Ernesto Buonaiuti
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Storico (Roma 1881 - ivi 1946), uno dei capi del modernismo
italiano che, specialmente dopo la prima guerra mondiale, apparve quasi
impersonato in lui. Sacerdote (1903), fu insegnante nel Seminario
romano, diresse varie riviste tra cui: Rivista storico-critica delle
scienze teologiche, 1905-10; Nova et vetera, 1908; Ricerche religiose
quindi Religio, 1925-39 e 1943-44. Colpito, dopo varie censure, dalla
scomunica nel 1926, fu allora esonerato dall'insegnamento come
professore di storia del cristianesimo, cattedra che teneva dal 1915,
nell'università di Roma; destituito poi per non aver prestato
giuramento fascista (1931), fu riammesso in ruolo nel 1944, senza però
l'esercizio effettivo dell'insegnamento.
Come studioso indagò quasi ogni momento e ogni figura saliente della
storia cristiana (Saggi sul cristianesimo primitivo, 1923; Lutero e la
Riforma religiosa in Germania, 1926; Le origini dell'ascetismo
cristiano, 1928; Il cristianesimo nell'Africa romana, 1928; Gioacchino
da Fiore, 1931, oltre all'edizione dei Tractatus super Quattuor
Evangelia, 1930, e del De articulis fidei, 1936, dello stesso
Gioacchino), fino alla Storia del cristianesimo
(3 voll., 1942-43), sintesi della sua visione storica del cristianesimo
come fondato sul contrasto perenne, peraltro dal B. non concepito
dialetticamente, tra "secolo presente" e "secolo venturo".
Nel suo pensiero si avverte prima l'influsso di dottrine diverse (J. H.
Newman, G. Tyrrell, M. Blondel e l'"apologetica dell'immanenza",
pragmatismo religioso e H. Bergson; nel campo della critica biblica,
"escatologismo" e influenza del primo Loisy), poi di tendenze nuove
(specialmente R. Otto, anche A. Schweitzer, F. Heiler).
Tuttavia la posizione di B. restò sempre decisamente realista, anzi
tomista e in polemica con l'idealismo italiano contemporaneo e quello
tedesco, da lui considerati, come i totalitarismi, derivazioni della
Riforma protestante. Contro di questa, il B. difese altresì il sistema
sacramentale e gerarchico della Chiesa cattolica, che per altri versi,
auspicandone un rinnovamento interno e rivendicando i diritti della
libera ricerca, criticò (per es., La Chiesa romana, 1933; Pio XII,
postumo, 1946); né si riconciliò con essa in punto di morte, pur
professandosene figlio fedele nello spirito e rivendicando le insegne
del proprio sacerdozio.
Questi contrasti (come quello dell'asserito dovere, per il cristiano,
della più assoluta indifferenza per le vicende mondane, e
l'appassionata partecipazione spirituale alle vicende politiche e ai
problemi sociali: già nelle Lettere di un prete modernista,
anonime, 1909; 2a ed. 1948), che furono giudicati ondeggiamenti e
contraddizioni, peraltro rinvigorirono con nuove esperienze le doti
innate dello storico e dello scrittore (pure oratore efficacissimo); e
di esse si ritrova l'unità profonda nel dramma della sua vita (cfr.
l'autobiografia, Pellegrino di Roma, 1945; 2a ed. 1964).
*
DBI
di Fausto Parente
Nacque a Roma da Leopoldo e da Luisa Costa il 25 giugno 1881. Dal 1892
frequentò il ginnasio presso il Pontificio Seminario Romano, ove poi
entrò come interno nel 1894. Nel 1897 egli ricevette la tonsura. Le
opere di Luigi Tosti, che trovò nella biblioteca del seminario,
risvegliarono in lui i primi interessi storici mentre taluni manuali di
storia della filosofia, come quello di Augusto Conti, contribuirono a
destare quelli filosofici. Nella sua personalità, non ancora formata,
questi ultimi appaiono, sullo scorcio del secolo, decisamente prevalere
e determinante fu, per il suo orientamento durante questi anni, la
conoscenza di L'action del Biondel, pubblicata nel 1893.
L'insofferenza per la rigida disciplina ecclesiastica e la ricerca di
libri che non poteva trovare nella biblioteca del seminario lo posero
in dissidio con i suoi superiori ed una lettera di adesione inviata al
Minocchi quando questi, nel 1901, fondò la rivista Studi religiosi
(vedi L'Italia che scrive, II [1919], pp. 151-152) costò al B. il posto
gratuito di interno alla fine del primo biennio (1900-1901). La
simpatia e l'appoggio del suo professore di filosofia, Luigi Chiesa,
gli valsero però, l'incarico di filosofia scolastica presso la scuola
della Congregazione di Propaganda Fide.
Spinto da un "affetto appassionato per la causa democratica" frequentò,
alla Sapienza, le lezioni di Antonio Labriola e, sulla rivista del
Murri, Cultura sociale (IV[1901], pp. 324-326), pubblicò una "lettera
aperta" dal titolo: Abbiamo un programma?Le idee di un anonimo,
firmandosi "Novissimus".
Nello scritto, in polemica con lo stesso Murri, al quale rimproverava
di preoccuparsi solamente dell'organizzazione delle classi e della
diffusione della piccola proprietà, affermava di sognare una piena
rivoluzione sociale, per cui i vari mestieri, le varie funzioni
intellettuali ed artistiche si affratellino nelle risorgenti
universitates, posseditrici dei mezzi di produzione, substrato del
regime politico e comprendenti tutti i lavoratori". Appare qui già
evidente quella sua tendenziale interpretazione sociale del messaggio
cristiano che sarà una tra le componenti più importanti del suo
pensiero.
Nel 1903 il B., conclusi gli studi teologici e ordinato sacerdote,
sostituì monsignor Umberto Benigni, già suo professore,
nell'insegnamento di storia della Chiesa nel seminario dell'Apollinare.
Nel 1904 collaborò alla Rivista delle riviste per il clero diretta da
G. Sforzini e agli Studi religiosi del Minocchi; nella prima delle due
riviste (II [1904], pp. 482-487) compare una sua recensione a De sacra
traditione. Contra novam haeresim evolutionismi di L. Billot in cui
afferma di "non temere la scienza anche di fronte ai pericoli dei suoi
abusi". Nel 1905, con la pubblicazione della Rivista storico-critica
delle scienze teologiche (per iniziativa, forse, del padre G.
Bonaccorsi, ma della quale il B. assunse la direzione già a partire dal
fascicolo di giugno della prima annata), ebbe inizio la sua attività
più specificamente storica; contemporaneamente sulla rivista del
Minocchi (V [1905], pp. 211-256), con un articolo su La filosofia
dell'azione, tornò a temi più strettamente connessi con la sua
formazione filosofica blondeliana.
In taluni di questi scritti, molte affermazioni suonavano chiaramente
polemiche nei confronti della Chiesa e, in particolare, nei confronti
di alcuni ordini religiosi. Attaccato dalla Civiltà cattolica (LVII
[1906], I, pp. 257-273 e 559-5741, nel settembre venne costretto a
rassegnare le dimissioni dall'insegnamento e ad accettare un posto di
archivista presso la Sacra Congregazione della Visita Apostolica.
Nel 1907 il B. pubblicò a Roma il primo lavoro storico di ampio
respiro: Lo gnosticismo. Storie d'antiche lotte religiose. Il libro,
che presuppone indagini precedenti, come quelle su Il millenarismo di
Ireneo (Riv. stor-crit. delle scienze teol., II [1906], pp. 903-918),
venne attaccato con notevole violenza da P. Batiffol (Bull.de littèr.
ecclés., VII[1907], pp. 165-175) come dipendente dall'interpretazione
protestante dello Harnack.
Nel maggio 1907 il B., insieme col Murri, il Fracassini e il
Piastrelli, si fece promotore, con una lettera redatta da quest'ultimo,
di un incontro tra gli esponenti delle varie tendenze religiose per
poter - "stabilire un orientamento ed un metodo comune, sia per ciò che
riguarda la sintesi e la ricostruzione della scienza religiosa, sia
l'azione e la propaganda". Al convegno, che ebbe luogo a Molveno nei
giorni 27, 28 e 29 agosto, presero parte, oltre ai promotori, il von
Hügel, il Fogazzaro, Tommaso Gallarati Scotti, Brizio Casciola e
Francesco Mari. Tra tutti questi, secondo l'espressione del Murri, il
B. era "il rappresentante della tendenza estrema". Il 16 settembre,
L'Osservatore romano pubblicò l'enciclica Pascendi dominici gregis
recante la data dell'8, con la quale veniva condannato il movimento
modernista e il 28 ottobre la Libreria Editrice Romana pubblicava
Ilprogramma dei modernisti. Risposta all'enciclica di Pio X "Pascendi
dominici gregis", solo parzialmente opera del B.: la prima parte, sulla
critica dei testi, è, forse, da attribuirsi alla penna del Fracassini,
mentre del B. è certamente la seconda, nella quale è esposta la
concezione che, del dogma, intendeva dare il modernismo. Lo scritto
ebbe notevole successo anche fuori d'Italia: un decreto del vicariato
di Roma (Acta Sanctae Sedis, XI, [1907], p. 720) comminò la scomunica a
coloro che avessero redatto o, in qualunque modo, preso parte alla
realizzazione dell'opera. Non ritenendo, però, valida una scomunica
contro ignoti, il B. continuò ad esercitare le sue funzioni sacerdotali
(Pellegrino…, pp. 95-97).
