Ernesto Buonaiuti



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 Storico (Roma 1881 - ivi 1946), uno dei capi del modernismo italiano che, specialmente dopo la prima guerra mondiale, apparve quasi impersonato in lui. Sacerdote (1903), fu insegnante nel Seminario romano, diresse varie riviste tra cui: Rivista storico-critica delle scienze teologiche, 1905-10; Nova et vetera, 1908; Ricerche religiose quindi Religio, 1925-39 e 1943-44. Colpito, dopo varie censure, dalla scomunica nel 1926, fu allora esonerato dall'insegnamento come professore di storia del cristianesimo, cattedra che teneva dal 1915, nell'università di Roma; destituito poi per non aver prestato giuramento fascista (1931), fu riammesso in ruolo nel 1944, senza però l'esercizio effettivo dell'insegnamento.

Come studioso indagò quasi ogni momento e ogni figura saliente della storia cristiana (Saggi sul cristianesimo primitivo, 1923; Lutero e la Riforma religiosa in Germania, 1926; Le origini dell'ascetismo cristiano, 1928; Il cristianesimo nell'Africa romana, 1928; Gioacchino da Fiore, 1931, oltre all'edizione dei Tractatus super Quattuor Evangelia, 1930, e del De articulis fidei, 1936, dello stesso Gioacchino), fino alla Storia del cristianesimo (3 voll., 1942-43), sintesi della sua visione storica del cristianesimo come fondato sul contrasto perenne, peraltro dal B. non concepito dialetticamente, tra "secolo presente" e "secolo venturo".

Nel suo pensiero si avverte prima l'influsso di dottrine diverse (J. H. Newman, G. Tyrrell, M. Blondel e l'"apologetica dell'immanenza", pragmatismo religioso e H. Bergson; nel campo della critica biblica, "escatologismo" e influenza del primo Loisy), poi di tendenze nuove (specialmente R. Otto, anche A. Schweitzer, F. Heiler).

Tuttavia la posizione di B. restò sempre decisamente realista, anzi tomista e in polemica con l'idealismo italiano contemporaneo e quello tedesco, da lui considerati, come i totalitarismi, derivazioni della Riforma protestante. Contro di questa, il B. difese altresì il sistema sacramentale e gerarchico della Chiesa cattolica, che per altri versi, auspicandone un rinnovamento interno e rivendicando i diritti della libera ricerca, criticò (per es., La Chiesa romana, 1933; Pio XII, postumo, 1946); né si riconciliò con essa in punto di morte, pur professandosene figlio fedele nello spirito e rivendicando le insegne del proprio sacerdozio.

Questi contrasti (come quello dell'asserito dovere, per il cristiano, della più assoluta indifferenza per le vicende mondane, e l'appassionata partecipazione spirituale alle vicende politiche e ai problemi sociali: già nelle Lettere di un prete modernista, anonime, 1909; 2a ed. 1948), che furono giudicati ondeggiamenti e contraddizioni, peraltro rinvigorirono con nuove esperienze le doti innate dello storico e dello scrittore (pure oratore efficacissimo); e di esse si ritrova l'unità profonda nel dramma della sua vita (cfr. l'autobiografia, Pellegrino di Roma, 1945; 2a ed. 1964).

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DBI

di Fausto Parente

Nacque a Roma da Leopoldo e da Luisa Costa il 25 giugno 1881. Dal 1892 frequentò il ginnasio presso il Pontificio Seminario Romano, ove poi entrò come interno nel 1894. Nel 1897 egli ricevette la tonsura. Le opere di Luigi Tosti, che trovò nella biblioteca del seminario, risvegliarono in lui i primi interessi storici mentre taluni manuali di storia della filosofia, come quello di Augusto Conti, contribuirono a destare quelli filosofici. Nella sua personalità, non ancora formata, questi ultimi appaiono, sullo scorcio del secolo, decisamente prevalere e determinante fu, per il suo orientamento durante questi anni, la conoscenza di L'action del Biondel, pubblicata nel 1893.

L'insofferenza per la rigida disciplina ecclesiastica e la ricerca di libri che non poteva trovare nella biblioteca del seminario lo posero in dissidio con i suoi superiori ed una lettera di adesione inviata al Minocchi quando questi, nel 1901, fondò la rivista Studi religiosi (vedi L'Italia che scrive, II [1919], pp. 151-152) costò al B. il posto gratuito di interno alla fine del primo biennio (1900-1901). La simpatia e l'appoggio del suo professore di filosofia, Luigi Chiesa, gli valsero però, l'incarico di filosofia scolastica presso la scuola della Congregazione di Propaganda Fide.

Spinto da un "affetto appassionato per la causa democratica" frequentò, alla Sapienza, le lezioni di Antonio Labriola e, sulla rivista del Murri, Cultura sociale (IV[1901], pp. 324-326), pubblicò una "lettera aperta" dal titolo: Abbiamo un programma?Le idee di un anonimo, firmandosi "Novissimus".

Nello scritto, in polemica con lo stesso Murri, al quale rimproverava di preoccuparsi solamente dell'organizzazione delle classi e della diffusione della piccola proprietà, affermava di sognare una piena rivoluzione sociale, per cui i vari mestieri, le varie funzioni intellettuali ed artistiche si affratellino nelle risorgenti universitates, posseditrici dei mezzi di produzione, substrato del regime politico e comprendenti tutti i lavoratori". Appare qui già evidente quella sua tendenziale interpretazione sociale del messaggio cristiano che sarà una tra le componenti più importanti del suo pensiero.

Nel 1903 il B., conclusi gli studi teologici e ordinato sacerdote, sostituì monsignor Umberto Benigni, già suo professore, nell'insegnamento di storia della Chiesa nel seminario dell'Apollinare. Nel 1904 collaborò alla Rivista delle riviste per il clero diretta da G. Sforzini e agli Studi religiosi del Minocchi; nella prima delle due riviste (II [1904], pp. 482-487) compare una sua recensione a De sacra traditione. Contra novam haeresim evolutionismi di L. Billot in cui afferma di "non temere la scienza anche di fronte ai pericoli dei suoi abusi". Nel 1905, con la pubblicazione della Rivista storico-critica delle scienze teologiche (per iniziativa, forse, del padre G. Bonaccorsi, ma della quale il B. assunse la direzione già a partire dal fascicolo di giugno della prima annata), ebbe inizio la sua attività più specificamente storica; contemporaneamente sulla rivista del Minocchi (V [1905], pp. 211-256), con un articolo su La filosofia dell'azione, tornò a temi più strettamente connessi con la sua formazione filosofica blondeliana.

In taluni di questi scritti, molte affermazioni suonavano chiaramente polemiche nei confronti della Chiesa e, in particolare, nei confronti di alcuni ordini religiosi. Attaccato dalla Civiltà cattolica (LVII [1906], I, pp. 257-273 e 559-5741, nel settembre venne costretto a rassegnare le dimissioni dall'insegnamento e ad accettare un posto di archivista presso la Sacra Congregazione della Visita Apostolica.

Nel 1907 il B. pubblicò a Roma il primo lavoro storico di ampio respiro: Lo gnosticismo. Storie d'antiche lotte religiose. Il libro, che presuppone indagini precedenti, come quelle su Il millenarismo di Ireneo (Riv. stor-crit. delle scienze teol., II [1906], pp. 903-918), venne attaccato con notevole violenza da P. Batiffol (Bull.de littèr. ecclés., VII[1907], pp. 165-175) come dipendente dall'interpretazione protestante dello Harnack.

Nel maggio 1907 il B., insieme col Murri, il Fracassini e il Piastrelli, si fece promotore, con una lettera redatta da quest'ultimo, di un incontro tra gli esponenti delle varie tendenze religiose per poter - "stabilire un orientamento ed un metodo comune, sia per ciò che riguarda la sintesi e la ricostruzione della scienza religiosa, sia l'azione e la propaganda". Al convegno, che ebbe luogo a Molveno nei giorni 27, 28 e 29 agosto, presero parte, oltre ai promotori, il von Hügel, il Fogazzaro, Tommaso Gallarati Scotti, Brizio Casciola e Francesco Mari. Tra tutti questi, secondo l'espressione del Murri, il B. era "il rappresentante della tendenza estrema". Il 16 settembre, L'Osservatore romano pubblicò l'enciclica Pascendi dominici gregis recante la data dell'8, con la quale veniva condannato il movimento modernista e il 28 ottobre la Libreria Editrice Romana pubblicava Ilprogramma dei modernisti. Risposta all'enciclica di Pio X "Pascendi dominici gregis", solo parzialmente opera del B.: la prima parte, sulla critica dei testi, è, forse, da attribuirsi alla penna del Fracassini, mentre del B. è certamente la seconda, nella quale è esposta la concezione che, del dogma, intendeva dare il modernismo. Lo scritto ebbe notevole successo anche fuori d'Italia: un decreto del vicariato di Roma (Acta Sanctae Sedis, XI, [1907], p. 720) comminò la scomunica a coloro che avessero redatto o, in qualunque modo, preso parte alla realizzazione dell'opera. Non ritenendo, però, valida una scomunica contro ignoti, il B. continuò ad esercitare le sue funzioni sacerdotali (Pellegrino…, pp. 95-97).

