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Filosofo e scrittore (Ginevra 1712 - Ermenonville, Oise, 1778).
Figlio di un orologiaio, non ebbe una regolare istruzione, e a soli
tredici anni fu mandato come apprendista presso un incisore,
occupazione che avrebbe ben presto abbandonato per fuggire in
Savoia, iniziando una vita disordinata che sarebbe durata molti
anni. Indirizzato dal parroco di Confignon, un villaggio vicino
Ginevra, ad Annecy, presso M.me Louise-Eléonore de Warens, fu
da questa a sua volta indirizzato a Torino, in un ospizio per
catecumeni, dove R. abbandonò l'originaria fede calvinista e
fu battezzato secondo il rito cattolico (1728). Ripresa ben presto
la vita di vagabondaggio, si occupò nei successivi quattro
anni in umili lavori presso famiglie signorili, per poi raggiungere
di nuovo M.me de Warens, di cui doveva diventare amante. Negli anni
trascorsi con essa nella residenza campestre di Les Charmettes, nei
pressi di Chambéry, si dedicò a vaste letture e a
un'intensa attività di studio, privilegiando in particolare
la musica. Dopo un ulteriore periodo di viaggi per la Francia e la
Svizzera, tornò ancora dalla Warens, trasferitasi nel
frattempo a Chambéry; ma la passione che aveva legato i due
era ormai esaurita e R. si allontanò definitivamente dalla
sua protettrice, occupandosi come precettore a Lione (1738-40).
Nel 1741 era a Parigi, dove svolse prevalentemente l'attività
di copista di musica e dove, nel 1745, si legò a una
popolana, Thérèse Levasseur, da cui ebbe varî
figli, che furono affidati alla carità pubblica. Dopo un
breve periodo a Venezia, dove fu segretario dell'allora ambasciatore
di Francia, ritornò a Parigi e qui entrò in contatto
con i filosofi dell'Encyclopédie, Diderot, Condillac,
Fontenelle, Voltaire, F. M. Grimm. Da Diderot ricevé l'invito
a collaborare all'opera, alla quale contribuì con le voci di
musica (poi pubblicate a parte come Dictionnaire de musique, 1764) e
con l'articolo Économie politique, nel quale già
emergevano i concetti fondamentali della sua opera sul contratto
sociale.
Al 1750 risale il suo Discours sur les sciences et les arts,
composto in occasione di un concorso bandito dall'Accademia di
Digione sul tema "Se il progresso delle scienze e delle arti abbia
contribuito a migliorare i costumi". Nel suo scritto, con cui
risultò vincitore, R. rispondeva negativamente al quesito
dell'Accademia, mettendo praticamente in discussione il valore che
gli illuministi attribuivano al progresso e sostenendo per contro
l'aumento della degradazione morale in connessione con l'evoluzione
della civilizzazione.
Tesi, questa, che R. avrebbe ribadito e articolato nel Discours sur
l'origine et les fondements de l'inégalité parmi les
hommes, composto nel 1754 in risposta anch'esso a un quesito
dell'Accademia di Digione. Con questo secondo scritto i rapporti con
gli enciclopedisti, già incrinati a causa del primo, si
ruppero definitivamente e R. passò a Ginevra, dove fu accolto
con grandi onori e dove ritornò all'originaria fede
calvinista. Tornato nello stesso anno a Parigi, si ritirò poi
presso Montmorency, dove, ospite di M.me d'Épinay e poi del
maresciallo di Luxembourg, compose le sue opere più
importanti, Julie ou la Nouvelle Héloïse (1761),
Émile ou sur l'éducation e il Contrat social (entrambi
del 1762).
Costretto ad abbandonare la Francia allorché le sue opere
(l'Émile e il Contrat in particolare) furono giudicate
pericolose sul piano politico e religioso, trovò rifugio in
Svizzera, a Môtier-Travers, presso Neuchâtel, dove
compose le Lettres écrites de la montagne e cominciò a
lavorare alle Confessions (apparse postume in 4 voll., 1781-88).
Ospite di D. Hume a Wootton (1766), ruppe ben presto col filosofo
scozzese per via del suo carattere sempre più scontroso e
delle manie di persecuzione di cui cominciava a soffrire. Tornato in
Francia, si stabilì nuovamente a Parigi (1770); incurante del
mandato di cattura nei suoi confronti, visse sempre più in
solitudine, dedicando il suo tempo alla stesura delle Rêveries
du promeneur solitaire e dei Dialogues ovvero Rousseau juge de
Jean-Jacques.
Ospite del marchese de Girardin a Ermenonville, qui morì
nella notte tra il 2 e il 3 luglio del 1778.