Durante il 1908 si formò, attorno al B., un piccolo gruppo di
modernisti che teneva riunioni periodiche; espressione di questo gruppo
fu la rivista Nova et vetera, della quale uscirono diciannove fascicoli
dal gennaio al dicembre del 1908, che venne condannata ed i
collaboratori, se ecclesiastici, sospesi a divinis (Acta Sanctae Sedis,
XLI [1908], p. 128).
L'affermazione, contenuta nel Proemio ai lettori, che il fatto
religioso va "esclusivamente studiato attraverso la psicologia umana,
come sua espressione culminante; e valutato in funzione di tutta
l'operosità umana individuale e collettiva doveva rispecchiare bene, in
quel momento, la posizione del B. che vi formulò anzi (I [1908], pp.
155-160) un'aperta critica al Murri rimproverandogli la sua mentalità
scolastica che gli faceva tenere distinti e separati il fatto sociale e
quello religioso e, su Il Rinnovamento (II [1908], pp. 43-66), affermò
esplicitamente che "la democrazia è oggi la vera forma della
religiosità".
Queste posizioni, radicali sotto molti aspetti, costituiscono i motivi
dominanti delle Lettere di un prete modernista pubblicate a Roma nel
1908, nelle quali, come ebbe ad osservare Giorgio Levi Della Vida (La
Cultura, III [1923-1924], p. 350), "l'immanente aveva cacciato il
trascendente e Iddio si rivelava nel progressivo attuarsi dell'ideale
etico dell'umanità". La reazione dei vari ambienti modernisti,
perloppiù alieni da concezioni immanentistiche e, sul piano politico,
su posizioni di prudente conservatorismo, non tardò a farsi sentire. Il
Rinnovamento (II [1908], pp. 402-415) si chiese se, ormai, esistessero
due modernismi; Tyrrell stesso, cui Nova et vetera siera, almeno
originariamente, ispirata, reagì non meno decisamente: si veda la
lettera del 23 aprile al B. (in Revue moderniste internationale, I
[1910], p. 10) e quella del 3 maggio indirizzata ad un altro
corrispondente (in Autobiography and Life, London 1912, II, p. 350) ove
è detto che "le Lettere... rivelano un punto di vista così terreno da
rendere l'intera questione banale e volgare".
Nel 1908 un sacerdote, poi tornato allo stato laicale, Gustavo Verdesi,
che aveva fatto parte del gruppo di Nova et vetera, fece talune
rivelazioni al gesuita Carlo Bricarelli, professore all'Università
Gregoriana, che ne informò il papa; venne ordinato al Verdesi di
redigere la denuncia per iscritto; questa, recante la data dell'ottobre
(la si veda in Civ. catt., LXII[1911], 2, pp. 227-228), indicava nel B.
il direttore di Nova et vetera, uno dei collaboratori del Rinnovamento
e, implicitamente, l'autore delle Lettere di un prete modernista. Il 3
novembre, alla riapertura della Sacra Congregazione della Visita
Apostolica, il B. si vide costretto a rassegnare le dimissioni.
Nonostante ciò gli venne conservato l'assegno. Tra il novembre del 1908
ed il gennaio dell'anno successivo, il B. dovette subire un
procedimento disciplinare al termine del quale si sottomise pienamente.
Forse a seguito di queste vicende sopravvenne in lui la determinazione
di dedicarsi con maggiore impegno alla ricerca scientifica. Fin
dall'anno precedente la sua attenzione era stata attratta dalle
ricerche sul greco neotestamentario che A. Deissmann andava conducendo
sulla base di recenti scoperte di papiri e di ostraka (Licht vom Osten,
Tübingen 1908: vedi Riv. stor-crit. delle scienze teol., IV[1908], pp.
687-694); ed è del 1909 un lavoro su I vocaboli d'amore nel Nuovo
Testamento (ibid., V[1909], pp. 257-264). Verso la fine dell'anno,
però, A. De Stefano, già compagno del B. nel seminario dell'Apollinare,
che si apprestava a lanciare da Ginevra una Revue moderniste
internationale, gli chiese consigli. Dalla risposta del B. (la lettera,
datata 24 ottobre, ma probabilmente del 24 sett. 1909, è stata
pubblicata da S. Savarino insieme ad altro materiale d'archivio in un
romanzo, Peccato mortale, pp. 47-57) sappiamo che anche il Semeria era
al corrente dell'iniziativa ed approvava il progetto ed il titolo.
Dall'insieme dei documenti pubblicati dal Savarino si ricava che il 10
dic. 1909 il papa aveva incaricato il S. Uffizio di indagare
sull'attività del De Stefano interrogando sia il B., sia un altro
sacerdote, Mario Rossi, e ciò a seguito di una circostanziata delazione
di un ecclesiastico (identificato, in Pietro Perciballi: si veda Revue
mod. int., III [1912], pp. 163-165 e 217-218) amico del De Stefano che,
fattosi ospitare nella sua abitazione di Ginevra, in sua assenza ne
aveva copiato la corrispondenza.
Nel 1910, come secondo volume dei "Manuali di scienze religiose" da lui
diretti, il B. pubblicò a Roma una serie di Saggi di filologia e di
storia del Nuovo Testamento in parte già editi. Immediatamente, sulla
Civiltà cattolica (LXI [1910], 1, pp. 472-473) comparve un
violentissimo attacco contro il libro; questa volta il B. rispose e ne
seguì una polemica nel corso della quale il padre Rosa finì con
l'accusarlo implicitamente di essere l'autore sia del Programma sia
delle Lettere. Subito dopo fu ingiunto al B., pena la perdita
dell'assegno, di abbandonare la rivista; questa cessò, però, le
pubblicazioni col fascicolo di luglio-agosto, cioè dopo la sua condanna
avvenuta con decreto del S. Uffizio del 7 settembre (Acta Apost. Sedis,
II, [1910] p. 728). Dal decreto della Sacra Congregazione dell'Indice
del 3 genn. 1911 (ibid., III [1911], pp. 42-43) e da una lettera di F.
Mari a C. Pizzoni del 23 sett. 1910 risulta che il B. si sottomise
prontamente convincendo a farlo anche chi, come il Mari, sarebbe stato
piuttosto incline a persistere nel proprio atteggiamento.
Nel 1911 ebbe luogo il processo Verdesi. Questi in una lettera
pubblicata su Il Messaggero e sull'Avanti! il 15 aprile aveva accusato
il Bricarelli di aver rivelato ciò che aveva saputo in confessione;
questi lo denunciò per diffamazione ed il processo seguitone si
concluse il 5 giugno con la condanna del Verdesi. Il B. depose il 30
maggio dichiarando che tutte le accuse del Verdesi che lo riguardavano
erano false e riaffermando la propria incondizionata fedeltà alla
Chiesa (si veda Civ. catt., LXII [1911], 2, p. 750). La deposizione del
B. venne condannata dalla stampa modernista e filomodernista.
Le ragioni di questo atteggiamento del B. dovettero, probabilmente,
essere diverse, ma una lettera a G. Prezzolini del 24 dic. 1910 (la si
veda in Il tempo della Voce, Milano-Firenze 1960, pp. 355-357)ne
indica, forse, quella più pressante ed immediata, il timore che una sua
decisa rottura con l'autorità ecclesiastica potesse determinare una
"tragedia domestica", con allusione alla madre, spirito semplice e
sinceramente attaccato alle forme religiose tradizionali.
Gli anni immediatamente seguenti segnano una battuta d'arresto
nell'attività del B., anche per la soppressione della Rivista
storico-critica delle scienze teologiche. Nel 1913 con la morte di
Baldassarre Labanca (23 gennaio) si rese vacante la cattedra di storia
del cristianesimo presso l'università di Roma. Bandito il concorso, il
B. vi partecipò e venne annoverato primo della terna seguito da L.
Salvatorelli e U. Fracassini. La nomina a professore "straordinario"
con decreto del 19 luglio 1915 ebbe decorrenza dal 16ottobre dello
stesso anno.