Durante il 1908 si formò, attorno al B., un piccolo gruppo di modernisti che teneva riunioni periodiche; espressione di questo gruppo fu la rivista Nova et vetera, della quale uscirono diciannove fascicoli dal gennaio al dicembre del 1908, che venne condannata ed i collaboratori, se ecclesiastici, sospesi a divinis (Acta Sanctae Sedis, XLI [1908], p. 128).

L'affermazione, contenuta nel Proemio ai lettori, che il fatto religioso va "esclusivamente studiato attraverso la psicologia umana, come sua espressione culminante; e valutato in funzione di tutta l'operosità umana individuale e collettiva doveva rispecchiare bene, in quel momento, la posizione del B. che vi formulò anzi (I [1908], pp. 155-160) un'aperta critica al Murri rimproverandogli la sua mentalità scolastica che gli faceva tenere distinti e separati il fatto sociale e quello religioso e, su Il Rinnovamento (II [1908], pp. 43-66), affermò esplicitamente che "la democrazia è oggi la vera forma della religiosità".

Queste posizioni, radicali sotto molti aspetti, costituiscono i motivi dominanti delle Lettere di un prete modernista pubblicate a Roma nel 1908, nelle quali, come ebbe ad osservare Giorgio Levi Della Vida (La Cultura, III [1923-1924], p. 350), "l'immanente aveva cacciato il trascendente e Iddio si rivelava nel progressivo attuarsi dell'ideale etico dell'umanità". La reazione dei vari ambienti modernisti, perloppiù alieni da concezioni immanentistiche e, sul piano politico, su posizioni di prudente conservatorismo, non tardò a farsi sentire. Il Rinnovamento (II [1908], pp. 402-415) si chiese se, ormai, esistessero due modernismi; Tyrrell stesso, cui Nova et vetera siera, almeno originariamente, ispirata, reagì non meno decisamente: si veda la lettera del 23 aprile al B. (in Revue moderniste internationale, I [1910], p. 10) e quella del 3 maggio indirizzata ad un altro corrispondente (in Autobiography and Life, London 1912, II, p. 350) ove è detto che "le Lettere... rivelano un punto di vista così terreno da rendere l'intera questione banale e volgare".

Nel 1908 un sacerdote, poi tornato allo stato laicale, Gustavo Verdesi, che aveva fatto parte del gruppo di Nova et vetera, fece talune rivelazioni al gesuita Carlo Bricarelli, professore all'Università Gregoriana, che ne informò il papa; venne ordinato al Verdesi di redigere la denuncia per iscritto; questa, recante la data dell'ottobre (la si veda in Civ. catt., LXII[1911], 2, pp. 227-228), indicava nel B. il direttore di Nova et vetera, uno dei collaboratori del Rinnovamento e, implicitamente, l'autore delle Lettere di un prete modernista. Il 3 novembre, alla riapertura della Sacra Congregazione della Visita Apostolica, il B. si vide costretto a rassegnare le dimissioni. Nonostante ciò gli venne conservato l'assegno. Tra il novembre del 1908 ed il gennaio dell'anno successivo, il B. dovette subire un procedimento disciplinare al termine del quale si sottomise pienamente.

Forse a seguito di queste vicende sopravvenne in lui la determinazione di dedicarsi con maggiore impegno alla ricerca scientifica. Fin dall'anno precedente la sua attenzione era stata attratta dalle ricerche sul greco neotestamentario che A. Deissmann andava conducendo sulla base di recenti scoperte di papiri e di ostraka (Licht vom Osten, Tübingen 1908: vedi Riv. stor-crit. delle scienze teol., IV[1908], pp. 687-694); ed è del 1909 un lavoro su I vocaboli d'amore nel Nuovo Testamento (ibid., V[1909], pp. 257-264). Verso la fine dell'anno, però, A. De Stefano, già compagno del B. nel seminario dell'Apollinare, che si apprestava a lanciare da Ginevra una Revue moderniste internationale, gli chiese consigli. Dalla risposta del B. (la lettera, datata 24 ottobre, ma probabilmente del 24 sett. 1909, è stata pubblicata da S. Savarino insieme ad altro materiale d'archivio in un romanzo, Peccato mortale, pp. 47-57) sappiamo che anche il Semeria era al corrente dell'iniziativa ed approvava il progetto ed il titolo. Dall'insieme dei documenti pubblicati dal Savarino si ricava che il 10 dic. 1909 il papa aveva incaricato il S. Uffizio di indagare sull'attività del De Stefano interrogando sia il B., sia un altro sacerdote, Mario Rossi, e ciò a seguito di una circostanziata delazione di un ecclesiastico (identificato, in Pietro Perciballi: si veda Revue mod. int., III [1912], pp. 163-165 e 217-218) amico del De Stefano che, fattosi ospitare nella sua abitazione di Ginevra, in sua assenza ne aveva copiato la corrispondenza.

Nel 1910, come secondo volume dei "Manuali di scienze religiose" da lui diretti, il B. pubblicò a Roma una serie di Saggi di filologia e di storia del Nuovo Testamento in parte già editi. Immediatamente, sulla Civiltà cattolica (LXI [1910], 1, pp. 472-473) comparve un violentissimo attacco contro il libro; questa volta il B. rispose e ne seguì una polemica nel corso della quale il padre Rosa finì con l'accusarlo implicitamente di essere l'autore sia del Programma sia delle Lettere. Subito dopo fu ingiunto al B., pena la perdita dell'assegno, di abbandonare la rivista; questa cessò, però, le pubblicazioni col fascicolo di luglio-agosto, cioè dopo la sua condanna avvenuta con decreto del S. Uffizio del 7 settembre (Acta Apost. Sedis, II, [1910] p. 728). Dal decreto della Sacra Congregazione dell'Indice del 3 genn. 1911 (ibid., III [1911], pp. 42-43) e da una lettera di F. Mari a C. Pizzoni del 23 sett. 1910 risulta che il B. si sottomise prontamente convincendo a farlo anche chi, come il Mari, sarebbe stato piuttosto incline a persistere nel proprio atteggiamento.

Nel 1911 ebbe luogo il processo Verdesi. Questi in una lettera pubblicata su Il Messaggero e sull'Avanti! il 15 aprile aveva accusato il Bricarelli di aver rivelato ciò che aveva saputo in confessione; questi lo denunciò per diffamazione ed il processo seguitone si concluse il 5 giugno con la condanna del Verdesi. Il B. depose il 30 maggio dichiarando che tutte le accuse del Verdesi che lo riguardavano erano false e riaffermando la propria incondizionata fedeltà alla Chiesa (si veda Civ. catt., LXII [1911], 2, p. 750). La deposizione del B. venne condannata dalla stampa modernista e filomodernista.

Le ragioni di questo atteggiamento del B. dovettero, probabilmente, essere diverse, ma una lettera a G. Prezzolini del 24 dic. 1910 (la si veda in Il tempo della Voce, Milano-Firenze 1960, pp. 355-357)ne indica, forse, quella più pressante ed immediata, il timore che una sua decisa rottura con l'autorità ecclesiastica potesse determinare una "tragedia domestica", con allusione alla madre, spirito semplice e sinceramente attaccato alle forme religiose tradizionali.

Gli anni immediatamente seguenti segnano una battuta d'arresto nell'attività del B., anche per la soppressione della Rivista storico-critica delle scienze teologiche. Nel 1913 con la morte di Baldassarre Labanca (23 gennaio) si rese vacante la cattedra di storia del cristianesimo presso l'università di Roma. Bandito il concorso, il B. vi partecipò e venne annoverato primo della terna seguito da L. Salvatorelli e U. Fracassini. La nomina a professore "straordinario" con decreto del 19 luglio 1915 ebbe decorrenza dal 16ottobre dello stesso anno.

