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La vasta azione svolta dalla Chiesa cattolica nel
16° sec. e in parte del 17° per restaurare una più
intensa, viva, sincera e disciplinata vita religiosa, realizzando
quella «riforma nel capo e nelle membra», già
discussa nei concili del 15° sec. e resa ancor più
urgente dal dilagare della Riforma protestante nel 16° sec.
Religione
La C. operò nel campo del dogma e in quello della disciplina
ecclesiastica, tra il clero e il laicato, con mezzi religiosi,
politici, giudiziari, sul terreno culturale e su quello delle armi;
agì con particolare intensità tra il quinto e il nono
decennio del 16° sec., ma la sua opera si protrasse sino a che,
con la pace di Vestfalia (1648), apparvero ormai decise le sorti
religiose d’Europa e tracciati i confini territoriali fra le
confessioni.
Sul terreno dogmatico, l’opera della C. si concentra particolarmente
nell’attività del Concilio di Trento (1545-63) volta a
fissare il dogma cattolico nei punti in cui il protestantesimo aveva
rinnegato principi tradizionali, o interpretato in modo nuovo la
Sacra Scrittura e i Padri della Chiesa. In particolare il Concilio
di Trento fissò il dogma del peccato originale e quello della
giustificazione per la fede e per le opere, condannando il principio
luterano della giustificazione per la sola fede, indipendentemente
dalle opere, e affermando il valore del libero arbitrio persistente
anche dopo il peccato originale. Anche nel campo della riforma
disciplinare il concilio svolse opera essenziale, dando norme per la
scelta e l’azione dei cardinali e dei vescovi e condannando il
nepotismo. Fuori dal concilio, i papi diedero infinite disposizioni
volte a evitare il continuarsi di mali, per lo più da
lunghissimo tempo deplorati, ma ai quali non si era mai riusciti a
porre riparo. Ai papi si affiancarono ecclesiastici eminenti come s.
Carlo Borromeo, s. Alessandro Sauli, i beati Paolo Burali d’Arezzo e
Giovanni Giovenale Ancina, il cardinale Gabriele Paleotti e altri.
Grandi artefici dell’intera opera riformatrice furono i nuovi ordini
religiosi, principalmente la Compagnia di Gesù, e poi
teatini, somaschi, barnabiti, ospedalieri di s. Giovanni di Dio,
ministri degli infermi, chierici regolari della Madre di Dio,
chierici regolari minori, scolopi. A questa fioritura di nuovi
ordini religiosi si accompagnò la riforma degli antichi:
sorsero così i cappuccini, i carmelitani scalzi, i romitani
scalzi di s. Agostino. Nel complesso con la Controriforma, i diritti
della gerarchia diedero luogo a un’organizzazione sempre più
forte e disciplinata; il primato papale affermò con sempre
maggiore fermezza i suoi attributi.
Caratteristica della religiosità della C. fu, nel campo
morale, una maggiore benignità, un senso più vivo e
una valutazione più estesa di tutte le condizioni
psicologiche degli atti umani. Lo spirito di mortificazione della
carne rimase parte essenziale della pietà cattolica, ma
scomparvero o si attenuarono certe forme di aspra e pubblica
penitenza. Aumentò anche grandemente la cura per il
miglioramento del costume degli ecclesiastici, l’attività
sociale e benefica del clero: l’importanza del sacerdozio, che era
stato elemento vitale sin dagli inizi della Chiesa cattolica, ne
risultò ancora accresciuta, anche se qualche laico assurse a
figura di primo rango nella vita della Chiesa, così come
molti ecclesiastici i quali ebbero in essa un’importanza senza alcun
rapporto con la loro posizione gerarchica.
La C. lottò contro l’eresia, non soltanto attraverso un’opera
polemica in difesa dei principi cattolici, ma soffocando con mezzi
repressivi ogni focolaio di eresia nei paesi cattolici. Quest’opera
fu in particolare modo affidata all’Inquisizione. Connessa
all’operato di questa, fu l’attività di prevenzione, che si
esplicò soprattutto nel campo librario con la censura
preventiva (sottoposizione all’imprimatur) e repressiva (istituzione
dell’Indice dei libri proibiti).