Nel luglio del 1914 il B. aveva, intanto, fondato una nuova rivista, il
Bollettino di letteratura critico-religiosa, della quale si
pubblicarono dodici fascicoli. Nel gennaio del 1916, incoraggiato dal
successo del Bollettino, ilB. fondò una nuova rivista, la Rivista di
scienza delle religioni senza chiedere la revisione ecclesiastica.
Come risulta da un articolo del padre Rosa (Civ. catt., LXXVI[1925], 3,
p. 225), dopo la pubblicazione del primo fascicolo della rivista vi fu
un tentativo di evitare un attacco immediato della Civiltà cattolica;
nonostante ciò, dopo la pubblicazione del secondo fascicolo, con
decreto del S. Uffizio del 12 aprile (Acta Apost. Sedis, VIII [1916],
p. 178), la rivista venne condannata (si veda F. Rubbiani, in
Bilychnis, VII [1916], p. 480)ed i quattro collaboratori ecclesiastici
(oltre al B., B. Motzo, P. Vannutelli e N. Turchi) sospesi a divinis.
Alla revoca del provvedimento si giunse dopo diverso tempo e solo a
condizione che essi prestassero il giuramento antimodernista: lo fecero
il 13 luglio.
Il 26 novembre successivo, il ministro della Pubblica Istruzione,
Francesco Ruffini, invitò il B. a precisare se, in conseguenza del
giuramento antimodernista, la sua libertà scientifica sarebbe rimasta
menomata; il B. ripose di averlo prestato solo dopo che il cardinal
Gasparri gli aveva assicurato che esso non avrebbe costituito una
remora alla sua libertà scientifica (Pellegrino..., p. 151).
Doti indubbiamente eccezionali di maestro e di parlatore permisero al
B. di raccogliere ben presto intorno a sé un'ampia cerchia di allievi e
di discepoli. Con decreto del 6 ott. 1918 venne dichiarato professore
"stabile" e con decreto del 3 luglio 1919 "ordinario". Nel 1918,
intanto, M. Missiroli, allora direttore di Il Resto del Carlino invitò
il B. a collaborare al giornale come "corrispondente vaticano"; l'anno
successivo egli iniziò la collaborazione anche a Il Tempo di Roma, del
quale, nel frattempo, lo stesso Missiroli aveva assunto la direzione.
Il B. aveva, intanto, fondato nel 1919 una nuova rivista: Religio. Per
i primi due fascicoli, Nicola Turchi figurava come direttore ed essa
aveva rapprovazione ecclesiastica. Nei due fascicoli seguenti
(pubblicati nel 1920) come direttore figurava l'egittologo G. Farina e
veniva meno l'approvazione ecclesiastica. Col quarto fascicolo del
secondo anno (1920, ma pubblicato nel marzo del 1921) la rivista cessò
le pubblicazioni. Nel terzo fascicolo del secondo anno (pubblicato nel
dicembre del 1920) comparve un articolo del B., Le esperienze
fondamentali di Paolo (pp.106-121), alcune frasi del quale furono
interpretate dall'autorità ecclesiastica come negazione della presenza
reale del Cristo nell'eucaristia. Di conseguenza, con decreto 14 genn.
1921 (Acta Apost. Sedis, XIII [1921], p. 42: si veda Bilychnis,
XVII[1921], pp. 38-39), il S. Uffizio lo dichiarò scomunicato e sospeso
a divinis. Tra il gennaio ed il marzo vi fu uno scambio epistolare tra
il B. ed il cardinal Gasparri (si vedano i documenti in Una fede e una
disciplina), ma la questione restò irrisolta perché, se da un lato il
B. riaffermava i diritti della critica storica, dall'altro l'autorità
ecclesiastica opponeva che l'affermata autonomia scientifica di fronte
al magistero della Chiesa era in contrasto col giuramento
antimodernista che egli aveva pronunciato. Né, d'altra parte, il B. era
disposto ad accettare quella che era la condizione essenziale posta per
la reintegrazione: l'abbandono della cattedra.
In questo clima di tensione psicologica, il 28 marzo e il 2 aprile, il
B. tenne, in una sala di palazzo Altieri, due conferenze aventi per
tema L'essenza del cristianesimo, pubblicate l'anno successivo.
Chiaramente, il tema era ispirato a quello delle famose conferenze che
lo Harnack aveva tenuto, nel 1900, all'università di Berlino e,
appunto, le argomentazioni dello Harnack egli intendeva ribattere
senza, però, ricadere nella critica "tendenzialmente razionalistica"
(Pellegrino..., p. 183)che il Loisy ne aveva fatto in L'Evangile et
l'Eglise:di una "essenza" del cristianesimo si può e si deve parlare
secondo il B., ma essa non va identificata, come aveva fatto lo
Harnack, nella concezione della paternità di Dio, bensì nel più riposto
e pregnante significato della predicazione di Gesù, l'annuncio della
μετάνοια intesa come rovesciamento totale di tutti i valori. È questa
"essenza" che la critica storica deve riportare allo scoperto togliendo
via tutto ciò che, sul valore originario ed immutabile del
cristianesimo, si è venuto col tempo accumulando. Appunto per questa
ragione, com'egli affermava in una delle sue lettere al cardinale
Gasparri, "l'indagine critica non può portare a posizioni contrastanti
con l'essenza della vita cristiana cattolica".
Dopo una seria malattia, pur restando egli fermo nella decisione di non
abbandonare la cattedra, grazie alla mediazione del Gasparri, il B.
rilasciò una sua "dichiarazione di fede" (pubblicata su L'Osservatore
romano dell'8 aprile) ottenendo la revoca del provvedimento adottato
nei suoi confronti. I buoni rapporti col cardinal Gasparri furono,
però, turbati verso la fine del settembre da un incidente
giornalistico: la pubblicazione su Il Messaggero di Roma e su IlSecolo
di Milano di una "nota vaticana" del B. contenente un accenno
abbastanza esplicito all'atteggiamento della S. Sede nei confronti del
problema di una possibile riconciliazione con lo Stato italiano.
Nel 1922 l'attività giornalistica lo assorbì quasi interamente: su Il
Mondo del 7 febbraio tracciò un profilo di Achille Ratti, non del tutto
benevolo nei confronti del papa neoeletto, e in quello dell'8 novembre
manifestò la propria apprensione nei confronti della presa del potere
da parte dei fascisti.
L'anno seguente il B. raccolse una serie di ventuno tra i suoi scritti
di maggior rilievo: Saggi sul cristianesimo primitivo (Città di
Castello 1923), e una serie di suoi articoli già apparsi su alcuni
quotidiani: Voci cristiane (Roma 1923). La Theologische
Literaturzeitung (XLVIII[1923], coll. 516-518) recensì i due libri
prendendo contemporaneamente in esame i primi tre volumi della
collezione "Scrittori cristiani antichi" di cui il primo era la
traduzione ed il commento della Lettera a Diogneto, pubblicata dal B.
nel 1921 a Roma. Come quarto volume della stessa collezione, nel 1923
comparvero i Frammenti gnostici, breve profilo dello gnosticismo con
ampie citazioni dalle fonti, ove la posizione del B. si palesa molto
più vicina a quella del Bousset che a quella dello Harnack.
Verso la fine del 1923, nella collana "Apologie" di Formiggini, che
usciva a Roma, il B. pubblicò una Apologia del cattolicismo. Nello
scritto, che recava l'imprimatur ecclesiastico, egli riportava, quasi
per intero e con le stesse parole, l'articolo su Paolo per il quale era
stato scomunicato, omettendo solamente il passo sull'eucaristia con
l'evidente intenzione di legittimarlo. All'inizio dell'anno seguente,
pubblicò a Foligno un nuovo saggio di "apologetica religiosa": Verso la
luce. Composto nell'eremo di S. Donato, una casa semidiruta del vecchio
cenobio benedettino sulle pendici del monte Autore, nei Simbruini (si
veda Pellegrino..., pp. 161 e 531 n. 194), ove il B. soleva trascorrere
l'estate con i discepoli, recava anch'esso l'approvazione
ecclesiastica; purtuttavia, il 29 marzo egli ricevette la notizia che
il S. Uffizio aveva preparato un decreto di scomunica e, invano, il
giorno successivo tentò di farsi ricevere dal cardinal Merry del Val
(si veda, al riguardo, Una fede e unadisciplina, pp. 80-81 e
Pellegrino..., pp. 206-209). La vera ragione immediata del decreto,
recante la data del 28 marzo (Acta Apost. Sedis, XVI [1924], p. 159),
col quale vennero anche poste all'Indice tutte le sue opere, sfugge; è,
però, probabile che la causa immediata ne sia stata la sua attività
didattica (il decreto gli interdiceva espressamente l'insegnamento). Il
raffreddamento col card. Gasparri aveva probabilmente permesso al S.
