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di Fausto Parente
    
Nacque a Roma da Leopoldo e da Luisa Costa il 25 giugno 1881. Dal
      1892 frequentò il ginnasio presso il Pontificio Seminario
      Romano, ove poi entrò come interno nel 1894. Nel 1897 egli
      ricevette la tonsura. Le opere di Luigi Tosti, che trovò
      nella biblioteca del seminario, risvegliarono in lui i primi
      interessi storici mentre taluni manuali di storia della filosofia,
      come quello di Augusto Conti, contribuirono a destare quelli
      filosofici. Nella sua personalità, non ancora formata,
      questi ultimi appaiono, sullo scorcio del secolo, decisamente
      prevalere e determinante fu, per il suo orientamento durante
      questi anni, la conoscenza di L'action del Biondel, pubblicata nel
      1893.
      
      L'insofferenza per la rigida disciplina ecclesiastica e la ricerca
      di libri che non poteva trovare nella biblioteca del seminario lo
      posero in dissidio con i suoi superiori ed una lettera di adesione
      inviata al Minocchi quando questi, nel 1901, fondò la
      rivista Studi religiosi (vedi L'Italia che scrive, II [1919], pp.
      151-152) costò al B. il posto gratuito di interno alla fine
      del primo biennio (1900-1901). La simpatia e l'appoggio del suo
      professore di filosofia, Luigi Chiesa, gli valsero però,
      l'incarico di filosofia scolastica presso la scuola della
      Congregazione di Propaganda Fide.
      
      Spinto da un "affetto appassionato per la causa democratica"
      frequentò, alla Sapienza, le lezioni di Antonio Labriola e,
      sulla rivista del Murri, Cultura sociale (IV[1901], pp. 324-326),
      pubblicò una "lettera aperta" dal titolo: Abbiamo un
      programma?Le idee di un anonimo, firmandosi "Novissimus".
      
      Nello scritto, in polemica con lo stesso Murri, al quale
      rimproverava di preoccuparsi solamente dell'organizzazione delle
      classi e della diffusione della piccola proprietà,
      affermava di sognare una piena rivoluzione sociale, per cui i vari
      mestieri, le varie funzioni intellettuali ed artistiche si
      affratellino nelle risorgenti universitates, posseditrici dei
      mezzi di produzione, substrato del regime politico e comprendenti
      tutti i lavoratori". Appare qui già evidente quella sua
      tendenziale interpretazione sociale del messaggio cristiano che
      sarà una tra le componenti più importanti del suo
      pensiero.
      
      Nel 1903 il B., conclusi gli studi teologici e ordinato sacerdote,
      sostituì monsignor Umberto Benigni, già suo
      professore, nell'insegnamento di storia della Chiesa nel seminario
      dell'Apollinare. Nel 1904 collaborò alla Rivista delle
      riviste per il clero diretta da G. Sforzini e agli Studi religiosi
      del Minocchi; nella prima delle due riviste (II [1904], pp.
      482-487) compare una sua recensione a De sacra traditione. Contra
      novam haeresim evolutionismi di L. Billot in cui afferma di "non
      temere la scienza anche di fronte ai pericoli dei suoi abusi". Nel
      1905, con la pubblicazione della Rivista storico-critica delle
      scienze teologiche (per iniziativa, forse, del padre G.
      Bonaccorsi, ma della quale il B. assunse la direzione già a
      partire dal fascicolo di giugno della prima annata), ebbe inizio
      la sua attività più specificamente storica;
      contemporaneamente sulla rivista del Minocchi (V [1905], pp.
      211-256), con un articolo su La filosofia dell'azione,
      tornò a temi più strettamente connessi con la sua
      formazione filosofica blondeliana.
      
      In taluni di questi scritti, molte affermazioni suonavano
      chiaramente polemiche nei confronti della Chiesa e, in
      particolare, nei confronti di alcuni ordini religiosi. Attaccato
      dalla Civiltà cattolica (LVII [1906], I, pp. 257-273 e
      559-5741, nel settembre venne costretto a rassegnare le dimissioni
      dall'insegnamento e ad accettare un posto di archivista presso la
      Sacra Congregazione della Visita Apostolica.
      
      Nel 1907 il B. pubblicò a Roma il primo lavoro storico di
      ampio respiro: Lo gnosticismo. Storie d'antiche lotte religiose.
      Il libro, che presuppone indagini precedenti, come quelle su Il
      millenarismo di Ireneo (Riv. stor-crit. delle scienze teol., II
      [1906], pp. 903-918), venne attaccato con notevole violenza da P.
      Batiffol (Bull.de littèr. ecclés., VII[1907], pp.
      165-175) come dipendente dall'interpretazione protestante dello
      Harnack.
      
      Nel maggio 1907 il B., insieme col Murri, il Fracassini e il
      Piastrelli, si fece promotore, con una lettera redatta da
      quest'ultimo, di un incontro tra gli esponenti delle varie
      tendenze religiose per poter - "stabilire un orientamento ed un
      metodo comune, sia per ciò che riguarda la sintesi e la
      ricostruzione della scienza religiosa, sia l'azione e la
      propaganda". Al convegno, che ebbe luogo a Molveno nei giorni 27,
      28 e 29 agosto, presero parte, oltre ai promotori, il von
      Hügel, il Fogazzaro, Tommaso Gallarati Scotti, Brizio
      Casciola e Francesco Mari. Tra tutti questi, secondo l'espressione
      del Murri, il B. era "il rappresentante della tendenza estrema".
      Il 16 settembre, L'Osservatore romano pubblicò l'enciclica
      Pascendi dominici gregis recante la data dell'8, con la quale
      veniva condannato il movimento modernista e il 28 ottobre la
      Libreria Editrice Romana pubblicava Ilprogramma dei modernisti.
      Risposta all'enciclica di Pio X "Pascendi dominici gregis", solo
      parzialmente opera del B.: la prima parte, sulla critica dei
      testi, è, forse, da attribuirsi alla penna del Fracassini,
      mentre del B. è certamente la seconda, nella quale è
      esposta la concezione che, del dogma, intendeva dare il
      modernismo. Lo scritto ebbe notevole successo anche fuori
      d'Italia: un decreto del vicariato di Roma (Acta Sanctae Sedis,
      XI, [1907], p. 720) comminò la scomunica a coloro che
      avessero redatto o, in qualunque modo, preso parte alla
      realizzazione dell'opera. Non ritenendo, però, valida una
      scomunica contro ignoti, il B. continuò ad esercitare le
      sue funzioni sacerdotali (Pellegrino…, pp. 95-97).
      