A tutte le attività in cui si concretizzò la C. va
aggiunta quella politica e militare, che la Chiesa non poté
realizzare da sola, ma che non cessò fin dall’inizio di
raccomandare agli Stati, incoraggiando le imprese volte a vincere
sui campi di battaglia gli eretici e a sgominarne le coalizioni. La
storia della Controriforma comprende pertanto quella delle guerre di
religione. La Germania fu il loro campo principale, dalla formazione
della lega di Smalcalda alla pace di Vestfalia. Infine, è da
menzionare l’opera delle missioni, specialmente gesuitiche, che
portarono il cattolicesimo non solo fra gli indigeni dell’America
Meridionale, ma in Etiopia, in India, in Cina, in Giappone. Nella
stessa direzione di riconquista ed espansione della Chiesa cattolica
si accentuarono gli sforzi verso l’unione delle chiese e il
‘recupero’ dei cristiani ortodossi, con conseguente impegno,
religioso e militare, per l’allontanamento dei Turchi dall’Europa
centrale e dai Balcani.
Arte
Nell’ambito dell’arte il concilio di Trento si pronunciò in
maniera piuttosto generica: riallacciandosi alle decisioni del
Secondo Concilio di Nicea, ribadì la liceità e
validità delle immagini sacre e ne affidò agli
ecclesiastici la disciplina e il controllo. La politica figurativa
della C. si volse, perciò, soprattutto a combattere le
licenze e gli abusi nel campo iconografico, insistendo sull’esatta
aderenza ai fatti della storia cristiana e alle verità
teologiche, sfrondati da ogni elemento proveniente da tradizioni
apocrife o popolari, e spinse a evidenziarne i valori edificanti.
Questo rigido atteggiamento comportava anche l’eliminazione di
elementi profani e un particolare controllo sulla decenza delle
immagini: esemplari, a questo proposito, possono essere il processo
intentato nel 1573 dal tribunale dell’Inquisizione a Paolo Veronese
che nella Cena in casa Levi (Venezia, Gallerie dell’Accademia) aveva
introdotto cani, nani, buffoni non menzionati dal testo biblico e
sconvenienti a un episodio sacro, e ancor più gli aspri
attacchi cui fu sottoposto il Giudizio universale di Michelangelo
nella cappella Sistina per l’indecenza dei nudi, per l’introduzione
di figure come quella di Caronte, per la raffigurazione degli angeli
senza ali ecc. Ma accanto a questa rigida posizione, che trova
espressione in uno dei due dialoghi pubblicati nel 1564 da G.A.
Gilio (Degli errori e degli abusi de’ pittori circa l’historie) e,
in maniera più profonda e sistematica, nell’opera di G.
Paleotti (Discorso intorno alle immagini sacre e profane, 1582), e
all’analogo atteggiamento nei confronti della musica (il
contrappunto, gli improvvisi o il diminuendo, che rendevano
incomprensibili le parole, furono eliminati, come anche furono
epurati i motivi popolari sui quali spesso si cantavano le parole
della messa), nel panorama artistico e religioso della C. trovarono
spazio movimenti e personalità di carattere completamente
diverso: grazie all’opera dei gesuiti e soprattutto a tipi di
organizzazione quale quella degli oratori, si coltivarono nel campo
delle arti figurative, della musica e del teatro, espressioni che
facendo leva sul sentimento risultarono più efficaci e
coinvolgenti strumenti di propaganda. Nell’ambito della politica
della C. va ancora ricordato l’unico testo che con scrupolosa
meticolosità affronti il problema dell’architettura sacra: le
Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae che s. Carlo
Borromeo pubblicò nel 1577.
*
Enciclopedia italiana (1931)
di Arturo Carlo Jemolo
CONTRORIFORMA.