Uffizio di riporre sul tappeto la questione, poiché la condizione posta
nel 1921 per la sua reintegrazione, appunto l'abbandono della cattedra,
non era stata rispettata.
Durante l'estate, nell'eremo di S. Donato, il B. progettò la fondazione
di una nuova rivista di studi storico-religiosi, Ricerche religiose, il
cui primo fascicolo apparve nel gennaio del 1925. Alla fine del mese,
con decreto del 30 gennaio (Acta Apost. Sedis, XVII[1925], p. 69) essa
fu condannata e venne altresì interdetto al B. l'uso dell'abito talare.
In una Dichiarazione (Ric. rel., I [1925], p. 203) egli affermò però di
voler conservare, nonostante il divieto, la divisa sacerdotale e
pubblicò la cronaca documentata della sua controversia col Vaticano dal
1921. Una fede e unadisciplina (Foligno 1925). Alla pubblicazione fece
eco la Civiltà cattolica (LXXVI [1925], 2, pp. 229-247; 3, pp. 220-238)
e ne seguì un'aspra polemica.
Sul terreno più specificamente scientifico, come undicesimo volume
degli "Scrittori cristiani antichi", il B. pubblicò Detti extracanonici
di Gesù e, nel primo fascicolo di Ricerche (pp.14-34), Paolo e Apollo,
sostenendo che la polemica di Paolo nella I e IIai Corinzi sarebbe
stata diretta non contro una fazione giudaizzante, bensì contro
l'atteggiamento intellettualistico di Apollo; contemporaneamente, per i
"Profili" di Formiggini, pubblicò uno schizzo della vita e
dell'attività dell'apostolo del quale l'Omodeo (Il Leonardo, II [1926],
pp. 36-37)fece una recensione poco benevola seguita da una polemica
piuttosto aspra.
Nel dicembre, il B. inviò una lettera al papa chiedendo di essere
riammesso nella Chiesa. Gli fu mandato il padre Agostino Gemelli col
quale il B. ebbe, anche in presenza di quattro suoi discepoli (si veda
Pellegrino..., pp. 242 ss. e 541 n. 161), alcuni incresciosi colloqui.
Da una lettera al Bietti dell'8 febbraio del 1926 (in Bedeschi, B., p.
354) risulta che "la prima cosa che mi disse è che la scomunica
"vitando" era preparata da molto tempo". Nel tentativo di evitare un
tale provvedimento, il 14 gennaio il B. chiese il collocamento in
aspettativa e, il 18, lo mutò nella richiesta di un congedo
straordinario per la durata di un mese che, il 20, gli venne concesso.
Egli ne dette subito comunicazione al Gemelli che, il 23, fece
nuovamente presente la condizione essenziale posta dal Vaticano:
l'abbandono della cattedra. Il B. non rispose e con decreto del 25,
pubblicato quello stesso giorno sull'Osservatore romano (Acta Apost.
Sedis, XVIII[1926], pp. 40-41), venne dichiarato "nominatim
excommunicatus et expresse vitandus" (Civ. catt., LXXVII [1926], 1, pp.
341-346).
Il B. avrebbe dovuto riprendere le lezioni il 18 febbraio. Le riprese
effettivamente (Pellegrino..., p. 251). ma l'indomani venne chiamato
dal ministro P. Fedele il quale gli chiese, a nome del capo del
governo, di interrompere le lezioni e di accettare un incarico
extra-accademico, perché ciò avrebbe facilitato le trattative, ormai in
corso, tra l'Italia e la S. Sede in vista di una soluzione della
questione romana. Il B. accettò, e venne incaricato di attendere alla
compilazione del catalogo delle opere agiografiche della Biblioteca
Vallicelliana di Roma, per il periodo di un anno dal 23 febbraio.
In effetti, fin da allora, il Vaticano doveva aver posto come
condizione per l'avvio delle trattative l'allontanamento definitivo del
B. dalla cattedra. Per tale ragione - l'espressione è sua
(Pellegrino..., p. 263) - egli era considerato dal governo italiano una
"posta di ricatto": è dell'inizio, del 1927(H. Hermelink, in Die
christliche Welt, XLI [1927], n. 3, col. 138) l'episodio (collocato dal
B. stesso nel marzo dell'anno seguente, Pellegrino..., p. 263)
dell'invito del ministro Fedele a riprendere le lezioni, cui seguì, da
parte del Fedele stesso, un nuovo invito ad astenersene.
Contemporaneamente, un tentativo, suggerito forse dallo stesso Fedele,
di spostare, su sua richiesta, il B. ad un'altra disciplina
(letteratura cristiana del Medioevo) cadeva di fronte alla violenta
reazione del Vaticano, che minacciò financo di lanciare l'interdetto
sull'università (il B., Pellegrino..., pp. 253 s., colloca tale
minaccia nel 1926, ma il Margiotta-Broglio, Italia e Santa Sede, pp.
172-173 ha corretto la data nel 1927:si veda Scoppola, La Chiesa e il
fascismo, Bari 1971, p. 157, e la lettera del 15ott. 1927al Cagnola, in
Bedeschi, B., p. 358). Il 17ottobre, il B. ebbe un altro colloquio col
Fedele ed è, quasi certamente, nel corso di esso che egli chiese al
ministro di curare l'edizione di Gioacchino da Fiore (lettera al
Cagnola del 29ottobre, ibid., p. 361):il relativo decreto,
probabilmente antedatato, reca la data del 12febbraio.
Nonostante queste vicissitudini, la sua attività proseguiva
intensissima. Nel 1926 uscì a Bologna un libro su Lutero e la riforma
in Germania.
Violentemente antiprotestante, si può anche pensare che egli sia stato
indotto ad accentuarne il tono polemico nella speranza che ciò potesse
valergli come prova dell'effettivo desiderio di rientrare nella Chiesa;
ma lo scritto esprime, in realtà, quello che era stato e sarà il suo
atteggiamento nei confronti della cultura e della filosofia tedesca (si
veda il suo più tardo scritto in Hochkirche, XV [1933], pp.
321-323).Qual fosse, allora, il suo atteggiamento nei confronti del
mondo protestante appare anche chiaramente dalla violenta polemica
(Bilychnis, XXVII[1926], pp. 285 e 300-301; Il Mondo del 10, 16 e
18giugno e del 6luglio 1926; Conscientia, V [1926], n. 28del 10 luglio
1926, e Civ.catt., LXXVII [1926], 3, pp. 426-438)seguita alla
pubblicazione, presso Formiggini, di due "profili": quello di Gesù e
quello di Francesco d'Assisi (Roma 1926).
Specialmente in questi ultimi scritti si riflette chiaramente
l'influenza che sul B. esercitò la conoscenza delle ricerche di
psicologia religiosa di Rudolf Otto (DasHeilige, Gotha 1917, opera di
cui il B. pubblicò, nel 1926, una traduzione presso Zanichelli).
L'Otto, nel fatto religioso, aveva distinto l'"irrazionale" e
"numinoso" ineffabile alla comprensione concettuale dall'elemento
"razionale", da quella, cioè, che egli definiva "la nozione teistica
del divino". Nell'esperienza religiosa di Francesco il B. riconobbe una
manifestazione tipica e caratteristica del "numinoso", che, in seguito,
venne mortificata nello schema di un Ordine religioso. Allargando la
sfera della ricerca, la sua attenzione si soffermò sul movimento
francescano nel suo insieme e sulle caratteristiche stesse della
religiosità medievale: di qui, essa si polarizzò su quello che, d'ora
in poi, sarà uno dei punti centrali dei suoi interessi di studioso,
Gioacchino da Fiore, del quale nel 1927 pubblicò presso Carabba
un'antologia degli scritti più significativi.
Nello stesso anno, nella collezione "Christianisme" diretta da P. L.
Couchoud, tradotto direttamente dal manoscritto, uscì a Parigi Le
modernisme catholique, un'appassionante difesa del modernismo. La
Civiltà cattolica (LXXVIII [1927], 3, pp. 139-151)non mancò di
commentare lo scritto con un articolo cui seguì una polemica
violentissima.
Nel 1928 il B. pubblicò tre libri di rilievo: Il cristianesimo
nell'Africa romana (Bari), Le origini dell'ascetismo cristiano
(Pinerolo) e Ilmisticismo medioevale (ibid.). Un'eco notevole ebbe il
primo di essi nel quale il B. ricostruiva lo sviluppo del cristianesimo
africano riconoscendo in esso quello che, più di ogni altro, aveva
conservato le originarie caratteristiche escatologiche.