      Durante il 1908 si formò, attorno al B., un piccolo gruppo
      di modernisti che teneva riunioni periodiche; espressione di
      questo gruppo fu la rivista Nova et vetera, della quale uscirono
      diciannove fascicoli dal gennaio al dicembre del 1908, che venne
      condannata ed i collaboratori, se ecclesiastici, sospesi a divinis
      (Acta Sanctae Sedis, XLI [1908], p. 128).
      
      L'affermazione, contenuta nel Proemio ai lettori, che il fatto
      religioso va "esclusivamente studiato attraverso la psicologia
      umana, come sua espressione culminante; e valutato in funzione di
      tutta l'operosità umana individuale e collettiva doveva
      rispecchiare bene, in quel momento, la posizione del B. che vi
      formulò anzi (I [1908], pp. 155-160) un'aperta critica al
      Murri rimproverandogli la sua mentalità scolastica che gli
      faceva tenere distinti e separati il fatto sociale e quello
      religioso e, su Il Rinnovamento (II [1908], pp. 43-66),
      affermò esplicitamente che "la democrazia è oggi la
      vera forma della religiosità".
      
      Queste posizioni, radicali sotto molti aspetti, costituiscono i
      motivi dominanti delle Lettere di un prete modernista pubblicate a
      Roma nel 1908, nelle quali, come ebbe ad osservare Giorgio Levi
      Della Vida (La Cultura, III [1923-1924], p. 350), "l'immanente
      aveva cacciato il trascendente e Iddio si rivelava nel progressivo
      attuarsi dell'ideale etico dell'umanità". La reazione dei
      vari ambienti modernisti, perloppiù alieni da concezioni
      immanentistiche e, sul piano politico, su posizioni di prudente
      conservatorismo, non tardò a farsi sentire. Il Rinnovamento
      (II [1908], pp. 402-415) si chiese se, ormai, esistessero due
      modernismi; Tyrrell stesso, cui Nova et vetera siera, almeno
      originariamente, ispirata, reagì non meno decisamente: si
      veda la lettera del 23 aprile al B. (in Revue moderniste
      internationale, I [1910], p. 10) e quella del 3 maggio indirizzata
      ad un altro corrispondente (in Autobiography and Life, London
      1912, II, p. 350) ove è detto che "le Lettere... rivelano
      un punto di vista così terreno da rendere l'intera
      questione banale e volgare".
      
      Nel 1908 un sacerdote, poi tornato allo stato laicale, Gustavo
      Verdesi, che aveva fatto parte del gruppo di Nova et vetera, fece
      talune rivelazioni al gesuita Carlo Bricarelli, professore
      all'Università Gregoriana, che ne informò il papa;
      venne ordinato al Verdesi di redigere la denuncia per iscritto;
      questa, recante la data dell'ottobre (la si veda in Civ. catt.,
      LXII[1911], 2, pp. 227-228), indicava nel B. il direttore di Nova
      et vetera, uno dei collaboratori del Rinnovamento e,
      implicitamente, l'autore delle Lettere di un prete modernista. Il
      3 novembre, alla riapertura della Sacra Congregazione della Visita
      Apostolica, il B. si vide costretto a rassegnare le dimissioni.
      Nonostante ciò gli venne conservato l'assegno. Tra il
      novembre del 1908 ed il gennaio dell'anno successivo, il B.
      dovette subire un procedimento disciplinare al termine del quale
      si sottomise pienamente.
      
      Forse a seguito di queste vicende sopravvenne in lui la
      determinazione di dedicarsi con maggiore impegno alla ricerca
      scientifica. Fin dall'anno precedente la sua attenzione era stata
      attratta dalle ricerche sul greco neotestamentario che A.
      Deissmann andava conducendo sulla base di recenti scoperte di
      papiri e di ostraka (Licht vom Osten, Tübingen 1908: vedi
      Riv. stor-crit. delle scienze teol., IV[1908], pp. 687-694); ed
      è del 1909 un lavoro su I vocaboli d'amore nel Nuovo
      Testamento (ibid., V[1909], pp. 257-264). Verso la fine dell'anno,
      però, A. De Stefano, già compagno del B. nel
      seminario dell'Apollinare, che si apprestava a lanciare da Ginevra
      una Revue moderniste internationale, gli chiese consigli. Dalla
      risposta del B. (la lettera, datata 24 ottobre, ma probabilmente
      del 24 sett. 1909, è stata pubblicata da S. Savarino
      insieme ad altro materiale d'archivio in un romanzo, Peccato
      mortale, pp. 47-57) sappiamo che anche il Semeria era al corrente
      dell'iniziativa ed approvava il progetto ed il titolo.
      Dall'insieme dei documenti pubblicati dal Savarino si ricava che
      il 10 dic. 1909 il papa aveva incaricato il S. Uffizio di indagare
      sull'attività del De Stefano interrogando sia il B., sia un
      altro sacerdote, Mario Rossi, e ciò a seguito di una
      circostanziata delazione di un ecclesiastico (identificato, in
      Pietro Perciballi: si veda Revue mod. int., III [1912], pp.
      163-165 e 217-218) amico del De Stefano che, fattosi ospitare
      nella sua abitazione di Ginevra, in sua assenza ne aveva copiato
      la corrispondenza.
      
      Nel 1910, come secondo volume dei "Manuali di scienze religiose"
      da lui diretti, il B. pubblicò a Roma una serie di Saggi di
      filologia e di storia del Nuovo Testamento in parte già
      editi. Immediatamente, sulla Civiltà cattolica (LXI [1910],
      1, pp. 472-473) comparve un violentissimo attacco contro il libro;
      questa volta il B. rispose e ne seguì una polemica nel
      corso della quale il padre Rosa finì con l'accusarlo
      implicitamente di essere l'autore sia del Programma sia delle
      Lettere. Subito dopo fu ingiunto al B., pena la perdita
      dell'assegno, di abbandonare la rivista; questa cessò,
      però, le pubblicazioni col fascicolo di luglio-agosto,
      cioè dopo la sua condanna avvenuta con decreto del S.
      Uffizio del 7 settembre (Acta Apost. Sedis, II, [1910] p. 728).
      Dal decreto della Sacra Congregazione dell'Indice del 3 genn. 1911
      (ibid., III [1911], pp. 42-43) e da una lettera di F. Mari a C.
      Pizzoni del 23 sett. 1910 risulta che il B. si sottomise
      prontamente convincendo a farlo anche chi, come il Mari, sarebbe
      stato piuttosto incline a persistere nel proprio atteggiamento.
      
      Nel 1911 ebbe luogo il processo Verdesi. Questi in una lettera
      pubblicata su Il Messaggero e sull'Avanti! il 15 aprile aveva
      accusato il Bricarelli di aver rivelato ciò che aveva
      saputo in confessione; questi lo denunciò per diffamazione
      ed il processo seguitone si concluse il 5 giugno con la condanna
      del Verdesi. Il B. depose il 30 maggio dichiarando che tutte le
      accuse del Verdesi che lo riguardavano erano false e riaffermando
      la propria incondizionata fedeltà alla Chiesa (si veda Civ.
      catt., LXII [1911], 2, p. 750). La deposizione del B. venne
      condannata dalla stampa modernista e filomodernista.
      
