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La Chiesa cattolica nell'epoca moderna e contemporanea
Chiesa e Rivoluzione francese
Riforma economica
Durante L'Ancien Régime il clero era stato il più grande
proprietario terriero di Francia, possedendo il 10% dei territori
del Paese; era esente dal pagamento di tasse e impose la decima
(imposta che tassava i redditi per 1/10). Il potere e le ricchezze
del clero crearono un forte risentimento della popolazione nei
confronti della Chiesa. A partire dall'11 agosto 1789 la decima
venne soppressa senza che subentrasse alcun tipo di nuova imposta,
privando così il clero di una parte consistente delle sue entrate.
Il 2 novembre, su proposta di Charles Maurice de Talleyrand-Périgord
(vescovo di Autun), l'Assemblea decise di usufruire della grande
quantità di beni del clero per colmare il debito pubblico,
mettendoli all'asta con l'intento di sanare il deficit dell'economia
francese. Per vendere così tanti beni era necessario molto tempo,
durante il quale le casse dello Stato avrebbero potuto svuotarsi;
per evitare questo, il 19 dicembre si decise di creare dei biglietti
il cui valore era assegnato in riferimento ai beni del clero: nacque
così l'assegnato. Da quel momento, chiunque desiderava comprare dei
beni nazionali doveva farlo attraverso gli assegnati emessi dallo
Stato, permettendo a quest'ultimo di impossessarsi di moneta prima
ancora dell'effettiva vendita del bene. Effettuata la vendita, gli
assegnati sarebbero ritornati nelle mani dell'emittente per essere
distrutti. I primi biglietti avevano un elevato valore (1.000 livre)
che non li rendeva idonei a essere messi in circolazione tra la
popolazione, ma il loro scopo principale era di far rientrare la
maggiore quantità possibile di moneta nelle casse dello Stato. Il
valore totale della prima emissione fu di 400 milioni di livre.
Non tutti i deputati dell'Assemblea furono favorevoli a questa
riforma (tra i quali Talleyrand), sostenendo che il nuovo sistema
avrebbe portato alla circolazione di un numero troppo elevato di
assegnati rispetto al valore dei beni nazionali. Il 17 aprile 1790
l'assegnato venne convertito in cartamoneta (Necker, essendo
contrario, si dimise in settembre) e lo Stato, sempre a corto di
liquidità, lo utilizzò per far fronte a tutte le sue spese; ne
vennero messi in circolazione una grande quantità che con il tempo
superò il valore dei beni nazionali, avverando i timori dei deputati
più scettici. Nel periodo che va dal 1790 al 1793 gli assegnati
persero il 60% del loro valore ma, nonostante questo, i prezzi di
acquisto dei beni nazionali rimasero molto elevati per le classi
popolari e solo la classe agiata poteva acquistarli (molte persone
si arricchirono enormemente, acquistando grandi terreni e fabbricati
per somme irrisorie rispetto al loro valore reale). Tutto questo
contribuì fortemente a dare inizio ad un periodo di forte inflazione
e l'Inghilterra, che era allora il più grande nemico della Francia,
iniziò a produrre dei falsi assegnati per accelerare la crisi
economica francese.
Questione religiosa
L'eliminazione della decima e la nazionalizzazione dei beni della
Chiesa costrinsero l'Assemblea Nazionale Costituente ad interessarsi
direttamente del finanziamento del clero. Il 12 luglio 1790 venne
approvata la Costituzione Civile del Clero, approvata da Luigi XVI
il 26 dicembre. Con questo documento, ispirato ai principi gallicani
(riconoscenza al papa del primato d'onore e di giurisdizione ma non
del potere assoluto), venne attuata una riforma essenzialmente su
quattro aspetti della Chiesa: riordinamento delle diocesi in base ai
dipartimenti (furono soppresse 52 diocesi, da 135 a 83);
retribuzione da parte dello Stato di vescovi, parroci e vicari;
elezione democratica dei vescovi e dei parroci da parte delle
assemblee dipartimentali; obbligo di residenza sotto pena di perdita
della retribuzione. I membri del clero divennero così dei funzionari
statali.
Il 1º agosto Luigi XVI incaricò l'ambasciatore a Roma di ottenere,
da papa Pio VI, l'approvazione della nuova riforma. Il papa si era
limitato a condannare segretamente la Dichiarazione dei Diritti
dell'Uomo e del Cittadino e per valutare la Costituzione Civile del
Clero istituì una speciale commissione, la quale, preoccupata di
perdere Avignone (all'epoca faceva parte dello Stato Pontificio ma
gran parte degli Avignonesi erano favorevoli ad annettersi alla
Francia) e di provocare una spaccatura tra i chierici, cercò di
temporeggiare. I vescovi domandarono che si attendesse
l'approvazione pontificia prima di mettere in vigore la nuova
riforma, ma l'Assemblea insistette per una sua rapida applicazione e
decise che per il 4 gennaio 1791 tutti i vescovi, parroci e vicari
avrebbero dovuto prestare un giuramento di fedeltà come funzionari
civili, pena la perdita delle funzioni e dello stipendio. I primi
chierici cominciarono a prestare giuramento senza attendere il
giudizio del pontefice. Con sorpresa generale i 2/3 degli
ecclesiastici dell'Assemblea Nazionale Costituente rifiutarono di
giurare e pressoché la metà del clero parrocchiale fece altrettanto.
L'Assemblea destituì i refrattari (coloro che non prestarono
giuramento) e li sostituì con i costituzionali (coloro che
prestarono giuramento).
Pio VI fu costretto a prendere posizione e il 10 marzo 1791, con il
Quod aliquantum, condannò la Costituzione Civile del Clero,
in quanto danneggiava la costituzione divina della Chiesa. Il 13
aprile, con il Charitas quae, dichiarò sacrilega la consacrazione di
nuovi vescovi, sospendeva ogni chierico costituzionale e condannava
il giuramento di fedeltà allo Stato. I rivoluzionari, per
rappresaglia, invasero Avignone; qui, nell'ambito della lotta fra
chi sosteneva l'annessione alla Francia e i sudditi fedeli al
pontefice, una sessantina di questi ultimi furono condannati
sommariamente a morte e barbaramente uccisi in una delle torri del
Palazzo dei Papi (tale evento è ricordato come Massacri della
Ghiacciaia).
Quando venne emanata la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del
Cittadino nell'agosto del 1789, il piccolo gruppo dei deputati
protestanti reclamò anche la piena uguaglianza dei culti religiosi,
trovando un parziale sostegno da parte della maggioranza
dell'Assemblea che dichiarò: «Nessuno deve essere inquisito per le
sue opinioni, anche religiose». Successivamente i cattolici del sud
della Francia (dove più vivo era il sentimento antiprotestante)
contrattaccarono, invitando l'Assemblea a riconoscere il
cattolicesimo come religione di Stato. La proposta fu rigettata,
contribuendo ad allontanare parte del clero dalla Rivoluzione. Le
condanne di Pio VI del 10 marzo e 13 aprile favorirono il distacco
di un'ulteriore parte del clero (quello refrattario, fedele al papa)
dall'Assemblea Nazionale Costituente, dividendo profondamente la
Chiesa francese e aggravando il malcontento della popolazione. La
questione del giuramento degenerò in uno scontro violento nell'ovest
della Francia, dove le città sostenevano i chierici costituzionali e
le campagne appoggiavano i refrattari.
La secolarizzazione: chiesa cattolica e regime liberale nel XIX
secolo
Nonostante i tentativi operati dal Congresso di Vienna del 1814 di
cancellare la rivoluzione francese e di ritornare all'ancien régime,
come se niente fosse successo nel frattempo, la società e la
politica europea oramai si incamminavano verso una piena e totale
autonomia dalla religione, mettendo fine a quel sistema di rapporti
tra società e religione che avevano caratterizzato i secoli
precedenti e che storicamente prende il nome di ancien régime.