L'epistolario col Cagnola (su cui T. Gallarati Scotti, Interpretazioni
e memorie, Milano 1960, p. 156; Bedeschi, B. pp. 34 ss., 68 n. 10)
permette di ricostruire taluni contatti intercorsi tra il B. e la Curia
negli ultimi mesi precedenti la firma del concordato dei quali non è
cenno nell'autobiografia. Intorno alla metà dell'ottobre, la Curia
iniziò, presso il B., passi per la sua reintegrazione che proseguirono
poi con tergiversazioni. Ben presto, però, cadde ogni speranza e quasi
certamente l'episodio va posto in correlazione con le ultime trattative
prima della firma del concordato e dà la precisa impressione di un
tentativo di fiaccare la sua resistenza psichica. Pur non giungendo
alla destituzione, tutte le norme del concordato vennero applicate
contro di lui: nel febbraio del 1930 il B. è invitato a dismettere
l'abito talare; nel giugno, la partecipazione alle commissioni d'esame
gli è interdetta.
Tra il 1928 ed il 1931 l'attività scientifica del B. appare assorbita
dal lavoro su Gioacchino da Fiore. Nel 1928 egli aveva pubblicato due
articoli (Ric. rel., IV [1928], pp. 385-419, 497-514) che andranno a
comporre parte dell'introduzione del Tractatus super quatuor Evangelia,
pubblicato dall'Istituto storico italiano per il Medio Evo nel 1930. Le
sue ricerche su Gioacchino continuarono e, nel 1930, nella "Collezione
di studi meridionali" diretta da U. Zanotti Bianco, venne pubblicato a
Roma Gioacchino da Fiore. I tempi. La vita. Il messaggio, nel quale è
posto l'accento essenzialmente sul carattere escatologico del messaggio
gioachmita e sulla sua estraneità a preoccupazioni di ordine teologico.
Per queste opere il B. ottenne l'Edward Kennard Rand Prize dalla
Medieval Academy of America (Ric. rel., IV[1930], p. 288, e Speculum,
VII[1932], p. 269) e, come ci testimoniano le lettere al Cagnola, venne
invitato a trasferirsi negli Stati Uniti, ma egli non seppe mai
risolversi ad un simile passo.
Nel novembre del 1931 il B., come tutti i professori universitari,
ricevette l'invito a prestare il giuramento di fedeltà al regime
fascista. Il 19 egli scrisse una lettera al rettore (la si veda in
Pellegrino…, pp. 544 s. n. 199), nella quale affermava che "a norma di
precise prescrizioni evangeliche (Matteo, V, 34) …reputo mi sia vietata
ogni forma di giuramento". Di conseguenza, con r.d. del 28 dic. 1931
venne dispensato dal servizio a partire dal 1º gennaio successivo.
G. Levi Della Vida che, nel rifiuto, gli era stato compagno, così ha
spiegato le ragioni di quel gesto: "sembrerebbe che nella sua
determinazione abbia agito nel subcosciente l'aspirazione a uscire, sia
pure con uno strappo doloroso, dalla situazione assurda in cui l'aveva
messo l'ambigua politica del governo" (Fantasmi ritrovati, Venezia
1966, p. 144).
La perdita della cattedra, che sempre il B. aveva difeso di fronte alle
pressanti richieste dell'autorità ecclesiastica e che aveva sempre
considerato come lo strumento più atto all'espletamento della sua
missione sacerdotale, ebbe ripercussioni non indifferenti anche sul suo
atteggiamento nei confronti della Chiesa: ne è espressione La Chiesa
romana, pubblicato nel dicembre del 1932 a Milano e subito posto
all'Indice condecreto del S. Uffizio del 25 genn. 1933 (Acta Apost.
Sedis, XXV [1933], p. 36).
Nel libro, alla Chiesa "com'è" è contrapposta la Chiesa "come è stata"
e, alla critica dell'una, corrisponde l'esaltazione dell'altra. "Il
libro più significativo del B." lo definì l'Omodeo (La Critica, XXXI
[1933], pp. 299-301) per la nettezza della critica formulata nei
confronti dell'istituzione ecclesiastica. Per contro, la visione
rigidamente ecclesiocentrica che il B. vi aveva dato del Medioevo venne
criticata dal Salvatorelli (La Cultura, XII [1933], pp. 374-391).
Sul piano pratico, questo mutamento di atteggiamento portò il B. ad
accostarsi ai gruppi protestanti romani, presso i quali trovò, dal
1932, la possibilità di tenere conferenze e lezioni, ormai l'unica sua
possibilità di svolgere quella che sentiva come la sua missione
imprescindibile ed anche di provvedere al proprio sostentamento
materiale. Dal 1933 prese anche sistematicamente parte ai convegni
organizzati ad Ascona, nel Canton Ticino, da Olga Fröbe Kapteyn sotto
la denominazione di "Eranos".
Le conferenze tenute a Torino, a Milano e a Genova nel 1933 furono
pubblicate a Modena nel 1935 col titolo Pietre miliari nella storia del
cristianesimo (poste all'Indice con decreto del S. Uffizio del 15 genn.
1936: Acta Apost. Sedis, XXVIII [1936], p. 71). Ad intralciare questa
attività non mancarono interventi della polizia su sollecitazione delle
autorità ecclesiastiche che vietarono ai cattolici di intervenire alle
conferenze del B. sotto pena di gravi sanzioni canoniche.
Nel novembre 1934 a Milano il B. tenne una serie di conferenze dal
titolo: La fede dei nostri padri, pubblicate a Modena da Guanda nel
1944, in cui è formulata quella che appare come una delle posizioni più
caratteristiche del pensiero dell'ultimo B., secondo la quale la
cultura di tutti i popoli affacciantisi sul Mediterraneo sarebbe stata
influenzata, ad un certo momento del suo sviluppo storico, da
concezioni dualistiche di origine iranica che avrebbero permeato di sé
sia le concezioni filosofiche sia quelle religiose.
Nel 1935 il B. tenne un corso di lezioni all'università di Losanna come
Gastprofessor, iniziando così un'attività che si protrarrà fino allo
scoppio della guerra. In Italia, le sue conferenze ebbero ad oggetto
l'affacciarsi delle concezioni dualistiche nel mondo greco: il B. lo
individua nella reinterpretazione, in termini di religiosità
orfico-dionisiaca, della vecchia tradizione mitologica operata dai
tragici greci; rielaborate, esse vennero pubblicate a Roma nel 1938 col
titolo Amore e morte nei tragici greci.
Nel 1936 il B. pubblicò a Modena Dante come profeta, ponendo l'accento
sulle profonde affinità tra il mondo religioso di Dante e quello di
Gioacchino da Fiore e, di quest'ultimo, curò l'edizione del De
articulis fidei. Nel 1937, a Oxford, su invito del World Congress of
Faiths parlò su Il bisogno mondiale della religiosità (pubblicato in
italiano in Religio, XIV [1938], pp. 161-178). Questo scritto è molto
importante perché documenta un momento significativo nell'evoluzione
religiosa del B.: la reviviscenza religiosa gli appare adesso affidata
agli esuli di tutte le chiese costituite, per cui la dialettica non è
più ristretta alla Chiesa romana e a coloro che lottano contro la sua
sclerotizzazione, ma diventa dialettica tra morale e religione statica
e morale e religione dinamica.
Nel gennaio del 1939 (non del 1936, come, erroneamente, afferma
nell'autobiografia, pp. 340-341) venne offerto al B. di diventare
professore ordinario presso la facoltà di teologia dell'università di
Losanna. Poiché, però, la posizione di professore ordinario comportava
anche l'adesione alla Chiesa riformata, egli rifiutò l'offerta. Un
provvedimento del ministero della Cultura Popolare sulla riduzione
della stampa periodica colpì in quell'anno la rivista del B. il cui
ultimo numero fu quello di settembre-ottobre.
Il 22luglio 1941 morì la madre.
Come scrisse al Bietti il 7 agosto (lettera in Bedeschi, B., p. 226),
egli si sentì improvvisamente solo. Il 2 ottobre scriverà al Niccoli
(Biblioteca Naz. di Firenze, cassetta 446, cart. 33): "Io ho avuto
sempre più la sensazione di essere una pianta di edera strettamente
abbarbicata al tronco solido della sua forza e della sua volontà".
Quando, nell'autobiografia (pp. 448-457), cercherà di cogliere
l'influenza esercitata su di lui da questa donna, avrà presente
soprattutto gli ultimi anni, quando, cioè, "l'idea che i verdetti
ecclesiastici potessero... non avere una sanzione divina" aveva
modificato l'atteggiamento che essa aveva tenuto durante gli anni più
tormentati.
Al dolore per la morte della madre si aggiunsero le angustie per le
ristrettezze finanziarie. Non volendo egli chiedere aiuto al Cagnola,
il Bietti cercò, in qualche maniera, di venirgli incontro (si veda la
lettera a questo del 18 ottobre del 1941 in Bedeschi, B., p. 226) e gli
acquistò parte della sua biblioteca per conto del seminario milanese di
Venegono.