      Le ragioni di questo atteggiamento del B. dovettero,
      probabilmente, essere diverse, ma una lettera a G. Prezzolini del
      24 dic. 1910 (la si veda in Il tempo della Voce, Milano-Firenze
      1960, pp. 355-357)ne indica, forse, quella più pressante ed
      immediata, il timore che una sua decisa rottura con
      l'autorità ecclesiastica potesse determinare una "tragedia
      domestica", con allusione alla madre, spirito semplice e
      sinceramente attaccato alle forme religiose tradizionali.
      
      Gli anni immediatamente seguenti segnano una battuta d'arresto
      nell'attività del B., anche per la soppressione della
      Rivista storico-critica delle scienze teologiche. Nel 1913 con la
      morte di Baldassarre Labanca (23 gennaio) si rese vacante la
      cattedra di storia del cristianesimo presso l'università di
      Roma. Bandito il concorso, il B. vi partecipò e venne
      annoverato primo della terna seguito da L. Salvatorelli e U.
      Fracassini. La nomina a professore "straordinario" con decreto del
      19 luglio 1915 ebbe decorrenza dal 16ottobre dello stesso anno.
      
      Nel luglio del 1914 il B. aveva, intanto, fondato una nuova
      rivista, il Bollettino di letteratura critico-religiosa, della
      quale si pubblicarono dodici fascicoli. Nel gennaio del 1916,
      incoraggiato dal successo del Bollettino, ilB. fondò una
      nuova rivista, la Rivista di scienza delle religioni senza
      chiedere la revisione ecclesiastica.
      
      Come risulta da un articolo del padre Rosa (Civ. catt.,
      LXXVI[1925], 3, p. 225), dopo la pubblicazione del primo fascicolo
      della rivista vi fu un tentativo di evitare un attacco immediato
      della Civiltà cattolica; nonostante ciò, dopo la
      pubblicazione del secondo fascicolo, con decreto del S. Uffizio
      del 12 aprile (Acta Apost. Sedis, VIII [1916], p. 178), la rivista
      venne condannata (si veda F. Rubbiani, in Bilychnis, VII [1916],
      p. 480)ed i quattro collaboratori ecclesiastici (oltre al B., B.
      Motzo, P. Vannutelli e N. Turchi) sospesi a divinis. Alla revoca
      del provvedimento si giunse dopo diverso tempo e solo a condizione
      che essi prestassero il giuramento antimodernista: lo fecero il 13
      luglio.
      
      Il 26 novembre successivo, il ministro della Pubblica Istruzione,
      Francesco Ruffini, invitò il B. a precisare se, in
      conseguenza del giuramento antimodernista, la sua libertà
      scientifica sarebbe rimasta menomata; il B. ripose di averlo
      prestato solo dopo che il cardinal Gasparri gli aveva assicurato
      che esso non avrebbe costituito una remora alla sua libertà
      scientifica (Pellegrino..., p. 151).
      
      Doti indubbiamente eccezionali di maestro e di parlatore permisero
      al B. di raccogliere ben presto intorno a sé un'ampia
      cerchia di allievi e di discepoli. Con decreto del 6 ott. 1918
      venne dichiarato professore "stabile" e con decreto del 3 luglio
      1919 "ordinario". Nel 1918, intanto, M. Missiroli, allora
      direttore di Il Resto del Carlino invitò il B. a
      collaborare al giornale come "corrispondente vaticano"; l'anno
      successivo egli iniziò la collaborazione anche a Il Tempo
      di Roma, del quale, nel frattempo, lo stesso Missiroli aveva
      assunto la direzione.
      
      Il B. aveva, intanto, fondato nel 1919 una nuova rivista: Religio.
      Per i primi due fascicoli, Nicola Turchi figurava come direttore
      ed essa aveva rapprovazione ecclesiastica. Nei due fascicoli
      seguenti (pubblicati nel 1920) come direttore figurava
      l'egittologo G. Farina e veniva meno l'approvazione ecclesiastica.
      Col quarto fascicolo del secondo anno (1920, ma pubblicato nel
      marzo del 1921) la rivista cessò le pubblicazioni. Nel
      terzo fascicolo del secondo anno (pubblicato nel dicembre del
      1920) comparve un articolo del B., Le esperienze fondamentali di
      Paolo (pp.106-121), alcune frasi del quale furono interpretate
      dall'autorità ecclesiastica come negazione della presenza
      reale del Cristo nell'eucaristia. Di conseguenza, con decreto 14
      genn. 1921 (Acta Apost. Sedis, XIII [1921], p. 42: si veda
      Bilychnis, XVII[1921], pp. 38-39), il S. Uffizio lo
      dichiarò scomunicato e sospeso a divinis. Tra il gennaio ed
      il marzo vi fu uno scambio epistolare tra il B. ed il cardinal
      Gasparri (si vedano i documenti in Una fede e una disciplina), ma
      la questione restò irrisolta perché, se da un lato
      il B. riaffermava i diritti della critica storica, dall'altro
      l'autorità ecclesiastica opponeva che l'affermata autonomia
      scientifica di fronte al magistero della Chiesa era in contrasto
      col giuramento antimodernista che egli aveva pronunciato.
      Né, d'altra parte, il B. era disposto ad accettare quella
      che era la condizione essenziale posta per la reintegrazione:
      l'abbandono della cattedra.
      
      In questo clima di tensione psicologica, il 28 marzo e il 2
      aprile, il B. tenne, in una sala di palazzo Altieri, due
      conferenze aventi per tema L'essenza del cristianesimo, pubblicate
      l'anno successivo. Chiaramente, il tema era ispirato a quello
      delle famose conferenze che lo Harnack aveva tenuto, nel 1900,
      all'università di Berlino e, appunto, le argomentazioni
      dello Harnack egli intendeva ribattere senza, però,
      ricadere nella critica "tendenzialmente razionalistica"
      (Pellegrino..., p. 183)che il Loisy ne aveva fatto in L'Evangile
      et l'Eglise:di una "essenza" del cristianesimo si può e si
      deve parlare secondo il B., ma essa non va identificata, come
      aveva fatto lo Harnack, nella concezione della paternità di
      Dio, bensì nel più riposto e pregnante significato
      della predicazione di Gesù, l'annuncio della μετάνοια
      intesa come rovesciamento totale di tutti i valori. È
      questa "essenza" che la critica storica deve riportare allo
      scoperto togliendo via tutto ciò che, sul valore originario
      ed immutabile del cristianesimo, si è venuto col tempo
      accumulando. Appunto per questa ragione, com'egli affermava in una
      delle sue lettere al cardinale Gasparri, "l'indagine critica non
      può portare a posizioni contrastanti con l'essenza della
      vita cristiana cattolica".
      
