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    La Chiesa cattolica nell'epoca moderna e  contemporanea
    
    
    Chiesa e Rivoluzione francese
    
    Riforma economica 
    
    Durante L'Ancien Régime il clero era stato il più grande
    proprietario terriero di Francia, possedendo il 10% dei territori
    del Paese; era esente dal pagamento di tasse e impose la decima
    (imposta che tassava i redditi per 1/10). Il potere e le ricchezze
    del clero crearono un forte risentimento della popolazione nei
    confronti della Chiesa. A partire dall'11 agosto 1789 la decima
    venne soppressa senza che subentrasse alcun tipo di nuova imposta,
    privando così il clero di una parte consistente delle sue entrate.
    Il 2 novembre, su proposta di Charles Maurice de Talleyrand-Périgord
    (vescovo di Autun), l'Assemblea decise di usufruire della grande
    quantità di beni del clero per colmare il debito pubblico,
    mettendoli all'asta con l'intento di sanare il deficit dell'economia
    francese. Per vendere così tanti beni era necessario molto tempo,
    durante il quale le casse dello Stato avrebbero potuto svuotarsi;
    per evitare questo, il 19 dicembre si decise di creare dei biglietti
    il cui valore era assegnato in riferimento ai beni del clero: nacque
    così l'assegnato. Da quel momento, chiunque desiderava comprare dei
    beni nazionali doveva farlo attraverso gli assegnati emessi dallo
    Stato, permettendo a quest'ultimo di impossessarsi di moneta prima
    ancora dell'effettiva vendita del bene. Effettuata la vendita, gli
    assegnati sarebbero ritornati nelle mani dell'emittente per essere
    distrutti. I primi biglietti avevano un elevato valore (1.000 livre)
    che non li rendeva idonei a essere messi in circolazione tra la
    popolazione, ma il loro scopo principale era di far rientrare la
    maggiore quantità possibile di moneta nelle casse dello Stato. Il
    valore totale della prima emissione fu di 400 milioni di livre.
    
    Non tutti i deputati dell'Assemblea furono favorevoli a questa
    riforma (tra i quali Talleyrand), sostenendo che il nuovo sistema
    avrebbe portato alla circolazione di un numero troppo elevato di
    assegnati rispetto al valore dei beni nazionali. Il 17 aprile 1790
    l'assegnato venne convertito in cartamoneta (Necker, essendo
    contrario, si dimise in settembre) e lo Stato, sempre a corto di
    liquidità, lo utilizzò per far fronte a tutte le sue spese; ne
    vennero messi in circolazione una grande quantità che con il tempo
    superò il valore dei beni nazionali, avverando i timori dei deputati
    più scettici. Nel periodo che va dal 1790 al 1793 gli assegnati
    persero il 60% del loro valore ma, nonostante questo, i prezzi di
    acquisto dei beni nazionali rimasero molto elevati per le classi
    popolari e solo la classe agiata poteva acquistarli (molte persone
    si arricchirono enormemente, acquistando grandi terreni e fabbricati
    per somme irrisorie rispetto al loro valore reale). Tutto questo
    contribuì fortemente a dare inizio ad un periodo di forte inflazione
    e l'Inghilterra, che era allora il più grande nemico della Francia,
    iniziò a produrre dei falsi assegnati per accelerare la crisi
    economica francese.
    
    Questione religiosa 
    
    L'eliminazione della decima e la nazionalizzazione dei beni della
    Chiesa costrinsero l'Assemblea Nazionale Costituente ad interessarsi
    direttamente del finanziamento del clero. Il 12 luglio 1790 venne
    approvata la Costituzione Civile del Clero, approvata da Luigi XVI
    il 26 dicembre. Con questo documento, ispirato ai principi gallicani
    (riconoscenza al papa del primato d'onore e di giurisdizione ma non
    del potere assoluto), venne attuata una riforma essenzialmente su
    quattro aspetti della Chiesa: riordinamento delle diocesi in base ai
    dipartimenti (furono soppresse 52 diocesi, da 135 a 83);
    retribuzione da parte dello Stato di vescovi, parroci e vicari;
    elezione democratica dei vescovi e dei parroci da parte delle
    assemblee dipartimentali; obbligo di residenza sotto pena di perdita
    della retribuzione. I membri del clero divennero così dei funzionari
    statali.
    
    Il 1º agosto Luigi XVI incaricò l'ambasciatore a Roma di ottenere,
    da papa Pio VI, l'approvazione della nuova riforma. Il papa si era
    limitato a condannare segretamente la Dichiarazione dei Diritti
    dell'Uomo e del Cittadino e per valutare la Costituzione Civile del
    Clero istituì una speciale commissione, la quale, preoccupata di
    perdere Avignone (all'epoca faceva parte dello Stato Pontificio ma
    gran parte degli Avignonesi erano favorevoli ad annettersi alla
    Francia) e di provocare una spaccatura tra i chierici, cercò di
    temporeggiare. I vescovi domandarono che si attendesse
    l'approvazione pontificia prima di mettere in vigore la nuova
    riforma, ma l'Assemblea insistette per una sua rapida applicazione e
    decise che per il 4 gennaio 1791 tutti i vescovi, parroci e vicari
    avrebbero dovuto prestare un giuramento di fedeltà come funzionari
    civili, pena la perdita delle funzioni e dello stipendio. I primi
    chierici cominciarono a prestare giuramento senza attendere il
    giudizio del pontefice. Con sorpresa generale i 2/3 degli
    ecclesiastici dell'Assemblea Nazionale Costituente rifiutarono di
    giurare e pressoché la metà del clero parrocchiale fece altrettanto.
    L'Assemblea destituì i refrattari (coloro che non prestarono
    giuramento) e li sostituì con i costituzionali (coloro che
    prestarono giuramento).
    
    Pio VI fu costretto a prendere posizione e il 10 marzo 1791, con il
    Quod aliquantum, condannò la Costituzione Civile del Clero,
    in quanto danneggiava la costituzione divina della Chiesa. Il 13
    aprile, con il Charitas quae, dichiarò sacrilega la consacrazione di
    nuovi vescovi, sospendeva ogni chierico costituzionale e condannava
    il giuramento di fedeltà allo Stato. I rivoluzionari, per
    rappresaglia, invasero Avignone; qui, nell'ambito della lotta fra
    chi sosteneva l'annessione alla Francia e i sudditi fedeli al
    pontefice, una sessantina di questi ultimi furono condannati
    sommariamente a morte e barbaramente uccisi in una delle torri del
    Palazzo dei Papi (tale evento è ricordato come Massacri della
    Ghiacciaia).
    
    Quando venne emanata la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del
    Cittadino nell'agosto del 1789, il piccolo gruppo dei deputati
    protestanti reclamò anche la piena uguaglianza dei culti religiosi,
    trovando un parziale sostegno da parte della maggioranza
    dell'Assemblea che dichiarò: «Nessuno deve essere inquisito per le
    sue opinioni, anche religiose». Successivamente i cattolici del sud
    della Francia (dove più vivo era il sentimento antiprotestante)
    contrattaccarono, invitando l'Assemblea a riconoscere il
    cattolicesimo come religione di Stato. La proposta fu rigettata,
    contribuendo ad allontanare parte del clero dalla Rivoluzione. Le
    condanne di Pio VI del 10 marzo e 13 aprile favorirono il distacco
    di un'ulteriore parte del clero (quello refrattario, fedele al papa)
    dall'Assemblea Nazionale Costituente, dividendo profondamente la
    Chiesa francese e aggravando il malcontento della popolazione. La
    questione del giuramento degenerò in uno scontro violento nell'ovest
    della Francia, dove le città sostenevano i chierici costituzionali e
    le campagne appoggiavano i refrattari.
    
    La secolarizzazione: chiesa cattolica e regime liberale nel XIX
    secolo 
    
    Nonostante i tentativi operati dal Congresso di Vienna del 1814 di
    cancellare la rivoluzione francese e di ritornare all'ancien régime,
    come se niente fosse successo nel frattempo, la società e la
    politica europea oramai si incamminavano verso una piena e totale
    autonomia dalla religione, mettendo fine a quel sistema di rapporti
    tra società e religione che avevano caratterizzato i secoli
    precedenti e che storicamente prende il nome di ancien régime.
    