Nel 1942 l'editore Corbaccio di Milano pubblicò il primo dei tre volumi
(gli altri saranno pubblicati l'anno successivo) della sua Storia del
cristianesimo (condannata e posta all'Indice il 16 dic. 1942: Acta
Apost. Sedis, XXXIV [1942], p. 375).
Nell'opera il B. compendiò e riassunse tutte le sue ricerche precedenti
(anche gli scritti di cronaca politica e vaticana, poiché il terzo
volume arriva fino al concordato) esponendo lo "sviluppo del fatto
cristiano nella storia" com'esso gli era apparso in ormai quarant'anni
di ricerche. Esso non è, però, un vero e proprio "sviluppo", ma solo un
drammatico alternarsi di reviviscenze e di degenerazioni: l'esperienza
religiosa rinasce continuamente per essere immancabilmente costretta
entro gli schemi del dogma, dell'ortodossia, della disciplina
ecclesiastica. La traduzione in tedesco dei primi due volumi dell'opera
presso l'editore A. Franke di Berna (il terzo, per la morte del
traduttore H. Markum, non è mai stato pubblicato) la rese accessibile
ad un numero maggiore di studiosi, suscitando vari giudizi: a coloro
che hanno considerato il libro da un punto di vista puramente critico,
esso è apparso del tutto inaccettabile (C. Schneider, in Gnomon, XXIV
[1952], pp. 291-292); chi, invece (W. Wölker, in Deutsche
Literaturzeit., LXXIV [1953], coll. 133-138), mostra di essersi
documentato sulla figura e sulla personalità dell'autore e giudica
l'opera da un punto di vista più ampio, ha potuto dare del libro un
giudizio diverso, sottolineandone la "forza della visione d'insieme".
Con decreto del S. Uffizio del 17 maggio 1944 (Acta Apost. Sedis, XXXVI
[1944], p. 176) tutte le opere del B. pubblicate dopo il 1924 vennero
poste all'Indice: è questo l'ultimo provvedimento ecclesiastico che lo
abbia colpito.
Con la caduta del governo fascista venne meno la ragione del suo
esonero dall'insegnamento e il B. chiese, di conseguenza, la
reintegrazione. Il 21 ag. 1944, scrisse, pertanto, in tal senso al
ministro della Pubblica Istruzione, Guido De Ruggiero (si veda la
lettera in Margiotta-Broglio, Italia e Santa Sede, pp. 540 s., doc. n.
152), ma questi rispose prospettandogli la difficoltà frapposta
dall'articolo 5 del concordato. Il B. ribatté al ministro ricordando
che al concordato non era stato dato valore retroattivo ed il 6 marzo
1945 scrisse al nuovo ministro, V. Arangio-Ruiz. Ma, come
esplicitamente ammise la stessa S. Sede (L'Osservatore romano del 22-23
apr. 1946), vennero esercitate, tramite il nunzio in Italia, monsignor
Borgongini Duca, pesanti pressioni sul governo italiano, per cui,
quando il B., con decreto del 12 apr. 1945, venne, a tutti gli effetti,
reintegrato nella carriera dal 1º genn. 1932, con decreto di pari data,
fu incaricato di attendere a studi sul gioachimismo del Duecento e
Trecento.
Nell'ottobre del 1945 il B. pubblicò a Roma la sua autobiografia: Pellegrino di Roma. La generazione dell'esodo.
"Tra poche settimane - scriveva al Bietti il 9 luglio (si veda
Bedeschi, B., p. 264) - uscirà il volume delle mie memorie. Porta il
titolo che è tutto il mio programma. Ma si tratta di un pellegrinaggio
che è giunto al suo termine e che si conclude nettamente con un
risoluto e irrevocabile esodo". Il libro, che ebbe un'eco molto vasta,
è un'appassionata "apologia pro vita sua" e, insieme, come ha detto A.
Pincherle (Rivista di storia e letteratura relig., I [1965], p. 171),
una "historia calamitatum", nella quale tutte le vicende della sua vita
appaiono riconsiderate alla luce delle sue esperienze più recenti; per
questo le pagine conclusive sono molto importanti per comprendere quale
fosse, in un momento che egli sentiva come una svolta radicale nella
storia dell'umanità, il suo atteggiamento spirituale e morale. Egli
sente di appartenere alla "generazione dell'esodo", a quella
generazione cui è dato, non solo assistere, ma anche compiere la
rottura dell'angustia della religione sclerotizzata nella legge e nella
disciplina ecclesiastica, per far rivivere la vera, genuina esperienza
religiosa.
Come scrive a E. Santarelli il 15 nov. 1945 (si veda Rassegna
marchigiana, III[1950], p. 12), sente di vivere "una nuova primavera di
febbrile lavoro"; fonda nel marzo Il Risveglio, Settimanale di tecnica
della vita associata, e poi il 1945, Sestante della realtà in
costruzione, il cuiprimo numero uscì il 16 giugno.
Dal settembre del 1944 egli aveva, intanto, ripreso le lezioni presso
l'Y.M.C.A. Nel 1945-1946 esse avevano ad oggetto Il problema religioso
e l'Italia e vennero seguite da un gruppo di studenti universitari che
invitarono il B. a trasferire il suo corso in un'aula dell'università,
avanzando, in tal senso, richiesta al rettore. Questi, dopo qualche
esitazione, la concesse e il 29 genn. 1946, il B. poté tenere lezione
in un'aula dell'università di Roma. Egli prese ad oggetto di queste
lezioni le epistole paoline, ma, dopo la prima, esse furono interrotte
per diretto intervento del nunzio apostolico (Bedeschi, B., p. 452); il
23 febbraio poté riprenderle; il 16 marzo tenne l'ultima di esse. Nella
notte sul 17 si manifestò, infatti, improvvisamente, la malattia, una
miocardite che, nel pomeriggio del 19, apparve gravissima. Nella notte
sul 17, il B. dettò il proprio testamento spirituale (lo si veda in
Pellegrino..., pp. 512 s.): il suo attaccamento, tante volte
riaffermato, alla Chiesa romana appare definitivamente incrinato: "Mi
sento partecipe, in speranze e comunione, con quella nuova chiesa
cristiana ecumenica, a cui ho veduto lavorare quelle denominazioni
evangeliche che mi sono sempre apparse salutarmente travagliate da un
autentico spirito di fraternità, di pace e di vita carismatica nel
mondo".
Pochi giorni dopo si presentò a lui il cardinal Francesco Marmaggi;
recava le condizioni poste dal Vaticano per la sua riammissione nella
Chiesa: avrebbe dovuto sottoscrivere una dichiarazione in cui affermava
di accettare tutto ciò che la Chiesa professa, riprovando tutto ciò che
essa riprova. Il B. rifiutò (si veda il biglietto scritto a C.
Barbagallo in L'Avanti! del 27 aprile).
Morì il 20 aprile 1946.
Nel B. lo storico ed il pensatore religioso sono strettamente connessi,
sì che non è possibile dare un giudizio su uno di questi due aspetti
della sua personalità prescindendo dall'altro. Come ebbe a definirla
nel 1908, per il B. l'esperienza religiosa fu essenzialmente
"escatologia, attesa, cioè, impaziente di ultimi eventi"e chi ne scorra
gli scritti si accorge facilmente che l'attesa di una palingenesi
imminente e radicale è forse la vera nota dominante, il vero Leitmotiv,
del suo pensiero. Se è certamente vero che questa palingenesi, durante
gli anni della sua giovinezza, ha una coloritura mondana e "sociale"
piuttosto marcata, a ben guardare, anche in quegli anni, essa non
esorbita mai dal piano religioso: in ultima analisi, non coglieva nel
segno il rimprovero del Tyrrell che il suo fosse "un regno di Dio
puramente economico".
Al contrario, solo tenendo conto di tale iniziale atteggiamento, che
non verrà mai veramente meno e che riaffiorerà in maniera significativa
nei suoi ultimi anni, è possibile rendersi conto esattamente di che
cosa egli intendesse per "escatologia" e, di conseguenza, come vedesse
la stessa esperienza religiosa: escatologia è l'attesa di un
rovesciamento totale della realtà, rovesciamento che è, insieme,
spirituale e materiale. Di questa palingenesi, egli si sentì sempre - e
ciò andò sempre più accentuandosi nel corso della sua vita -
l'annunciatore; e "profetica", come ha più volte posto in evidenza
Giorgio Levi Della Vida, è, nella più riposta essenza, la sua
religiosità. Egli annunciò la rigenerazione della Chiesa, che a lungo
cercò di identificare con la Chiesa romana, ma che, in realtà, altro
non era se non la κοινωνία, per adoperare una sua caratteristica
espressione, di coloro che sarebbero stati partecipi di quella
palingenesi. Per lui, l'esperienza religiosa non è mai, infatti,
singola e individuale, ma sempre qualcosa che interessa un gruppo, una
collettività. Ciò spiega anche, in parte, la ragione per la quale,
nella sua prima formulazione, essa sembrò identificarsi col socialismo.