Col nome di controriforma, o restaurazione
cattolica, si designa tutta la varia e multiforme opera svolta dalla
Chiesa per porre argine al dilagare della Riforma protestante, e
riconquistare le vaste cerchie di popolazione che questa aveva
strappate alla cattolicità. Com'è noto, il
dilaceramento prodotto dalla Riforma (v.) nel corpo della
cristianità non poté essere più sanato, e anche
in Occidente divenne una semplice aspirazione quella verso l'unico
gregge e l'unico pastore; ma la cattolicità
riconquistò una parte del terreno perduto, e la Chiesa,
pacificandosi e rafforzandosi, non soltanto precluse al
protestantesimo ulteriori conquiste, ma, per quanto può
desumersi dall'esperienza degli ultimi quattro secoli, sembra aver
reso impossibili nuove separazioni: invero ogni tentativo di
distacco dalla Chiesa compiutosi in secoli più prossimi, ogni
tentativo di dare vita a nuove confessioni religiose, intermedie tra
il protestantesimo e il cattolicesimo, è fallito.
La controriforma operò nel campo del dogma e in quello della
disciplina ecclesiastica, tra il clero e il laicato, con mezzi
religiosi, politici, giudiziarî, polizieschi, militari, sul
terreno culturale e su quello delle armi; il suo inizio può
dirsi coevo alla Riforma; essa agì con particolare
intensità tra il quinto e il nono decennio del sec. XVI, ma
la sua opera si protrasse sino a che, con la pace di Vestfalia
(1648), apparvero ormai decise le sorti religiose d'Europa,
tracciati i confini territoriali fra le confessioni.
Sul terreno dogmatico l'opera della controriforma si concentra
particolarmente in quell'attività del concilio di Trento
(1545-63) volta a fissare il dogma cattolico nei punti in cui il
protestantesimo aveva rinnegato principî tradizionali, o
interpretato in modo nuovo la Sacra Scrittura e i Padri della
Chiesa, e volta correlativamente a condannare le tesi protestanti.
Il concilio conferma il simbolo della fede (sess. III, anno 1546),
fissa l'elenco dei libri inspirati (sess. IV, 1546), il dogma del
peccato originale, della sua trasmissione, dei suoi effetti, di
quelli del battesimo (sess. IV, 1546), il dogma della
giustificazione e dei suoi frutti (condanna del principio luterano
della giustificazione per la sola fede, indipendentemente dalle
opere, nonché, con formula prudente, della credenza nella
predestinazione alla salvezza; affermazione del libero arbitrio
persistente pur dopo il peccato originale (sess. VI, 1547); pubblica
il decreto sui sacramenti, istituiti tutti e sette da Cristo,
conferenti la grazia ex opere operato (sess. VII, 1547), quello
sull'Eucaristia (che contiene vere, realiter et substantialiter
corpus et sanguinem una cum anima et divinitate Domini nostri Iesu
Christi, ac proinde totum Christum; sess. XIII, 1551); determina del
pari la dottrina del sacramento della penitenza (potere della Chiesa
di rimettere i peccati, carattere giudiziale dell'assoluzione,
potestà di assolvere esclusiva dei sacerdoti; sessione XIV,
1551), la dottrina del sacrificio della Messa (sess. XXII, 1562),
quella dell'ordine sacro (nel Nuovo Testamento v'è un
sacerdozio visibile ed esterno, esistono ordini maggiori e minori,
l'ordine imprime un carattere: sess. XXIII, 1563), la dottrina del
matrimonio (è sacramento, monogamico e indissolubile, la
Chiesa ha facoltà di costituire impedimenti dirimenti; sess.
XXIV, 1563), quelle del purgatorio, dell'invocazione e venerazione
dei santi, del culto delle reliquie e delle immagini, delle
indulgenze (sess. XXV, 1563).