Ora, questo nuovo fenomeno di secolarizzazione, che prende il nome
di separatismo, è tipico della società occidentale, ossia di quei
Paesi ove è predominante la religione cattolica e protestante,
mentre nei Paesi dell'Europa orientale, dove domina la religione
ortodossa, non assistiamo allo stesso fenomeno. Il principio base
fondamentale è che l'ordine politico-civile-temporale e quello
spirituale-religioso-soprannaturale sono non solo distinti, ma del
tutto separati: Stato e Chiesa procedono per due vie che non si
incontrano mai, e che non hanno alcuna relazione tra loro.
I caratteri che connotano questo nuovo rapporto tra la società
liberale dell'Ottocento e la religione, e che in modi e tempi
diversi da Stato a Stato si affermano nel corso del XIX e XX secolo,
si possono così sintetizzare:
- affermazione dell'origine puramente umana della società e
dell'autorità civile: viene cioè meno il principio, tanto caro
alla Santa Sede nel corso dei secoli precedenti, dell'origine
divina dell'autorità civile e della sua conseguente
sottomissione all'autorità religiosa;
- affermazione che l'unità politica si fonda sull'identità di
interessi politici: cioè solo la comunità politica rappresenta
per tutti la garanzia e lo strumento essenziale del bene comune,
non più la Chiesa, com'era nei secoli precedenti; con ciò si
afferma anche una uguale libertà e dignità di tutti i cittadini
all'interno della medesima comunità politica (fine delle
discriminazioni per motivi religiosi: così per i cattolici in
Inghilterra, per i protestanti in Francia, per gli ebrei in
tutti i Paesi occidentali);
- ha termine il concetto di « religione di Stato » e si afferma
la piena libertà di coscienza: con ciò si abolisce lo Stato
confessionale, in quanto l'autorità politica deve avere rispetto
per tutti i cittadini, qualunque sia il culto che professano;
nei paesi latini, dell'Europa e del Sudamerica, questo principio
significò in molti casi un'aperta ostilità verso la Chiesa
cattolica; in Italia il principio della religione di Stato
decade solo con il Concordato del 1983;
- le leggi civili non tengono più conto delle leggi
ecclesiastiche: lo Stato, in sé sovrano, non riconosce più la
validità delle leggi della Chiesa e addirittura può agire o
seguire principi del tutto diversi e opposti; su questo punto,
le applicazioni sono vastissime: basti pensare all'abolizione
delle leggi che obbligavano i sudditi alla pratica religiosa, o
all'introduzione del matrimonio civile e alla conseguente legge
sul divorzio, o alle leggi sulla libertà di stampa e alla
conseguente abolizione delle censure ecclesiastiche (questi
furono i tre campi principali di scontro tra società liberale e
Chiesa cattolica);
- varie attività, finora esercitate prevalentemente dalla
Chiesa, vengono ora rivendicate dallo Stato; alcuni esempi: la
cura dei registri dello stato civile, l'amministrazione dei
cimiteri, la direzione di innumerevoli opere di carità
(orfanotrofi, ospedali), e soprattutto l'istruzione dei
cittadini; fu proprio sul campo scolastico che la lotta fu aspra
e dura: per esempio, in Francia lo Stato arrivò a negare e
vietare alle Congregazione religiose qualsiasi attività di
insegnamento;
- fine delle immunità tipiche dell'ancien régime, di cui godeva
la Chiesa, cioè di quelle esenzioni dal diritto comune, che
riguardavano le cose, i luoghi, le persone; su questo campo la
lotta tra Stato e Chiesa fu lunga e aspra, e molte spesso la
Chiesa riusciva ad ottenere, tramite i Concordati, delle
mitigazioni su questo punto (è il caso, per esempio, del
Concordato con l'Austria del 1855, e del Concordato con la
Spagna franchista del 1953); d'altro canto, e in molti casi, lo
Stato rivendicava a sé la nomina dei vescovi, negando così alla
Chiesa quel diritto alla libertà che affermava risolutamente per
sé.
- abolizione di ordini religiosi, soprattutto contemplativi, e
confisca dei beni ecclesiastici da parte dello Stato.
Questi aspetti, sinteticamente delineati, si affermarono in tutti i
Paesi dell'Europa, ma in tempi ed in modi diversi.
Di fronte all'affermazione del principio di separazione fra Chiesa e
Stato, come reagì il mondo cattolico nel suo insieme? Vediamo
affermarsi nell'Ottocento due correnti:
- i cattolici intransigenti: di fronte alle libertà moderne, che
trovano la loro ragione teorica nella rivoluzione francese,
l'atteggiamento della maggior parte dei cattolici è quello di un
netto rifiuto: la libertà è figlia del demonio perché apre la
via a innumerevoli peccati; in sé il liberalismo è perverso,
dunque le sue dottrine sono da rigettarsi in blocco; il
movimento dei cattolici intransigenti è chiamato anche
ultramontanismo;
- i cattolici liberali; i cattolici liberali, in opposizione
agli intransigenti, cercavano di capire, chiarificare ed
accettare i principii del 1789; l'incontro della fede
tradizionale con il nuovo clima sorto con la rivoluzione
francese spingeva un gruppo sempre più crescente di ambienti
cattolici a guardare in modo nuovo i rapporti tra società civile
e società religiosa.
È in questo dibattito tra intransigenza e libertà, che il mondo
cattolico dell'Ottocento si dibatté a lungo, fra aperture e
chiusure, accettazioni e condanne.
Chiesa cattolica fra tradizione e modernità
« Colpita nei suoi interessi materiali, nella libertà, e sovente
nella vita dei propri preti, la Chiesa ha saputo trarre dalla
persecuzione la sua purificazione; ha saputo dare dei nuovi martiri
e, attraverso la loro testimonianza, acquistare nuova autorità e
nuovo prestigio davanti alle coscienze »
(Emanuele Artom, in Rassegna Storica Toscana, 4, 1958, p.
217)
Questa osservazione di uno storico italiano, peraltro non cattolico,
delinea in poche righe la vita e l'azione della Chiesa nel corso
dell'Ottocento. Certamente le condizioni della Chiesa durante tutto
il XIX secolo a prima vista non appaiono delle più felici:
- l'autorità della Santa Sede nella politica internazionale è
quasi del tutto scomparsa: i Legati pontifici, per esempio, sono
esclusi dai grandi congressi e dalla conferenza di pace di
Versailles nel 1919;
- il potere temporale cessa di esistere con l'annessione al
Regno d'Italia;
- gli Stati oramai ricusano la loro sanzione alle decisioni
ecclesiastiche, che per lo più restano lettera morta;
- le leggi di laicizzazione privano la Chiesa dei suoi
tradizionali mezzi di sussistenza;
- ma soprattutto, incolmabile sembra essere il solco che si
forma tra la Chiesa cattolica e il mondo moderno:
- la società contemporanea esalta l'ideale della libertà; la
Chiesa si allea invece con i regimi assoluti, o almeno ciò che
resta di essi, come per esempio l'Austria di Francesco
Giuseppe e la Francia di Napoleone III;
- alla luce delle nuove scoperte scientifiche e storiche si
formulano nuove ipotesi sull'origine dell'universo; la Chiesa
guarda con sospetto alle nuove correnti della scienza e cerca
di difendersi con inefficaci e oramai anacronistiche
proibizioni;
- la cultura moderna si impregna di idealismo e di
positivismo; il socialismo offre al proletariato un appoggio
per la sua redenzione sociale ben più efficace di quello
promesso dai cattolici, troppo spesso pronti solo a parlare di
rassegnazione.