      Dopo una seria malattia, pur restando egli fermo nella decisione
      di non abbandonare la cattedra, grazie alla mediazione del
      Gasparri, il B. rilasciò una sua "dichiarazione di fede"
      (pubblicata su L'Osservatore romano dell'8 aprile) ottenendo la
      revoca del provvedimento adottato nei suoi confronti. I buoni
      rapporti col cardinal Gasparri furono, però, turbati verso
      la fine del settembre da un incidente giornalistico: la
      pubblicazione su Il Messaggero di Roma e su IlSecolo di Milano di
      una "nota vaticana" del B. contenente un accenno abbastanza
      esplicito all'atteggiamento della S. Sede nei confronti del
      problema di una possibile riconciliazione con lo Stato italiano.
      
      Nel 1922 l'attività giornalistica lo assorbì quasi
      interamente: su Il Mondo del 7 febbraio tracciò un profilo
      di Achille Ratti, non del tutto benevolo nei confronti del papa
      neoeletto, e in quello dell'8 novembre manifestò la propria
      apprensione nei confronti della presa del potere da parte dei
      fascisti.
      
      L'anno seguente il B. raccolse una serie di ventuno tra i suoi
      scritti di maggior rilievo: Saggi sul cristianesimo primitivo
      (Città di Castello 1923), e una serie di suoi articoli
      già apparsi su alcuni quotidiani: Voci cristiane (Roma
      1923). La Theologische Literaturzeitung (XLVIII[1923], coll.
      516-518) recensì i due libri prendendo contemporaneamente
      in esame i primi tre volumi della collezione "Scrittori cristiani
      antichi" di cui il primo era la traduzione ed il commento della
      Lettera a Diogneto, pubblicata dal B. nel 1921 a Roma. Come quarto
      volume della stessa collezione, nel 1923 comparvero i Frammenti
      gnostici, breve profilo dello gnosticismo con ampie citazioni
      dalle fonti, ove la posizione del B. si palesa molto più
      vicina a quella del Bousset che a quella dello Harnack.
      
      Verso la fine del 1923, nella collana "Apologie" di Formiggini,
      che usciva a Roma, il B. pubblicò una Apologia del
      cattolicismo. Nello scritto, che recava l'imprimatur
      ecclesiastico, egli riportava, quasi per intero e con le stesse
      parole, l'articolo su Paolo per il quale era stato scomunicato,
      omettendo solamente il passo sull'eucaristia con l'evidente
      intenzione di legittimarlo. All'inizio dell'anno seguente,
      pubblicò a Foligno un nuovo saggio di "apologetica
      religiosa": Verso la luce. Composto nell'eremo di S. Donato, una
      casa semidiruta del vecchio cenobio benedettino sulle pendici del
      monte Autore, nei Simbruini (si veda Pellegrino..., pp. 161 e 531
      n. 194), ove il B. soleva trascorrere l'estate con i discepoli,
      recava anch'esso l'approvazione ecclesiastica; purtuttavia, il 29
      marzo egli ricevette la notizia che il S. Uffizio aveva preparato
      un decreto di scomunica e, invano, il giorno successivo
      tentò di farsi ricevere dal cardinal Merry del Val (si
      veda, al riguardo, Una fede e unadisciplina, pp. 80-81 e
      Pellegrino..., pp. 206-209). La vera ragione immediata del
      decreto, recante la data del 28 marzo (Acta Apost. Sedis, XVI
      [1924], p. 159), col quale vennero anche poste all'Indice tutte le
      sue opere, sfugge; è, però, probabile che la causa
      immediata ne sia stata la sua attività didattica (il
      decreto gli interdiceva espressamente l'insegnamento). Il
      raffreddamento col card. Gasparri aveva probabilmente permesso al
      S. Uffizio di riporre sul tappeto la questione, poiché la
      condizione posta nel 1921 per la sua reintegrazione, appunto
      l'abbandono della cattedra, non era stata rispettata.
      
      Durante l'estate, nell'eremo di S. Donato, il B. progettò
      la fondazione di una nuova rivista di studi storico-religiosi,
      Ricerche religiose, il cui primo fascicolo apparve nel gennaio del
      1925. Alla fine del mese, con decreto del 30 gennaio (Acta Apost.
      Sedis, XVII[1925], p. 69) essa fu condannata e venne
      altresì interdetto al B. l'uso dell'abito talare. In una
      Dichiarazione (Ric. rel., I [1925], p. 203) egli affermò
      però di voler conservare, nonostante il divieto, la divisa
      sacerdotale e pubblicò la cronaca documentata della sua
      controversia col Vaticano dal 1921. Una fede e unadisciplina
      (Foligno 1925). Alla pubblicazione fece eco la Civiltà
      cattolica (LXXVI [1925], 2, pp. 229-247; 3, pp. 220-238) e ne
      seguì un'aspra polemica.
      
      Sul terreno più specificamente scientifico, come undicesimo
      volume degli "Scrittori cristiani antichi", il B. pubblicò
      Detti extracanonici di Gesù e, nel primo fascicolo di
      Ricerche (pp.14-34), Paolo e Apollo, sostenendo che la polemica di
      Paolo nella I e IIai Corinzi sarebbe stata diretta non contro una
      fazione giudaizzante, bensì contro l'atteggiamento
      intellettualistico di Apollo; contemporaneamente, per i "Profili"
      di Formiggini, pubblicò uno schizzo della vita e
      dell'attività dell'apostolo del quale l'Omodeo (Il
      Leonardo, II [1926], pp. 36-37)fece una recensione poco benevola
      seguita da una polemica piuttosto aspra.
      
      Nel dicembre, il B. inviò una lettera al papa chiedendo di
      essere riammesso nella Chiesa. Gli fu mandato il padre Agostino
      Gemelli col quale il B. ebbe, anche in presenza di quattro suoi
      discepoli (si veda Pellegrino..., pp. 242 ss. e 541 n. 161),
      alcuni incresciosi colloqui. Da una lettera al Bietti dell'8
      febbraio del 1926 (in Bedeschi, B., p. 354) risulta che "la prima
      cosa che mi disse è che la scomunica "vitando" era
      preparata da molto tempo". Nel tentativo di evitare un tale
      provvedimento, il 14 gennaio il B. chiese il collocamento in
      aspettativa e, il 18, lo mutò nella richiesta di un congedo
      straordinario per la durata di un mese che, il 20, gli venne
      concesso. Egli ne dette subito comunicazione al Gemelli che, il
      23, fece nuovamente presente la condizione essenziale posta dal
      Vaticano: l'abbandono della cattedra. Il B. non rispose e con
      decreto del 25, pubblicato quello stesso giorno sull'Osservatore
      romano (Acta Apost. Sedis, XVIII[1926], pp. 40-41), venne
      dichiarato "nominatim excommunicatus et expresse vitandus" (Civ.
      catt., LXXVII [1926], 1, pp. 341-346).
      
