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Partito popolare italiano (PPI) Partito politico italiano di
ispirazione cattolica costituito il 18 genn. 1919.
Fondato e guidato nei primi anni dal sacerdote L. Sturzo, il PPI fu
il tramite che permise alle masse cattoliche di entrare apertamente
e direttamente nel gioco politico, superando la tradizionale
posizione cattolica di estraneità alle cose del regno, in un
momento di grandi rivolgimenti degli assetti politici e sociali. In
sostanziale anche se non formale sintonia con le posizioni della
Santa Sede e, allo stesso tempo, fortemente radicato nel Paese, il
PPI fu il secondo partito, dopo il socialista (con il quale ebbe una
costante rivalità ideale, facendo peraltro riferimento a una
base sociale in parte contigua), a caratterizzarsi come grande forza
politica avente il sostegno delle masse popolari.
Collegato con
ramificati organismi di massa (non tanto l’Azione cattolica,
organismo precipuamente ecclesiale, quanto i sindacati bianchi) e
fornito di un programma politico che comprendeva tra l’altro la
riforma elettorale in senso proporzionale, la difesa e l’estensione
della piccola proprietà terriera, il decentramento
amministrativo e un grande impegno sociale (riforme assistenziale,
pensionistica, tributaria ecc.), il PPI ricevette nelle elezioni del
nov. 1919 il 20,6% dei suffragi ed elesse 100 deputati, collocandosi
tra le forze nazionali determinanti.
Tiepido il rapporto con il
governo Nitti, fu invece più salda, almeno all’inizio (giugno
1920), la collaborazione con il governo Giolitti, al quale i
popolari parteciparono con alcuni ministri.
Durante l’occupazione
delle fabbriche (sett. 1920), il PPI elaborò un progetto di
azionariato operaio delle aziende che fu avversato da Giolitti, ma
che non costituì l’unico momento di attrito.
Nelle elezioni del maggio 1921 il PPI confermò le proprie
posizioni (20,7% e 107 deputati) e tre suoi ministri entrarono nel
successivo governo Bonomi. All’apertura della crisi di governo
(febbr. 1922) Sturzo si disse contrario al diffuso proposito di un
nuovo ministero Giolitti, e il PPI accolse infine la proposta di un
ministero Facta, al quale i popolari contribuirono con tre ministri.
Mentre la violenza fascista colpiva le organizzazioni sindacali e
politiche del PPI (specie nella Valle Padana) e il conservatore Pio
XI saliva al soglio pontificio, il partito, tra
l’inarrestabilità della crisi istituzionale e il
radicalizzarsi dello scontro politico, perse progressivamente
capacità di iniziativa fino a decidere, pur con varie
perplessità, l’ingresso nel governo Mussolini (ott. 1922).
La politica di avvicinamento dei fascisti al Vaticano e le divisioni
nel partito portarono alle dimissioni di Sturzo da segretario nel
luglio 1923 (venne sostituito da un triumvirato formato da G.
Rodinò, G. Gronchi e G. Spataro), mentre la rottura interna
sulla legge elettorale maggioritaria sancì l’assorbimento
nell’area governativa del gruppo parlamentare. Nelle elezioni
dell’apr. 1924 il PPI ebbe il 9% dei voti e 39 deputati.
Dopo
l’assassinio di G. Matteotti, la partecipazione del partito (dal
maggio 1924 guidato da A. De Gasperi) alla secessione dell’Aventino
approfondì la distanza con le posizioni delle gerarchie
vaticane, elemento questo di ulteriore indebolimento politico; con
il delinearsi del regime totalitario e la soppressione delle
libertà civili, gli spazi politici del PPI si ridussero
rapidamente e nel 1926 cessò ogni attività.