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Giovanni Maria Mastai Ferretti (Senigallia 1792 - Roma 1878). Il suo
pontificato (1846-78) è stato uno dei più lunghi della
storia della Chiesa: furono decenni particolarmente densi di
avvenimenti che videro la nascita dello Stato italiano e la fine del
potere temporale del papa. Il 3 sett. 2000 P. IX è stato
beatificato da Giovanni Paolo II.
Vita e attività
Sacerdote (1819), uditore di nunziatura nel Cile (1823-25),
arcivescovo di Spoleto (1831), vescovo di Imola (1832), cardinale
prete dei SS. Pietro e Marcellino (1840), fu eletto papa (16 giugno
1846) alla morte di Gregorio XVI. Già in fama di prete
liberale, con l'amnistia per i delitti politici (16 luglio 1846)
suscitò grandi speranze nei patrioti italiani: il partito
riformista fece di P. IX la sua bandiera; spinto dal movimento
d'opinione pubblica, il pontefice concesse (1847) una limitata
libertà di stampa, una consulta di stato, la guardia civica,
un consiglio dei ministri. Allarmata dalle riforme papali, l'Austria
occupò Ferrara (luglio 1847), ma la protesta di P. IX ebbe il
risultato di eccitare sempre più l'opinione nazionale. Nel
1848 l'esempio degli altri sovrani costrinse il papa a dare la
Costituzione (14 marzo) e a nominare un ministero Recchi-Antonelli,
nel quale erano molti elementi liberali. Ma, scoppiata la prima
guerra d'indipendenza, dopo avere in un primo tempo deciso
l'intervento dello Stato pontificio accanto al Piemonte, P. IX, con
l'allocuzione del 29 apr., finì col ritirarsi dal movimento
nazionale. Falliti i tentativi moderati di T. Mamiani e di P. Rossi,
P. IX, dopo l'assassinio di Rossi (15 nov.), abbandonò Roma,
ove, il 9 febbr. 1849, fu proclamata la repubblica; da Gaeta, ospite
di Ferdinando II di Borbone, sollecitò l'intervento delle
potenze cattoliche (Francia, Austria, Spagna e Napoli).
Abbattuta la Repubblica romana dal corpo di spedizione francese del
gen. Oudinot (luglio 1849), P. IX rientrò a Roma nell'apr.
1850, deciso a difendere a ogni costo il suo potere temporale,
nonostante gli inviti alla moderazione che gli giungevano dalla
Francia. Perdute (1859) l'Emilia e la Romagna, poi (1860) le Marche
e l'Umbria, riuscì a mantenere Roma e il Lazio solo per
l'appoggio di Napoleone III; ma, caduta dopo Sedan (1870) la tutela
francese, le truppe italiane occuparono Roma (20 sett.).
Dopo aver protestato vivamente, P. IX si rinchiuse nel Vaticano e si
rifiutò di accettare la legge delle guarentigie votata dal
parlamento italiano. Deludendo chi aveva sperato nel suo impegno per
una conciliazione tra Chiesa e libertà, P. IX strinse invece
ben presto accordi con gli stati assolutisti (concordato con
l'Austria del 1855), polemizzò contro la legislazione
antiecclesiastica voluta da Cavour e Rattazzi in Piemonte (1855),
condannò in blocco la civiltà moderna (1864) con
l'enciclica Quanta cura e il Sillabo; si pronunciò tra
l'altro contro il razionalismo e il liberalismo, la libertà
di coscienza, la separazione della Chiesa dallo Stato e l'istruzione
laica; proibì ai cattolici italiani di partecipare alla vita
politica (non expedit). Il Kulturkampf in Germania e la denuncia
(1870) del concordato da parte del governo austriaco sono altri
avvenimenti importanti del suo regno.
Sotto il suo pontificato fu proclamato (1854) il dogma
dell'Immacolata Concezione e definito quello
dell'infallibilità pontificia, proclamato nel concilio
Vaticano I (1870). Le sue Litterae ad Orientales del 6 genn. 1848
impostarono in chiave moderna il problema del "ritorno" dei
cristiani ortodossi separati all'unione con Roma. Il 3 sett. 2000
è stato beatificato da Giovanni Paolo II; la festa si celebra
il 7 febbraio.
*
Enciclopedia dei Papi (2000)
di Giacomo Martina
Pio IX, beato
Giovanni Maria Mastai Ferretti, ultimo di nove figli, nacque a
Senigallia il 13 maggio 1792, dal conte Girolamo e da Caterina
Solazzi, in una famiglia di agiati proprietari agrari della piccola
nobiltà locale. I Mastai godevano fama di devotissimi
cristiani, ma aperti ai tempi, portati a farsi avanti, fra papalini
e giacobini, anche al di sopra delle proprie capacità, con
figli e nipoti sposati in modo non sempre fortunato. La famiglia
contava due vescovi, Andrea, ordinario di Pesaro, e Paolino, curiale
a Roma. Verso i dieci anni, il ragazzo fu colpito da una grave forma
di epilessia, che fra alti e bassi lo tormentò fin verso i
trent'anni (per l'ordinazione fu necessaria una speciale dispensa e
l'obbligo di un assistente alla messa), gli impedì studi
regolari, e cessò solo nei primi anni di sacerdozio.