      Il B. avrebbe dovuto riprendere le lezioni il 18 febbraio. Le
      riprese effettivamente (Pellegrino..., p. 251). ma l'indomani
      venne chiamato dal ministro P. Fedele il quale gli chiese, a nome
      del capo del governo, di interrompere le lezioni e di accettare un
      incarico extra-accademico, perché ciò avrebbe
      facilitato le trattative, ormai in corso, tra l'Italia e la S.
      Sede in vista di una soluzione della questione romana. Il B.
      accettò, e venne incaricato di attendere alla compilazione
      del catalogo delle opere agiografiche della Biblioteca
      Vallicelliana di Roma, per il periodo di un anno dal 23 febbraio.
      
      In effetti, fin da allora, il Vaticano doveva aver posto come
      condizione per l'avvio delle trattative l'allontanamento
      definitivo del B. dalla cattedra. Per tale ragione - l'espressione
      è sua (Pellegrino..., p. 263) - egli era considerato dal
      governo italiano una "posta di ricatto": è dell'inizio, del
      1927(H. Hermelink, in Die christliche Welt, XLI [1927], n. 3, col.
      138) l'episodio (collocato dal B. stesso nel marzo dell'anno
      seguente, Pellegrino..., p. 263) dell'invito del ministro Fedele a
      riprendere le lezioni, cui seguì, da parte del Fedele
      stesso, un nuovo invito ad astenersene. Contemporaneamente, un
      tentativo, suggerito forse dallo stesso Fedele, di spostare, su
      sua richiesta, il B. ad un'altra disciplina (letteratura cristiana
      del Medioevo) cadeva di fronte alla violenta reazione del
      Vaticano, che minacciò financo di lanciare l'interdetto
      sull'università (il B., Pellegrino..., pp. 253 s., colloca
      tale minaccia nel 1926, ma il Margiotta-Broglio, Italia e Santa
      Sede, pp. 172-173 ha corretto la data nel 1927:si veda Scoppola,
      La Chiesa e il fascismo, Bari 1971, p. 157, e la lettera del
      15ott. 1927al Cagnola, in Bedeschi, B., p. 358). Il 17ottobre, il
      B. ebbe un altro colloquio col Fedele ed è, quasi
      certamente, nel corso di esso che egli chiese al ministro di
      curare l'edizione di Gioacchino da Fiore (lettera al Cagnola del
      29ottobre, ibid., p. 361):il relativo decreto, probabilmente
      antedatato, reca la data del 12febbraio.
      
      Nonostante queste vicissitudini, la sua attività proseguiva
      intensissima. Nel 1926 uscì a Bologna un libro su Lutero e
      la riforma in Germania.
      
      Violentemente antiprotestante, si può anche pensare che
      egli sia stato indotto ad accentuarne il tono polemico nella
      speranza che ciò potesse valergli come prova dell'effettivo
      desiderio di rientrare nella Chiesa; ma lo scritto esprime, in
      realtà, quello che era stato e sarà il suo
      atteggiamento nei confronti della cultura e della filosofia
      tedesca (si veda il suo più tardo scritto in Hochkirche, XV
      [1933], pp. 321-323).Qual fosse, allora, il suo atteggiamento nei
      confronti del mondo protestante appare anche chiaramente dalla
      violenta polemica (Bilychnis, XXVII[1926], pp. 285 e 300-301; Il
      Mondo del 10, 16 e 18giugno e del 6luglio 1926; Conscientia, V
      [1926], n. 28del 10 luglio 1926, e Civ.catt., LXXVII [1926], 3,
      pp. 426-438)seguita alla pubblicazione, presso Formiggini, di due
      "profili": quello di Gesù e quello di Francesco d'Assisi
      (Roma 1926).
      
      Specialmente in questi ultimi scritti si riflette chiaramente
      l'influenza che sul B. esercitò la conoscenza delle
      ricerche di psicologia religiosa di Rudolf Otto (DasHeilige, Gotha
      1917, opera di cui il B. pubblicò, nel 1926, una traduzione
      presso Zanichelli). L'Otto, nel fatto religioso, aveva distinto
      l'"irrazionale" e "numinoso" ineffabile alla comprensione
      concettuale dall'elemento "razionale", da quella, cioè, che
      egli definiva "la nozione teistica del divino". Nell'esperienza
      religiosa di Francesco il B. riconobbe una manifestazione tipica e
      caratteristica del "numinoso", che, in seguito, venne mortificata
      nello schema di un Ordine religioso. Allargando la sfera della
      ricerca, la sua attenzione si soffermò sul movimento
      francescano nel suo insieme e sulle caratteristiche stesse della
      religiosità medievale: di qui, essa si polarizzò su
      quello che, d'ora in poi, sarà uno dei punti centrali dei
      suoi interessi di studioso, Gioacchino da Fiore, del quale nel
      1927 pubblicò presso Carabba un'antologia degli scritti
      più significativi.
      
      Nello stesso anno, nella collezione "Christianisme" diretta da P.
      L. Couchoud, tradotto direttamente dal manoscritto, uscì a
      Parigi Le modernisme catholique, un'appassionante difesa del
      modernismo. La Civiltà cattolica (LXXVIII [1927], 3, pp.
      139-151)non mancò di commentare lo scritto con un articolo
      cui seguì una polemica violentissima.
      
      Nel 1928 il B. pubblicò tre libri di rilievo: Il
      cristianesimo nell'Africa romana (Bari), Le origini dell'ascetismo
      cristiano (Pinerolo) e Ilmisticismo medioevale (ibid.). Un'eco
      notevole ebbe il primo di essi nel quale il B. ricostruiva lo
      sviluppo del cristianesimo africano riconoscendo in esso quello
      che, più di ogni altro, aveva conservato le originarie
      caratteristiche escatologiche.
      
      L'epistolario col Cagnola (su cui T. Gallarati Scotti,
      Interpretazioni e memorie, Milano 1960, p. 156; Bedeschi, B. pp.
      34 ss., 68 n. 10) permette di ricostruire taluni contatti
      intercorsi tra il B. e la Curia negli ultimi mesi precedenti la
      firma del concordato dei quali non è cenno
      nell'autobiografia. Intorno alla metà dell'ottobre, la
      Curia iniziò, presso il B., passi per la sua reintegrazione
      che proseguirono poi con tergiversazioni. Ben presto, però,
      cadde ogni speranza e quasi certamente l'episodio va posto in
      correlazione con le ultime trattative prima della firma del
      concordato e dà la precisa impressione di un tentativo di
      fiaccare la sua resistenza psichica. Pur non giungendo alla
      destituzione, tutte le norme del concordato vennero applicate
      contro di lui: nel febbraio del 1930 il B. è invitato a
      dismettere l'abito talare; nel giugno, la partecipazione alle
      commissioni d'esame gli è interdetta.
      