Nel luglio del 1914 il B. aveva, intanto, fondato una nuova rivista, il Bollettino di letteratura critico-religiosa, della quale si pubblicarono dodici fascicoli. Nel gennaio del 1916, incoraggiato dal successo del Bollettino, ilB. fondò una nuova rivista, la Rivista di scienza delle religioni senza chiedere la revisione ecclesiastica.

Come risulta da un articolo del padre Rosa (Civ. catt., LXXVI[1925], 3, p. 225), dopo la pubblicazione del primo fascicolo della rivista vi fu un tentativo di evitare un attacco immediato della Civiltà cattolica; nonostante ciò, dopo la pubblicazione del secondo fascicolo, con decreto del S. Uffizio del 12 aprile (Acta Apost. Sedis, VIII [1916], p. 178), la rivista venne condannata (si veda F. Rubbiani, in Bilychnis, VII [1916], p. 480)ed i quattro collaboratori ecclesiastici (oltre al B., B. Motzo, P. Vannutelli e N. Turchi) sospesi a divinis. Alla revoca del provvedimento si giunse dopo diverso tempo e solo a condizione che essi prestassero il giuramento antimodernista: lo fecero il 13 luglio.

Il 26 novembre successivo, il ministro della Pubblica Istruzione, Francesco Ruffini, invitò il B. a precisare se, in conseguenza del giuramento antimodernista, la sua libertà scientifica sarebbe rimasta menomata; il B. ripose di averlo prestato solo dopo che il cardinal Gasparri gli aveva assicurato che esso non avrebbe costituito una remora alla sua libertà scientifica (Pellegrino..., p. 151).

Doti indubbiamente eccezionali di maestro e di parlatore permisero al B. di raccogliere ben presto intorno a sé un'ampia cerchia di allievi e di discepoli. Con decreto del 6 ott. 1918 venne dichiarato professore "stabile" e con decreto del 3 luglio 1919 "ordinario". Nel 1918, intanto, M. Missiroli, allora direttore di Il Resto del Carlino invitò il B. a collaborare al giornale come "corrispondente vaticano"; l'anno successivo egli iniziò la collaborazione anche a Il Tempo di Roma, del quale, nel frattempo, lo stesso Missiroli aveva assunto la direzione.

Il B. aveva, intanto, fondato nel 1919 una nuova rivista: Religio. Per i primi due fascicoli, Nicola Turchi figurava come direttore ed essa aveva rapprovazione ecclesiastica. Nei due fascicoli seguenti (pubblicati nel 1920) come direttore figurava l'egittologo G. Farina e veniva meno l'approvazione ecclesiastica. Col quarto fascicolo del secondo anno (1920, ma pubblicato nel marzo del 1921) la rivista cessò le pubblicazioni. Nel terzo fascicolo del secondo anno (pubblicato nel dicembre del 1920) comparve un articolo del B., Le esperienze fondamentali di Paolo (pp.106-121), alcune frasi del quale furono interpretate dall'autorità ecclesiastica come negazione della presenza reale del Cristo nell'eucaristia. Di conseguenza, con decreto 14 genn. 1921 (Acta Apost. Sedis, XIII [1921], p. 42: si veda Bilychnis, XVII[1921], pp. 38-39), il S. Uffizio lo dichiarò scomunicato e sospeso a divinis. Tra il gennaio ed il marzo vi fu uno scambio epistolare tra il B. ed il cardinal Gasparri (si vedano i documenti in Una fede e una disciplina), ma la questione restò irrisolta perché, se da un lato il B. riaffermava i diritti della critica storica, dall'altro l'autorità ecclesiastica opponeva che l'affermata autonomia scientifica di fronte al magistero della Chiesa era in contrasto col giuramento antimodernista che egli aveva pronunciato. Né, d'altra parte, il B. era disposto ad accettare quella che era la condizione essenziale posta per la reintegrazione: l'abbandono della cattedra.

In questo clima di tensione psicologica, il 28 marzo e il 2 aprile, il B. tenne, in una sala di palazzo Altieri, due conferenze aventi per tema L'essenza del cristianesimo, pubblicate l'anno successivo. Chiaramente, il tema era ispirato a quello delle famose conferenze che lo Harnack aveva tenuto, nel 1900, all'università di Berlino e, appunto, le argomentazioni dello Harnack egli intendeva ribattere senza, però, ricadere nella critica "tendenzialmente razionalistica" (Pellegrino..., p. 183)che il Loisy ne aveva fatto in L'Evangile et l'Eglise:di una "essenza" del cristianesimo si può e si deve parlare secondo il B., ma essa non va identificata, come aveva fatto lo Harnack, nella concezione della paternità di Dio, bensì nel più riposto e pregnante significato della predicazione di Gesù, l'annuncio della μετάνοια intesa come rovesciamento totale di tutti i valori. È questa "essenza" che la critica storica deve riportare allo scoperto togliendo via tutto ciò che, sul valore originario ed immutabile del cristianesimo, si è venuto col tempo accumulando. Appunto per questa ragione, com'egli affermava in una delle sue lettere al cardinale Gasparri, "l'indagine critica non può portare a posizioni contrastanti con l'essenza della vita cristiana cattolica".

Dopo una seria malattia, pur restando egli fermo nella decisione di non abbandonare la cattedra, grazie alla mediazione del Gasparri, il B. rilasciò una sua "dichiarazione di fede" (pubblicata su L'Osservatore romano dell'8 aprile) ottenendo la revoca del provvedimento adottato nei suoi confronti. I buoni rapporti col cardinal Gasparri furono, però, turbati verso la fine del settembre da un incidente giornalistico: la pubblicazione su Il Messaggero di Roma e su IlSecolo di Milano di una "nota vaticana" del B. contenente un accenno abbastanza esplicito all'atteggiamento della S. Sede nei confronti del problema di una possibile riconciliazione con lo Stato italiano.

Nel 1922 l'attività giornalistica lo assorbì quasi interamente: su Il Mondo del 7 febbraio tracciò un profilo di Achille Ratti, non del tutto benevolo nei confronti del papa neoeletto, e in quello dell'8 novembre manifestò la propria apprensione nei confronti della presa del potere da parte dei fascisti.

L'anno seguente il B. raccolse una serie di ventuno tra i suoi scritti di maggior rilievo: Saggi sul cristianesimo primitivo (Città di Castello 1923), e una serie di suoi articoli già apparsi su alcuni quotidiani: Voci cristiane (Roma 1923). La Theologische Literaturzeitung (XLVIII[1923], coll. 516-518) recensì i due libri prendendo contemporaneamente in esame i primi tre volumi della collezione "Scrittori cristiani antichi" di cui il primo era la traduzione ed il commento della Lettera a Diogneto, pubblicata dal B. nel 1921 a Roma. Come quarto volume della stessa collezione, nel 1923 comparvero i Frammenti gnostici, breve profilo dello gnosticismo con ampie citazioni dalle fonti, ove la posizione del B. si palesa molto più vicina a quella del Bousset che a quella dello Harnack.

Verso la fine del 1923, nella collana "Apologie" di Formiggini, che usciva a Roma, il B. pubblicò una Apologia del cattolicismo. Nello scritto, che recava l'imprimatur ecclesiastico, egli riportava, quasi per intero e con le stesse parole, l'articolo su Paolo per il quale era stato scomunicato, omettendo solamente il passo sull'eucaristia con l'evidente intenzione di legittimarlo. All'inizio dell'anno seguente, pubblicò a Foligno un nuovo saggio di "apologetica religiosa": Verso la luce. Composto nell'eremo di S. Donato, una casa semidiruta del vecchio cenobio benedettino sulle pendici del monte Autore, nei Simbruini (si veda Pellegrino..., pp. 161 e 531 n. 194), ove il B. soleva trascorrere l'estate con i discepoli, recava anch'esso l'approvazione ecclesiastica; purtuttavia, il 29 marzo egli ricevette la notizia che il S. Uffizio aveva preparato un decreto di scomunica e, invano, il giorno successivo tentò di farsi ricevere dal cardinal Merry del Val (si veda, al riguardo, Una fede e unadisciplina, pp. 80-81 e Pellegrino..., pp. 206-209). La vera ragione immediata del decreto, recante la data del 28 marzo (Acta Apost. Sedis, XVI [1924], p. 159), col quale vennero anche poste all'Indice tutte le sue opere, sfugge; è, però, probabile che la causa immediata ne sia stata la sua attività didattica (il decreto gli interdiceva espressamente l'insegnamento). Il raffreddamento col card. Gasparri aveva probabilmente permesso al S. Uffizio di riporre sul tappeto la questione, poiché la condizione posta nel 1921 per la sua reintegrazione, appunto l'abbandono della cattedra, non era stata rispettata.