Ma insieme alle resistenze e alle difficoltà ad abbandonare la
tradizione, vi sono elementi che dicono anche novità e lento
adeguamento alla modernità.
Una Chiesa più indipendente
Le lotte condotte dalla Chiesa contro gli Stati moderni liberali
(separatismo) rompono definitivamente quella stretta solidarietà che
legava nell'ancien régime trono e altare, Stato e Chiesa. Alcuni
esempi:
- nel gennaio 1904 Pio X condanna esplicitamente l'intromissione
dei governi nella elezione del papa (costituzione apostolica Commissum
Nobis); è la fine di ogni forma di giurisdizionalismo;
- nei primi mesi del 1905 il Papa nomina, in modo assolutamente
libero e senza ingerenze statali, alcuni vescovi francesi; è la
prima volta, almeno dai tempi di Filippo il Bello, che un
pontefice può nominare vescovi senza l'autorizzazione o la
diretta nomina statale;
- i due ultimi concili della Chiesa cattolica (il Vaticano I e
il Vaticano II) hanno goduto di una libertà che non ha
precedenti negli altri Concili della Chiesa cattolica; è
significativo il fatto che al Concilio Vaticano I si decise, per
la prima volta, di non invitare nessun capo di Stato cattolico
(come era stato fatto fino al Concilio di Trento): il Presidente
del Consiglio in Francia, l'Ollivier, annotò: «È la separazione
della Chiesa e dello Stato, attuata dal papa stesso». E
all'inizio del Vaticano II, Giovanni XXIII ribadiva: «Non si può
negare che queste nuove condizioni della vita moderna hanno
almeno questo vantaggio, di aver tolto di mezzo quegli
innumerevoli ostacoli, con cui un tempo i figli del secolo
impedivano la libera azione della Chiesa… Non senza grande
speranza e con nostro conforto vediamo che la Chiesa, oggi
finalmente non soggetta a tanti ostacoli di natura profana, che
si avevano nel passato, possa da questa basilica vaticana far
sentire la sua voce» (dal Discorso di apertura del Vaticano II).
L'ultramontismo
Più indipendente nei confronti dello Stato, la Chiesa quasi serra le
file attorno al suo capo, il Papa. Nasce così e si sviluppa nel
corso dell'Ottocento l'ultramontanismo, fenomeno che, se da un lato
mette fine al gallicanesimo e ad ogni forma di autonomia delle
Chiese nazionali, dall'altro si caratterizza per un forte accento di
intransigenza. Diversi fattori hanno portato alla nascita
dell'ultramontanismo, tra cui gli scritti di De Maistre e Lamennais,
che esaltano le prerogative del papato e il suo influsso nella
società; e l'azione dei Papi dell'Ottocento (soprattutto Pio IX),
che in molte occasioni raccolgono a Roma vescovi, sacerdoti e fedeli
in grandi raduni e manifestazioni pubbliche, con l'intento di
resistere meglio al processo di laicizzazione della società.
Questo processo porta inevitabilmente ad una maggiore
centralizzazione, cioè in pratica ad un sempre maggior intervento
delle Congregazioni vaticane nella vita delle singole diocesi; ad
una maggior uniformità della disciplina ecclesiastica; ad un maggior
senso di appartenenza non a questa o quella chiesa locale, ma alla
Chiesa del Papa, alla Chiesa di Roma.
Il clero secolare
La situazione del clero secolare nel corso dell'Ottocento è varia ed
offre caratteristiche assai diverse in America e nel vecchio
continente.
Negli Stati Uniti i sacerdoti secolari rimasero a lungo inferiori ai
bisogni di una popolazione in continuo aumento. Nel 1860, l'85% del
clero era costituito da immigrati, di cui i vescovi facevano sempre
più richiesta. Nel 1857, a Lovanio fu aperto un seminario per la
preparazione di sacerdoti destinati all'America del Nord.
In America Latina, il numero dei sacerdoti era più o meno
sufficiente alle esigenze e ai bisogni pastorali, ma il loro livello
morale non era all'altezza della situazione. In particolare era
drammatica la situazione del clero in Brasile: nelle visite ad
limina al Papa, i vescovi brasiliani si lamentano dello scarso
numero di preti (1 ogni diecimila abitanti) e del diffuso
concubinaggio sacerdotale.
La situazione europea è totalmente diversa. Da un lato si assiste ad
un calo sostanziale del numero di sacerdoti rispetto ai secoli
precedenti (dovuto spesso alla fine del concetto di carriera
ecclesiastica cui spesso i giovani di molte famiglie nobili o
borghesi erano destinati), dall'altro la loro condizione e
formazione è molto migliorata.
Gli Istituti religiosi
Nel corso dell'Ottocento, gli Istituti religiosi offrono uno
spettacolo apparentemente contraddittorio di forte crisi, ma anche
di promettente sviluppo.
La crisi è dovuta alla difficoltà a rinunciare agli antichi
privilegi e alla libertà di cui i religiosi dei vecchi ordini
avevano goduto a lungo nei secoli precedenti. Questo è evidente
nella pratica del voto di povertà, nell'insufficienza della
selezione e della formazione dei candidati, nelle continue beghe dei
religiosi tra loro e col clero secolare. La Santa Sede intervenne in
più occasioni, da un lato istituendo speciali Congregazioni vaticane
per la riforma della vita religiosa; dall'altro con la pubblicazione
di norme e direttive riformatrice, estese a tutti gli ordini, vecchi
e nuovi.
Se da un lato abbiamo una crisi che coinvolge soprattutto gli
antichi ordini religiosi, dall'altro si assiste nel corso
dell'Ottocento ad un fiorire prodigioso e vertiginoso di nuove
Congregazioni religiose, e soprattutto di Congregazioni religiose
femminili di vita attiva, ossia di Congregazioni dedite ad opere di
apostolato fuori dal convento e dalla clausura (cui erano
obbligatoriamente relegate le religiose). In Italia, nel corso del
XIX secolo si assiste alla nascita di 23 nuove Congregazioni
religiose maschili e di ben 183 nuovi istituti religiosi femminili:
la maggior parte di queste nuove Congregazioni è dedita
all'assistenza agli ammalati, all'educazione, alla scuola.
Nuove forme di apostolato dei laici
Lo storico gesuita Giacomo Martina paragona «l'ingresso dei laici
nella lotta per la difesa dei diritti della Chiesa all'irrompere
della donna nella vita consacrata attiva, e costituisce uno dei
tratti salienti della vita del popolo di Dio nell'età posteriore
alla rivoluzione francese».
L'iniziativa di un intervento diretto del laicato cattolico nella
società contemporanea e nella vita politica e sociale all'inizio è
mal visto dalla Santa Sede, e considerato come un'ingerenza.
In Germania, Francia e in Italia si sviluppa tutta una rete di
associazioni con fini assistenziali, liturgici, culturali, sociali:
nascono così le Conferenze di San Vincenzo, la Società per la
Propagazione della fede, la Borromäusverein per la diffusione della
stampa, il Movimento Ceciliano per il rinnovamento della musica
sacra; si diffondono i Congressi Cattolici, la Società della
gioventù cattolica che poi diviene l'Azione Cattolica. La novità più
decisiva è la nascita di veri e propri partiti politici di
ispirazione cattolica, che in modi e tempi diversi da Paese a Paese,
ottengono voti e siedono in Parlamento. Il più importante,
nell'Ottocento, è il partito cattolico tedesco, lo Zentrum, che dopo
il 1870 si libera dai caratteri prettamente confessionali; la
medesima cosa in Olanda nel 1877, in Belgio nel 1863, in Austria con
il partito cristiano sociale, ed in Italia con il Partito Popolare
di Don Sturzo.