    Ora, questo nuovo fenomeno di secolarizzazione, che prende il nome
    di separatismo, è tipico della società occidentale, ossia di quei
    Paesi ove è predominante la religione cattolica e protestante,
    mentre nei Paesi dell'Europa orientale, dove domina la religione
    ortodossa, non assistiamo allo stesso fenomeno. Il principio base
    fondamentale è che l'ordine politico-civile-temporale e quello
    spirituale-religioso-soprannaturale sono non solo distinti, ma del
    tutto separati: Stato e Chiesa procedono per due vie che non si
    incontrano mai, e che non hanno alcuna relazione tra loro.
    
    I caratteri che connotano questo nuovo rapporto tra la società
    liberale dell'Ottocento e la religione, e che in modi e tempi
    diversi da Stato a Stato si affermano nel corso del XIX e XX secolo,
    si possono così sintetizzare:
    
      - affermazione dell'origine puramente umana della società e
        dell'autorità civile: viene cioè meno il principio, tanto caro
        alla Santa Sede nel corso dei secoli precedenti, dell'origine
        divina dell'autorità civile e della sua conseguente
        sottomissione all'autorità religiosa;
 
      - affermazione che l'unità politica si fonda sull'identità di
        interessi politici: cioè solo la comunità politica rappresenta
        per tutti la garanzia e lo strumento essenziale del bene comune,
        non più la Chiesa, com'era nei secoli precedenti; con ciò si
        afferma anche una uguale libertà e dignità di tutti i cittadini
        all'interno della medesima comunità politica (fine delle
        discriminazioni per motivi religiosi: così per i cattolici in
        Inghilterra, per i protestanti in Francia, per gli ebrei in
        tutti i Paesi occidentali);
 
      - ha termine il concetto di « religione di Stato » e si afferma
        la piena libertà di coscienza: con ciò si abolisce lo Stato
        confessionale, in quanto l'autorità politica deve avere rispetto
        per tutti i cittadini, qualunque sia il culto che professano;
        nei paesi latini, dell'Europa e del Sudamerica, questo principio
        significò in molti casi un'aperta ostilità verso la Chiesa
        cattolica; in Italia il principio della religione di Stato
        decade solo con il Concordato del 1983;
 
      - le leggi civili non tengono più conto delle leggi
        ecclesiastiche: lo Stato, in sé sovrano, non riconosce più la
        validità delle leggi della Chiesa e addirittura può agire o
        seguire principi del tutto diversi e opposti; su questo punto,
        le applicazioni sono vastissime: basti pensare all'abolizione
        delle leggi che obbligavano i sudditi alla pratica religiosa, o
        all'introduzione del matrimonio civile e alla conseguente legge
        sul divorzio, o alle leggi sulla libertà di stampa e alla
        conseguente abolizione delle censure ecclesiastiche (questi
        furono i tre campi principali di scontro tra società liberale e
        Chiesa cattolica);
 
      - varie attività, finora esercitate prevalentemente dalla
        Chiesa, vengono ora rivendicate dallo Stato; alcuni esempi: la
        cura dei registri dello stato civile, l'amministrazione dei
        cimiteri, la direzione di innumerevoli opere di carità
        (orfanotrofi, ospedali), e soprattutto l'istruzione dei
        cittadini; fu proprio sul campo scolastico che la lotta fu aspra
        e dura: per esempio, in Francia lo Stato arrivò a negare e
        vietare alle Congregazione religiose qualsiasi attività di
        insegnamento;
 
      - fine delle immunità tipiche dell'ancien régime, di cui godeva
        la Chiesa, cioè di quelle esenzioni dal diritto comune, che
        riguardavano le cose, i luoghi, le persone; su questo campo la
        lotta tra Stato e Chiesa fu lunga e aspra, e molte spesso la
        Chiesa riusciva ad ottenere, tramite i Concordati, delle
        mitigazioni su questo punto (è il caso, per esempio, del
        Concordato con l'Austria del 1855, e del Concordato con la
        Spagna franchista del 1953); d'altro canto, e in molti casi, lo
        Stato rivendicava a sé la nomina dei vescovi, negando così alla
        Chiesa quel diritto alla libertà che affermava risolutamente per
        sé.
 
      - abolizione di ordini religiosi, soprattutto contemplativi, e
        confisca dei beni ecclesiastici da parte dello Stato.
 
    
    Questi aspetti, sinteticamente delineati, si affermarono in tutti i
    Paesi dell'Europa, ma in tempi ed in modi diversi.
    
    Di fronte all'affermazione del principio di separazione fra Chiesa e
    Stato, come reagì il mondo cattolico nel suo insieme? Vediamo
    affermarsi nell'Ottocento due correnti:
    
      - i cattolici intransigenti: di fronte alle libertà moderne, che
        trovano la loro ragione teorica nella rivoluzione francese,
        l'atteggiamento della maggior parte dei cattolici è quello di un
        netto rifiuto: la libertà è figlia del demonio perché apre la
        via a innumerevoli peccati; in sé il liberalismo è perverso,
        dunque le sue dottrine sono da rigettarsi in blocco; il
        movimento dei cattolici intransigenti è chiamato anche
        ultramontanismo;
 
      - i cattolici liberali; i cattolici liberali, in opposizione
        agli intransigenti, cercavano di capire, chiarificare ed
        accettare i principii del 1789; l'incontro della fede
        tradizionale con il nuovo clima sorto con la rivoluzione
        francese spingeva un gruppo sempre più crescente di ambienti
        cattolici a guardare in modo nuovo i rapporti tra società civile
        e società religiosa.
 
    
    È in questo dibattito tra intransigenza e libertà, che il mondo
    cattolico dell'Ottocento si dibatté a lungo, fra aperture e
    chiusure, accettazioni e condanne.
    
    Chiesa cattolica fra tradizione e modernità 
    
    « Colpita nei suoi interessi materiali, nella libertà, e sovente
    nella vita dei propri preti, la Chiesa ha saputo trarre dalla
    persecuzione la sua purificazione; ha saputo dare dei nuovi martiri
    e, attraverso la loro testimonianza, acquistare nuova autorità e
    nuovo prestigio davanti alle coscienze »
    (Emanuele Artom, in Rassegna Storica Toscana, 4, 1958, p.
    217)
    
    Questa osservazione di uno storico italiano, peraltro non cattolico,
    delinea in poche righe la vita e l'azione della Chiesa nel corso
    dell'Ottocento. Certamente le condizioni della Chiesa durante tutto
    il XIX secolo a prima vista non appaiono delle più felici:
    
      - l'autorità della Santa Sede nella politica internazionale è
        quasi del tutto scomparsa: i Legati pontifici, per esempio, sono
        esclusi dai grandi congressi e dalla conferenza di pace di
        Versailles nel 1919;
 
      - il potere temporale cessa di esistere con l'annessione al
        Regno d'Italia;
 
      - gli Stati oramai ricusano la loro sanzione alle decisioni
        ecclesiastiche, che per lo più restano lettera morta;
 
      - le leggi di laicizzazione privano la Chiesa dei suoi
        tradizionali mezzi di sussistenza;
 
      - ma soprattutto, incolmabile sembra essere il solco che si
        forma tra la Chiesa cattolica e il mondo moderno:
 
    
    
      
        - la società contemporanea esalta l'ideale della libertà; la
          Chiesa si allea invece con i regimi assoluti, o almeno ciò che
          resta di essi, come per esempio l'Austria di Francesco
          Giuseppe e la Francia di Napoleone III;
 
        - alla luce delle nuove scoperte scientifiche e storiche si
          formulano nuove ipotesi sull'origine dell'universo; la Chiesa
          guarda con sospetto alle nuove correnti della scienza e cerca
          di difendersi con inefficaci e oramai anacronistiche
          proibizioni;
 
        - la cultura moderna si impregna di idealismo e di
          positivismo; il socialismo offre al proletariato un appoggio
          per la sua redenzione sociale ben più efficace di quello
          promesso dai cattolici, troppo spesso pronti solo a parlare di
          rassegnazione.
 