Alla definizione del dogma e correlativa condanna degli errori degli
eretici pone qualche ostacolo - ma non grave, e su cui i padri del
concilio diretti dai legati pontifici passano senza
difficoltà - l'imperatore, che prudenzialmente non vorrebbe
si rompessero i ponti con gli eretici. L'opera si svolge con la
cooperazione dei maggiori luminari della Chiesa (i cardinali
Giovanni Morone, Reginaldo Pole, Marcello Cervino, i domenicani
Domenico Soto e Ambrogio Catarino, Gerolamo Zeripando), e offre
naturalmente modo di manifestarsi a quelle diversità di
concezioni che esistevano in seno alla Chiesa e si polarizzavano nei
varî ordini religiosi.
La riforma disciplinare è un'esigenza manifestatasi in seno
alla Chiesa già nel tempo del grande scisma, e il cui
pensiero è stato sempre presente non solo agli spiriti
più religiosi, ma anche a quelli più lucidi e
più consci dei pericoli che sovrastavano all'unità
della Chiesa: peraltro, dopo la rivolta di Lutero, la questione
è posta all'ordine del giorno, e i papi non ristanno
dall'elaborare programmi riformatori.
Ma neppure la coscienza del pericolo sovrastante all'unità
vale a far deflettere i varî egoismi: né in materia
finanziaria ed economica, né quando si tratti di rinunciare a
libertà e privilegi e di accettare una vita di maggiori
sacrifici, i papi si trovano di fronte il necessario spirito di
abnegazione: alto clero, religiosi, curiali nulla vogliono
consentire e difendono lo statu quo. Si parla di riforma nel capo e
nelle membra; ma alla periferia si vuole attendere che l'esempio
parta dalla curia, e anche in curia la resistenza non manca.
Anche in questo campo il concilio, a partire dalla sessione VII del
1547, svolge opera essenziale con i decreti de reformatione.
Così esso dà norme perché la scelta dei
cardinali e dei vescovi cada sempre sui più degni; impone ai
vescovi e a quanti han cura d'anime l'obbligo della residenza;
inculca ai cardinali e ai vescovi la vita modesta, e condanna il
nepotismo, ammonendo gli ecclesiastici ut omnem humanum hunc erga
fratres, nepotes propinquoswe carnis affectum, unde multorum malorum
in ecclesiam seminarium extat, penitus deponant (c. 1, sess. XXV, de
ref.). Vieta il cumulo dei benefici curati, dà norme per
accrescere l'autorità e il prestigio dei vescovi, per
migliorare il clero, imponendogli tra l'altro di portare sempre
l'abito chiericale, e precludendo in ogni caso agli omicidi
volontarî l'accesso all'ordine sacro. Stabilisce che nessun
prete possa confessare senza licenza del vescovo, e che il vescovo
possa sempre inibire a qualsiasi ecclesiastico la predicazione. A
evitare preti mendicanti o ridotti a espedienti per vivere, si mette
come condizione per il conferimento dell'ordine sacro quella di
avere un beneficio o un titulus patrimonii; a impedire il
conferimento di benefici a chi non è in grado di rendersi
utile alla Chiesa, si fissa il minimo di età di quattordici
anni per tale collazione, e si richiedono garanzie di età (25
anni), di capacità e di cultura per conferire gli ordini
sacri; norma di grande importanza è quella (c. 18, sessione
XXIII, de ref.) sulla creazione dei seminarî, che dovranno
ricevere giovani di almeno dodici anni, di legittimi natali,
preferibilmente poveri, che sappiano leggere e scrivere, et quorum
indoles et voluntas spem afferat, eos ecclesiasticis ministeriis
perpetuo inservituros. Si dànno norme per assicurare la
presenza dei canonici nelle rispettive cattedrali, facoltà ai
vescovi di deporre i parroci che conducano vita scandalosa. È
prescritta la visita annua dei vescovi a tutti gl'istituti
ecclesiastici e di beneficenza della diocesi. Si cura pure una
generale riforma dei regolari, proibendo loro senza eccezione la
proprietà individuale, l'allontanamento dai conventi senza il
permesso dei superiori, prescrivendo la clausura per tutti i
monasteri di donne, dando nome perché non vi siano monasteri
i quali non abbiano, in diritto e in fatto, un'autorità che
vigili su di essi, e dando così ai vescovi quali delegati
della S. Sede potestà sui monasteri di donne direttamente
soggetti alla S. Sede: l'età minima per la professione
religiosa è fissata a sedici anni. Anche la disciplina del
matrimonio viene profondamente riformata, evitandosi antichi
inconvenienti con l'imporre quale requisito ad substantiam la
celebrazione dinnanzi al parroco, preceduta dalle pubblicazioni. Ad
assicurare l'applicazione e l'uniforme interpretazione dei decreti
del concilio, Pio IV, con la costituzione Alias nonnullas del 2
agosto 1564, istituiva apposita congregazione cardinalizia.