Tutti questi partiti politici, devono lottare da un lato contro
l'integrismo, che voleva far assumere dalla gerarchia ecclesiastica
la responsabilità di scelte politiche contingenti; e dall'altro
contro l'aconfessionalismo assoluto, che rischiava di portare
all'abbandono del fine per cui il partito era sorto. E così, appare
lungimirante la scelta del capo dello Zentrum, il Windthorst, che
nel 1887 si rifiutò di seguire le pressioni papali che volevano un
appoggio al Bismarck nella speranza di ottenere migliori condizioni
per la vita della Chiesa cattolica in Germania: per un partito di
ispirazione cristiana, affermò il Windthorst, è necessario mantenere
la propria indipendenza nelle scelte politiche concrete.
L'azione missionaria
Un altro punto di notevole interesse e di risveglio del mondo
cattolico fu l'azione missionaria, che dopo il declino del
Settecento e il tracollo quasi completo con la rivoluzione francese,
subì un'impennata positiva, grazie in modo particolare: al
Romanticismo che, con il Chateaubriand e il suo Génie du
christianisme, esaltava l'opera civilizzatrice della Chiesa; alle
nuove esplorazioni, che per la prima volta fecero conoscere
all'Europa l'Africa e l'Estremo Oriente; alle iniziative di vari
Pontefici (in particolare Pio VII, Gregorio XVI, Pio IX e Leone
XIII).
Ma fu ancora una volta dalla base che arrivò un impulso decisivo
all'azione missionaria. Ricordiamo la nascita dell'Opera della
Propagazione della fede di Pauline Marie Jaricot nel 1822 e il
fiorire di numerose Congregazione missionarie: le Missioni Estere di
Parigi (MEP), il Pontificio Istituto delle Missioni Estere di Milano
(PIME), l'Istituto per le missioni africane (Comboniani), i
Saveriani di Parma, i Padri Bianchi del cardinal Lavigerie, i
Missionari di Scheut in Belgio, i Missionari di Mill Hill in
Inghilterra, la Società del Verbo Divino in Olanda. A queste vanno
aggiunte tutte le Congregazioni religiose sorte in questo periodo
non necessariamente dedite alle missioni, ma che fecero di questo
campo uno dei loro punti principali: tra queste ricordiamo
soprattutto i Salesiani di Don Bosco.
Gli sforzi missionari si diressero soprattutto in Africa, continente
che possiamo dire venne scoperto nell'Ottocento, e nell'Estremo
Oriente, in particolare in Cina, Giappone, Indocina e Oceania. Non
va comunque dimenticato che le missioni del XIX secolo risentono
ancora, nella mentalità e nella prassi, delle caratteristiche
tipiche dell'ancien régime: l'evangelizzazione è ancora legata
all'appoggio dei governi europei e all'europeizzazione, è fondata su
una teologia oramai superata, fonda la possibilità di salvezza nella
sola appartenenza alla Chiesa visibile, misconosce in molti casi gli
autentici valori delle religioni orientali. Inoltre, certi retaggi
del passato sono ancora difficili da superare: è il caso della
Chiesa del Brasile, dove, ancora a metà dell'Ottocento, vigeva la
schiavitù a cui aderivano anche le istituzioni ecclesiastiche (per
esempio, una donna poteva essere affrancata solo se dava 5 figli
maschi al convento di cui era schiava).
Chiesa cattolica e "questione romana"
La cosiddetta "questione romana" è la controversia politica relativa
al ruolo di Roma, sede del potere spirituale e temporale del Papa
ma, al contempo, capitale naturale d'Italia. La controversia sorge
con il Risorgimento italiano, a cui si contrappone il Papato, che
considerava il potere temporale essenziale per la sua sopravvivenza.
L'intransigenza papale sulla questione romana ebbe come conseguenza
un forte incremento dell'anticlericalismo; la mancanza dei cattolici
dalla vita politica nazionale e dunque una tendenza laicista del
governo nei confronti della Chiesa; il fatto che l'Italia, per
almeno trent'anni, fu spaccata in due (cfr. lo storico steccato), e
questo portò a considerare sempre negativamente tutto ciò che
avveniva nel campo non confessionale (anche quello che di buono
c'era: una delle cause della crisi modernista).
Pio IX e la "questione Romana"
L'avvento al soglio pontificio di Pio IX nel 1846 aveva suscitato
speranze di una conciliazione tra il papato e le aspirazioni
nazionali, soprattutto dopo l'introduzione nello Stato Pontificio di
riforme che non usavano gli schemi del dispotismo illuminato
(amnistia per i reati politici, moderata libertà di stampa,
creazione di un consiglio di ministri, di una guardia civica,
prudente e limitata ammissione dei laici al governo, concessione di
una carta costituzionale). Nasce il mito di Pio IX, papa liberale ed
antiaustriaco.
Ma lo scoppio della prima guerra di indipendenza contro l'Austria
obbliga il Papa a chiarire le sue posizioni: nell'allocuzione del 29
aprile 1848, egli dichiara di non poter partecipare ad una guerra
contro l'Austria perché inconciliabile con i suoi doveri di capo
della Chiesa universale (e nella redazione ufficiale scompare il
tono filoitaliano presente nella minuta). Pur non condannando la
guerra all'Austria e non vietando ai sudditi pontifici di
partecipare, a titolo personale, alla guerra, l'allocuzione sferzò
l'entusiasmo di molti italiani, che gridarono al tradimento.
La situazione precipita: il 15 novembre 1848 viene ucciso il primo
ministro Pellegrino Rossi; il 16 scoppia una rivolta ed il 24 Pio IX
è costretto a fuggire a Gaeta. Ritorna a Roma solo nell'aprile del
1850, dopo che le truppe francesi avevano sconfitto le truppe della
neonata Repubblica romana. Tutti questi avvenimenti rafforzarono nel
Papa la diffidenza verso il liberalismo.
Il biennio 1859-1861 vede la nascita del Regno d'Italia con la
sottrazione di una parte notevole dello Stato Pontificio. Pio IX
scomunica gli usurpatori, mentre Cavour propone al Papa la rinunzia
a Roma proponendo la libertà alla Chiesa mediante la separazione dei
due poteri. Ma il papa si chiude in una sempre più forte
intransigenza, aumentando il solco tra coscienza nazionale e
coscienza religiosa.
Pio IX aveva sempre sperato nell'aiuto delle potenze cattoliche,
specialmente della Francia. Ma il 15 settembre 1864, una convenzione
tra Napoleone III e il governo italiano portava al ritiro delle
truppe francesi da Roma con la rassicurazione italiana di rispettare
i resti del potere temporale papale. In seguito, la sconfitta
francese contro i prussiani e la caduta di Napoleone, permette al
governo italiano di occupare Roma, il 20 settembre 1870, e di
mettere fine al secolare Stato Pontificio.
Il 13 maggio 1871, con la Legge delle Guarentigie, lo Stato
italiano, unilateralmente non riconosceva al papa nessuna sovranità,
ma gli prometteva onori sovrani, l'uso (non la proprietà) del
Vaticano; lo Stato poi rinunziava alla nomina dei vescovi (pur
mantenendo l'exequatur e non riconoscendo i religiosi). Pio IX
respingeva tutte queste decisioni ed anche la somma annua
garantitagli dallo Stato che considerava un usurpatore dei diritti
papali.
La "questione Romana" dopo il 1870
Dopo il 1870 possiamo distinguere due periodi diversi circa i
rapporti tra Santa Sede e Stato Italiano.