Questa sua prospettiva religiosa ha inciso in maniera determinante sul
suo lavoro di storico. Quando il B. si affacciò al mondo intellettuale
nei primissimi anni del secolo, l'avvenimento più saliente nel campo
degli studi religiosi era certamente la controversia Harnack-Loisy, ma
egli, pur professandosi, allora, ammiratore del Loisy, non seppe
cogliere la profonda intuizione storica che era alla base de L'Evangile
et l'Eglise e, di conseguenza, la più che fondata critica alle
affermazioni dello Harnack; e, dallo Harnack, raccolse, sia pure
indirettamente, la concezione che il cristianesimo fosse storicamente
schematizzabile in un nucleo centrale attorno al quale sarebbe avvenuta
una vera e propria superfetazione di elementi estrinseci. Di
conseguenza, egli intese il lavoro dello storico essenzialmente come il
lavoro di rimozione di questi elementi estrinseci, allo scopo di
riportare alla luce il nucleo originario del cristianesimo, per cui
egli fu portato a vedere in esso un momento essenziale della stessa
esperienza religiosa. In una lettera al Cagnola del 6 giugno 1958 (si
veda Bedeschi, B., p. 380) aveva affermato di essersi sentito chiamato
a liberare l'essenza del cristianesimo dalle sue sovrastrutture,
atteggiamento questo che permette di comprendere bene la sua
inesauribile carica di proselitismo, che gli procurò una così tenace
ostilità da parte della Curia; che spiega il suo disperato attaccamento
alla cattedra, l'affermazione più volte ripetuta che l'insegnamento era
per lui la vera esplicazione della sua missione sacerdotale: il fatto
che il suo vero mezzo di espressione fosse piuttosto la voce che la
pagina scritta.
*
Wikipedia
Don Ernesto Buonaiuti (Roma, 25 giugno 1881 – Roma, 20 aprile 1946)
è stato un presbitero, storico, antifascista, teologo,
accademico italiano, studioso di storia del Cristianesimo e di
filosofia religiosa, fra i principali esponenti del modernismo
italiano. Scomunicato e dimesso dallo stato clericale dalla Chiesa
Cattolica per aver preso le difese del movimento modernista, fu
prima esonerato dalle attività didattiche, in base ai Patti
Lateranensi tra Chiesa e Regno d'Italia, e poi privato della
cattedra universitaria per essersi rifiutato, con altri 13 docenti
soltanto, di giurare fedeltà al regime.
Vita
Ernesto Buonaiuti nacque a Roma, in via di Ripetta 102, il 25 giugno
1881, quartogenito di Leopoldo e Luisa Costa. Il padre, gestore di
una rivendita di tabacchi, morì nel 1887 di tubercolosi,
lasciando la moglie (che non si risposò mai e visse quasi
sempre con Ernesto fino alla morte, avvenuta nel 1941), e cinque
bambini. Da un primo matrimonio, infatti, aveva avuto la figlia
maggiore Augusta; dei suoi sette figli di secondo letto soltanto
tre, oltre Ernesto, superarono la prima infanzia: uno, Alfredo,
divenne sacerdote e parroco di Settecamini, un altro, Alarico, fu
insegnante di italiano nelle scuole consolari e pubblicista, venendo
iniziato alla Massoneria [2], mentre il minore, Pasquale,
esercitò il mestiere di ebanista[3]. Ernesto ricevette la
prima educazione religiosa dalla madre e nella parrocchia di San
Rocco, adiacente alla casa di via di Ripetta.
Dopo avere frequentato il seminario dell'Apollinare di Roma (qui fra
i suoi compagni vi fu Angelo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII[4]),
fu ordinato sacerdote il 19 dicembre 1903. Durante il periodo degli
studi aveva dimostrato ben presto doti intellettuali fuori dal
comune, incorrendo però in sanzioni da parte dei superiori
per la troppa libertà dimostrata nell'apprezzare le moderne
impostazioni scientifiche delle discipline religiose.
Proseguì i suoi studi, collaborando con lo storico delle
religioni Salvatore Minocchi, utilizzando le risorse offerte dal
metodo positivo allo studio del Cristianesimo primitivo (Il
cristianesimo primitivo e la Politica imperiale romana, 1911).
Fondò a soli 24 anni la Rivista storico-critica delle scienze
teologiche, per la diffusione della cultura religiosa in Italia e
diresse in seguito la rivista Ricerche religiose. Queste riviste,
premiate almeno in un primo momento da un discreto successo
editoriale, vennero poste poi all'Indice. Il 25 gennaio 1925 era
stato colpito con la scomunica, ribadita più volte, per aver
preso le difese del movimento modernista soprattutto nelle opere Il
programma dei modernisti (1908) e Lettere di un prete modernista
(1908), contro la posizione ufficiale della Chiesa espressa
nell'Enciclica Pascendi dominici gregis, emanata da Pio X nel 1907.
Nell'autobiografia (Il pellegrino di Roma, 1945), Buonaiuti
ricostruì il conflitto con la Chiesa cattolica, della quale,
nonostante la scomunica, continuò a proclamarsi figlio
fedele.
Nel 1915 vinse il concorso a cattedra, bandito per ricoprire il
ruolo di professore ordinario di Storia del cristianesimo rimasto
vacante per la morte Baldassarre Labanca, presso l'Università
di Roma, prevalendo su altri candidati illustri come lo stesso
Minocchi, Adolfo Omodeo, Luigi Salvatorelli e Umberto Fracassini.
Gli anni di insegnamento, liberamente esercitato presso un Ateneo
statale a dispetto delle censure ecclesiastiche, gli permisero di
formare un gruppo di allievi, tra i quali spiccano Agostino
Biamonti, Ambrogio Donini (che dopo la fine della guerra sarebbe
stato professore di Storia del Cristianesimo a Bari e senatore
comunista) e Marcella Ravà (poi divenuta direttrice della
Biblioteca Nazionale di Roma), fortemente attaccati alla figura e
all'opera del maestro. In seguito al Concordato del 1929, tuttavia,
venne esonerato dalle attività didattiche e assegnato a
compiti extra-accademici, come direttore dell'Edizione Nazionale
delle Opere di Gioacchino da Fiore. La cattedra universitaria gli fu
tolta definitivamente nel 1931 per aver rifiutato di prestare il
giuramento di fedeltà al Fascismo, al pari del suo amico
Giorgio Levi Della Vida, che di lui lasciò un affettuoso
ricordo di grande valore scientifico e umano nel suo Fantasmi
ritrovati[5].
Gli anni successivi, segnati dagli stenti per via della sospensione
dello stipendio, lo videro impegnato nell'attività di
conferenziere, sempre sotto l'osservazione della polizia segreta
fascista, soprattutto presso la congregazione metodista romana e di
professore ospite presso l'Università di Losanna in Svizzera,
dove tenne cicli di lezioni sulla storia del Cristianesimo.
L'offerta di una cattedra stabile di Storia del Cristianesimo presso
la Facoltà di Teologia della stessa Università fu da
lui declinata, poiché richiedeva come condizione la sua
adesione ufficiale alla confessione cristiana riformata.
Dopo la fine della guerra, nel 1945, Buonaiuti non fu comunque
reintegrato nel ruolo di professore ordinario come era accaduto per
gli altri colleghi superstiti che non avevano accettato il
giuramento di fedeltà al Fascismo, sulla base di una discussa
applicazione retroattiva, sostanzialmente ad personam, dei Patti
Lateranensi, che prevedeva il divieto, per un sacerdote scomunicato,
di occupare una cattedra in una università statale: a
favorire questo esito della vicenda ci furono non solo i cattolici
della Democrazia Cristiana, ma anche i comunisti e i liberali,
riuniti dalla comune ostilità, ereditata dal passato, contro
il Modernismo, visto ideologicamente come una corrente cristiana non
facilmente inquadrabile nella polarizzazione tra laici e cattolici,
sotto il cui segno nasceva il nuovo stato italiano.
Si spense nella sua città il 20 aprile 1946, a seguito
dell'aggravarsi dei problemi cardiaci che da tempo lo affliggevano.
È sepolto presso il Cimitero del Verano di Roma.