Durante l'estate, nell'eremo di S. Donato, il B. progettò la fondazione di una nuova rivista di studi storico-religiosi, Ricerche religiose, il cui primo fascicolo apparve nel gennaio del 1925. Alla fine del mese, con decreto del 30 gennaio (Acta Apost. Sedis, XVII[1925], p. 69) essa fu condannata e venne altresì interdetto al B. l'uso dell'abito talare. In una Dichiarazione (Ric. rel., I [1925], p. 203) egli affermò però di voler conservare, nonostante il divieto, la divisa sacerdotale e pubblicò la cronaca documentata della sua controversia col Vaticano dal 1921. Una fede e unadisciplina (Foligno 1925). Alla pubblicazione fece eco la Civiltà cattolica (LXXVI [1925], 2, pp. 229-247; 3, pp. 220-238) e ne seguì un'aspra polemica.

Sul terreno più specificamente scientifico, come undicesimo volume degli "Scrittori cristiani antichi", il B. pubblicò Detti extracanonici di Gesù e, nel primo fascicolo di Ricerche (pp.14-34), Paolo e Apollo, sostenendo che la polemica di Paolo nella I e IIai Corinzi sarebbe stata diretta non contro una fazione giudaizzante, bensì contro l'atteggiamento intellettualistico di Apollo; contemporaneamente, per i "Profili" di Formiggini, pubblicò uno schizzo della vita e dell'attività dell'apostolo del quale l'Omodeo (Il Leonardo, II [1926], pp. 36-37)fece una recensione poco benevola seguita da una polemica piuttosto aspra.

Nel dicembre, il B. inviò una lettera al papa chiedendo di essere riammesso nella Chiesa. Gli fu mandato il padre Agostino Gemelli col quale il B. ebbe, anche in presenza di quattro suoi discepoli (si veda Pellegrino..., pp. 242 ss. e 541 n. 161), alcuni incresciosi colloqui. Da una lettera al Bietti dell'8 febbraio del 1926 (in Bedeschi, B., p. 354) risulta che "la prima cosa che mi disse è che la scomunica "vitando" era preparata da molto tempo". Nel tentativo di evitare un tale provvedimento, il 14 gennaio il B. chiese il collocamento in aspettativa e, il 18, lo mutò nella richiesta di un congedo straordinario per la durata di un mese che, il 20, gli venne concesso. Egli ne dette subito comunicazione al Gemelli che, il 23, fece nuovamente presente la condizione essenziale posta dal Vaticano: l'abbandono della cattedra. Il B. non rispose e con decreto del 25, pubblicato quello stesso giorno sull'Osservatore romano (Acta Apost. Sedis, XVIII[1926], pp. 40-41), venne dichiarato "nominatim excommunicatus et expresse vitandus" (Civ. catt., LXXVII [1926], 1, pp. 341-346).

Il B. avrebbe dovuto riprendere le lezioni il 18 febbraio. Le riprese effettivamente (Pellegrino..., p. 251). ma l'indomani venne chiamato dal ministro P. Fedele il quale gli chiese, a nome del capo del governo, di interrompere le lezioni e di accettare un incarico extra-accademico, perché ciò avrebbe facilitato le trattative, ormai in corso, tra l'Italia e la S. Sede in vista di una soluzione della questione romana. Il B. accettò, e venne incaricato di attendere alla compilazione del catalogo delle opere agiografiche della Biblioteca Vallicelliana di Roma, per il periodo di un anno dal 23 febbraio.

In effetti, fin da allora, il Vaticano doveva aver posto come condizione per l'avvio delle trattative l'allontanamento definitivo del B. dalla cattedra. Per tale ragione - l'espressione è sua (Pellegrino..., p. 263) - egli era considerato dal governo italiano una "posta di ricatto": è dell'inizio, del 1927(H. Hermelink, in Die christliche Welt, XLI [1927], n. 3, col. 138) l'episodio (collocato dal B. stesso nel marzo dell'anno seguente, Pellegrino..., p. 263) dell'invito del ministro Fedele a riprendere le lezioni, cui seguì, da parte del Fedele stesso, un nuovo invito ad astenersene. Contemporaneamente, un tentativo, suggerito forse dallo stesso Fedele, di spostare, su sua richiesta, il B. ad un'altra disciplina (letteratura cristiana del Medioevo) cadeva di fronte alla violenta reazione del Vaticano, che minacciò financo di lanciare l'interdetto sull'università (il B., Pellegrino..., pp. 253 s., colloca tale minaccia nel 1926, ma il Margiotta-Broglio, Italia e Santa Sede, pp. 172-173 ha corretto la data nel 1927:si veda Scoppola, La Chiesa e il fascismo, Bari 1971, p. 157, e la lettera del 15ott. 1927al Cagnola, in Bedeschi, B., p. 358). Il 17ottobre, il B. ebbe un altro colloquio col Fedele ed è, quasi certamente, nel corso di esso che egli chiese al ministro di curare l'edizione di Gioacchino da Fiore (lettera al Cagnola del 29ottobre, ibid., p. 361):il relativo decreto, probabilmente antedatato, reca la data del 12febbraio.

Nonostante queste vicissitudini, la sua attività proseguiva intensissima. Nel 1926 uscì a Bologna un libro su Lutero e la riforma in Germania.

Violentemente antiprotestante, si può anche pensare che egli sia stato indotto ad accentuarne il tono polemico nella speranza che ciò potesse valergli come prova dell'effettivo desiderio di rientrare nella Chiesa; ma lo scritto esprime, in realtà, quello che era stato e sarà il suo atteggiamento nei confronti della cultura e della filosofia tedesca (si veda il suo più tardo scritto in Hochkirche, XV [1933], pp. 321-323).Qual fosse, allora, il suo atteggiamento nei confronti del mondo protestante appare anche chiaramente dalla violenta polemica (Bilychnis, XXVII[1926], pp. 285 e 300-301; Il Mondo del 10, 16 e 18giugno e del 6luglio 1926; Conscientia, V [1926], n. 28del 10 luglio 1926, e Civ.catt., LXXVII [1926], 3, pp. 426-438)seguita alla pubblicazione, presso Formiggini, di due "profili": quello di Gesù e quello di Francesco d'Assisi (Roma 1926).

Specialmente in questi ultimi scritti si riflette chiaramente l'influenza che sul B. esercitò la conoscenza delle ricerche di psicologia religiosa di Rudolf Otto (DasHeilige, Gotha 1917, opera di cui il B. pubblicò, nel 1926, una traduzione presso Zanichelli). L'Otto, nel fatto religioso, aveva distinto l'"irrazionale" e "numinoso" ineffabile alla comprensione concettuale dall'elemento "razionale", da quella, cioè, che egli definiva "la nozione teistica del divino". Nell'esperienza religiosa di Francesco il B. riconobbe una manifestazione tipica e caratteristica del "numinoso", che, in seguito, venne mortificata nello schema di un Ordine religioso. Allargando la sfera della ricerca, la sua attenzione si soffermò sul movimento francescano nel suo insieme e sulle caratteristiche stesse della religiosità medievale: di qui, essa si polarizzò su quello che, d'ora in poi, sarà uno dei punti centrali dei suoi interessi di studioso, Gioacchino da Fiore, del quale nel 1927 pubblicò presso Carabba un'antologia degli scritti più significativi.

Nello stesso anno, nella collezione "Christianisme" diretta da P. L. Couchoud, tradotto direttamente dal manoscritto, uscì a Parigi Le modernisme catholique, un'appassionante difesa del modernismo. La Civiltà cattolica (LXXVIII [1927], 3, pp. 139-151)non mancò di commentare lo scritto con un articolo cui seguì una polemica violentissima.

Nel 1928 il B. pubblicò tre libri di rilievo: Il cristianesimo nell'Africa romana (Bari), Le origini dell'ascetismo cristiano (Pinerolo) e Ilmisticismo medioevale (ibid.). Un'eco notevole ebbe il primo di essi nel quale il B. ricostruiva lo sviluppo del cristianesimo africano riconoscendo in esso quello che, più di ogni altro, aveva conservato le originarie caratteristiche escatologiche.