Restò nel Mastai una forte emotività, che se nei
momenti migliori lo rendeva simpatico, cordiale, estroso, con una
punta di inatteso umorismo, nelle serie difficoltà poteva
portarlo a una inaspettata severità e durezza. Nella
giovinezza, a Bologna e Roma, in quegli anni politicamente incerti,
con una scarsa salute che gli bloccava varie strade, Giovanni Maria
ebbe delle crisi affettive: si trattò di qualche turbamento
interiore, superato presto per la sincera pietà del giovane,
senza alcun cedimento morale. Tutti anzi notarono l'illibatezza del
Mastai, la sua profonda pietà, la sua vivace intelligenza, il
suo spirito di sacrificio.
Nel 1816, a Roma, a contatto con ottimi sacerdoti dell'Urbe, il
giovane maturò la sua decisione: farsi sacerdote, non per
speranza di una carriera, ma per motivi ascetici e pastorali. Dopo
tre anni di studi al collegio romano, in tempi difficili, quando
molte cose ricominciavano da zero, nel 1819 Mastai venne ordinato, e
si dedicò all'assistenza a giovani poveri nel collegio romano
detto "Tata Giovanni" e in missioni popolari nel Lazio e nelle
Marche. Il giovane prete, sentito parlare di una spedizione per il
Cile, interpretata ingenuamente come un'iniziativa missionaria
più che diplomatica, ottenne di esservi aggregato come
segretario del principale responsabile, monsignor Muzi. La missione
partì da Genova nell'ottobre 1823, e, attraverso le Ande,
giunse a Santiago nel marzo 1824, ma fallì interamente per il
giurisdizionalismo delle autorità cilene e per
l'intransigenza del Muzi, che fece ritorno a Roma nel luglio 1825.
Muzi venne sostanzialmente messo da parte, mentre Mastai
conservò la fiducia della Santa Sede per la prudenza e la
serietà mostrate in quei mesi. Venne così nominato
nell'autunno 1825 presidente dell'Istituto S. Michele, la più
importante opera assistenziale dell'Urbe, nel 1827 vescovo di
Spoleto, nel 1832 arcivescovo di Imola (in una regione nota per il
suo anticlericalismo e la tendenza alla violenza), alla fine del
1840 cardinale.
Il pastore in quel periodo romagnolo mostrò il suo stile,
moderato, realista, aperto, e si guadagnò la simpatia di
molti, anche dei liberali moderati, per il suo carattere affabile,
per le sue convinzioni sull'inefficienza dell'amministrazione
gregoriana, sulle esigenze oggettive di un cambiamento di indirizzo.
"Odio e abomino [...] i pensieri [...] dei liberali, ma il fanatismo
dei cosiddetti papalini non mi è sicuramente simpatico. Il
giusto mezzo [...] cristiano sarebbe quella via che amerei battere
coll'aiuto del Signore: ma ci si riescirà?", aveva scritto
nel giugno 1833.
Proprio fra il 1830 e il 1846, per reazione alla chiusura
gregoriana, sotto l'influsso di varie opere uscite quegli anni, si
era sviluppato il moderatismo, e, parallelamente, il neoguelfismo,
che sperava di fare del papato il perno del rinnovamento italiano.
Mastai aveva letto o scorso alcune delle opere fondamentali del
momento, Il Primato del Gioberti (1843), Le Speranze d'Italia del
Balbo (1844), Degli ultimi casi di Romagna del d'Azeglio (1846), ne
aveva parlato con laici e sacerdoti, era al corrente dei problemi
dell'ora.
Nel conclave, aperto la sera del 14 giugno dopo tredici giorni di
sede vacante, fra i cinquanta cardinali presenti (su sessantadue)
emersero subito due correnti: i "gregoriani", che miravano al
Lambruschini, segretario di Stato del papa defunto e notoriamente
conservatore; i fautori di un indirizzo più conciliante, con
a capo il cardinal Polidori, fraternamente amico del Mastai da
decenni, e il cardinal Micara, capo riconosciuto dell'opposizione
occupava. Del resto tutti ormai sapevano che la sua morte non era
lontana. Il pontefice non riuscì comunque a liberarsi dalle
maglie di un sistema che non approvava. Tra i nuovi membri del
Collegio, incontriamo due gesuiti, Tarquini, il canonista del
Collegio Romano, fortemente chiuso, fermo alla tesi e ignaro
dell'ipotesi, ma che aveva prestato un diuturno aiuto alla Santa
Sede, e Franzelin, che tanta parte aveva avuto nel concilio. Il papa
avrebbe voluto promuovere anche il Perrone, ma si arrese davanti
alla resistenza del generale dei Gesuiti, Beckx. I cardinali di
quegli anni provengono da due strade. Gli uni hanno servito a lungo
la Santa Sede come fedeli ed intelligenti funzionari, segretari di
Congregazioni (Bizzarri, Caterini, Recanati, Barnabò,
Capalti, Cagiano de Azevedo...), giudici coscienziosi (Marini,
Bofondi...), nunzi in importanti capitali (Altieri, Ostini, Viale
Prelà, De Luca, Fornari, Sacconi, Chigi, Falcinelli
Antoniacci, Di Pietro...). Altri si erano mostrati efficienti
pastori, in Italia, Francia, Germania, Austria, Spagna,
Portogallo...