      Tra il 1928 ed il 1931 l'attività scientifica del B. appare
      assorbita dal lavoro su Gioacchino da Fiore. Nel 1928 egli aveva
      pubblicato due articoli (Ric. rel., IV [1928], pp. 385-419,
      497-514) che andranno a comporre parte dell'introduzione del
      Tractatus super quatuor Evangelia, pubblicato dall'Istituto
      storico italiano per il Medio Evo nel 1930. Le sue ricerche su
      Gioacchino continuarono e, nel 1930, nella "Collezione di studi
      meridionali" diretta da U. Zanotti Bianco, venne pubblicato a Roma
      Gioacchino da Fiore. I tempi. La vita. Il messaggio, nel quale
      è posto l'accento essenzialmente sul carattere escatologico
      del messaggio gioachmita e sulla sua estraneità a
      preoccupazioni di ordine teologico. Per queste opere il B. ottenne
      l'Edward Kennard Rand Prize dalla Medieval Academy of America
      (Ric. rel., IV[1930], p. 288, e Speculum, VII[1932], p. 269) e,
      come ci testimoniano le lettere al Cagnola, venne invitato a
      trasferirsi negli Stati Uniti, ma egli non seppe mai risolversi ad
      un simile passo.
      
      Nel novembre del 1931 il B., come tutti i professori universitari,
      ricevette l'invito a prestare il giuramento di fedeltà al
      regime fascista. Il 19 egli scrisse una lettera al rettore (la si
      veda in Pellegrino…, pp. 544 s. n. 199), nella quale affermava che
      "a norma di precise prescrizioni evangeliche (Matteo, V, 34)
      …reputo mi sia vietata ogni forma di giuramento". Di conseguenza,
      con r.d. del 28 dic. 1931 venne dispensato dal servizio a partire
      dal 1º gennaio successivo.
      
      G. Levi Della Vida che, nel rifiuto, gli era stato compagno,
      così ha spiegato le ragioni di quel gesto: "sembrerebbe che
      nella sua determinazione abbia agito nel subcosciente
      l'aspirazione a uscire, sia pure con uno strappo doloroso, dalla
      situazione assurda in cui l'aveva messo l'ambigua politica del
      governo" (Fantasmi ritrovati, Venezia 1966, p. 144).
      
      La perdita della cattedra, che sempre il B. aveva difeso di fronte
      alle pressanti richieste dell'autorità ecclesiastica e che
      aveva sempre considerato come lo strumento più atto
      all'espletamento della sua missione sacerdotale, ebbe
      ripercussioni non indifferenti anche sul suo atteggiamento nei
      confronti della Chiesa: ne è espressione La Chiesa romana,
      pubblicato nel dicembre del 1932 a Milano e subito posto
      all'Indice condecreto del S. Uffizio del 25 genn. 1933 (Acta
      Apost. Sedis, XXV [1933], p. 36).
      
      Nel libro, alla Chiesa "com'è" è contrapposta la
      Chiesa "come è stata" e, alla critica dell'una, corrisponde
      l'esaltazione dell'altra. "Il libro più significativo del
      B." lo definì l'Omodeo (La Critica, XXXI [1933], pp.
      299-301) per la nettezza della critica formulata nei confronti
      dell'istituzione ecclesiastica. Per contro, la visione rigidamente
      ecclesiocentrica che il B. vi aveva dato del Medioevo venne
      criticata dal Salvatorelli (La Cultura, XII [1933], pp. 374-391).
      
      Sul piano pratico, questo mutamento di atteggiamento portò
      il B. ad accostarsi ai gruppi protestanti romani, presso i quali
      trovò, dal 1932, la possibilità di tenere conferenze
      e lezioni, ormai l'unica sua possibilità di svolgere quella
      che sentiva come la sua missione imprescindibile ed anche di
      provvedere al proprio sostentamento materiale. Dal 1933 prese
      anche sistematicamente parte ai convegni organizzati ad Ascona,
      nel Canton Ticino, da Olga Fröbe Kapteyn sotto la
      denominazione di "Eranos".
      
      Le conferenze tenute a Torino, a Milano e a Genova nel 1933 furono
      pubblicate a Modena nel 1935 col titolo Pietre miliari nella
      storia del cristianesimo (poste all'Indice con decreto del S.
      Uffizio del 15 genn. 1936: Acta Apost. Sedis, XXVIII [1936], p.
      71). Ad intralciare questa attività non mancarono
      interventi della polizia su sollecitazione delle autorità
      ecclesiastiche che vietarono ai cattolici di intervenire alle
      conferenze del B. sotto pena di gravi sanzioni canoniche.
      
      Nel novembre 1934 a Milano il B. tenne una serie di conferenze dal
      titolo: La fede dei nostri padri, pubblicate a Modena da Guanda
      nel 1944, in cui è formulata quella che appare come una
      delle posizioni più caratteristiche del pensiero
      dell'ultimo B., secondo la quale la cultura di tutti i popoli
      affacciantisi sul Mediterraneo sarebbe stata influenzata, ad un
      certo momento del suo sviluppo storico, da concezioni dualistiche
      di origine iranica che avrebbero permeato di sé sia le
      concezioni filosofiche sia quelle religiose.
      
      Nel 1935 il B. tenne un corso di lezioni all'università di
      Losanna come Gastprofessor, iniziando così
      un'attività che si protrarrà fino allo scoppio della
      guerra. In Italia, le sue conferenze ebbero ad oggetto
      l'affacciarsi delle concezioni dualistiche nel mondo greco: il B.
      lo individua nella reinterpretazione, in termini di
      religiosità orfico-dionisiaca, della vecchia tradizione
      mitologica operata dai tragici greci; rielaborate, esse vennero
      pubblicate a Roma nel 1938 col titolo Amore e morte nei tragici
      greci.
      
      Nel 1936 il B. pubblicò a Modena Dante come profeta,
      ponendo l'accento sulle profonde affinità tra il mondo
      religioso di Dante e quello di Gioacchino da Fiore e, di
      quest'ultimo, curò l'edizione del De articulis fidei. Nel
      1937, a Oxford, su invito del World Congress of Faiths
      parlò su Il bisogno mondiale della religiosità
      (pubblicato in italiano in Religio, XIV [1938], pp. 161-178).
      Questo scritto è molto importante perché documenta
      un momento significativo nell'evoluzione religiosa del B.: la
      reviviscenza religiosa gli appare adesso affidata agli esuli di
      tutte le chiese costituite, per cui la dialettica non è
      più ristretta alla Chiesa romana e a coloro che lottano
      contro la sua sclerotizzazione, ma diventa dialettica tra morale e
      religione statica e morale e religione dinamica.
      
