vaticano verso lo hitlerismo,
nonostante che Rosenberg1 avesse scritto il suo Mito prima della
presa del potere: è vero che Rosenberg intellettualmente
non è della statura di Maurras ma tutto il movimento
hitleriano è intellettualmente basso e volgare ed era
prevedibile ciò che poi è successo verso il
cattolicismo e il cristianesimo).
Il quarto gruppo (il più pericoloso per la
«Civiltà Cattolica») sarebbe composto dagli
«integrali» (la «Civiltà Cattolica»
osserva che il vescovo di Agen li chiama anche
«integristi», «ma è notorio che essi non
sono da confondere col partito politico, chiamato degli
“integristi”, nella Spagna»). Questi
«integrali», scrive la «Civiltà»,
«anche in Italia non mancarono di favorire i positivisti e
increduli dell’Action Française solo perché violenti
contro il liberalismo e altre forme di errori moderni senza
avvertire che essi trascorrevano ad estremi opposti, del pari
erronei e perniciosi ecc.».
«Così abbiamo
veduto, anche in Italia, qualche loro foglio accennare appena,
come di volo, alla condanna dell’Action Française, in
cambio di pubblicarne i documenti e illustrarne il senso e la
ragione, indugiandosi invece sulla ristampa ed il commento della
condanna del Sillon; quasi che i due moti fra loro opposti, ma del
pari opposti alla dottrina cattolica, non potessero essere e non
fossero egualmente riprovevoli. Cosa questa degna di nota,
perché mentre quasi in ogni numero di siffatte
pubblicazioni non manca qualche accusa o escandescenza contro
autori cattolici, sembra che venga meno o lo spazio o la lena per
una franca ed energica trattazione di condanna contro quelli
dell’Action Française; anzi si ripetono spesso le calunnie,
come quella di una pretesa piega a sinistra, ossia verso il
liberalismo, popolarismo, falsa democrazia, contro chi non seguiva
il loro modi procedere».
Nella corrente dei «cattolici integrali» bisogna
mettere anche Henri Massis e il gruppo dei «difensisti
dell’Occidente»; ricordare le frecciate del padre Rosa
contro il Massis nella risposta alla lettera aperta di Ugo Ojetti).
Note
Lista dei nomi
Lista degli eventi, movimenti, ecc.