Il pontificato di Leone XIII è caratterizzato da un inasprimento dei
rapporti, con un crescente anticlericalismo e la contrapposta
intransigenza cattolica. Sulla questione romana la posizioni
restavano immutate: per i liberali la legge delle guarentigie aveva
risolto definitivamente il problema, mentre i cattolici auspicavano
il ristabilimento del potere temporale, come condizione
indispensabile per il libero esercizio dell'autorità papale (almeno
a Roma, così la pensava anche Leone XIII). Continuava invece il Non
expedit (« non conviene ») vaticano sull'astensione dei cattolici
dalla vita politica (mentre era possibile la partecipazione alle
elezioni amministrative). Autoesclusi dalla partecipazione diretta
alla vita politica, i cattolici si raccolsero in movimenti di
opposizione fuori dal parlamento (confluiti poi nell'Opera dei
Congressi).
I pontificati di Pio X, di Benedetto XV e di Pio XI (cioè i primi
tre decenni del XX secolo) videro invece la distensione ed un
graduale riavvicinamento. Infatti le affermazioni politiche dei
socialisti provocarono l'alleanza tra cattolici e liberali moderati
(Giolitti) in molte elezioni amministrative, alleanza detta
clerico-moderatismo. Segno di questi mutamenti è l'enciclica del
1904 Il Fermo Proposito, che se conservava il non expedit, ne
permetteva tuttavia larghe eccezioni, che poi si moltiplicarono:
vari cattolici così entrarono in parlamento, anche se solo a titolo
personale.
Nel 1913, con il Patto Gentiloni, si ebbe la vittoria del cosiddetto
clerico-moderatismo, che permise ai cattolici di partecipare alle
elezioni politiche. I cattolici dettero voti ai candidati liberali
che avevano aderito ad alcuni punti programmatici (libertà della
scuola, opposizione al divorzio, ecc.); a loro volta i liberali
promettevano l'appoggio a qualche candidato cattolico. Sulla
questione romana le pretese territoriali vennero sempre di più a
scemare; il problema si riduceva ormai alla ricerca di condizioni
giuridiche che assicurassero al papa un'indipendenza effettiva e
palese.
Nel 1919 abbiamo l'abrogazione ufficiale del Non expedit, già morto
da tempo, e la fondazione del Partito Popolare, vagheggiato già nel
1905 da Don Sturzo come partito di ispirazione cattolica, ma
aconfessionale, indipendente dalla gerarchia nelle sue scelte
politiche.
I Patti Lateranensi
Già nel giugno del 1919, a Parigi, alla conferenza di pace dopo la
prima guerra mondiale, ci fu un colloquio tra il Cerretti, uno dei
migliori diplomatici vaticani, e il presidente del consiglio
Orlando. Viva fu l'opposizione di Vittorio Emanuele III: il Re
dichiarò che sarebbe stato meglio abdicare piuttosto che trattare
con la Chiesa. Ciò che non riuscì con il regime liberale (ormai
agonizzante) riuscì invece con il regime fascista di Mussolini.
La conciliazione fra lo stato italiano e la Santa Sede, già
raggiunta a livello di coscienze e sul piano politico, mancava
ancora di un riconoscimento giuridico. Tra il 1925 e il 1926 una
commissione mista fu incaricata di esaminare la questione delle
proprietà ecclesiastiche. Ma nel 1926, in una lettera al segretario
di stato cardinal Pietro Gasparri, Pio XI dichiarava che non si
potevano trattare questioni secondarie quando era ancora insoluto il
problema essenziale: la questione romana. L'invito era chiaro:
iniziarono così i primi sondaggi e le prime trattative ufficiose tra
l'avvocato Francesco Pacelli per il Vaticano e il giurista Domenico
Barone per parte italiana, alla cui morte succedette il giurista
Nicola Consiglio.
Nel novembre del 1928 iniziarono le trattative ufficiali che
toccarono momenti drammatici. Per due volte, gennaio 1927 ed aprile
1928, i colloqui si interruppero per le pretese fasciste di
monopolio sull'educazione giovanile. L'intransigenza di Pio XI
indusse Mussolini a parziali concessioni, permettendo associazioni
cattoliche educative-pastorali (l'Azione Cattolica).
Si susseguirono vari schemi, rispondenti a tre postulati della Santa
Sede: costituzione di un autentico stato (pur se ridotto
territorialmente), compensi finanziari, concordato. Il governo
italiano a fatica accettò il primo punto: infatti solo con la morte
del Barone, sostenitore della tesi che la sovranità papale si
scontrava con le tradizioni risorgimentali e con la mentalità
liberale, il Vaticano riuscì a far accettare il primo punto. Per il
concordato le discussioni furono più laboriose (Pio XI si mostrò più
energico su questo punto che non sul primo), tese a ridurre le ampie
richieste iniziali della Santa Sede che comprendevano fra l'altro:
il cattolicesimo come religione di stato, il ripristino
dell'insegnamento della religione nelle scuole medie superiori, il
riconoscimento civile del sacramento del matrimonio, il
riconoscimento degli ordini religiosi.
Si arrivò così alla firma dei Patti l'11 febbraio 1929 tra il
cardinal Gasparri e Mussolini nel palazzo del Laterano. Essi
comprendevano un trattato e un concordato (con annessa convenzione
finanziaria). La questione romana, dopo 70 anni, era così
definitivamente chiusa.
Chiesa cattolica e "questione sociale"
L'immenso progresso tecnico, industriale e commerciale nell'Europa
dell'Ottocento e dei primi del Novecento è accompagnato da notevoli
problemi di carattere sociale e psicologico e da una diffusa
disuguaglianza: ossia la concentrazione di ingenti ricchezze nelle
mani di pochi imprenditori e «al giogo poco men che servile imposto
da un'esigua minoranza di straricchi all'infinita moltitudine di
proletari» (Leone XIII, Rerum Novarum, n. 2). Al benessere di pochi
fa da contraltare il malessere, il degrado, la miseria dei
lavoratori:
- orari di lavoro impossibili;
- arruolamento indiscriminato di donne e bambini, anche in
tenera età;
- mancanza di ogni sicurezza di fronte a infortuni e malattie;
- salari appena sufficienti al singolo operaio, non alla sua
famiglia;
- mancanza di igiene sul posto di lavoro e nelle abitazioni dei
lavoratori;
- esclusione assoluta della classe operaia da ogni decisione in
ambito lavorativo.
Ben presto, di fronte al ripetersi sempre più frequente di tumulti e
insurrezioni operaie (1831 e 1848), iniziano a diffondersi le prime
idee sociali e i primi tentativi di risolvere quella che è passata
alla storia come “questione sociale”.
Senza entrare nel merito della genesi e delle cause della questione
sociale, e rimandando alle voci proprie relative ai primi e
importanti tentativi, a livello teorico, di dare una risposta ai
problemi e alle esigenze della classe operaia (Saint-Simon, Fourier,
Pierre Proudhon, Karl Marx), in questo capitolo tentiamo una sintesi
delle posizioni cattoliche di fronte alla questione sociale.
Il risveglio dei cattolici di fronte al problema
In generale i cattolici solo con un certo ritardo presero coscienza
della questione sociale, e fra essi si svilupparono due tendenze,
che persistettero l'una accanto all'altra per oltre un secolo:
- da una parte troviamo posizioni che cercavano soluzioni ai
problemi sociali nel campo assistenziale-caritativo; restava
infatti il principio che l'operaio non può rovesciare l'ordine
costituito (in aperto contrasto con il socialismo);
- dall'altra parte assistiamo nel corso dell'Ottocento anche ad
un'azione a favore della classe operaia di stampo unicamente
assistenziale-caritativo e paternalistico ad un'azione
propriamente sociale, con il riconoscimento dei diritti
dell'operaio e della difesa collettiva di questi diritti. Per
esempio, prova di questa lenta maturazione è in Italia il
diverso nome che assunse la seconda sezione dell'Opera dei
Congressi, dedicata ai problemi sociali: si passa da “sezione
della carità” (1874), a “sezione della carità ed economia
cattolica” (1879), per arrivare a “sezione dell'economia sociale
cristiana” (1887).