Ma l'opera della riforma non si esaurisce nel concilio: fuori di
esso, i papi dànno infinite disposizioni volte a evitare il
continuarsi di mali, per lo più da lunghissimo tempo
deplorati, ma ai quali non si era mai riusciti a porre riparo.
Già prima del Tridentino Clemente VII con la Ad canonum
conditorem del 3 giugno 1530 aveva sancito che i figli
fornicarî dei preti non potessero in alcun caso ottenere i
benefici ecclesiastici del loro padre; Giulio III con un decreto del
26 gennaio 1554 pone la norma che nessuno possa essere promosso
cardinale se abbia un fratello vivente che faccia parte del sacro
collegio. Paolo IV con la Inter coeteras del 27 novembre 1557
(interessante per i costumi dell'epoca) prende misure contro coloro
che per ottenere benefici ricorrono a varie frodi, come quella di
assumere false generalità; Pio IV con la Romanum Pontificem
del 16 ottobre 1564 proibisce come una forma di simonia la
confidentia beneficiorum, mentre nel nuovo ordinamento giudiziario
per i tribunali romani contenuto nella Cum ab ipso del 30 giugno
1562 vieta ai giudici e ai loro cooperatori di ricevere regalie.
Circa i regolari, si rinnovano ancora le sanzioni contro coloro che
vagabondano fuori dei chiostri (Paolo III, Ex clementi e Meditatio
cordis nostri, del 7 aprile 1539 e del 7 gennaio 1547,
rispettivamente per i carmelitani e i conventuali); si assoggettano
ai vescovi i regolari che non vivono nei chiostri (Pio IV, De salute
gregis, 4 settembre 1560); si revoca ogni privilegio dei regolari in
contrasto con il Tridentino (Pio IV, In Principis, 17 febbraio
1565); si disciplina la clausura delle monache, che dovrà
essere in ogni caso osservata, e si vieta che alcuna donna possa
sotto qualunque pretesto entrare in monasteri maschili (Pio V, Circa
pastoralis officii e Regularium, del 1° febbraio e del 24
ottobre 1566). È riaffermato l'obbligo della residenza dei
vescovi, e la sottomissione di ogni chierico al vescovo (Pio IV, De
salute gregis, 4 settembre 1560). È revocata la
facoltà di dare dispense matrimoniali che spettava a enti
estranei alla gerarchia ecclesiastica, quali la Fabbrica di S.
Pietro e l'ospedale di S. Spirito (Pio IV, De commisso Nobis, 19
settembre 1562).
Ma l'opera non è solo dei papi: vescovi, quali S. Carlo
Borromeo, S. Alessandro Sauli, i beati Paolo d'Arezzo e Giovanni
Giovenale Ancina, il cardinale Gabriele. Paleotti e altri,
dànno opera al risanamento delle loro diocesi, combattendo i
cattivi costumi dei preti, la dissolutezza dei religiosi, cercando
di estirpare l'abuso dei frati vaganti fuori dei loro conventi, non
sottoposti di fatto ad alcun superiore, delle monache che fanno dei
propri monasteri luoghi di conversazione; cercando di togliere dal
confessionale e dal pulpito gl'indegni e quelli la cui ignoranza
potrebbe essere di scandalo; promovendo o quanto meno conservando le
confraternite (v.) e gli altri istituti religiosi del laicato, ma
sottoponendoli alla supremazia dell'autorità ecclesiastica.