L'epistolario col Cagnola (su cui T. Gallarati Scotti, Interpretazioni e memorie, Milano 1960, p. 156; Bedeschi, B. pp. 34 ss., 68 n. 10) permette di ricostruire taluni contatti intercorsi tra il B. e la Curia negli ultimi mesi precedenti la firma del concordato dei quali non è cenno nell'autobiografia. Intorno alla metà dell'ottobre, la Curia iniziò, presso il B., passi per la sua reintegrazione che proseguirono poi con tergiversazioni. Ben presto, però, cadde ogni speranza e quasi certamente l'episodio va posto in correlazione con le ultime trattative prima della firma del concordato e dà la precisa impressione di un tentativo di fiaccare la sua resistenza psichica. Pur non giungendo alla destituzione, tutte le norme del concordato vennero applicate contro di lui: nel febbraio del 1930 il B. è invitato a dismettere l'abito talare; nel giugno, la partecipazione alle commissioni d'esame gli è interdetta.

Tra il 1928 ed il 1931 l'attività scientifica del B. appare assorbita dal lavoro su Gioacchino da Fiore. Nel 1928 egli aveva pubblicato due articoli (Ric. rel., IV [1928], pp. 385-419, 497-514) che andranno a comporre parte dell'introduzione del Tractatus super quatuor Evangelia, pubblicato dall'Istituto storico italiano per il Medio Evo nel 1930. Le sue ricerche su Gioacchino continuarono e, nel 1930, nella "Collezione di studi meridionali" diretta da U. Zanotti Bianco, venne pubblicato a Roma Gioacchino da Fiore. I tempi. La vita. Il messaggio, nel quale è posto l'accento essenzialmente sul carattere escatologico del messaggio gioachmita e sulla sua estraneità a preoccupazioni di ordine teologico. Per queste opere il B. ottenne l'Edward Kennard Rand Prize dalla Medieval Academy of America (Ric. rel., IV[1930], p. 288, e Speculum, VII[1932], p. 269) e, come ci testimoniano le lettere al Cagnola, venne invitato a trasferirsi negli Stati Uniti, ma egli non seppe mai risolversi ad un simile passo.

Nel novembre del 1931 il B., come tutti i professori universitari, ricevette l'invito a prestare il giuramento di fedeltà al regime fascista. Il 19 egli scrisse una lettera al rettore (la si veda in Pellegrino…, pp. 544 s. n. 199), nella quale affermava che "a norma di precise prescrizioni evangeliche (Matteo, V, 34) …reputo mi sia vietata ogni forma di giuramento". Di conseguenza, con r.d. del 28 dic. 1931 venne dispensato dal servizio a partire dal 1º gennaio successivo.

G. Levi Della Vida che, nel rifiuto, gli era stato compagno, così ha spiegato le ragioni di quel gesto: "sembrerebbe che nella sua determinazione abbia agito nel subcosciente l'aspirazione a uscire, sia pure con uno strappo doloroso, dalla situazione assurda in cui l'aveva messo l'ambigua politica del governo" (Fantasmi ritrovati, Venezia 1966, p. 144).

La perdita della cattedra, che sempre il B. aveva difeso di fronte alle pressanti richieste dell'autorità ecclesiastica e che aveva sempre considerato come lo strumento più atto all'espletamento della sua missione sacerdotale, ebbe ripercussioni non indifferenti anche sul suo atteggiamento nei confronti della Chiesa: ne è espressione La Chiesa romana, pubblicato nel dicembre del 1932 a Milano e subito posto all'Indice condecreto del S. Uffizio del 25 genn. 1933 (Acta Apost. Sedis, XXV [1933], p. 36).

Nel libro, alla Chiesa "com'è" è contrapposta la Chiesa "come è stata" e, alla critica dell'una, corrisponde l'esaltazione dell'altra. "Il libro più significativo del B." lo definì l'Omodeo (La Critica, XXXI [1933], pp. 299-301) per la nettezza della critica formulata nei confronti dell'istituzione ecclesiastica. Per contro, la visione rigidamente ecclesiocentrica che il B. vi aveva dato del Medioevo venne criticata dal Salvatorelli (La Cultura, XII [1933], pp. 374-391).

Sul piano pratico, questo mutamento di atteggiamento portò il B. ad accostarsi ai gruppi protestanti romani, presso i quali trovò, dal 1932, la possibilità di tenere conferenze e lezioni, ormai l'unica sua possibilità di svolgere quella che sentiva come la sua missione imprescindibile ed anche di provvedere al proprio sostentamento materiale. Dal 1933 prese anche sistematicamente parte ai convegni organizzati ad Ascona, nel Canton Ticino, da Olga Fröbe Kapteyn sotto la denominazione di "Eranos".

Le conferenze tenute a Torino, a Milano e a Genova nel 1933 furono pubblicate a Modena nel 1935 col titolo Pietre miliari nella storia del cristianesimo (poste all'Indice con decreto del S. Uffizio del 15 genn. 1936: Acta Apost. Sedis, XXVIII [1936], p. 71). Ad intralciare questa attività non mancarono interventi della polizia su sollecitazione delle autorità ecclesiastiche che vietarono ai cattolici di intervenire alle conferenze del B. sotto pena di gravi sanzioni canoniche.

Nel novembre 1934 a Milano il B. tenne una serie di conferenze dal titolo: La fede dei nostri padri, pubblicate a Modena da Guanda nel 1944, in cui è formulata quella che appare come una delle posizioni più caratteristiche del pensiero dell'ultimo B., secondo la quale la cultura di tutti i popoli affacciantisi sul Mediterraneo sarebbe stata influenzata, ad un certo momento del suo sviluppo storico, da concezioni dualistiche di origine iranica che avrebbero permeato di sé sia le concezioni filosofiche sia quelle religiose.

Nel 1935 il B. tenne un corso di lezioni all'università di Losanna come Gastprofessor, iniziando così un'attività che si protrarrà fino allo scoppio della guerra. In Italia, le sue conferenze ebbero ad oggetto l'affacciarsi delle concezioni dualistiche nel mondo greco: il B. lo individua nella reinterpretazione, in termini di religiosità orfico-dionisiaca, della vecchia tradizione mitologica operata dai tragici greci; rielaborate, esse vennero pubblicate a Roma nel 1938 col titolo Amore e morte nei tragici greci.

Nel 1936 il B. pubblicò a Modena Dante come profeta, ponendo l'accento sulle profonde affinità tra il mondo religioso di Dante e quello di Gioacchino da Fiore e, di quest'ultimo, curò l'edizione del De articulis fidei. Nel 1937, a Oxford, su invito del World Congress of Faiths parlò su Il bisogno mondiale della religiosità (pubblicato in italiano in Religio, XIV [1938], pp. 161-178). Questo scritto è molto importante perché documenta un momento significativo nell'evoluzione religiosa del B.: la reviviscenza religiosa gli appare adesso affidata agli esuli di tutte le chiese costituite, per cui la dialettica non è più ristretta alla Chiesa romana e a coloro che lottano contro la sua sclerotizzazione, ma diventa dialettica tra morale e religione statica e morale e religione dinamica.

Nel gennaio del 1939 (non del 1936, come, erroneamente, afferma nell'autobiografia, pp. 340-341) venne offerto al B. di diventare professore ordinario presso la facoltà di teologia dell'università di Losanna. Poiché, però, la posizione di professore ordinario comportava anche l'adesione alla Chiesa riformata, egli rifiutò l'offerta. Un provvedimento del ministero della Cultura Popolare sulla riduzione della stampa periodica colpì in quell'anno la rivista del B. il cui ultimo numero fu quello di settembre-ottobre.

Il 22luglio 1941 morì la madre.

Come scrisse al Bietti il 7 agosto (lettera in Bedeschi, B., p. 226), egli si sentì improvvisamente solo. Il 2 ottobre scriverà al Niccoli (Biblioteca Naz. di Firenze, cassetta 446, cart. 33): "Io ho avuto sempre più la sensazione di essere una pianta di edera strettamente abbarbicata al tronco solido della sua forza e della sua volontà". Quando, nell'autobiografia (pp. 448-457), cercherà di cogliere l'influenza esercitata su di lui da questa donna, avrà presente soprattutto gli ultimi anni, quando, cioè, "l'idea che i verdetti ecclesiastici potessero... non avere una sanzione divina" aveva modificato l'atteggiamento che essa aveva tenuto durante gli anni più tormentati.

Al dolore per la morte della madre si aggiunsero le angustie per le ristrettezze finanziarie. Non volendo egli chiedere aiuto al Cagnola, il Bietti cercò, in qualche maniera, di venirgli incontro (si veda la lettera a questo del 18 ottobre del 1941 in Bedeschi, B., p. 226) e gli acquistò parte della sua biblioteca per conto del seminario milanese di Venegono.