Opere
L'opera di Buonaiuti è sterminata: ha lasciato circa
tremilaottocento lavori scritti, fra i quali importanti una "Storia
del Cristianesimo" in tre volumi, l'autobiografia (Il pellegrino di
Roma) e gli studi su Gioacchino da Fiore (Gioacchino da Fiore: i
tempi, la vita, il messaggio) e gli studi su Lutero e la Riforma
protestante. Inoltre, un testo sullo gnosticismo (Lo gnosticismo.
Storia di antiche lotte religiose, I Dioscuri, Genova 1987). Tra le
sue prime opere: Saggi sul cristianesimo primitivo, a cura e con
introduzione di Francesco A. Ferrari, pubblicato a Città di
Castello, dalla Casa Editrice "Il Solco" (Gubbio, Tip. Oderisi) nel
1923.
Lutero e la Riforma in Germania
Opera pubblicata la prima volta nel 1926, ristampata al termine
della seconda guerra mondiale, con l'aggiunta del capitolo La crisi
finale, pubblicata infine postuma nel 1958 col titolo Lutero,
è nata da un corso universitario svolto da Buonaiuti
all'Università di Roma. Nella prima edizione lo scisma di
Lutero viene interpretato come espressione dell'individualismo della
cultura dell'Europa nel Nord che non aveva assimilato i valori della
vita sociale propria del bacino del Mediterraneo. Nel capitolo
aggiunto all'edizione del 1945 Buonaiuti indica nel
nazionalsocialismo l'ultima e più drammatica conseguenza
dello scisma luterano.
Storia del Cristianesimo
L'opera, pubblicata negli anni 1942-1943, si compone di tre volumi,
il primo dedicato all'Evo Antico, il secondo all'Evo Medio, l'ultimo
all'Evo Moderno.
È considerata l'opera più significativa
dell'attività scientifica del Buonaiuti. Come egli stesso ha
rievocato nell'autobiografia del 1945, l'opera ha motivazioni
apologetiche ("per istituire il bilancio definitivo dell'azione
cristiana nella storia, ora che da mille indizi si poteva facilmente
e sicuramente arguire che il Cristianesimo si avvicinava ad un'ora
di drammatico trapasso").
L'idea centrale dell'opera si svolge intorno al carattere mistico e
morale del Cristianesimo e alla sua successiva trasformazione in un
sistema filosofico-teologico e in una organizzazione burocratica.
Per Buonaiuti, le religioni superiori non sono visioni speculative
del mondo e schematizzazioni razionali della realtà, ma
indicazione normativa di atteggiamenti pre-razionali e spirituali.
Il Cristianesimo, nato come annuncio di palingenesi, veicolava un
vastissimo programma sociale "che imponeva un progressivo
arricchimento concettuale e un inquadramento disciplinare sempre
più rigido. Per vivere e fruttificare nel mondo, il
Cristianesimo fu condannato così a snaturarsi e a degenerare"
(Storia del cristianesimo, I, p. 15 e segg.). La sola salvezza per
la Chiesa e per la società moderna è, per Buonaiuti,
il ripristino dei valori elementari del Cristianesimo primitivo:
l'amore, il dolore, rimorso, la morte.
Il Pellegrino di Roma (o La generazione dell'esodo)
Opera autobiografica di Ernesto Buonaiuti pubblicata a Roma nel
1945.
Il titolo del libro cita una definizione di Buonaiuti datane dallo
storico Luigi Salvatorelli, il quale aveva intitolato un suo saggio
"Ernesto Buonaiuti, pellegrino di Roma" per sottolineare l'amore di
Buonaiuti per la Chiesa cattolica, nonostante i gravissimi
provvedimenti disciplinari presi contro di lui (La Cultura, XII,
1933, pp. 375-391). Buonaiuti riconosce come sue due opere di
argomento modernista pubblicate entrambe nel 1908 anonime: Lettere
di un prete modernista, considerate tuttavia dall'autore un peccato
di gioventù, e Il Programma dei Modernisti. Le posizioni
moderniste sono giustificate da Buonaiuti soprattutto da motivazioni
scientifiche (critica biblica ed esegesi). Inizialmente il
modernismo di Buonaiuti appariva simile alle posizioni della
teologia liberale protestante (Albrecht Ritschl, Adolf von Harnack).
Le ricerche sulla spiritualità del mondo antico, da
Zarathustra ai tragici greci, portarono tuttavia Buonaiuti a
riconoscere nelle esperienze spirituali precristiane
un'anticipazione della visione cristiana della vita. Buonaiuti si
dichiara cattolico e dichiara di voler rimanere tale usque dum vivam
(finché avrò vita), come scrisse alla facoltà
di teologia di Losanna, la quale gli rifiutò la cattedra di
storia del cristianesimo poiché egli non aveva accettato la
condizione di aderire a quella Chiesa Evangelica.
Opere
Gioacchino da Fiore. I tempi – la vita – il
messaggio, Collezione Meridionale Editrice, Roma 1930. Nuova
edizione, con un'introduzione di Antonio Crocco, Lionello Giordano
Editore, Cosenza 1984;
La Chiesa Romana, Gilardi e Noto, Milano 1933
(nuova edizione con presentazione di Lorenzo Bedeschi, il
Saggiatore, Milano, giugno 1971);
Storia del Cristianesimo, 3 voll., Dall'Oglio,
Milano 1941 (nuova edizione in un solo volume a cura di Cesare
Marongiu Buonaiuti, Newton & Compton, Roma 2002);
Pellegrino di Roma. La generazione dell'esodo,
Darsena, Roma 1945, (nuova edizione con un'introduzione di Giancarlo
Gaeta e una Appendice di Raffaello Morghen, Gaffi, Roma 2008,
disponibile anche in copyleft sul suo sito dell'editore);
Pio XII, Universale, Roma 1946, (nuova edizione,
Editori Riuniti, Roma 1964).
Lo gnosticismo: storia di antiche lotte
religiose; Roma: Ferrari, 1907. Nuova edizione con introduzione di
Claudio Bonvecchio, Milano: Mimesis, 2012, ISBN 9788857509501
Degli scritti di Buonaiuti ha dato una ampia rassegna l'allieva
Marcella Ravà in Bibliografia degli scritti di Ernesto
Buonaiuti, con prefazione di L. Salvatorelli, Firenze 1951, seguita
dalle Aggiunte alla bibliografia di Ernesto Buonaiuti, in
«Rivista di storia e letteratura religiosa», VI, 1970,
pp. 235-239.
Note
1 Citata in G. Andreotti, I quattro del Gesù,
Rizzoli, Milano 1999, pag. 24
2 Cfr. l'introduzione di G.B. Guerri a E.
Buonaiuti, Storia del Cristianesimo, Newton & Compton, Roma
2002, p. VII.
3 Sulla famiglia Buonaiuti si veda G.B. Guerri,
Eretico e profeta. Ernesto Buonaiuti, un prete contro la chiesa,
Mondadori, Milano 2001, pp. 7-32.
4 Marco Roncalli, Giovanni XXIII. Angelo Giuseppe
Roncalli. Una vita nella Storia, Milano 2006, pagg. 50 e segg.
5 Napoli, Liguori, 2004 (I ediz. Vicenza, Neri
Pozza Editore, 1966)
Bibliografia
F. Parente, «BUONAIUTI, Ernesto». In:
Dizionario Biografico degli Italiani, Roma: Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Vol. XV (on-line)
Giordano Bruno Guerri, Eretico e profeta. Ernesto
Buonaiuti, un prete contro la Chiesa, Milano, Mondadori, 2001.
Giulio Andreotti, I quattro del Gesù,
Rizzoli, 1999.
Domenico Grasso, Il cristianesimo di Ernesto
Buonaiuti, Morcelliana, Brescia 1953.
Lorenzo Bedeschi, Buonaiuti il concordato e la
chiesa: con un'appendice di lettere inedite, Milano, Il Saggiatore
1970.
Fausto Parente, Ernesto Buonaiuti, Roma, Istituto
della enciclopedia italiana 1971.
Max Ascoli, Ernesto Bonaiuti, Napoli, Arte
tipografica 1975.
Ambrogio Donini, Ernesto Buonaiuti e il
modernismo, Bari, Cressati 1961.
Annibale Zambarbieri, Il cattolicesimo tra crisi
e rinnovamento: Ernesto Buonaiuti ed Enrico Rosa nella prima fase
della polemica modernista, Brescia, Morcelliana 1979.
Valdo Vinay, Ernesto Buonaiuti e l'Italia
religiosa del suo tempo, Torre Pellice, Claudiana 1956.
Enrico Lepri, Il pensiero religioso di Ernesto
Buonaiuti, Roma, Libreria Tropea 1969.
Liliana Scalero, Colui che vaga laggiù:
una biografia di Buonaiuti, Parma, Guanda 1970.
Giorgio Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati,
Venezia, Neri Pozza, 1966 (rist. Napoli, Ricciardi, 2004).