      
    
    Ma insieme alle resistenze e alle difficoltà ad abbandonare la
    tradizione, vi sono elementi che dicono anche novità e lento
    adeguamento alla modernità.
    
    Una Chiesa più indipendente 
    
    Le lotte condotte dalla Chiesa contro gli Stati moderni liberali
    (separatismo) rompono definitivamente quella stretta solidarietà che
    legava nell'ancien régime trono e altare, Stato e Chiesa. Alcuni
    esempi:
    
      - nel gennaio 1904 Pio X condanna esplicitamente l'intromissione
        dei governi nella elezione del papa (costituzione apostolica Commissum
          Nobis); è la fine di ogni forma di giurisdizionalismo;
 
      - nei primi mesi del 1905 il Papa nomina, in modo assolutamente
        libero e senza ingerenze statali, alcuni vescovi francesi; è la
        prima volta, almeno dai tempi di Filippo il Bello, che un
        pontefice può nominare vescovi senza l'autorizzazione o la
        diretta nomina statale;
 
      - i due ultimi concili della Chiesa cattolica (il Vaticano I e
        il Vaticano II) hanno goduto di una libertà che non ha
        precedenti negli altri Concili della Chiesa cattolica; è
        significativo il fatto che al Concilio Vaticano I si decise, per
        la prima volta, di non invitare nessun capo di Stato cattolico
        (come era stato fatto fino al Concilio di Trento): il Presidente
        del Consiglio in Francia, l'Ollivier, annotò: «È la separazione
        della Chiesa e dello Stato, attuata dal papa stesso». E
        all'inizio del Vaticano II, Giovanni XXIII ribadiva: «Non si può
        negare che queste nuove condizioni della vita moderna hanno
        almeno questo vantaggio, di aver tolto di mezzo quegli
        innumerevoli ostacoli, con cui un tempo i figli del secolo
        impedivano la libera azione della Chiesa… Non senza grande
        speranza e con nostro conforto vediamo che la Chiesa, oggi
        finalmente non soggetta a tanti ostacoli di natura profana, che
        si avevano nel passato, possa da questa basilica vaticana far
        sentire la sua voce» (dal Discorso di apertura del Vaticano II).
 
    
    L'ultramontismo 
    
    Più indipendente nei confronti dello Stato, la Chiesa quasi serra le
    file attorno al suo capo, il Papa. Nasce così e si sviluppa nel
    corso dell'Ottocento l'ultramontanismo, fenomeno che, se da un lato
    mette fine al gallicanesimo e ad ogni forma di autonomia delle
    Chiese nazionali, dall'altro si caratterizza per un forte accento di
    intransigenza. Diversi fattori hanno portato alla nascita
    dell'ultramontanismo, tra cui gli scritti di De Maistre e Lamennais,
    che esaltano le prerogative del papato e il suo influsso nella
    società; e l'azione dei Papi dell'Ottocento (soprattutto Pio IX),
    che in molte occasioni raccolgono a Roma vescovi, sacerdoti e fedeli
    in grandi raduni e manifestazioni pubbliche, con l'intento di
    resistere meglio al processo di laicizzazione della società.
    Questo processo porta inevitabilmente ad una maggiore
    centralizzazione, cioè in pratica ad un sempre maggior intervento
    delle Congregazioni vaticane nella vita delle singole diocesi; ad
    una maggior uniformità della disciplina ecclesiastica; ad un maggior
    senso di appartenenza non a questa o quella chiesa locale, ma alla
    Chiesa del Papa, alla Chiesa di Roma.
    
    Il clero secolare 
    
    La situazione del clero secolare nel corso dell'Ottocento è varia ed
    offre caratteristiche assai diverse in America e nel vecchio
    continente.
    
    Negli Stati Uniti i sacerdoti secolari rimasero a lungo inferiori ai
    bisogni di una popolazione in continuo aumento. Nel 1860, l'85% del
    clero era costituito da immigrati, di cui i vescovi facevano sempre
    più richiesta. Nel 1857, a Lovanio fu aperto un seminario per la
    preparazione di sacerdoti destinati all'America del Nord.
    
    In America Latina, il numero dei sacerdoti era più o meno
    sufficiente alle esigenze e ai bisogni pastorali, ma il loro livello
    morale non era all'altezza della situazione. In particolare era
    drammatica la situazione del clero in Brasile: nelle visite ad
    limina al Papa, i vescovi brasiliani si lamentano dello scarso
    numero di preti (1 ogni diecimila abitanti) e del diffuso
    concubinaggio sacerdotale.
    
    La situazione europea è totalmente diversa. Da un lato si assiste ad
    un calo sostanziale del numero di sacerdoti rispetto ai secoli
    precedenti (dovuto spesso alla fine del concetto di carriera
    ecclesiastica cui spesso i giovani di molte famiglie nobili o
    borghesi erano destinati), dall'altro la loro condizione e
    formazione è molto migliorata.
    
    Gli Istituti religiosi 
    
    Nel corso dell'Ottocento, gli Istituti religiosi offrono uno
    spettacolo apparentemente contraddittorio di forte crisi, ma anche
    di promettente sviluppo.
    
    La crisi è dovuta alla difficoltà a rinunciare agli antichi
    privilegi e alla libertà di cui i religiosi dei vecchi ordini
    avevano goduto a lungo nei secoli precedenti. Questo è evidente
    nella pratica del voto di povertà, nell'insufficienza della
    selezione e della formazione dei candidati, nelle continue beghe dei
    religiosi tra loro e col clero secolare. La Santa Sede intervenne in
    più occasioni, da un lato istituendo speciali Congregazioni vaticane
    per la riforma della vita religiosa; dall'altro con la pubblicazione
    di norme e direttive riformatrice, estese a tutti gli ordini, vecchi
    e nuovi.
    
    Se da un lato abbiamo una crisi che coinvolge soprattutto gli
    antichi ordini religiosi, dall'altro si assiste nel corso
    dell'Ottocento ad un fiorire prodigioso e vertiginoso di nuove
    Congregazioni religiose, e soprattutto di Congregazioni religiose
    femminili di vita attiva, ossia di Congregazioni dedite ad opere di
    apostolato fuori dal convento e dalla clausura (cui erano
    obbligatoriamente relegate le religiose). In Italia, nel corso del
    XIX secolo si assiste alla nascita di 23 nuove Congregazioni
    religiose maschili e di ben 183 nuovi istituti religiosi femminili:
    la maggior parte di queste nuove Congregazioni è dedita
    all'assistenza agli ammalati, all'educazione, alla scuola.
    
    Nuove forme di apostolato dei laici 
    
    Lo storico gesuita Giacomo Martina paragona «l'ingresso dei laici
    nella lotta per la difesa dei diritti della Chiesa all'irrompere
    della donna nella vita consacrata attiva, e costituisce uno dei
    tratti salienti della vita del popolo di Dio nell'età posteriore
    alla rivoluzione francese».
    
    L'iniziativa di un intervento diretto del laicato cattolico nella
    società contemporanea e nella vita politica e sociale all'inizio è
    mal visto dalla Santa Sede, e considerato come un'ingerenza.
    
    In Germania, Francia e in Italia si sviluppa tutta una rete di
    associazioni con fini assistenziali, liturgici, culturali, sociali:
    nascono così le Conferenze di San Vincenzo, la Società per la
    Propagazione della fede, la Borromäusverein per la diffusione della
    stampa, il Movimento Ceciliano per il rinnovamento della musica
    sacra; si diffondono i Congressi Cattolici, la Società della
    gioventù cattolica che poi diviene l'Azione Cattolica. La novità più
    decisiva è la nascita di veri e propri partiti politici di
    ispirazione cattolica, che in modi e tempi diversi da Paese a Paese,
    ottengono voti e siedono in Parlamento. Il più importante,
    nell'Ottocento, è il partito cattolico tedesco, lo Zentrum, che dopo
    il 1870 si libera dai caratteri prettamente confessionali; la
    medesima cosa in Olanda nel 1877, in Belgio nel 1863, in Austria con
    il partito cristiano sociale, ed in Italia con il Partito Popolare
    di Don Sturzo.
    