      Nel gennaio del 1939 (non del 1936, come, erroneamente, afferma
      nell'autobiografia, pp. 340-341) venne offerto al B. di diventare
      professore ordinario presso la facoltà di teologia
      dell'università di Losanna. Poiché, però, la
      posizione di professore ordinario comportava anche l'adesione alla
      Chiesa riformata, egli rifiutò l'offerta. Un provvedimento
      del ministero della Cultura Popolare sulla riduzione della stampa
      periodica colpì in quell'anno la rivista del B. il cui
      ultimo numero fu quello di settembre-ottobre.
      
      Il 22luglio 1941 morì la madre.
      
      Come scrisse al Bietti il 7 agosto (lettera in Bedeschi, B., p.
      226), egli si sentì improvvisamente solo. Il 2 ottobre
      scriverà al Niccoli (Biblioteca Naz. di Firenze, cassetta
      446, cart. 33): "Io ho avuto sempre più la sensazione di
      essere una pianta di edera strettamente abbarbicata al tronco
      solido della sua forza e della sua volontà". Quando,
      nell'autobiografia (pp. 448-457), cercherà di cogliere
      l'influenza esercitata su di lui da questa donna, avrà
      presente soprattutto gli ultimi anni, quando, cioè, "l'idea
      che i verdetti ecclesiastici potessero... non avere una sanzione
      divina" aveva modificato l'atteggiamento che essa aveva tenuto
      durante gli anni più tormentati.
      
      Al dolore per la morte della madre si aggiunsero le angustie per
      le ristrettezze finanziarie. Non volendo egli chiedere aiuto al
      Cagnola, il Bietti cercò, in qualche maniera, di venirgli
      incontro (si veda la lettera a questo del 18 ottobre del 1941 in
      Bedeschi, B., p. 226) e gli acquistò parte della sua
      biblioteca per conto del seminario milanese di Venegono.
      
      Nel 1942 l'editore Corbaccio di Milano pubblicò il primo
      dei tre volumi (gli altri saranno pubblicati l'anno successivo)
      della sua Storia del cristianesimo (condannata e posta all'Indice
      il 16 dic. 1942: Acta Apost. Sedis, XXXIV [1942], p. 375).
      
      Nell'opera il B. compendiò e riassunse tutte le sue
      ricerche precedenti (anche gli scritti di cronaca politica e
      vaticana, poiché il terzo volume arriva fino al concordato)
      esponendo lo "sviluppo del fatto cristiano nella storia" com'esso
      gli era apparso in ormai quarant'anni di ricerche. Esso non
      è, però, un vero e proprio "sviluppo", ma solo un
      drammatico alternarsi di reviviscenze e di degenerazioni:
      l'esperienza religiosa rinasce continuamente per essere
      immancabilmente costretta entro gli schemi del dogma,
      dell'ortodossia, della disciplina ecclesiastica. La traduzione in
      tedesco dei primi due volumi dell'opera presso l'editore A. Franke
      di Berna (il terzo, per la morte del traduttore H. Markum, non
      è mai stato pubblicato) la rese accessibile ad un numero
      maggiore di studiosi, suscitando vari giudizi: a coloro che hanno
      considerato il libro da un punto di vista puramente critico, esso
      è apparso del tutto inaccettabile (C. Schneider, in Gnomon,
      XXIV [1952], pp. 291-292); chi, invece (W. Wölker, in
      Deutsche Literaturzeit., LXXIV [1953], coll. 133-138), mostra di
      essersi documentato sulla figura e sulla personalità
      dell'autore e giudica l'opera da un punto di vista più
      ampio, ha potuto dare del libro un giudizio diverso,
      sottolineandone la "forza della visione d'insieme".
      
      Con decreto del S. Uffizio del 17 maggio 1944 (Acta Apost. Sedis,
      XXXVI [1944], p. 176) tutte le opere del B. pubblicate dopo il
      1924 vennero poste all'Indice: è questo l'ultimo
      provvedimento ecclesiastico che lo abbia colpito.
      
      Con la caduta del governo fascista venne meno la ragione del suo
      esonero dall'insegnamento e il B. chiese, di conseguenza, la
      reintegrazione. Il 21 ag. 1944, scrisse, pertanto, in tal senso al
      ministro della Pubblica Istruzione, Guido De Ruggiero (si veda la
      lettera in Margiotta-Broglio, Italia e Santa Sede, pp. 540 s.,
      doc. n. 152), ma questi rispose prospettandogli la
      difficoltà frapposta dall'articolo 5 del concordato. Il B.
      ribatté al ministro ricordando che al concordato non era
      stato dato valore retroattivo ed il 6 marzo 1945 scrisse al nuovo
      ministro, V. Arangio-Ruiz. Ma, come esplicitamente ammise la
      stessa S. Sede (L'Osservatore romano del 22-23 apr. 1946), vennero
      esercitate, tramite il nunzio in Italia, monsignor Borgongini
      Duca, pesanti pressioni sul governo italiano, per cui, quando il
      B., con decreto del 12 apr. 1945, venne, a tutti gli effetti,
      reintegrato nella carriera dal 1º genn. 1932, con decreto di
      pari data, fu incaricato di attendere a studi sul gioachimismo del
      Duecento e Trecento.
      
      Nell'ottobre del 1945 il B. pubblicò a Roma la sua
      autobiografia: Pellegrino di Roma. La generazione dell'esodo.
      
      "Tra poche settimane - scriveva al Bietti il 9 luglio (si veda
      Bedeschi, B., p. 264) - uscirà il volume delle mie memorie.
      Porta il titolo che è tutto il mio programma. Ma si tratta
      di un pellegrinaggio che è giunto al suo termine e che si
      conclude nettamente con un risoluto e irrevocabile esodo". Il
      libro, che ebbe un'eco molto vasta, è un'appassionata
      "apologia pro vita sua" e, insieme, come ha detto A. Pincherle
      (Rivista di storia e letteratura relig., I [1965], p. 171), una
      "historia calamitatum", nella quale tutte le vicende della sua
      vita appaiono riconsiderate alla luce delle sue esperienze
      più recenti; per questo le pagine conclusive sono molto
      importanti per comprendere quale fosse, in un momento che egli
      sentiva come una svolta radicale nella storia dell'umanità,
      il suo atteggiamento spirituale e morale. Egli sente di
      appartenere alla "generazione dell'esodo", a quella generazione
      cui è dato, non solo assistere, ma anche compiere la
      rottura dell'angustia della religione sclerotizzata nella legge e
      nella disciplina ecclesiastica, per far rivivere la vera, genuina
      esperienza religiosa.
      