Il pensiero filosofico-politico di R. si colloca da un lato in
una posizione eccentrica rispetto all'idea illuministica di
progresso, sia in senso conoscitivo sia in senso morale, mentre
recupera dall'altro alcuni temi politici fondamentalmente
illuministici. Sin dal Discours sur les sciences et les arts si
riscontra in R. un atteggiamento polemico nei confronti di quello
che agli illuministi appariva incivilimento e raffinamento, mentre
in realtà non era altro, ai suoi occhi, che mortificazione e
annullamento della spontaneità caratteristica dell'uomo e dei
rapporti umani non ancora contaminati dalle convenzioni della
società civilizzata (spontaneità che R. nel primo
discorso vede rappresentata nelle città-stato dell'antica
Grecia). Di qui la tesi radicale che "le nostre anime si sono
corrotte nella misura in cui le nostre scienze, le nostre arti hanno
progredito verso la perfezione".
L'argomento fondamentale di R., basato sull'ipotesi dell'esistenza
di una natura umana incorrotta che sarebbe degenerata moralmente a
causa dei rapporti instauratisi nelle cosiddette società
civili (ed è evidente che R. generalizzava soprattutto i
tratti della società francese del suo tempo), imponeva un
chiarimento circa le caratteristiche dell'uomo al di fuori di queste
società. A tale chiarimento era dedicato il successivo
Discours sur l'origine et les fondements de
l'inégalité parmi les hommes, dove R. ipotizza,
benché soltanto sul piano concettuale e non su quello
storico, uno "stato di natura" dal quale l'uomo si sarebbe via via
sempre più allontanato: l'ipotesi dello stato di natura
consente a R. di delineare, per sottrazione delle convenzioni e
delle artificiosità introdotte dalla società, quelle
caratteristiche umane non inquinate dalla civilizzazione, di cui,
anche se non nell'aspetto più primitivo, R. vagheggia il
ripristino.
A differenza dello stato di natura hobbesiano, quello di R. non
è basato su un'immagine aggressiva dell'uomo; piuttosto,
è legittimo ipotizzare una completa armonia tra uomo e
natura: soddisfacendo le sue esigenze primarie e sviluppando un
sentimento di compassione nei confronti dei proprî simili,
l'uomo è, in natura, in una condizione di isolamento che, se
ne impedisce da un lato lo sviluppo morale e intellettuale, gli
preclude dall'altro l'acquisizione di quelle caratteristiche
deleterie indotte dalla civilizzazione (egoismo,
aggressività, prevaricazione). Nello stato di natura non
esiste proprietà né sopraffazione e gli esseri umani
si trovano praticamente in una condizione di assoluta libertà
ed eguaglianza. Con la nascita delle prime comunità
patriarcali, sorte in seguito all'avvertimento dei vantaggi che per
i singoli derivano, sul piano dell'autoconservazione, dal fare parte
di un gruppo organizzato, cominciano a delinearsi le prime
rudimentali forme di società, il cui nucleo originario
è rappresentato dalla famiglia. A questi raggruppamenti, che
per R. costituiscono l'esempio più felice di organizzazione
sociale, seguono tuttavia forme sociali sempre più
strutturate, soprattutto per via dell'avvento della
proprietà. Appropriandosi della terra e dei suoi prodotti,
inventando e utilizzando le prime tecniche di trasformazione della
natura, come la metallurgia e l'agricoltura, emerge pian piano la
società civile, fondata sulla distinzione tra "mio" e "tuo" e
sulla disuguaglianza che, per garantire la proprietà, le
leggi vengono a codificare. In tal modo l'umanità sarebbe
uscita definitivamente dalle originarie condizioni di
naturalità per strutturarsi in un'organizzazione coercitiva,
fondata sulla distinzione tra ricchi e poveri, padroni e schiavi.
Tuttavia questa accusa lanciata da R. contro la società
civile e le sue strutture non significava il desiderio di riportare
indietro l'umanità "nelle foreste con gli orsi",
all'originaria innocenza e eguaglianza. Si trattava invece, e questo
è lo scopo del Contrat social, di definire i fondamenti di
una nuova società in grado di ristabilire "nel diritto
l'uguaglianza naturale fra gli uomini"; si trattava di trovare i
fondamenti di una società giusta: in questo R. torna a
condividere le prospettive di riforma politica che ispirarono le
polemiche illuministe. Il problema del "contratto sociale" è
quello di trovare una forma di associazione per la quale ognuno,
protetto dalla forza comune di tutti, resti padrone di sé e
libero. Fine del contratto o patto sociale è dunque anzitutto
di garantire la libertà di ciascuno, che non sarà
più la libertà naturale dello stato di natura, perduta
con questo, ma la libertà che nasce dal contratto, alla cui
formazione concorrono tutti i contraenti decidendo di sottomettersi
alla volontà generale. Alle relazioni individuali si
sostituisce la relazione dei cittadini con la legge, espressione
della volontà generale, alla quale tutti si sottomettono.