In seno al laicato, essi perseguono le meretrici, i
concubinarî, spesso anche i commedianti, fanno osservare le
feste, ottengono la punizione dei bestemmiatori, e, là dove
è possibile, dei duellanti.
Di particolare importanza si palesa la formazione del clero. I
seminarî prescritti dal Tridentino debbono significare
anzitutto la fine dell'abuso, largamente praticato, di ordinare
sacerdoti degl'incolti, sol che conoscessero un po' di latino;
debbono rappresentare una garanzia morale del clero. Non
diverrà prete se non il giovane che sia stato plasmato
moralmente e intellettualmente nel seminario; l'ordine sacro
verrà negato al giovane che si mostri inadatto per
scarsità d'intelligenza o per tendenze repugnanti
all'esemplarità dei costumi richiesta nell'ecclesiastico, o
che appaia recalcitrante alla disciplina, o con pericolose tendenze
intellettuali che lascino sospettare in lui il futuro critico delle
credenze tradizionali. Ma i seminarî sono anche una garanzia
d'indipendenza ecclesiastica, perché importano che
l'educazione dei chierici si compia in istituti sottoposti
esclusivamente all'autorità della Chiesa, e dove non
penetrano dottrine da questa respinte, e non già in
università o scuole cui più o meno dia la sua impronta
il potere civile. Le disposizioni tridentine sui seminarî si
realizzano con relativa celerità in Italia e in Spagna, e
anche nell'Impero, se pur quivi i vescovi spesso preferiscano
inviare i loro chierici nei collegi rapidamente fiorenti dei
gesuiti; invece in Francia, ancora nel 1620, non esistono
seminarî.
Grandi artefici dell'intera opera riformatrice sono i nuovi ordini
religiosi: primo per importanza, la Compagnia di Gesù (v.),
approvata da Paolo III con la Regimini militantis del 27 novembre
1540; primi in ordine di tempo i teatini (1524), cui seguono i
barnabiti o congregazione di S. Paolo (1530), i somaschi (1533,
approvati nel 1568), gli spedalieri di S. Giovanni di Dio
(Fate-bene-fratelli: 1540, appr. 1572), i ministri degl'infermi
(1582, appr. 1586), i chierici regolari minori (1588), i chierici
regolari della Madre di Dio (1583; appr. 1595), gli scolopî
(1600, appr. 1617).
A questa fioritura di nuovi ordini religiosi si accompagna la
riforma degli antichi, che segue quasi dovunque fra sospetti e
ostilità provocate sia da quanti in seno ai vecchi ordini non
vogliono saperne di rinunciare alle mitigazioni, sia da quanti non
sanno rassegnarsi all'idea di vedere spezzata l'unità degli
ordini medesimi. Sorgono così i cappuccini (1528), i
carmelitani scalzi (1562/68), gli eremitani scalzi di S. Agostino
(1592/99).
Ma, come si è detto, nel campo degli ordini religiosi prevale
su ogni altra l'attività della compagnia di Gesù, che
si svolge nelle orbite più diverse: direzíone delle
anime, nel confessionale e attraverso quel compito di direttore di
coscienze che nel Cinquecento e nel Seicento andava talvolta
disgiunto dalla mansione di confessore; predicazione; insegnamento
in scuole secondarie e università; collegi, che sono il campo
speciale della compagnia; governo di seminarî; talora compiti
di alta cultura, quali nel campo della storia ecclesiastica l'opera
dei bollandisti (v.), e in quello della teologia l'attività
del cardinal Bellarmino, di Tommaso Sanchez e di Luigi Molina col
suo celebre libro Liberi arbitrii cum gratiae donis concordia. La
religiosità gesuitica dà veramente l'impronta
all'epoca: così nelle caratteristiche interiori come in
quelle esteriori, secondo le quali si avrà persino uno stile
architettonico detto gesuitico perché adottato nelle loro
chiese. Il gesuita appare dovunque come il tipo dell'ecclesiastico
di costumi puri, spesso austeri, generalmente colto, devotissimo al
papato, attaccatissimo alla sua compagnia, sciolto da ogni altro
legame; accomodante e transigente quante volte l'interesse cattolico
non sia in giuoco, inflessibile allorché si tratti di
rapporti con l'eresia, o di principî che tendano a diminuire i
diritti del papato o le libertà della Chiesa, o di nemici
della compagnia.