    Tutti questi partiti politici, devono lottare da un lato contro
    l'integrismo, che voleva far assumere dalla gerarchia ecclesiastica
    la responsabilità di scelte politiche contingenti; e dall'altro
    contro l'aconfessionalismo assoluto, che rischiava di portare
    all'abbandono del fine per cui il partito era sorto. E così, appare
    lungimirante la scelta del capo dello Zentrum, il Windthorst, che
    nel 1887 si rifiutò di seguire le pressioni papali che volevano un
    appoggio al Bismarck nella speranza di ottenere migliori condizioni
    per la vita della Chiesa cattolica in Germania: per un partito di
    ispirazione cristiana, affermò il Windthorst, è necessario mantenere
    la propria indipendenza nelle scelte politiche concrete.
    
    L'azione missionaria 
    
    Un altro punto di notevole interesse e di risveglio del mondo
    cattolico fu l'azione missionaria, che dopo il declino del
    Settecento e il tracollo quasi completo con la rivoluzione francese,
    subì un'impennata positiva, grazie in modo particolare: al
    Romanticismo che, con il Chateaubriand e il suo Génie du
    christianisme, esaltava l'opera civilizzatrice della Chiesa; alle
    nuove esplorazioni, che per la prima volta fecero conoscere
    all'Europa l'Africa e l'Estremo Oriente; alle iniziative di vari
    Pontefici (in particolare Pio VII, Gregorio XVI, Pio IX e Leone
    XIII).
    
    Ma fu ancora una volta dalla base che arrivò un impulso decisivo
    all'azione missionaria. Ricordiamo la nascita dell'Opera della
    Propagazione della fede di Pauline Marie Jaricot nel 1822 e il
    fiorire di numerose Congregazione missionarie: le Missioni Estere di
    Parigi (MEP), il Pontificio Istituto delle Missioni Estere di Milano
    (PIME), l'Istituto per le missioni africane (Comboniani), i
    Saveriani di Parma, i Padri Bianchi del cardinal Lavigerie, i
    Missionari di Scheut in Belgio, i Missionari di Mill Hill in
    Inghilterra, la Società del Verbo Divino in Olanda. A queste vanno
    aggiunte tutte le Congregazioni religiose sorte in questo periodo
    non necessariamente dedite alle missioni, ma che fecero di questo
    campo uno dei loro punti principali: tra queste ricordiamo
    soprattutto i Salesiani di Don Bosco.
    
    Gli sforzi missionari si diressero soprattutto in Africa, continente
    che possiamo dire venne scoperto nell'Ottocento, e nell'Estremo
    Oriente, in particolare in Cina, Giappone, Indocina e Oceania. Non
    va comunque dimenticato che le missioni del XIX secolo risentono
    ancora, nella mentalità e nella prassi, delle caratteristiche
    tipiche dell'ancien régime: l'evangelizzazione è ancora legata
    all'appoggio dei governi europei e all'europeizzazione, è fondata su
    una teologia oramai superata, fonda la possibilità di salvezza nella
    sola appartenenza alla Chiesa visibile, misconosce in molti casi gli
    autentici valori delle religioni orientali. Inoltre, certi retaggi
    del passato sono ancora difficili da superare: è il caso della
    Chiesa del Brasile, dove, ancora a metà dell'Ottocento, vigeva la
    schiavitù a cui aderivano anche le istituzioni ecclesiastiche (per
    esempio, una donna poteva essere affrancata solo se dava 5 figli
    maschi al convento di cui era schiava).
    
    Chiesa cattolica e "questione romana" 
    
    La cosiddetta "questione romana" è la controversia politica relativa
    al ruolo di Roma, sede del potere spirituale e temporale del Papa
    ma, al contempo, capitale naturale d'Italia. La controversia sorge
    con il Risorgimento italiano, a cui si contrappone il Papato, che
    considerava il potere temporale essenziale per la sua sopravvivenza.
    L'intransigenza papale sulla questione romana ebbe come conseguenza
    un forte incremento dell'anticlericalismo; la mancanza dei cattolici
    dalla vita politica nazionale e dunque una tendenza laicista del
    governo nei confronti della Chiesa; il fatto che l'Italia, per
    almeno trent'anni, fu spaccata in due (cfr. lo storico steccato), e
    questo portò a considerare sempre negativamente tutto ciò che
    avveniva nel campo non confessionale (anche quello che di buono
    c'era: una delle cause della crisi modernista).
    
    Pio IX e la "questione Romana" 
    
    L'avvento al soglio pontificio di Pio IX nel 1846 aveva suscitato
    speranze di una conciliazione tra il papato e le aspirazioni
    nazionali, soprattutto dopo l'introduzione nello Stato Pontificio di
    riforme che non usavano gli schemi del dispotismo illuminato
    (amnistia per i reati politici, moderata libertà di stampa,
    creazione di un consiglio di ministri, di una guardia civica,
    prudente e limitata ammissione dei laici al governo, concessione di
    una carta costituzionale). Nasce il mito di Pio IX, papa liberale ed
    antiaustriaco.
    
    Ma lo scoppio della prima guerra di indipendenza contro l'Austria
    obbliga il Papa a chiarire le sue posizioni: nell'allocuzione del 29
    aprile 1848, egli dichiara di non poter partecipare ad una guerra
    contro l'Austria perché inconciliabile con i suoi doveri di capo
    della Chiesa universale (e nella redazione ufficiale scompare il
    tono filoitaliano presente nella minuta). Pur non condannando la
    guerra all'Austria e non vietando ai sudditi pontifici di
    partecipare, a titolo personale, alla guerra, l'allocuzione sferzò
    l'entusiasmo di molti italiani, che gridarono al tradimento.
    
    La situazione precipita: il 15 novembre 1848 viene ucciso il primo
    ministro Pellegrino Rossi; il 16 scoppia una rivolta ed il 24 Pio IX
    è costretto a fuggire a Gaeta. Ritorna a Roma solo nell'aprile del
    1850, dopo che le truppe francesi avevano sconfitto le truppe della
    neonata Repubblica romana. Tutti questi avvenimenti rafforzarono nel
    Papa la diffidenza verso il liberalismo.
    
    Il biennio 1859-1861 vede la nascita del Regno d'Italia con la
    sottrazione di una parte notevole dello Stato Pontificio. Pio IX
    scomunica gli usurpatori, mentre Cavour propone al Papa la rinunzia
    a Roma proponendo la libertà alla Chiesa mediante la separazione dei
    due poteri. Ma il papa si chiude in una sempre più forte
    intransigenza, aumentando il solco tra coscienza nazionale e
    coscienza religiosa.
    Pio IX aveva sempre sperato nell'aiuto delle potenze cattoliche,
    specialmente della Francia. Ma il 15 settembre 1864, una convenzione
    tra Napoleone III e il governo italiano portava al ritiro delle
    truppe francesi da Roma con la rassicurazione italiana di rispettare
    i resti del potere temporale papale. In seguito, la sconfitta
    francese contro i prussiani e la caduta di Napoleone, permette al
    governo italiano di occupare Roma, il 20 settembre 1870, e di
    mettere fine al secolare Stato Pontificio.
    
    Il 13 maggio 1871, con la Legge delle Guarentigie, lo Stato
    italiano, unilateralmente non riconosceva al papa nessuna sovranità,
    ma gli prometteva onori sovrani, l'uso (non la proprietà) del
    Vaticano; lo Stato poi rinunziava alla nomina dei vescovi (pur
    mantenendo l'exequatur e non riconoscendo i religiosi). Pio IX
    respingeva tutte queste decisioni ed anche la somma annua
    garantitagli dallo Stato che considerava un usurpatore dei diritti
    papali.
    