La linea conservatrice
Per buona parte dell'Ottocento i cattolici condivisero per lo più i
sentimenti della borghesia sull'ineluttabilità delle leggi
economiche e sulla fatalità della miseria che accompagna l'umanità
in tutta la sua storia: un cambiamento della situazione è
considerato utopico.
I documenti dei Papi e gli scritti cattolici più o meno scientifici
che si muovono in questa linea, sono preoccupati di difendere la
proprietà privata e di condannare le opere e le idee dei socialisti.
Pio IX, nella sua enciclica programmatica Qui pluribus del 1846
condanna il socialismo e il comunismo (ribadita nella Quanta cura e
nel Sillabo del 1864), ma insieme critica fortemente l'amoralismo
economico e la negazione di ogni diritto naturale.
Leone XIII non si allontana inizialmente da queste posizioni:
- nella Quod Apostolici Muneris (1878) condanna ancora il
socialismo, riafferma il diritto di proprietà, raccomanda ai
ricchi di dare ai poveri il superfluo, e raccomanda ai poveri di
frenare le ambizioni e di custodire l'ordine stabilito: « Cristo
incalza i ricchi col gravissimo precetto di dare ai poveri il
superfluo, e li spaventa intimando loro il giudizio divino,
secondo il quale se non verranno in aiuto dell'indigenza saranno
puniti con eterni supplizi. Da ultimo ricrea e conforta
considerevolmente gli animi dei poveri sia proponendo l'esempio
di Cristo il quale, essendo ricco, si fece povero per noi (2Cor
8,9), sia ripetendo quelle parole di Lui, con le quali chiama i
poveri beati, e comanda loro di sperare i premi dell'eterna
beatitudine… Che [tutti] prestino ossequio all'autorità dei
Principi e delle leggi, e che, frenate le cupidigie,
custodiscano gelosamente l'ordine stabilito da Dio nella civile
e nella domestica società »;
- idee analoghe appaiono nell'enciclica Auspicato Concessum: «
La difficoltà che travaglia le menti degli uomini di governo sul
modo di equamente comporre le ragioni dei ricchi e dei poveri,
resta mirabilmente sciolta una volta che sia scolpita negli
animi la persuasione che la povertà non è per se stessa
spregevole: occorre che il ricco sia caritatevole e munifico;
che il povero sia rassegnato e attivo, e poiché nessuno dei due
è nato per i mutabili beni della terra, gli uni con la
sofferenza, gli altri con la liberalità si procurino di
raggiungere il cielo »;
- infine nell'enciclica Graves de Communi Re (1901), il
Pontefice definisce la democrazia « benefica azione cristiana a
favore del popolo ».
La linea sociale
Accanto alla linea conservatrice, si sviluppa pian piano un
atteggiamento diverso, più propositivo e costruttivo.
Inizialmente, assistiamo alla nascita di diverse organizzazioni
cattoliche assistenziali e caritative (per esempio le Conferenze di
San Vincenzo de Paoli, fondate dall'Ozanam a Parigi nel 1833; la
Società di San Francesco Saverio nata nel 1840; le Gesellenverein,
associazioni di apprendisti, fondate in Germania dal sacerdote Adolf
Kolping nel 1847; da non sottovalutare poi le azioni caritative del
Cottolengo e di Don Bosco a Torino), che però erano ancora limitate
da una mentalità paternalistica. Sul piano teorico, non mancano le
prime denunzie della situazione della classe operaia ed in genere
dei problemi legati alla questione sociale e i primi tentativi di
soluzione. Ricordiamo solo alcuni esempi:
- nel corso del 1848, sulla rivista cattolica francese «Ere
nouvelle», autori come Lacordaire, Maret, Ozanam tracciano un
programma sociale che desta scandalo fra i bempensanti: parlano
di legislazione a difesa dell'infanzia, della malattia, della
vecchiaia; di associazionismo operaio; di comitati misti
padroni-lavoratori per comporre le vertenze in ambito
lavorativo; si riconosce un diritto al lavoro, che appare alla
borghesia come una follia.
- all'inizio degli anni cinquanta dell'Ottocento, sulla rivista
romana dei Gesuiti « Civiltà Cattolica », appaiono con sempre
più frequenza articoli che, se da un lato manifestano ancora un
forte tono paternalistico, dall'altro individuano i principi per
una soluzione della questione sociale: subordinazione
dell'economia alla morale, perché l'amoralismo economico porta
necessariamente all'oppressione dei deboli; affermazione della
funzione sociale della proprietà privata; necessità
dell'intervento statale nelle questioni economiche; importanza
dell'associazionismo professionale.
- di notevole spessore infine i discorsi e gli scritti del
vescovo di Magonza, Emmanuel von Ketteler, eletto poi deputato
nel Reichstag, che insiste sulla necessità per la Chiesa di
intervenire nella questione sociale perché essa è anche una
questione morale, e sull'urgenza per lo Stato di interessarsi
delle classi operaie, aiutandole ad organizzarsi e a proteggersi
contro ogni iniquo sfruttamento.
La rivolta parigina del 1871 cambiò radicalmente la situazione
intensificando il movimento cattolico, giustificato da un lato dalla
paura ora effettiva di ciò che il malessere sociale poteva causare,
dall'altro dalla paura di perdere le masse sempre più attratte dal
socialismo.
- In Austria, le idee del von Ketteler furono riprese da Karl
von Vogelsang, che nelle tesi di Haid (pubblicate nel 1883) si
orientava verso un deciso corporativismo.
- In Francia, abbiamo da una parte la linea conservatrice della
scuola di Angers guidata dal suo vescovo mons. Freppel;
dall'altra una linea socialmente più aperta, i cui maggiori
esponenti furono René de La Tour du Pin, Albert de Mun e
l'industriale Léon Harmel.
- In Belgio prevale la linea conservatrice, difesa dal
professore di economia politica di Lovanio, Charles Périn.
- In Italia, abbiamo la nascita dell'Opera dei Congressi, la cui
seconda sezione prenderà nel 1887 il nome di “sezione
dell'economia sociale cristiana”. Si sviluppano nello stesso
tempo studi teorici sull'argomento: dopo il 1889 si organizza
l'Unione cattolica per gli studi sociali diretta da Giuseppe
Toniolo; a Roma il gesuita p. Liberatore pubblicava i suoi
Elementi di economia politica sotto lo stimolo e la guida dello
stesso pontefice Leone XIII.
- Negli Stati Uniti, il cardinal Gibbons difende i Cavalieri del
Lavoro, uno tra i primi sindacati cristiani (1869) composto di
soli operai, e approvato dal Sant'Uffizio nel 1888.
- In Inghilterra, il cardinal Manning scende direttamente in
piazza per difendere i diritti dei lavoratori irlandesi (1874 e
1889).
- In Svizzera, attorno a mons. Mermillod, vescovo di Ginevra, si
raccoglie verso il 1884 l'Unione di Friburgo, che vede a
confronto studiosi cattolici francesi, italiani, tedeschi,
austriaci e belgi.
Ormai i cattolici si convincono sempre più dell'insufficienza del
sistema caritativo-assistenziale, ma non riescono ancora a trovare
una strada univoca per quanto riguarda i tre principali punti di
discussione, che animarono gli interventi negli anni precedenti la
Rerum Novarum, ossia: l'associazionismo operaio, l'intervento
statale, la determinazione del giusto salario.