      Come scrive a E. Santarelli il 15 nov. 1945 (si veda Rassegna
      marchigiana, III[1950], p. 12), sente di vivere "una nuova
      primavera di febbrile lavoro"; fonda nel marzo Il Risveglio,
      Settimanale di tecnica della vita associata, e poi il 1945,
      Sestante della realtà in costruzione, il cuiprimo numero
      uscì il 16 giugno.
      
      Dal settembre del 1944 egli aveva, intanto, ripreso le lezioni
      presso l'Y.M.C.A. Nel 1945-1946 esse avevano ad oggetto Il
      problema religioso e l'Italia e vennero seguite da un gruppo di
      studenti universitari che invitarono il B. a trasferire il suo
      corso in un'aula dell'università, avanzando, in tal senso,
      richiesta al rettore. Questi, dopo qualche esitazione, la concesse
      e il 29 genn. 1946, il B. poté tenere lezione in un'aula
      dell'università di Roma. Egli prese ad oggetto di queste
      lezioni le epistole paoline, ma, dopo la prima, esse furono
      interrotte per diretto intervento del nunzio apostolico (Bedeschi,
      B., p. 452); il 23 febbraio poté riprenderle; il 16 marzo
      tenne l'ultima di esse. Nella notte sul 17 si manifestò,
      infatti, improvvisamente, la malattia, una miocardite che, nel
      pomeriggio del 19, apparve gravissima. Nella notte sul 17, il B.
      dettò il proprio testamento spirituale (lo si veda in
      Pellegrino..., pp. 512 s.): il suo attaccamento, tante volte
      riaffermato, alla Chiesa romana appare definitivamente incrinato:
      "Mi sento partecipe, in speranze e comunione, con quella nuova
      chiesa cristiana ecumenica, a cui ho veduto lavorare quelle
      denominazioni evangeliche che mi sono sempre apparse salutarmente
      travagliate da un autentico spirito di fraternità, di pace
      e di vita carismatica nel mondo".
      
      Pochi giorni dopo si presentò a lui il cardinal Francesco
      Marmaggi; recava le condizioni poste dal Vaticano per la sua
      riammissione nella Chiesa: avrebbe dovuto sottoscrivere una
      dichiarazione in cui affermava di accettare tutto ciò che
      la Chiesa professa, riprovando tutto ciò che essa riprova.
      Il B. rifiutò (si veda il biglietto scritto a C. Barbagallo
      in L'Avanti! del 27 aprile).
      
      Morì il 20 aprile 1946.
      
      Nel B. lo storico ed il pensatore religioso sono strettamente
      connessi, sì che non è possibile dare un giudizio su
      uno di questi due aspetti della sua personalità
      prescindendo dall'altro. Come ebbe a definirla nel 1908, per il B.
      l'esperienza religiosa fu essenzialmente "escatologia, attesa,
      cioè, impaziente di ultimi eventi"e chi ne scorra gli
      scritti si accorge facilmente che l'attesa di una palingenesi
      imminente e radicale è forse la vera nota dominante, il
      vero Leitmotiv, del suo pensiero. Se è certamente vero che
      questa palingenesi, durante gli anni della sua giovinezza, ha una
      coloritura mondana e "sociale" piuttosto marcata, a ben guardare,
      anche in quegli anni, essa non esorbita mai dal piano religioso:
      in ultima analisi, non coglieva nel segno il rimprovero del
      Tyrrell che il suo fosse "un regno di Dio puramente economico". Al
      contrario, solo tenendo conto di tale iniziale atteggiamento, che
      non verrà mai veramente meno e che riaffiorerà in
      maniera significativa nei suoi ultimi anni, è possibile
      rendersi conto esattamente di che cosa egli intendesse per
      "escatologia" e, di conseguenza, come vedesse la stessa esperienza
      religiosa: escatologia è l'attesa di un rovesciamento
      totale della realtà, rovesciamento che è, insieme,
      spirituale e materiale. Di questa palingenesi, egli si
      sentì sempre - e ciò andò sempre più
      accentuandosi nel corso della sua vita - l'annunciatore; e
      "profetica", come ha più volte posto in evidenza Giorgio
      Levi Della Vida, è, nella più riposta essenza, la
      sua religiosità. Egli annunciò la rigenerazione
      della Chiesa, che a lungo cercò di identificare con la
      Chiesa romana, ma che, in realtà, altro non era se non la
      κοινωνία, per adoperare una sua caratteristica espressione, di
      coloro che sarebbero stati partecipi di quella palingenesi. Per
      lui, l'esperienza religiosa non è mai, infatti, singola e
      individuale, ma sempre qualcosa che interessa un gruppo, una
      collettività. Ciò spiega anche, in parte, la ragione
      per la quale, nella sua prima formulazione, essa sembrò
      identificarsi col socialismo.
      
      Questa sua prospettiva religiosa ha inciso in maniera determinante
      sul suo lavoro di storico. Quando il B. si affacciò al
      mondo intellettuale nei primissimi anni del secolo, l'avvenimento
      più saliente nel campo degli studi religiosi era certamente
      la controversia Harnack-Loisy, ma egli, pur professandosi, allora,
      ammiratore del Loisy, non seppe cogliere la profonda intuizione
      storica che era alla base de L'Evangile et l'Eglise e, di
      conseguenza, la più che fondata critica alle affermazioni
      dello Harnack; e, dallo Harnack, raccolse, sia pure
      indirettamente, la concezione che il cristianesimo fosse
      storicamente schematizzabile in un nucleo centrale attorno al
      quale sarebbe avvenuta una vera e propria superfetazione di
      elementi estrinseci. Di conseguenza, egli intese il lavoro dello
      storico essenzialmente come il lavoro di rimozione di questi
      elementi estrinseci, allo scopo di riportare alla luce il nucleo
      originario del cristianesimo, per cui egli fu portato a vedere in
      esso un momento essenziale della stessa esperienza religiosa. In
      una lettera al Cagnola del 6 giugno 1958 (si veda Bedeschi, B., p.
      380) aveva affermato di essersi sentito chiamato a liberare
      l'essenza del cristianesimo dalle sue sovrastrutture,
      atteggiamento questo che permette di comprendere bene la sua
      inesauribile carica di proselitismo, che gli procurò una
      così tenace ostilità da parte della Curia; che
      spiega il suo disperato attaccamento alla cattedra, l'affermazione
      più volte ripetuta che l'insegnamento era per lui la vera
      esplicazione della sua missione sacerdotale: il fatto che il suo
      vero mezzo di espressione fosse piuttosto la voce che la pagina
      scritta.