    La "questione Romana" dopo il 1870 
    
    Dopo il 1870 possiamo distinguere due periodi diversi circa i
    rapporti tra Santa Sede e Stato Italiano.
    Il pontificato di Leone XIII è caratterizzato da un inasprimento dei
    rapporti, con un crescente anticlericalismo e la contrapposta
    intransigenza cattolica. Sulla questione romana la posizioni
    restavano immutate: per i liberali la legge delle guarentigie aveva
    risolto definitivamente il problema, mentre i cattolici auspicavano
    il ristabilimento del potere temporale, come condizione
    indispensabile per il libero esercizio dell'autorità papale (almeno
    a Roma, così la pensava anche Leone XIII). Continuava invece il Non
    expedit (« non conviene ») vaticano sull'astensione dei cattolici
    dalla vita politica (mentre era possibile la partecipazione alle
    elezioni amministrative). Autoesclusi dalla partecipazione diretta
    alla vita politica, i cattolici si raccolsero in movimenti di
    opposizione fuori dal parlamento (confluiti poi nell'Opera dei
    Congressi).
    
    I pontificati di Pio X, di Benedetto XV e di Pio XI (cioè i primi
    tre decenni del XX secolo) videro invece la distensione ed un
    graduale riavvicinamento. Infatti le affermazioni politiche dei
    socialisti provocarono l'alleanza tra cattolici e liberali moderati
    (Giolitti) in molte elezioni amministrative, alleanza detta
    clerico-moderatismo. Segno di questi mutamenti è l'enciclica del
    1904 Il Fermo Proposito, che se conservava il non expedit, ne
    permetteva tuttavia larghe eccezioni, che poi si moltiplicarono:
    vari cattolici così entrarono in parlamento, anche se solo a titolo
    personale.
    
    Nel 1913, con il Patto Gentiloni, si ebbe la vittoria del cosiddetto
    clerico-moderatismo, che permise ai cattolici di partecipare alle
    elezioni politiche. I cattolici dettero voti ai candidati liberali
    che avevano aderito ad alcuni punti programmatici (libertà della
    scuola, opposizione al divorzio, ecc.); a loro volta i liberali
    promettevano l'appoggio a qualche candidato cattolico. Sulla
    questione romana le pretese territoriali vennero sempre di più a
    scemare; il problema si riduceva ormai alla ricerca di condizioni
    giuridiche che assicurassero al papa un'indipendenza effettiva e
    palese.
    
    Nel 1919 abbiamo l'abrogazione ufficiale del Non expedit, già morto
    da tempo, e la fondazione del Partito Popolare, vagheggiato già nel
    1905 da Don Sturzo come partito di ispirazione cattolica, ma
    aconfessionale, indipendente dalla gerarchia nelle sue scelte
    politiche.
    
    I Patti Lateranensi 
    
    Già nel giugno del 1919, a Parigi, alla conferenza di pace dopo la
    prima guerra mondiale, ci fu un colloquio tra il Cerretti, uno dei
    migliori diplomatici vaticani, e il presidente del consiglio
    Orlando. Viva fu l'opposizione di Vittorio Emanuele III: il Re
    dichiarò che sarebbe stato meglio abdicare piuttosto che trattare
    con la Chiesa. Ciò che non riuscì con il regime liberale (ormai
    agonizzante) riuscì invece con il regime fascista di Mussolini.
    
    La conciliazione fra lo stato italiano e la Santa Sede, già
    raggiunta a livello di coscienze e sul piano politico, mancava
    ancora di un riconoscimento giuridico. Tra il 1925 e il 1926 una
    commissione mista fu incaricata di esaminare la questione delle
    proprietà ecclesiastiche. Ma nel 1926, in una lettera al segretario
    di stato cardinal Pietro Gasparri, Pio XI dichiarava che non si
    potevano trattare questioni secondarie quando era ancora insoluto il
    problema essenziale: la questione romana. L'invito era chiaro:
    iniziarono così i primi sondaggi e le prime trattative ufficiose tra
    l'avvocato Francesco Pacelli per il Vaticano e il giurista Domenico
    Barone per parte italiana, alla cui morte succedette il giurista
    Nicola Consiglio.
    
    Nel novembre del 1928 iniziarono le trattative ufficiali che
    toccarono momenti drammatici. Per due volte, gennaio 1927 ed aprile
    1928, i colloqui si interruppero per le pretese fasciste di
    monopolio sull'educazione giovanile. L'intransigenza di Pio XI
    indusse Mussolini a parziali concessioni, permettendo associazioni
    cattoliche educative-pastorali (l'Azione Cattolica).
    
    Si susseguirono vari schemi, rispondenti a tre postulati della Santa
    Sede: costituzione di un autentico stato (pur se ridotto
    territorialmente), compensi finanziari, concordato. Il governo
    italiano a fatica accettò il primo punto: infatti solo con la morte
    del Barone, sostenitore della tesi che la sovranità papale si
    scontrava con le tradizioni risorgimentali e con la mentalità
    liberale, il Vaticano riuscì a far accettare il primo punto. Per il
    concordato le discussioni furono più laboriose (Pio XI si mostrò più
    energico su questo punto che non sul primo), tese a ridurre le ampie
    richieste iniziali della Santa Sede che comprendevano fra l'altro:
    il cattolicesimo come religione di stato, il ripristino
    dell'insegnamento della religione nelle scuole medie superiori, il
    riconoscimento civile del sacramento del matrimonio, il
    riconoscimento degli ordini religiosi.
    
    Si arrivò così alla firma dei Patti l'11 febbraio 1929 tra il
    cardinal Gasparri e Mussolini nel palazzo del Laterano. Essi
    comprendevano un trattato e un concordato (con annessa convenzione
    finanziaria). La questione romana, dopo 70 anni, era così
    definitivamente chiusa.
    
    Chiesa cattolica e "questione sociale" 
    
    L'immenso progresso tecnico, industriale e commerciale nell'Europa
    dell'Ottocento e dei primi del Novecento è accompagnato da notevoli
    problemi di carattere sociale e psicologico e da una diffusa
    disuguaglianza: ossia la concentrazione di ingenti ricchezze nelle
    mani di pochi imprenditori e «al giogo poco men che servile imposto
    da un'esigua minoranza di straricchi all'infinita moltitudine di
    proletari» (Leone XIII, Rerum Novarum, n. 2). Al benessere di pochi
    fa da contraltare il malessere, il degrado, la miseria dei
    lavoratori:
    
      - orari di lavoro impossibili;
 
      - arruolamento indiscriminato di donne e bambini, anche in
        tenera età;
 
      - mancanza di ogni sicurezza di fronte a infortuni e malattie;
 
      - salari appena sufficienti al singolo operaio, non alla sua
        famiglia;
 
      - mancanza di igiene sul posto di lavoro e nelle abitazioni dei
        lavoratori;
 
      - esclusione assoluta della classe operaia da ogni decisione in
        ambito lavorativo.
 
    
    Ben presto, di fronte al ripetersi sempre più frequente di tumulti e
    insurrezioni operaie (1831 e 1848), iniziano a diffondersi le prime
    idee sociali e i primi tentativi di risolvere quella che è passata
    alla storia come “questione sociale”.
    
    Senza entrare nel merito della genesi e delle cause della questione
    sociale, e rimandando alle voci proprie relative ai primi e
    importanti tentativi, a livello teorico, di dare una risposta ai
    problemi e alle esigenze della classe operaia (Saint-Simon, Fourier,
    Pierre Proudhon, Karl Marx), in questo capitolo tentiamo una sintesi
    delle posizioni cattoliche di fronte alla questione sociale.
    
    Il risveglio dei cattolici di fronte al problema 
    
    In generale i cattolici solo con un certo ritardo presero coscienza
    della questione sociale, e fra essi si svilupparono due tendenze,
    che persistettero l'una accanto all'altra per oltre un secolo:
    
      - da una parte troviamo posizioni che cercavano soluzioni ai
        problemi sociali nel campo assistenziale-caritativo; restava
        infatti il principio che l'operaio non può rovesciare l'ordine
        costituito (in aperto contrasto con il socialismo);
 
      - dall'altra parte assistiamo nel corso dell'Ottocento anche ad
        un'azione a favore della classe operaia di stampo unicamente
        assistenziale-caritativo e paternalistico ad un'azione
        propriamente sociale, con il riconoscimento dei diritti
        dell'operaio e della difesa collettiva di questi diritti. Per
        esempio, prova di questa lenta maturazione è in Italia il
        diverso nome che assunse la seconda sezione dell'Opera dei
        Congressi, dedicata ai problemi sociali: si passa da “sezione
        della carità” (1874), a “sezione della carità ed economia
        cattolica” (1879), per arrivare a “sezione dell'economia sociale
        cristiana” (1887).
 