Clausola centrale del contratto è "l'alienazione totale di
ciascun associato con tutti i suoi diritti alla comunità";
nasce così il corpo politico in cui i cittadini sono parti
integranti del tutto e in cui tutti e ciascuno detengono la
sovranità. Si esclude in questa prospettiva la figura di un
cittadino o corpo separato rivestito della sovranità
attraverso la rinuncia dei singoli ai proprî diritti: tale
rinuncia è impossibile; il corpo politico costituisce un
tutto, un corpo morale e collettivo composto di tutti i membri, che
trae dall'atto della propria volontà il suo io comune. Lo
stato è quindi una persona morale, un ente collettivo che non
s'identifica né con una persona, né con la somma
aritmetica della volontà di tutti, ma con la volontà
generale che come tale è sempre retta e ha per suo fine
l'utilità pubblica. Le leggi sono espressione della
volontà generale, per cui tutti s'impegnano alle medesime
condizioni e godono dei medesimi diritti. Così la
volontà generale "ristabilisce nel diritto l'eguaglianza
naturale tra gli uomini" e garantisce la libertà di ciascuno,
libertà legata alla ragione e alle leggi.
Rispetto alla libertà naturale, propria dei primi uomini
"stupidi e limitati", s'instaura una libertà propria di
esseri dotati di ragione, capaci di moralità. Si tratta della
libertà civile, limitata solo dalla volontà generale
in cui ciascuno s'identifica. Dalla concezione dello stato come
"ente collettivo", io comune, che si esprime nella volontà
generale e che non ammette defezioni o negazioni (ove libertà
coincide con obbedienza) sono derivate interpretazioni
assolutistiche di R., mentre dall'accento posto sul carattere
inalienabile della sovranità esercitata dal popolo intero
prendono le mosse le interpretazioni democratiche.
La riforma dell'uomo nella vita sociale, proposta dal Contrat, si
pone come problema educativo individuale nell'Émile, quale
formazione dell'uomo nuovo. Poiché la natura è buona,
la preoccupazione di R. sarà di non turbare l'armonia e lo
sviluppo della natura nel bambino; l'educazione di Emilio
dovrà essere dunque essenzialmente negativa, non dovrà
mai intervenire nel processo di naturale maturazione delle
facoltà del bambino, non pretendere di "vedere nel fanciullo
l'uomo". Emilio deve trovare da sé i primi rudimenti delle
scienze, nel lavoro manuale, nel contatto con la natura non mediato
dai libri, e neppure suggestionato dalla società dalla quale
dovrà restare lontano fin quando non avrà conquistato,
con la ragione, la piena libertà. Infatti, culmine
dell'educazione è la conquista della ragione, della piena
capacità di giudizio, l'affermarsi della coscienza morale:
qui s'inserisce anche la scoperta di Dio fuori dalle
rappresentazioni antropomorfiche. Si colloca a questo punto
nell'Émile la Profession de foi du vicaire savoyard, che
comporta il riconoscimento di Dio creatore e provvidente attraverso
l'ordine del Creato; riconoscimento che è frutto anzitutto di
un sentimento, non della ragione discorsiva.
Con Dio, la religione di R. comporta il riconoscimento
dell'immortalità dell'anima cui è connessa non solo la
moralità, ma la necessaria prospettiva ultraterrena di
premî e castighi quale ristabilimento di un ordine perduto nel
mondo degli uomini. Questi i cardini della religione dell'uomo che
R. vede coincidere con la "pura e semplice religione del Vangelo".
Da questa si distingue la religione del cittadino legata a culti e
dogmi, diversa da paese a paese. Diversa ancora è la fede
puramente civile, cioè propria della società civile:
se lo stato non può intervenire nelle opinioni private degli
individui, tuttavia esso deve stabilire i dogmi della religione
civile: esistenza di Dio potente e provvidente, immortalità
dell'anima, vita futura con premî e castighi, santità
del contratto sociale e delle leggi: senza questa fede non è
possibile per R. essere buoni cittadini; chi rifiutasse quei dogmi,
dovrà essere cacciato dal corpo sociale come un uomo
"incapace di amare le leggi, la giustizia, di sacrificare, se
occorre, la propria vita al dovere"; chi poi tradisse la fede
civile, dovrà essere condannato a morte.
Posta al centro questa fede civile, R. difende anche la tolleranza
religiosa contro l'intolleranza civile e teologica, che provoca
contestazioni e guerre dannose alla sovranità dello stato.
R. fu anche cultore di musica, manifestando attitudini sia
come teorico (come risulta dalla Dissertation sur la musique
moderne, 1742, sua prima opera stampata, e dalle voci che scrisse
per l'Encyclopédie) sia come compositore; in quest'ultima
veste fu autore, tra le altre, dell'opéra-ballet Les muses
galantes (1745) e dell'opera buffa Le devin du village (1752),
rappresentata con grande successo al teatro di corte di
Fontainebleau.
Anche autore teatrale, scrisse le commedie Les Festes de Ramire
(1745) e Narcisse (1752), cimentandosi inoltre nella tragedia.