Questa incontra ostilità molteplici: da parte degli antichi
ordini religiosi, che temono di essere spossessati della loro
posizione predominante e di vedere nuove concezioni teologiche
sovrapporsi a quelle che si erano talora radicate presso di loro; da
parte del clero secolare, preoccupato che i fedeli più
notevoli per censo o posizione sociale disertino le chiese
parrocchiali per accorrere ai confessionali o alle funzioni delle
chiese gesuitiche; da parte dei giuristi sostenitori dei diritti
dello stato, che scorgono nei gesuiti i difensori di tutte le
immunità ecclesiastiche. Ma queste avversioni non riescono a
prevalere: la compagnia ha per sé a un tempo il favore dei
papi e quello dei sovrani, che non di rado prendono dei gesuiti per
confessori e direttori di coscienza.
La controriforma deve lottare contro l'eresia, non soltanto
attraverso un'opera polemica in difesa dei principî cattolici,
ma perseguendo gli eretici che son riusciti ad annidarsi nei paesi
cattolici, soffocando in questi con mezzi repressivi - la prigionia,
la morte - ogni focolare di eresia. Quest'opera è in
particolare modo affidata all'inquisizione.
Clemente VII con la Cum sicut del 15 gennaio 1530 dà
facoltà agl'inquisitori di procedere contro i regolari di
qualunque ordine, e concede indulgenze ai crocesegnati che abbiano
emesso nelle mani degl'inquisitori il voto di perseguire gli
eretici; Paolo III con la Apostolici culminis del 14 gennaio 1542
dà facoltà agl'inquisitori di procedere contro
chiunque, qualsiasi privilegio o esenzione egli invochi, eccettuando
tuttavia i vescovi; ma un passo decisivo è compiuto pochi
mesi più tardi con la Licet ab initio del 21 luglio 1542, che
crea sei cardinali commissarî o inquisitori generali, i quali
potranno procedere contro chiunque sia sospetto di eresia, in
qualsiasi autorità sia egli costituito, e deputare altri
inquisitori. Giulio III vieta agl'inquisitori di ammettere dei laici
(come esigevano alcuni governi) a conoscere con loro dei delitti di
eresia (Licet a diversis, 15 febbraio 1551); Pio IV con la Cum sicut
del 1° novembre 1561, mentre assicura l'indipendenza
degl'inquisitori con lo stabilire che essi non sono tenuti a rendere
conto del loro operato ad alcun altro all'infuori del papa e dei
cardinali inquisitori, dà una particolare impronta alla loro
procedura col disporre che essi non sono obbligati a pubblicare e
comunque a rivelare le deposizioni contro gli eretici e scismatici;
con la Pastoralis officii munus del 12 ottobre 1562 riafferma la
facoltà degl'inquisitori di procedere contro chiunque, ma per
i vescovi, cardinali e re è riservato al papa di pronunciare
condanne.