    
    La linea conservatrice 
    
    Per buona parte dell'Ottocento i cattolici condivisero per lo più i
    sentimenti della borghesia sull'ineluttabilità delle leggi
    economiche e sulla fatalità della miseria che accompagna l'umanità
    in tutta la sua storia: un cambiamento della situazione è
    considerato utopico.
    
    I documenti dei Papi e gli scritti cattolici più o meno scientifici
    che si muovono in questa linea, sono preoccupati di difendere la
    proprietà privata e di condannare le opere e le idee dei socialisti.
    Pio IX, nella sua enciclica programmatica Qui pluribus del 1846
    condanna il socialismo e il comunismo (ribadita nella Quanta cura e
    nel Sillabo del 1864), ma insieme critica fortemente l'amoralismo
    economico e la negazione di ogni diritto naturale.
    
    Leone XIII non si allontana inizialmente da queste posizioni:
    
      - nella Quod Apostolici Muneris (1878) condanna ancora il
        socialismo, riafferma il diritto di proprietà, raccomanda ai
        ricchi di dare ai poveri il superfluo, e raccomanda ai poveri di
        frenare le ambizioni e di custodire l'ordine stabilito: « Cristo
        incalza i ricchi col gravissimo precetto di dare ai poveri il
        superfluo, e li spaventa intimando loro il giudizio divino,
        secondo il quale se non verranno in aiuto dell'indigenza saranno
        puniti con eterni supplizi. Da ultimo ricrea e conforta
        considerevolmente gli animi dei poveri sia proponendo l'esempio
        di Cristo il quale, essendo ricco, si fece povero per noi (2Cor
        8,9), sia ripetendo quelle parole di Lui, con le quali chiama i
        poveri beati, e comanda loro di sperare i premi dell'eterna
        beatitudine… Che [tutti] prestino ossequio all'autorità dei
        Principi e delle leggi, e che, frenate le cupidigie,
        custodiscano gelosamente l'ordine stabilito da Dio nella civile
        e nella domestica società »;
 
      - idee analoghe appaiono nell'enciclica Auspicato Concessum: «
        La difficoltà che travaglia le menti degli uomini di governo sul
        modo di equamente comporre le ragioni dei ricchi e dei poveri,
        resta mirabilmente sciolta una volta che sia scolpita negli
        animi la persuasione che la povertà non è per se stessa
        spregevole: occorre che il ricco sia caritatevole e munifico;
        che il povero sia rassegnato e attivo, e poiché nessuno dei due
        è nato per i mutabili beni della terra, gli uni con la
        sofferenza, gli altri con la liberalità si procurino di
        raggiungere il cielo »;
 
      - infine nell'enciclica Graves de Communi Re (1901), il
        Pontefice definisce la democrazia « benefica azione cristiana a
        favore del popolo ».
 
    
    La linea sociale 
    
    Accanto alla linea conservatrice, si sviluppa pian piano un
    atteggiamento diverso, più propositivo e costruttivo.
    
    Inizialmente, assistiamo alla nascita di diverse organizzazioni
    cattoliche assistenziali e caritative (per esempio le Conferenze di
    San Vincenzo de Paoli, fondate dall'Ozanam a Parigi nel 1833; la
    Società di San Francesco Saverio nata nel 1840; le Gesellenverein,
    associazioni di apprendisti, fondate in Germania dal sacerdote Adolf
    Kolping nel 1847; da non sottovalutare poi le azioni caritative del
    Cottolengo e di Don Bosco a Torino), che però erano ancora limitate
    da una mentalità paternalistica. Sul piano teorico, non mancano le
    prime denunzie della situazione della classe operaia ed in genere
    dei problemi legati alla questione sociale e i primi tentativi di
    soluzione. Ricordiamo solo alcuni esempi:
    
      - nel corso del 1848, sulla rivista cattolica francese «Ere
        nouvelle», autori come Lacordaire, Maret, Ozanam tracciano un
        programma sociale che desta scandalo fra i bempensanti: parlano
        di legislazione a difesa dell'infanzia, della malattia, della
        vecchiaia; di associazionismo operaio; di comitati misti
        padroni-lavoratori per comporre le vertenze in ambito
        lavorativo; si riconosce un diritto al lavoro, che appare alla
        borghesia come una follia.
 
      - all'inizio degli anni cinquanta dell'Ottocento, sulla rivista
        romana dei Gesuiti « Civiltà Cattolica », appaiono con sempre
        più frequenza articoli che, se da un lato manifestano ancora un
        forte tono paternalistico, dall'altro individuano i principi per
        una soluzione della questione sociale: subordinazione
        dell'economia alla morale, perché l'amoralismo economico porta
        necessariamente all'oppressione dei deboli; affermazione della
        funzione sociale della proprietà privata; necessità
        dell'intervento statale nelle questioni economiche; importanza
        dell'associazionismo professionale.
 
      - di notevole spessore infine i discorsi e gli scritti del
        vescovo di Magonza, Emmanuel von Ketteler, eletto poi deputato
        nel Reichstag, che insiste sulla necessità per la Chiesa di
        intervenire nella questione sociale perché essa è anche una
        questione morale, e sull'urgenza per lo Stato di interessarsi
        delle classi operaie, aiutandole ad organizzarsi e a proteggersi
        contro ogni iniquo sfruttamento.
 
    
    La rivolta parigina del 1871 cambiò radicalmente la situazione
    intensificando il movimento cattolico, giustificato da un lato dalla
    paura ora effettiva di ciò che il malessere sociale poteva causare,
    dall'altro dalla paura di perdere le masse sempre più attratte dal
    socialismo.
    
      - In Austria, le idee del von Ketteler furono riprese da Karl
        von Vogelsang, che nelle tesi di Haid (pubblicate nel 1883) si
        orientava verso un deciso corporativismo.
 
      - In Francia, abbiamo da una parte la linea conservatrice della
        scuola di Angers guidata dal suo vescovo mons. Freppel;
        dall'altra una linea socialmente più aperta, i cui maggiori
        esponenti furono René de La Tour du Pin, Albert de Mun e
        l'industriale Léon Harmel.
 
      - In Belgio prevale la linea conservatrice, difesa dal
        professore di economia politica di Lovanio, Charles Périn.
 
      - In Italia, abbiamo la nascita dell'Opera dei Congressi, la cui
        seconda sezione prenderà nel 1887 il nome di “sezione
        dell'economia sociale cristiana”. Si sviluppano nello stesso
        tempo studi teorici sull'argomento: dopo il 1889 si organizza
        l'Unione cattolica per gli studi sociali diretta da Giuseppe
        Toniolo; a Roma il gesuita p. Liberatore pubblicava i suoi
        Elementi di economia politica sotto lo stimolo e la guida dello
        stesso pontefice Leone XIII.
 
      - Negli Stati Uniti, il cardinal Gibbons difende i Cavalieri del
        Lavoro, uno tra i primi sindacati cristiani (1869) composto di
        soli operai, e approvato dal Sant'Uffizio nel 1888.
 
      - In Inghilterra, il cardinal Manning scende direttamente in
        piazza per difendere i diritti dei lavoratori irlandesi (1874 e
        1889).
 
      - In Svizzera, attorno a mons. Mermillod, vescovo di Ginevra, si
        raccoglie verso il 1884 l'Unione di Friburgo, che vede a
        confronto studiosi cattolici francesi, italiani, tedeschi,
        austriaci e belgi.
 
    
    Ormai i cattolici si convincono sempre più dell'insufficienza del
    sistema caritativo-assistenziale, ma non riescono ancora a trovare
    una strada univoca per quanto riguarda i tre principali punti di
    discussione, che animarono gli interventi negli anni precedenti la
    Rerum Novarum, ossia: l'associazionismo operaio, l'intervento
    statale, la determinazione del giusto salario.
    