Nel 1942 l'editore Corbaccio di Milano pubblicò il primo dei tre volumi (gli altri saranno pubblicati l'anno successivo) della sua Storia del cristianesimo (condannata e posta all'Indice il 16 dic. 1942: Acta Apost. Sedis, XXXIV [1942], p. 375).

Nell'opera il B. compendiò e riassunse tutte le sue ricerche precedenti (anche gli scritti di cronaca politica e vaticana, poiché il terzo volume arriva fino al concordato) esponendo lo "sviluppo del fatto cristiano nella storia" com'esso gli era apparso in ormai quarant'anni di ricerche. Esso non è, però, un vero e proprio "sviluppo", ma solo un drammatico alternarsi di reviviscenze e di degenerazioni: l'esperienza religiosa rinasce continuamente per essere immancabilmente costretta entro gli schemi del dogma, dell'ortodossia, della disciplina ecclesiastica. La traduzione in tedesco dei primi due volumi dell'opera presso l'editore A. Franke di Berna (il terzo, per la morte del traduttore H. Markum, non è mai stato pubblicato) la rese accessibile ad un numero maggiore di studiosi, suscitando vari giudizi: a coloro che hanno considerato il libro da un punto di vista puramente critico, esso è apparso del tutto inaccettabile (C. Schneider, in Gnomon, XXIV [1952], pp. 291-292); chi, invece (W. Wölker, in Deutsche Literaturzeit., LXXIV [1953], coll. 133-138), mostra di essersi documentato sulla figura e sulla personalità dell'autore e giudica l'opera da un punto di vista più ampio, ha potuto dare del libro un giudizio diverso, sottolineandone la "forza della visione d'insieme".

Con decreto del S. Uffizio del 17 maggio 1944 (Acta Apost. Sedis, XXXVI [1944], p. 176) tutte le opere del B. pubblicate dopo il 1924 vennero poste all'Indice: è questo l'ultimo provvedimento ecclesiastico che lo abbia colpito.

Con la caduta del governo fascista venne meno la ragione del suo esonero dall'insegnamento e il B. chiese, di conseguenza, la reintegrazione. Il 21 ag. 1944, scrisse, pertanto, in tal senso al ministro della Pubblica Istruzione, Guido De Ruggiero (si veda la lettera in Margiotta-Broglio, Italia e Santa Sede, pp. 540 s., doc. n. 152), ma questi rispose prospettandogli la difficoltà frapposta dall'articolo 5 del concordato. Il B. ribatté al ministro ricordando che al concordato non era stato dato valore retroattivo ed il 6 marzo 1945 scrisse al nuovo ministro, V. Arangio-Ruiz. Ma, come esplicitamente ammise la stessa S. Sede (L'Osservatore romano del 22-23 apr. 1946), vennero esercitate, tramite il nunzio in Italia, monsignor Borgongini Duca, pesanti pressioni sul governo italiano, per cui, quando il B., con decreto del 12 apr. 1945, venne, a tutti gli effetti, reintegrato nella carriera dal 1º genn. 1932, con decreto di pari data, fu incaricato di attendere a studi sul gioachimismo del Duecento e Trecento.

Nell'ottobre del 1945 il B. pubblicò a Roma la sua autobiografia: Pellegrino di Roma. La generazione dell'esodo.

"Tra poche settimane - scriveva al Bietti il 9 luglio (si veda Bedeschi, B., p. 264) - uscirà il volume delle mie memorie. Porta il titolo che è tutto il mio programma. Ma si tratta di un pellegrinaggio che è giunto al suo termine e che si conclude nettamente con un risoluto e irrevocabile esodo". Il libro, che ebbe un'eco molto vasta, è un'appassionata "apologia pro vita sua" e, insieme, come ha detto A. Pincherle (Rivista di storia e letteratura relig., I [1965], p. 171), una "historia calamitatum", nella quale tutte le vicende della sua vita appaiono riconsiderate alla luce delle sue esperienze più recenti; per questo le pagine conclusive sono molto importanti per comprendere quale fosse, in un momento che egli sentiva come una svolta radicale nella storia dell'umanità, il suo atteggiamento spirituale e morale. Egli sente di appartenere alla "generazione dell'esodo", a quella generazione cui è dato, non solo assistere, ma anche compiere la rottura dell'angustia della religione sclerotizzata nella legge e nella disciplina ecclesiastica, per far rivivere la vera, genuina esperienza religiosa.

Come scrive a E. Santarelli il 15 nov. 1945 (si veda Rassegna marchigiana, III[1950], p. 12), sente di vivere "una nuova primavera di febbrile lavoro"; fonda nel marzo Il Risveglio, Settimanale di tecnica della vita associata, e poi il 1945, Sestante della realtà in costruzione, il cuiprimo numero uscì il 16 giugno.

Dal settembre del 1944 egli aveva, intanto, ripreso le lezioni presso l'Y.M.C.A. Nel 1945-1946 esse avevano ad oggetto Il problema religioso e l'Italia e vennero seguite da un gruppo di studenti universitari che invitarono il B. a trasferire il suo corso in un'aula dell'università, avanzando, in tal senso, richiesta al rettore. Questi, dopo qualche esitazione, la concesse e il 29 genn. 1946, il B. poté tenere lezione in un'aula dell'università di Roma. Egli prese ad oggetto di queste lezioni le epistole paoline, ma, dopo la prima, esse furono interrotte per diretto intervento del nunzio apostolico (Bedeschi, B., p. 452); il 23 febbraio poté riprenderle; il 16 marzo tenne l'ultima di esse. Nella notte sul 17 si manifestò, infatti, improvvisamente, la malattia, una miocardite che, nel pomeriggio del 19, apparve gravissima. Nella notte sul 17, il B. dettò il proprio testamento spirituale (lo si veda in Pellegrino..., pp. 512 s.): il suo attaccamento, tante volte riaffermato, alla Chiesa romana appare definitivamente incrinato: "Mi sento partecipe, in speranze e comunione, con quella nuova chiesa cristiana ecumenica, a cui ho veduto lavorare quelle denominazioni evangeliche che mi sono sempre apparse salutarmente travagliate da un autentico spirito di fraternità, di pace e di vita carismatica nel mondo".

Pochi giorni dopo si presentò a lui il cardinal Francesco Marmaggi; recava le condizioni poste dal Vaticano per la sua riammissione nella Chiesa: avrebbe dovuto sottoscrivere una dichiarazione in cui affermava di accettare tutto ciò che la Chiesa professa, riprovando tutto ciò che essa riprova. Il B. rifiutò (si veda il biglietto scritto a C. Barbagallo in L'Avanti! del 27 aprile).

Morì il 20 aprile 1946.

Nel B. lo storico ed il pensatore religioso sono strettamente connessi, sì che non è possibile dare un giudizio su uno di questi due aspetti della sua personalità prescindendo dall'altro. Come ebbe a definirla nel 1908, per il B. l'esperienza religiosa fu essenzialmente "escatologia, attesa, cioè, impaziente di ultimi eventi"e chi ne scorra gli scritti si accorge facilmente che l'attesa di una palingenesi imminente e radicale è forse la vera nota dominante, il vero Leitmotiv, del suo pensiero. Se è certamente vero che questa palingenesi, durante gli anni della sua giovinezza, ha una coloritura mondana e "sociale" piuttosto marcata, a ben guardare, anche in quegli anni, essa non esorbita mai dal piano religioso: in ultima analisi, non coglieva nel segno il rimprovero del Tyrrell che il suo fosse "un regno di Dio puramente economico".

Al contrario, solo tenendo conto di tale iniziale atteggiamento, che non verrà mai veramente meno e che riaffiorerà in maniera significativa nei suoi ultimi anni, è possibile rendersi conto esattamente di che cosa egli intendesse per "escatologia" e, di conseguenza, come vedesse la stessa esperienza religiosa: escatologia è l'attesa di un rovesciamento totale della realtà, rovesciamento che è, insieme, spirituale e materiale. Di questa palingenesi, egli si sentì sempre - e ciò andò sempre più accentuandosi nel corso della sua vita - l'annunciatore; e "profetica", come ha più volte posto in evidenza Giorgio Levi Della Vida, è, nella più riposta essenza, la sua religiosità. Egli annunciò la rigenerazione della Chiesa, che a lungo cercò di identificare con la Chiesa romana, ma che, in realtà, altro non era se non la κοινωνία, per adoperare una sua caratteristica espressione, di coloro che sarebbero stati partecipi di quella palingenesi. Per lui, l'esperienza religiosa non è mai, infatti, singola e individuale, ma sempre qualcosa che interessa un gruppo, una collettività. Ciò spiega anche, in parte, la ragione per la quale, nella sua prima formulazione, essa sembrò identificarsi col socialismo.