Ovviamente, tutti avevano servito con fedeltà, con
intelligenza, e condividevano la mentalità curiale: erano
sostanzialmente degli intransigenti. Le beatificazioni e le
canonizzazioni di quegli anni rivelano un preciso indirizzo:
riaffermazione di un ideale altissimo, di contrapposizione alla
società del tempo, ma anche difesa della Chiesa, e impegno
per l'unità dei fedeli. Non a caso proprio nel 1862 e nel
1867 P. celebrò le canonizzazioni più significative:
ventisei martiri del Giappone, diciannove olandesi, martiri di
Gorkum, nei Paesi Bassi, alla fine del Cinquecento, Giosafat
Kunciewyicz, di Plock in Polonia, dell'inizio del Seicento, Pietro
d'Arbues, inquisitore medievale ucciso nel Quattrocento.
Quest'ultima canonizzazione suscitò polemiche fra quanti vi
scorgevano un'esaltazione dei metodi dell'Inquisizione
(Döllinger) e chi vi riconosceva uno stimolo alla necessaria
difesa contro gli ebrei.
Il 9 gennaio 1878 dopo pochi giorni di malattia morì a Roma
Vittorio Emanuele II, dopo aver pronunciato una generica
dichiarazione di fedeltà alla Chiesa, sufficiente per i
conforti religiosi. I funerali, il 17, divennero intenzionalmente
una solenne celebrazione di Roma capitale d'Italia, quasi una nuova
Porta Pia. Meno di un mese dopo, il 7 febbraio, ancora una volta
dopo una breve malattia, anche P. moriva. Si contrapposero
così a poca distanza di tempo due solenni funerali. Il
pontificato romano e il Regno d'Italia, la Chiesa cattolica e il
mondo moderno, si fronteggiavano ancora una volta. Al di là
dei contrasti, le due parti si ergevano nella loro forza. Tra il
Vaticano e il Quirinale seguitava a scorrere il Tevere, quasi a
significare la continuità e l'incessante divenire della
storia.
Il lungo pontificato si chiudeva con un bilancio complesso. Si ebbe
una larga vittoria sui residui del gallicanesimo e del
giuseppinismo, un netto miglioramento del clero secolare e regolare,
un'importante affermazione della pietà antigiansenistica,
promossa dal papa con il suo esempio e il suo calore (devozione a
Maria, al Sacro Cuore, di cui nel 1856 venne resa universale la
festa, incoraggiamento alla consacrazione al Sacro Cuore...). I
cattolici furono stimolati nella lotta contro la laicizzazione. Si
ebbe una chiara affermazione dell'indipendenza della Chiesa, e in
particolare della Santa Sede, una netta vittoria
dell'ultramontanesimo, che oltre tutto rompeva ogni tendenza al
particolarismo. Ad esso si sostituiva finalmente un sincero
universalismo: ci si sentiva cattolici non perché nati in
quel paese e battezzati in quella parrocchia, ma perché
fedeli al vescovo di Roma, vicario di Cristo. Si era compreso che il
papa ha il primato di giurisdizione su tutta la Chiesa, e che come
tale non può essere soggetto a nessuno, nemmeno al sovrano
italiano. A tutto questo si contrapponeva però una forte
chiusura nei confronti del mondo e della cultura moderna, la
difficoltà di liberarsi da certe forme tradizionali di
insegnamento e di studio, che apparivano in contrasto con recenti
progressi scientifici (archeologia, paleontologia, nuova visione
della storia primitiva...). Il mondo e la cultura ecclesiastica
restavano in ritardo. Più grave era la tensione fra le due
parti, fra il papa, chiuso in Vaticano, e l'Italia, portata anche
dalle circostanze ad un'accentuata laicizzazione. Questa non si
limitava a proclamare l'indipendenza dello Stato, ma soffocava la
libertà della Chiesa, la voleva esclusa da ogni forma di vita
sociale, la chiudeva in sacrestia, si mostrava incapace di coglierne
la cultura, di ammirare le grandezze della Roma cristiana e di
quella rinascimentale. Del resto la tensione fra la Roma papale e
l'Italia, fra il Vaticano e il Quirinale, si sarebbe aggravata
proprio sotto Leone XIII.
P. è stato proclamato beato il 3 settembre 2000.