      - L'associazionismo operaio. Per i più, era impensabile
        un'associazione professionale composta di soli operai (sindacati
        semplici), perché si respingeva l'idea che le classi lavoratrici
        potessero da sole difendere i loro diritti e realizzare le loro
        aspirazioni; e perché una tale associazione si contrapponeva,
        logicamente, alle associazioni composte di soli padroni,
        fomentando così quella lotta di classe auspicata dai socialisti,
        ma aborrita dal mondo cattolico. In questo modo, prevalse l'idea
        di associazioni o sindacati misti di operai e padroni, sullo
        schema delle antiche corporazioni, dove assieme si discutevano i
        problemi e assieme si trovava una soluzione.
 
      - L'intervento statale. Su questo punto le posizioni cattoliche
        furono assai divergenti, soprattutto sui contenuti e le modalità
        di intervento statale. Nel congresso cattolico di Liegi del 1890
        si raggiunse un compromesso: era riconosciuto legittimo
        l'intervento statale ma solo per regolare gli orari di lavoro,
        non per determinare il salario.
 
      - Il giusto salario. Anche in questo campo, le posizioni
        cattoliche erano divergenti e assai diversificate: da un lato si
        affermava che la determinazione del salario dipendeva solo dal
        lavoro (domanda-offerta) e non dai bisogni del lavoratore;
        dall'altro si affermava che un salario giusto doveva tener conto
        non solo delle esigenze dell'operaio, ma anche della sua
        famiglia.
 
    
    Tutte queste discussioni offrirono a papa Leone XIII un ampio
    materiale su cui riflettere e prepararono così il suo intervento
    decisivo, l'enciclica Rerum Novarum del 15 maggio 1891.
    
    La Rerum Novarum 
        
    L'intervento di Leone XIII, che raccoglie il frutto di quasi un
    cinquantennio di studi, riflessioni e discussioni in ambito
    cattolico, segna una svolta nella posizione cattolica nei confronti
    della questione sociale.
    L'insegnamento del Papa si può riassumere in quattro punti
    essenziali:
    
      - è ribadito il diritto naturale della proprietà privata, ma ne
        è sottolineata anche la funzione sociale;
 
      - è attribuito allo Stato il compito di promuovere la prosperità
        pubblica e privata, con il netto superamento dell'assenteismo
        statale tipico del liberismo; ma insieme all'azione statale sono
        posti dei limiti, dovuti al carattere di supplenza del suo
        intervento;
 
      - il Papa ricorda agli operai i loro doveri nei confronti degli
        imprenditori, ma insieme afferma che ad essi, per stretta
        giustizia, è dovuto un giusto salario che permetta loro un
        tenore di vita che sia veramente umano, superando così una
        concezione puramente economica del lavoro;
 
      - infine il Pontefice condanna la lotta di classe, ma assieme
        afferma la necessità per i lavoratori di riunirsi per difendere
        i loro diritti, anche in associazioni formate esclusivamente da
        operai.
 
    
    Fu proprio quest'ultimo punto a suscitare le discussioni maggiori:
    il Papa ammetteva il diritto per gli operai di riunirsi, ma non
    specificava in alcun modo se le associazioni di soli operai dovevano
    improntarsi allo stile delle corporazioni già viste nei secoli
    precedenti o piuttosto ai sindacati moderni.
    
    Il Modernismo 
      
    Tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo si sviluppò in
    ambito cattolico un movimento di pensiero teso al rinnovamento e
    alla riforma del cattolicesimo. L'intento di questo movimento era di
    conciliare, quando possibile, la cultura cattolica con le scienze
    moderne, mettendo fine allo scontro “culturale” tra scienza e fede,
    stato e chiesa, modernità e tradizione. Gli ambiti privilegiati in
    cui si muoveva il movimento modernista erano la filosofia, la
    [teologia] (soprattutto i dogmi), la storia ecclesiastica, l'esegesi
    biblica, l'ambito sociale.
    
    La diffusione in ambito cattolico di un senso di disagio ed insieme
    di un bisogno di aggiornamento, presentava tutta una gamma di
    atteggiamenti e di posizioni, che variavano da un autentico bisogno
    di riforma, nel rispetto della fede, ad un desiderio di cambiare che
    andava oltre, fino a raggiungere posizioni eterodosse, lontana da
    una fede autentica e da un genuino senso di Chiesa. Ed è così che
    accanto a personaggi autorevoli, desiderosi di una riforma e di un
    vero aggiornamento della Chiesa cattolica, nella fedeltà a Roma ma
    insieme nel desiderio di rispondere alle nuove esigenze dei tempi,
    troviamo anche molti studiosi che, nelle loro speculazioni e nei
    loro atteggiamenti, finirono per alienarsi le autorità
    ecclesiastiche fino ad abbandonare la Chiesa o ad esserne esclusi.
    Tra i maggiori rappresentanti del modernismo, quasi tutti sacerdoti
    cattolici, si ricordano soprattutto quelli che poi finirono per
    rompere con la Chiesa: Alfred Loisy, George Tyrrell, Ernesto
    Buonaiuti, Romolo Murri.
    
    La Santa Sede e Pio X intervennero duramente contro questo
    movimento, condannarono il modernismo senza distinguere tra
    posizioni estremiste e ala moderata. Con il decreto Lamentabili la
    Congregazione dell'Indice condannò, nel luglio 1907, 65 proposizioni
    moderniste, per lo più tratte dalle opere del Loisy. Nel settembre
    dello stesso anno, Pio X, con l'enciclica Pascendi Dominici Gregis,
    condanna il modernismo come «la sintesi di tutte le eresie». A
    novembre, con il Motu Proprio Praestantia Sententiae Pio X comminava
    la scomunica a chiunque si opponesse all'enciclica. Ed infine, nel
    1910, con il Motu Proprio Sacrorum Antistitum il Papa imponeva a
    tutti i chierici il Giuramento antimodernista, proibendo nei
    seminari la lettura di qualsiasi giornale.
    
    Nazismo e cristianesimo 
       
    La relazione tra Nazismo e Cristianesimo può essere descritta solo
    come complessa e controversa. Ufficialmente il Nazismo si proclamava
    al di sopra delle confessioni, ma Hitler e gli altri capi nazisti
    facevano uso del simbolismo e delle emozioni cristiane nel
    propagandarsi presso il pubblico tedesco (prevalentemente
    cristiano). Sicuramente Hitler ammirava la forte gerarchizzazione
    che "...procedeva dal Vaticano fino all'ultima chiesetta nell'angolo
    più sperduto del mondo". Hitler sosteneva una forma di
    "cristianesimo positivo", nel quale Gesù Cristo era un ariano, i
    dogmi tradizionali erano respinti, si accusava la chiesa di avere
    manipolato il cristianesimo antico gnostico per fini di potere e, in
    modo simile agli antichi marcioniti si ripudiava l'Antico
    Testamento. Il suo atteggiamento personale è così descritto da un
    suo stretto collaboratore:
    
      - «Quanto alla lotta contro le Chiese cristiane, egli seguiva
        l'esempio dell'imperatore Giuliano: perciò si studiava di
        confutare e demolire con argomenti razionali le dottrine
        predicate dalle confessioni cristiane, pur riconoscendo
        esplicitamente l'importanza della religione quale(?) fede in una
        divina onnipotenza (Conversazioni di Hitler a tavola 1941-1942 )
 
    
    Alcuni scrittori cristiani hanno cercato di tipicizzare Hitler come
    un ateo o un occultista (o persino un satanista), laddove altri
    hanno enfatizzato l'utilizzo esplicito del linguaggio cristiano da
    parte del partito nazista, indipendentemente da quale fosse la sua
    mitologia interna. L'esistenza di un Ministero per gli Affari
    Ecclesiastici, istituito nel 1935 e guidato da Hanns Kerrl, venne
    riconosciuta a fatica da ideologi come Alfred Rosenberg, che
    sosteneva un confuso ritorno alla religione germanica, come pure il
    comandante in capo (Reichsführer) delle SS e capo della polizia
    tedesca Heinrich Himmler.
    