- L'associazionismo operaio. Per i più, era impensabile
un'associazione professionale composta di soli operai (sindacati
semplici), perché si respingeva l'idea che le classi lavoratrici
potessero da sole difendere i loro diritti e realizzare le loro
aspirazioni; e perché una tale associazione si contrapponeva,
logicamente, alle associazioni composte di soli padroni,
fomentando così quella lotta di classe auspicata dai socialisti,
ma aborrita dal mondo cattolico. In questo modo, prevalse l'idea
di associazioni o sindacati misti di operai e padroni, sullo
schema delle antiche corporazioni, dove assieme si discutevano i
problemi e assieme si trovava una soluzione.
- L'intervento statale. Su questo punto le posizioni cattoliche
furono assai divergenti, soprattutto sui contenuti e le modalità
di intervento statale. Nel congresso cattolico di Liegi del 1890
si raggiunse un compromesso: era riconosciuto legittimo
l'intervento statale ma solo per regolare gli orari di lavoro,
non per determinare il salario.
- Il giusto salario. Anche in questo campo, le posizioni
cattoliche erano divergenti e assai diversificate: da un lato si
affermava che la determinazione del salario dipendeva solo dal
lavoro (domanda-offerta) e non dai bisogni del lavoratore;
dall'altro si affermava che un salario giusto doveva tener conto
non solo delle esigenze dell'operaio, ma anche della sua
famiglia.
Tutte queste discussioni offrirono a papa Leone XIII un ampio
materiale su cui riflettere e prepararono così il suo intervento
decisivo, l'enciclica Rerum Novarum del 15 maggio 1891.
La Rerum Novarum
L'intervento di Leone XIII, che raccoglie il frutto di quasi un
cinquantennio di studi, riflessioni e discussioni in ambito
cattolico, segna una svolta nella posizione cattolica nei confronti
della questione sociale.
L'insegnamento del Papa si può riassumere in quattro punti
essenziali:
- è ribadito il diritto naturale della proprietà privata, ma ne
è sottolineata anche la funzione sociale;
- è attribuito allo Stato il compito di promuovere la prosperità
pubblica e privata, con il netto superamento dell'assenteismo
statale tipico del liberismo; ma insieme all'azione statale sono
posti dei limiti, dovuti al carattere di supplenza del suo
intervento;
- il Papa ricorda agli operai i loro doveri nei confronti degli
imprenditori, ma insieme afferma che ad essi, per stretta
giustizia, è dovuto un giusto salario che permetta loro un
tenore di vita che sia veramente umano, superando così una
concezione puramente economica del lavoro;
- infine il Pontefice condanna la lotta di classe, ma assieme
afferma la necessità per i lavoratori di riunirsi per difendere
i loro diritti, anche in associazioni formate esclusivamente da
operai.
Fu proprio quest'ultimo punto a suscitare le discussioni maggiori:
il Papa ammetteva il diritto per gli operai di riunirsi, ma non
specificava in alcun modo se le associazioni di soli operai dovevano
improntarsi allo stile delle corporazioni già viste nei secoli
precedenti o piuttosto ai sindacati moderni.
Il Modernismo
Tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo si sviluppò in
ambito cattolico un movimento di pensiero teso al rinnovamento e
alla riforma del cattolicesimo. L'intento di questo movimento era di
conciliare, quando possibile, la cultura cattolica con le scienze
moderne, mettendo fine allo scontro “culturale” tra scienza e fede,
stato e chiesa, modernità e tradizione. Gli ambiti privilegiati in
cui si muoveva il movimento modernista erano la filosofia, la
[teologia] (soprattutto i dogmi), la storia ecclesiastica, l'esegesi
biblica, l'ambito sociale.
La diffusione in ambito cattolico di un senso di disagio ed insieme
di un bisogno di aggiornamento, presentava tutta una gamma di
atteggiamenti e di posizioni, che variavano da un autentico bisogno
di riforma, nel rispetto della fede, ad un desiderio di cambiare che
andava oltre, fino a raggiungere posizioni eterodosse, lontana da
una fede autentica e da un genuino senso di Chiesa. Ed è così che
accanto a personaggi autorevoli, desiderosi di una riforma e di un
vero aggiornamento della Chiesa cattolica, nella fedeltà a Roma ma
insieme nel desiderio di rispondere alle nuove esigenze dei tempi,
troviamo anche molti studiosi che, nelle loro speculazioni e nei
loro atteggiamenti, finirono per alienarsi le autorità
ecclesiastiche fino ad abbandonare la Chiesa o ad esserne esclusi.
Tra i maggiori rappresentanti del modernismo, quasi tutti sacerdoti
cattolici, si ricordano soprattutto quelli che poi finirono per
rompere con la Chiesa: Alfred Loisy, George Tyrrell, Ernesto
Buonaiuti, Romolo Murri.
La Santa Sede e Pio X intervennero duramente contro questo
movimento, condannarono il modernismo senza distinguere tra
posizioni estremiste e ala moderata. Con il decreto Lamentabili la
Congregazione dell'Indice condannò, nel luglio 1907, 65 proposizioni
moderniste, per lo più tratte dalle opere del Loisy. Nel settembre
dello stesso anno, Pio X, con l'enciclica Pascendi Dominici Gregis,
condanna il modernismo come «la sintesi di tutte le eresie». A
novembre, con il Motu Proprio Praestantia Sententiae Pio X comminava
la scomunica a chiunque si opponesse all'enciclica. Ed infine, nel
1910, con il Motu Proprio Sacrorum Antistitum il Papa imponeva a
tutti i chierici il Giuramento antimodernista, proibendo nei
seminari la lettura di qualsiasi giornale.
Nazismo e cristianesimo
La relazione tra Nazismo e Cristianesimo può essere descritta solo
come complessa e controversa. Ufficialmente il Nazismo si proclamava
al di sopra delle confessioni, ma Hitler e gli altri capi nazisti
facevano uso del simbolismo e delle emozioni cristiane nel
propagandarsi presso il pubblico tedesco (prevalentemente
cristiano). Sicuramente Hitler ammirava la forte gerarchizzazione
che "...procedeva dal Vaticano fino all'ultima chiesetta nell'angolo
più sperduto del mondo". Hitler sosteneva una forma di
"cristianesimo positivo", nel quale Gesù Cristo era un ariano, i
dogmi tradizionali erano respinti, si accusava la chiesa di avere
manipolato il cristianesimo antico gnostico per fini di potere e, in
modo simile agli antichi marcioniti si ripudiava l'Antico
Testamento. Il suo atteggiamento personale è così descritto da un
suo stretto collaboratore:
- «Quanto alla lotta contro le Chiese cristiane, egli seguiva
l'esempio dell'imperatore Giuliano: perciò si studiava di
confutare e demolire con argomenti razionali le dottrine
predicate dalle confessioni cristiane, pur riconoscendo
esplicitamente l'importanza della religione quale(?) fede in una
divina onnipotenza (Conversazioni di Hitler a tavola 1941-1942 )
Alcuni scrittori cristiani hanno cercato di tipicizzare Hitler come
un ateo o un occultista (o persino un satanista), laddove altri
hanno enfatizzato l'utilizzo esplicito del linguaggio cristiano da
parte del partito nazista, indipendentemente da quale fosse la sua
mitologia interna. L'esistenza di un Ministero per gli Affari
Ecclesiastici, istituito nel 1935 e guidato da Hanns Kerrl, venne
riconosciuta a fatica da ideologi come Alfred Rosenberg, che
sosteneva un confuso ritorno alla religione germanica, come pure il
comandante in capo (Reichsführer) delle SS e capo della polizia
tedesca Heinrich Himmler.