Questa sua prospettiva religiosa ha inciso in maniera determinante sul suo lavoro di storico. Quando il B. si affacciò al mondo intellettuale nei primissimi anni del secolo, l'avvenimento più saliente nel campo degli studi religiosi era certamente la controversia Harnack-Loisy, ma egli, pur professandosi, allora, ammiratore del Loisy, non seppe cogliere la profonda intuizione storica che era alla base de L'Evangile et l'Eglise e, di conseguenza, la più che fondata critica alle affermazioni dello Harnack; e, dallo Harnack, raccolse, sia pure indirettamente, la concezione che il cristianesimo fosse storicamente schematizzabile in un nucleo centrale attorno al quale sarebbe avvenuta una vera e propria superfetazione di elementi estrinseci. Di conseguenza, egli intese il lavoro dello storico essenzialmente come il lavoro di rimozione di questi elementi estrinseci, allo scopo di riportare alla luce il nucleo originario del cristianesimo, per cui egli fu portato a vedere in esso un momento essenziale della stessa esperienza religiosa. In una lettera al Cagnola del 6 giugno 1958 (si veda Bedeschi, B., p. 380) aveva affermato di essersi sentito chiamato a liberare l'essenza del cristianesimo dalle sue sovrastrutture, atteggiamento questo che permette di comprendere bene la sua inesauribile carica di proselitismo, che gli procurò una così tenace ostilità da parte della Curia; che spiega il suo disperato attaccamento alla cattedra, l'affermazione più volte ripetuta che l'insegnamento era per lui la vera esplicazione della sua missione sacerdotale: il fatto che il suo vero mezzo di espressione fosse piuttosto la voce che la pagina scritta.

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Don Ernesto Buonaiuti (Roma, 25 giugno 1881 – Roma, 20 aprile 1946) è stato un presbitero, storico, antifascista, teologo, accademico italiano, studioso di storia del Cristianesimo e di filosofia religiosa, fra i principali esponenti del modernismo italiano. Scomunicato e dimesso dallo stato clericale dalla Chiesa Cattolica per aver preso le difese del movimento modernista, fu prima esonerato dalle attività didattiche, in base ai Patti Lateranensi tra Chiesa e Regno d'Italia, e poi privato della cattedra universitaria per essersi rifiutato, con altri 13 docenti soltanto, di giurare fedeltà al regime.

Vita

Ernesto Buonaiuti nacque a Roma, in via di Ripetta 102, il 25 giugno 1881, quartogenito di Leopoldo e Luisa Costa. Il padre, gestore di una rivendita di tabacchi, morì nel 1887 di tubercolosi, lasciando la moglie (che non si risposò mai e visse quasi sempre con Ernesto fino alla morte, avvenuta nel 1941), e cinque bambini. Da un primo matrimonio, infatti, aveva avuto la figlia maggiore Augusta; dei suoi sette figli di secondo letto soltanto tre, oltre Ernesto, superarono la prima infanzia: uno, Alfredo, divenne sacerdote e parroco di Settecamini, un altro, Alarico, fu insegnante di italiano nelle scuole consolari e pubblicista, venendo iniziato alla Massoneria [2], mentre il minore, Pasquale, esercitò il mestiere di ebanista[3]. Ernesto ricevette la prima educazione religiosa dalla madre e nella parrocchia di San Rocco, adiacente alla casa di via di Ripetta.

Dopo avere frequentato il seminario dell'Apollinare di Roma (qui fra i suoi compagni vi fu Angelo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII[4]), fu ordinato sacerdote il 19 dicembre 1903. Durante il periodo degli studi aveva dimostrato ben presto doti intellettuali fuori dal comune, incorrendo però in sanzioni da parte dei superiori per la troppa libertà dimostrata nell'apprezzare le moderne impostazioni scientifiche delle discipline religiose. Proseguì i suoi studi, collaborando con lo storico delle religioni Salvatore Minocchi, utilizzando le risorse offerte dal metodo positivo allo studio del Cristianesimo primitivo (Il cristianesimo primitivo e la Politica imperiale romana, 1911).

Fondò a soli 24 anni la Rivista storico-critica delle scienze teologiche, per la diffusione della cultura religiosa in Italia e diresse in seguito la rivista Ricerche religiose. Queste riviste, premiate almeno in un primo momento da un discreto successo editoriale, vennero poste poi all'Indice. Il 25 gennaio 1925 era stato colpito con la scomunica, ribadita più volte, per aver preso le difese del movimento modernista soprattutto nelle opere Il programma dei modernisti (1908) e Lettere di un prete modernista (1908), contro la posizione ufficiale della Chiesa espressa nell'Enciclica Pascendi dominici gregis, emanata da Pio X nel 1907. Nell'autobiografia (Il pellegrino di Roma, 1945), Buonaiuti ricostruì il conflitto con la Chiesa cattolica, della quale, nonostante la scomunica, continuò a proclamarsi figlio fedele.

Nel 1915 vinse il concorso a cattedra, bandito per ricoprire il ruolo di professore ordinario di Storia del cristianesimo rimasto vacante per la morte Baldassarre Labanca, presso l'Università di Roma, prevalendo su altri candidati illustri come lo stesso Minocchi, Adolfo Omodeo, Luigi Salvatorelli e Umberto Fracassini. Gli anni di insegnamento, liberamente esercitato presso un Ateneo statale a dispetto delle censure ecclesiastiche, gli permisero di formare un gruppo di allievi, tra i quali spiccano Agostino Biamonti, Ambrogio Donini (che dopo la fine della guerra sarebbe stato professore di Storia del Cristianesimo a Bari e senatore comunista) e Marcella Ravà (poi divenuta direttrice della Biblioteca Nazionale di Roma), fortemente attaccati alla figura e all'opera del maestro. In seguito al Concordato del 1929, tuttavia, venne esonerato dalle attività didattiche e assegnato a compiti extra-accademici, come direttore dell'Edizione Nazionale delle Opere di Gioacchino da Fiore. La cattedra universitaria gli fu tolta definitivamente nel 1931 per aver rifiutato di prestare il giuramento di fedeltà al Fascismo, al pari del suo amico Giorgio Levi Della Vida, che di lui lasciò un affettuoso ricordo di grande valore scientifico e umano nel suo Fantasmi ritrovati[5].

Gli anni successivi, segnati dagli stenti per via della sospensione dello stipendio, lo videro impegnato nell'attività di conferenziere, sempre sotto l'osservazione della polizia segreta fascista, soprattutto presso la congregazione metodista romana e di professore ospite presso l'Università di Losanna in Svizzera, dove tenne cicli di lezioni sulla storia del Cristianesimo. L'offerta di una cattedra stabile di Storia del Cristianesimo presso la Facoltà di Teologia della stessa Università fu da lui declinata, poiché richiedeva come condizione la sua adesione ufficiale alla confessione cristiana riformata.

Dopo la fine della guerra, nel 1945, Buonaiuti non fu comunque reintegrato nel ruolo di professore ordinario come era accaduto per gli altri colleghi superstiti che non avevano accettato il giuramento di fedeltà al Fascismo, sulla base di una discussa applicazione retroattiva, sostanzialmente ad personam, dei Patti Lateranensi, che prevedeva il divieto, per un sacerdote scomunicato, di occupare una cattedra in una università statale: a favorire questo esito della vicenda ci furono non solo i cattolici della Democrazia Cristiana, ma anche i comunisti e i liberali, riuniti dalla comune ostilità, ereditata dal passato, contro il Modernismo, visto ideologicamente come una corrente cristiana non facilmente inquadrabile nella polarizzazione tra laici e cattolici, sotto il cui segno nasceva il nuovo stato italiano.

Si spense nella sua città il 20 aprile 1946, a seguito dell'aggravarsi dei problemi cardiaci che da tempo lo affliggevano. È sepolto presso il Cimitero del Verano di Roma.