    Le relazioni del partito nazista con la Chiesa cattolica sono
    dibattute. Molti sacerdoti e leader cattolici si opposero
    apertamente al nazismo sulla base di incompatibilità con la morale
    cristiana. La gerarchia cattolica condannò i fondamenti teorici del
    nazismo con l'enciclica Mit brennender Sorge (1937) di papa Pio XI.
    Come per molti oppositori politici, numerosi sacerdoti vennero
    condannati al campo di concentramento e uccisi per le loro
    posizioni. Il comportamento di papa Pio XII rimane comunque oggetto
    di una controversia storiografica. Fu al contrario favorevole al
    nazismo il vescovo Alois Hudal, che cercò un compromesso tra Chiesa
    e regime.
    
    Cristianesimo e pensiero contemporaneo 
    
    Con la Riforma protestante la cristianità occidentale si sviluppò
    secondi tre direttrici principali: il Cattolicesimo romano (nei
    termini definiti al Concilio di Trento), il Luteranesimo (nei
    termini definiti nella Confessione augustana e nella Formula di
    concordia) e il Calvinismo (nei termini definiti nel Catechismo di
    Heidelberg e nella Confessione di Westminster). Per gran parte del
    periodo che va dal XVI secolo al XIX secolo il dibattito teologico
    si svolse principalmente all'interno di queste confessioni — fu il
    periodo della cosiddetta "teologia confessionale". Nel corso di
    questi ultimi due secoli la situazione ha subito un notevole
    mutamento.
    
    Razionalismo 
      
    In modo circoscritto nel Seicento, ma su scala molto più vasta
    durante il Settecento, il Cristianesimo cominciò a essere messo in
    discussione in nome della ragione. Con il deismo l'attacco prese le
    forme di una critica al concetto di Divinità e alla religione.
    Nell'Ottocento l'ateismo e l'agnosticismo (termine coniato da T.H.
    Huxley nel 1870) divennero per la prima volta parole comuni
    nell'Occidente cristiano.
    La fiducia nel potere della ragione ha avuto i suoi alti e bassi nel
    mondo moderno, ma la polemica fede/ragione,[8] in varie forme, ha
    caratterizzato un'epoca in cui sono state messe in discussione tutte
    le autorità tradizionali, non soltanto quelle cristiane.
    
    Ciò ha comportato, in ambito cattolico, l'arroccamento della Chiesa
    sulle posizioni del tomismo (neoscolastica), e in generale in ambito
    cristiano il diffondersi di posizioni ultraortodosse, tese a
    rifiutare qualsiasi approccio scientifico allo studio della teologia
    e dei testi biblici, ritenendo ciò una minaccia per la fede.
    
    Scienza e fede 
    
    La scienza moderna spuntò nel XVII secolo su un terreno irrigato dal
    Cristianesimo .
    
     Se da un lato le reali scoperte scientifiche hanno avuto
    pochissima rilevanza nel confermare o smentire il Cristianesimo, la
    scienza moderna ha influito su di esso in vari altri modi. Il metodo
    scientifico comporta la verifica di ogni affermazione e il rifiuto
    di qualunque autorità che si ponga al di sopra della critica. Avendo
    riscontrato un enorme successo nel campo della conoscenza, tale
    metodo ha di conseguenza incoraggiato un atteggiamento analogo anche
    in campo religioso, con esiti inevitabilmente polemici che
    ritroviamo ancora fino ad oggi: alcuni consideravano le credenze
    religiose definitivamente superate dalla conoscenza scientifica,
    altri negavano le scoperte scientifiche in nome della inerranza
    biblica (es. oggi i cristiani creazionisti), altri infine
    intendevano mantenere fede e ragione non sullo stesso piano come
    antagoniste, ma su piani diversi, per cui esse non si negano
    vicendevolmente.
    La scienza moderna, attraverso le conquiste tecnologiche ha
    trasformato la vita di miliardi di persone, modificando il senso di
    dipendenza dell'uomo da Dio. A questo proposito sono famose le
    parole del teologo luterano Dietrich Bonhoeffer sul "Dio
    tappabuchi":
    
    «Per me è nuovamente evidente che non dobbiamo attribuire a Dio il
    ruolo di tappabuchi nei confronti dell'incompletezza delle nostre
    conoscenze; se infatti i limiti della conoscenza continueranno ad
    allargarsi - il che è oggettivamente inevitabile - con essi anche
    Dio viene continuamente sospinto via, e di conseguenza si trova in
    una continua ritirata. Dobbiamo trovare Dio in ciò che conosciamo;
    Dio vuole esser colto da noi non nelle questioni irrisolte, ma in
    quelle risolte. Questo vale per la relazione tra Dio e la conoscenza
    scientifica. Ma vale anche per le questioni umane in generale,
    quelle della morte, della sofferenza e della colpa. Oggi le cose
    stanno in modo tale che anche per simili questioni esistono delle
    risposte umane che possono prescindere completamente da Dio. Gli
    uomini di fatto vengono a capo di queste domande - e così è stato in
    ogni tempo - anche senza Dio, ed è semplicemente falso che solo il
    Cristianesimo abbia una soluzione per loro. Per quel che riguarda il
    concetto di "soluzione", le risposte cristiane sono invece poco (o
    tanto) cogenti esattamente quanto le altre soluzioni possibili.
    Anche qui, Dio non è un tappabuchi; Dio non deve essere riconosciuto
    solamente ai limiti delle nostre possibilità, ma al centro della
    vita; Dio vuole essere riconosciuto nella vita, e non solamente nel
    morire; nella salute e nella forza, e non solamente nella
    sofferenza; nell'agire, e non solamente nel peccato. La ragione di
    tutto questo sta nella rivelazione di Dio in Gesù Cristo - Egli è il
    centro della vita, e non è affatto " venuto apposta " per rispondere
    a questioni irrisolte.»
    (Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e Resa)
    
    Critica storica 
    
    Nel XIX secolo si sviluppò la critica storica, cioè, approccio alla
    storia basato sul rigore scientifico: lo storico critico non ragiona
    più in termini di autorità, che raramente potrebbero essere messe in
    discussione, bensì di fonti, che devono essere analizzate e provate
    per poter essere tenute in considerazione come tali. Questo tipo di
    metodo è stato applicato anche alla Bibbia, considerata non più come
    un'autorità da accettare, ma come una fonte da analizzare con
    strumenti scientifici.
    Anche la storia della dottrina cristiana è stata vagliata in modo
    sistematico, per metterne in luce i cambiamenti verificatisi nel
    corso dei secoli.
    
    Laicità 
    
    Nel mondo occidentale la società si fonda su presupposti che
    prescindono da dottrine religiose: la religione viene considerata
    una questione di scelta personale; questa evoluzione, ancora in
    corso e non priva di contraddizioni, nasce in un contesto sociale
    caratterizzato dal pluralismo culturale e religioso.
    All'interno di questo contesto, nel quale non è più necessario che
    una religione o una confessione per sopravvivere debba combattere le
    altre, è divenuto praticabile un dialogo tra i credenti di diverse
    confessioni che in precedenza era molto più difficile. Restano
    comunque alcune rigidità, rappresentate dalle dottrine che ritengono
    la laicità delle istituzioni civili un attentato alla propria
    religione, ritenuta la sola rivelata, vera e infallibile. Questo
    approccio è presente nell'ambito di diverse denominazioni, cristiane
    e non cristiane.
    
    Nonostante permangano sostanziali differenze dottrinali tra le
    diverse confessioni cristiane, i teologi contemporanei si occupano
    sempre meno di contrasti fra confessioni diverse. Atteggiamenti
    simili si riscontrano trasversalmente alle denominazioni, unendo
    talora protestanti e cattolici nel condividere alcune impostazioni
    (ad esempio, per alcuni l'accento sull'esperienza carismatica, la
    lettura letteralistica o integralista, il creazionismo ecc., per
    altri la teologia della liberazione, l'approccio esegetico non
    integralista, il pacifismo) che non sono invece unanimemente
    condivise all'interno delle rispettive denominazioni.