Le relazioni del partito nazista con la Chiesa cattolica sono
dibattute. Molti sacerdoti e leader cattolici si opposero
apertamente al nazismo sulla base di incompatibilità con la morale
cristiana. La gerarchia cattolica condannò i fondamenti teorici del
nazismo con l'enciclica Mit brennender Sorge (1937) di papa Pio XI.
Come per molti oppositori politici, numerosi sacerdoti vennero
condannati al campo di concentramento e uccisi per le loro
posizioni. Il comportamento di papa Pio XII rimane comunque oggetto
di una controversia storiografica. Fu al contrario favorevole al
nazismo il vescovo Alois Hudal, che cercò un compromesso tra Chiesa
e regime.
Cristianesimo e pensiero contemporaneo
Con la Riforma protestante la cristianità occidentale si sviluppò
secondi tre direttrici principali: il Cattolicesimo romano (nei
termini definiti al Concilio di Trento), il Luteranesimo (nei
termini definiti nella Confessione augustana e nella Formula di
concordia) e il Calvinismo (nei termini definiti nel Catechismo di
Heidelberg e nella Confessione di Westminster). Per gran parte del
periodo che va dal XVI secolo al XIX secolo il dibattito teologico
si svolse principalmente all'interno di queste confessioni — fu il
periodo della cosiddetta "teologia confessionale". Nel corso di
questi ultimi due secoli la situazione ha subito un notevole
mutamento.
Razionalismo
In modo circoscritto nel Seicento, ma su scala molto più vasta
durante il Settecento, il Cristianesimo cominciò a essere messo in
discussione in nome della ragione. Con il deismo l'attacco prese le
forme di una critica al concetto di Divinità e alla religione.
Nell'Ottocento l'ateismo e l'agnosticismo (termine coniato da T.H.
Huxley nel 1870) divennero per la prima volta parole comuni
nell'Occidente cristiano.
La fiducia nel potere della ragione ha avuto i suoi alti e bassi nel
mondo moderno, ma la polemica fede/ragione,[8] in varie forme, ha
caratterizzato un'epoca in cui sono state messe in discussione tutte
le autorità tradizionali, non soltanto quelle cristiane.
Ciò ha comportato, in ambito cattolico, l'arroccamento della Chiesa
sulle posizioni del tomismo (neoscolastica), e in generale in ambito
cristiano il diffondersi di posizioni ultraortodosse, tese a
rifiutare qualsiasi approccio scientifico allo studio della teologia
e dei testi biblici, ritenendo ciò una minaccia per la fede.
Scienza e fede
La scienza moderna spuntò nel XVII secolo su un terreno irrigato dal
Cristianesimo .
Se da un lato le reali scoperte scientifiche hanno avuto
pochissima rilevanza nel confermare o smentire il Cristianesimo, la
scienza moderna ha influito su di esso in vari altri modi. Il metodo
scientifico comporta la verifica di ogni affermazione e il rifiuto
di qualunque autorità che si ponga al di sopra della critica. Avendo
riscontrato un enorme successo nel campo della conoscenza, tale
metodo ha di conseguenza incoraggiato un atteggiamento analogo anche
in campo religioso, con esiti inevitabilmente polemici che
ritroviamo ancora fino ad oggi: alcuni consideravano le credenze
religiose definitivamente superate dalla conoscenza scientifica,
altri negavano le scoperte scientifiche in nome della inerranza
biblica (es. oggi i cristiani creazionisti), altri infine
intendevano mantenere fede e ragione non sullo stesso piano come
antagoniste, ma su piani diversi, per cui esse non si negano
vicendevolmente.
La scienza moderna, attraverso le conquiste tecnologiche ha
trasformato la vita di miliardi di persone, modificando il senso di
dipendenza dell'uomo da Dio. A questo proposito sono famose le
parole del teologo luterano Dietrich Bonhoeffer sul "Dio
tappabuchi":
«Per me è nuovamente evidente che non dobbiamo attribuire a Dio il
ruolo di tappabuchi nei confronti dell'incompletezza delle nostre
conoscenze; se infatti i limiti della conoscenza continueranno ad
allargarsi - il che è oggettivamente inevitabile - con essi anche
Dio viene continuamente sospinto via, e di conseguenza si trova in
una continua ritirata. Dobbiamo trovare Dio in ciò che conosciamo;
Dio vuole esser colto da noi non nelle questioni irrisolte, ma in
quelle risolte. Questo vale per la relazione tra Dio e la conoscenza
scientifica. Ma vale anche per le questioni umane in generale,
quelle della morte, della sofferenza e della colpa. Oggi le cose
stanno in modo tale che anche per simili questioni esistono delle
risposte umane che possono prescindere completamente da Dio. Gli
uomini di fatto vengono a capo di queste domande - e così è stato in
ogni tempo - anche senza Dio, ed è semplicemente falso che solo il
Cristianesimo abbia una soluzione per loro. Per quel che riguarda il
concetto di "soluzione", le risposte cristiane sono invece poco (o
tanto) cogenti esattamente quanto le altre soluzioni possibili.
Anche qui, Dio non è un tappabuchi; Dio non deve essere riconosciuto
solamente ai limiti delle nostre possibilità, ma al centro della
vita; Dio vuole essere riconosciuto nella vita, e non solamente nel
morire; nella salute e nella forza, e non solamente nella
sofferenza; nell'agire, e non solamente nel peccato. La ragione di
tutto questo sta nella rivelazione di Dio in Gesù Cristo - Egli è il
centro della vita, e non è affatto " venuto apposta " per rispondere
a questioni irrisolte.»
(Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e Resa)
Critica storica
Nel XIX secolo si sviluppò la critica storica, cioè, approccio alla
storia basato sul rigore scientifico: lo storico critico non ragiona
più in termini di autorità, che raramente potrebbero essere messe in
discussione, bensì di fonti, che devono essere analizzate e provate
per poter essere tenute in considerazione come tali. Questo tipo di
metodo è stato applicato anche alla Bibbia, considerata non più come
un'autorità da accettare, ma come una fonte da analizzare con
strumenti scientifici.
Anche la storia della dottrina cristiana è stata vagliata in modo
sistematico, per metterne in luce i cambiamenti verificatisi nel
corso dei secoli.
Laicità
Nel mondo occidentale la società si fonda su presupposti che
prescindono da dottrine religiose: la religione viene considerata
una questione di scelta personale; questa evoluzione, ancora in
corso e non priva di contraddizioni, nasce in un contesto sociale
caratterizzato dal pluralismo culturale e religioso.
All'interno di questo contesto, nel quale non è più necessario che
una religione o una confessione per sopravvivere debba combattere le
altre, è divenuto praticabile un dialogo tra i credenti di diverse
confessioni che in precedenza era molto più difficile. Restano
comunque alcune rigidità, rappresentate dalle dottrine che ritengono
la laicità delle istituzioni civili un attentato alla propria
religione, ritenuta la sola rivelata, vera e infallibile. Questo
approccio è presente nell'ambito di diverse denominazioni, cristiane
e non cristiane.
Nonostante permangano sostanziali differenze dottrinali tra le
diverse confessioni cristiane, i teologi contemporanei si occupano
sempre meno di contrasti fra confessioni diverse. Atteggiamenti
simili si riscontrano trasversalmente alle denominazioni, unendo
talora protestanti e cattolici nel condividere alcune impostazioni
(ad esempio, per alcuni l'accento sull'esperienza carismatica, la
lettura letteralistica o integralista, il creazionismo ecc., per
altri la teologia della liberazione, l'approccio esegetico non
integralista, il pacifismo) che non sono invece unanimemente
condivise all'interno delle rispettive denominazioni.