Opere

L'opera di Buonaiuti è sterminata: ha lasciato circa tremilaottocento lavori scritti, fra i quali importanti una "Storia del Cristianesimo" in tre volumi, l'autobiografia (Il pellegrino di Roma) e gli studi su Gioacchino da Fiore (Gioacchino da Fiore: i tempi, la vita, il messaggio) e gli studi su Lutero e la Riforma protestante. Inoltre, un testo sullo gnosticismo (Lo gnosticismo. Storia di antiche lotte religiose, I Dioscuri, Genova 1987). Tra le sue prime opere: Saggi sul cristianesimo primitivo, a cura e con introduzione di Francesco A. Ferrari, pubblicato a Città di Castello, dalla Casa Editrice "Il Solco" (Gubbio, Tip. Oderisi) nel 1923.
Lutero e la Riforma in Germania

Opera pubblicata la prima volta nel 1926, ristampata al termine della seconda guerra mondiale, con l'aggiunta del capitolo La crisi finale, pubblicata infine postuma nel 1958 col titolo Lutero, è nata da un corso universitario svolto da Buonaiuti all'Università di Roma. Nella prima edizione lo scisma di Lutero viene interpretato come espressione dell'individualismo della cultura dell'Europa nel Nord che non aveva assimilato i valori della vita sociale propria del bacino del Mediterraneo. Nel capitolo aggiunto all'edizione del 1945 Buonaiuti indica nel nazionalsocialismo l'ultima e più drammatica conseguenza dello scisma luterano.
Storia del Cristianesimo

L'opera, pubblicata negli anni 1942-1943, si compone di tre volumi, il primo dedicato all'Evo Antico, il secondo all'Evo Medio, l'ultimo all'Evo Moderno.

È considerata l'opera più significativa dell'attività scientifica del Buonaiuti. Come egli stesso ha rievocato nell'autobiografia del 1945, l'opera ha motivazioni apologetiche ("per istituire il bilancio definitivo dell'azione cristiana nella storia, ora che da mille indizi si poteva facilmente e sicuramente arguire che il Cristianesimo si avvicinava ad un'ora di drammatico trapasso").

L'idea centrale dell'opera si svolge intorno al carattere mistico e morale del Cristianesimo e alla sua successiva trasformazione in un sistema filosofico-teologico e in una organizzazione burocratica. Per Buonaiuti, le religioni superiori non sono visioni speculative del mondo e schematizzazioni razionali della realtà, ma indicazione normativa di atteggiamenti pre-razionali e spirituali. Il Cristianesimo, nato come annuncio di palingenesi, veicolava un vastissimo programma sociale "che imponeva un progressivo arricchimento concettuale e un inquadramento disciplinare sempre più rigido. Per vivere e fruttificare nel mondo, il Cristianesimo fu condannato così a snaturarsi e a degenerare" (Storia del cristianesimo, I, p. 15 e segg.). La sola salvezza per la Chiesa e per la società moderna è, per Buonaiuti, il ripristino dei valori elementari del Cristianesimo primitivo: l'amore, il dolore, rimorso, la morte.

Il Pellegrino di Roma (o La generazione dell'esodo)

Opera autobiografica di Ernesto Buonaiuti pubblicata a Roma nel 1945.

Il titolo del libro cita una definizione di Buonaiuti datane dallo storico Luigi Salvatorelli, il quale aveva intitolato un suo saggio "Ernesto Buonaiuti, pellegrino di Roma" per sottolineare l'amore di Buonaiuti per la Chiesa cattolica, nonostante i gravissimi provvedimenti disciplinari presi contro di lui (La Cultura, XII, 1933, pp. 375-391). Buonaiuti riconosce come sue due opere di argomento modernista pubblicate entrambe nel 1908 anonime: Lettere di un prete modernista, considerate tuttavia dall'autore un peccato di gioventù, e Il Programma dei Modernisti. Le posizioni moderniste sono giustificate da Buonaiuti soprattutto da motivazioni scientifiche (critica biblica ed esegesi). Inizialmente il modernismo di Buonaiuti appariva simile alle posizioni della teologia liberale protestante (Albrecht Ritschl, Adolf von Harnack). Le ricerche sulla spiritualità del mondo antico, da Zarathustra ai tragici greci, portarono tuttavia Buonaiuti a riconoscere nelle esperienze spirituali precristiane un'anticipazione della visione cristiana della vita. Buonaiuti si dichiara cattolico e dichiara di voler rimanere tale usque dum vivam (finché avrò vita), come scrisse alla facoltà di teologia di Losanna, la quale gli rifiutò la cattedra di storia del cristianesimo poiché egli non aveva accettato la condizione di aderire a quella Chiesa Evangelica.

Opere

    Gioacchino da Fiore. I tempi – la vita – il messaggio, Collezione Meridionale Editrice, Roma 1930. Nuova edizione, con un'introduzione di Antonio Crocco, Lionello Giordano Editore, Cosenza 1984;
    La Chiesa Romana, Gilardi e Noto, Milano 1933 (nuova edizione con presentazione di Lorenzo Bedeschi, il Saggiatore, Milano, giugno 1971);
    Storia del Cristianesimo, 3 voll., Dall'Oglio, Milano 1941 (nuova edizione in un solo volume a cura di Cesare Marongiu Buonaiuti, Newton & Compton, Roma 2002);
    Pellegrino di Roma. La generazione dell'esodo, Darsena, Roma 1945, (nuova edizione con un'introduzione di Giancarlo Gaeta e una Appendice di Raffaello Morghen, Gaffi, Roma 2008, disponibile anche in copyleft sul suo sito dell'editore);
    Pio XII, Universale, Roma 1946, (nuova edizione, Editori Riuniti, Roma 1964).
    Lo gnosticismo: storia di antiche lotte religiose; Roma: Ferrari, 1907. Nuova edizione con introduzione di Claudio Bonvecchio, Milano: Mimesis, 2012, ISBN 9788857509501

Degli scritti di Buonaiuti ha dato una ampia rassegna l'allieva Marcella Ravà in Bibliografia degli scritti di Ernesto Buonaiuti, con prefazione di L. Salvatorelli, Firenze 1951, seguita dalle Aggiunte alla bibliografia di Ernesto Buonaiuti, in «Rivista di storia e letteratura religiosa», VI, 1970, pp. 235-239.

Note

    1 Citata in G. Andreotti, I quattro del Gesù, Rizzoli, Milano 1999, pag. 24
    2 Cfr. l'introduzione di G.B. Guerri a E. Buonaiuti, Storia del Cristianesimo, Newton & Compton, Roma 2002, p. VII.
    3 Sulla famiglia Buonaiuti si veda G.B. Guerri, Eretico e profeta. Ernesto Buonaiuti, un prete contro la chiesa, Mondadori, Milano 2001, pp. 7-32.
    4 Marco Roncalli, Giovanni XXIII. Angelo Giuseppe Roncalli. Una vita nella Storia, Milano 2006, pagg. 50 e segg.
    5 Napoli, Liguori, 2004 (I ediz. Vicenza, Neri Pozza Editore, 1966)

Bibliografia

    F. Parente, «BUONAIUTI, Ernesto». In: Dizionario Biografico degli Italiani, Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Vol. XV (on-line)
    Giordano Bruno Guerri, Eretico e profeta. Ernesto Buonaiuti, un prete contro la Chiesa, Milano, Mondadori, 2001.
    Giulio Andreotti, I quattro del Gesù, Rizzoli, 1999.
    Domenico Grasso, Il cristianesimo di Ernesto Buonaiuti, Morcelliana, Brescia 1953.
    Lorenzo Bedeschi, Buonaiuti il concordato e la chiesa: con un'appendice di lettere inedite, Milano, Il Saggiatore 1970.
    Fausto Parente, Ernesto Buonaiuti, Roma, Istituto della enciclopedia italiana 1971.
    Max Ascoli, Ernesto Bonaiuti, Napoli, Arte tipografica 1975.
    Ambrogio Donini, Ernesto Buonaiuti e il modernismo, Bari, Cressati 1961.
    Annibale Zambarbieri, Il cattolicesimo tra crisi e rinnovamento: Ernesto Buonaiuti ed Enrico Rosa nella prima fase della polemica modernista, Brescia, Morcelliana 1979.
    Valdo Vinay, Ernesto Buonaiuti e l'Italia religiosa del suo tempo, Torre Pellice, Claudiana 1956.
    Enrico Lepri, Il pensiero religioso di Ernesto Buonaiuti, Roma, Libreria Tropea 1969.
    Liliana Scalero, Colui che vaga laggiù: una biografia di Buonaiuti, Parma, Guanda 1970.
    Giorgio Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, Venezia, Neri Pozza, 1966 (rist. Napoli, Ricciardi, 2004).