L'Inquisizione, sola fra i tribunali ecclesiastici, fa uso della
tortura come mezzo istruttorio; procede con forme atte a
impressionare il popolo e a imprimere il terrore, come
allorché conduce i condannati al rogo e alla cerimonia
dell'abiura vestiti di abiti speciali: il sambenito, per i
penitenti; la Samarra, o dalmatica di colore nero sparsa di fiamme
intercalate da diavoli in atto di piombare l'eretico all'inferno,
per i relapsi impenitenti destinati al rogo; la mitra, per coloro
che all'eresia avessero aggiunto la bestemmia, la poligamia,
l'esercizio dell'arte magica o divinatoria. Essa applica la pena
medievale dell'abbruciamento contro l'eretico impenitente:
l'abbruciamento, previo strangolamento, contro l'eretico recidivo,
che si sia però all'ultimo pentito; la reclusione, il
sequestro dei beni, la reclusione nella propria casa, inasprita
talora da digiuni e da apposite penitenze, agli eretici pentiti, ai
sospetti di eresia, a coloro che comunque abbiano offeso la dottrina
ecclesiastica in materia di fede.
Connessa all'attività dell'Inquisizione, è
l'attività di prevenzione, che agisce soprattutto con
l'evitare che i cattolici siano pervertiti a mezzo della stampa.
Essa si esplica con la censura preventiva (sottoposizione
all'imprimatur) e repressiva (condanna di libri).
Già Leone X con la Inter sollicitudines del 4 maggio 1515
emanata nel V Concilio lateranense aveva disposto, in relazione alle
possibilità dell'ampia diffusione di libri creata dalla
scoperta della stampa, che nessun libro potesse essere stampato
senza previo visto ecclesiastico. Il concilio di Trento nella sua IV
sessione (8 aprile 1546) emise il Decretum de editione et usu
sacrorum librorum, dove si vietava a chiunque di stampare, vendere o
tenere quosvis libros de rebus sacris, che non recassero nome
d'autore e non fossero stati approvati dal vescovo, con approvazione
da stamparsi sul frontespizio del libro.
In tema di censura repressiva, intorno alla metà del
Cinquecento, vediamo pullulare i cataloghi o indici di libri
proibiti: ne pubblica l'università di Lovanio (1546-50-58),
la Sorbona (1544-47-51), il legato pontificio Giovanni della Casa in
Venezia (1549), l'arcivescovo Arcimboldi a Milano (1554), il senato
di Lucca (1545), l'Inquisizione di Venezia (1554). L'Inquisizione
spagnola pubblica nel 1551 il suo primo indice; un indice ufficiale
romano si ha nel 1557, ma ne viene divulgata soltanto l'edizione del
1558, allorché il breve Quia in futurorum del 21 dicembre
1558 revocò tutte le licenze di leggere libri proibiti in
precedenza concesse; è del 1559 un Index auctorum et librorum
vietati dall'Inquisizione romana. Il concilio di Trento, mentre fin
dalla IV sess. (8 aprile 1546) diede norme sulla pubblicazione delle
Sacre Scritture, nella XVIII sess. (26 febbraio 1562) invitò
i vescovi a esporre al concilio le loro proposte per una più
efficace censura dei libri in genere, salvo a prendere atto
nell'ultima sua riunione (sess. XXV cont., 4 dicembre 1563) che i
lavori dei vescovi non erano ancora a tal punto da permettere al
sinodo una matura deliberazione, e a ordinare loro ut quicquid ab
illis praestitum est fosse rimesso al papa, et eius iudicio aique
auctoritate venisse condotto a termine e divulgato.
In seguito a ciò Pio IV pubblicò le dieci regole
cosiddette tridentine, la prima delle quali fa salve le condanne
pronunciate da papi o concilî generali anteriormente al 1515,
anche se i libri condannati non figurino nell'Indice, mentre la
quarta concerne l'uso della Bibbia in volgare, la settima i libri
osceni, la nona i libri di magia; la regola decima conferma le norme
di Leone X sulla censura preventiva, e stabilisce che incorra
senz'altro nella scomunica chi legga o abbia libri condannati
perché eretici, che cada in peccato mortale e sia punito
severamente a giudizio del vescovo chi abbia libri proibiti per
altre cause.
Il primo Indice con le dieci regole venne approvato dalla Dominici
gregis del 24 marzo 1564: nello stesso giorno la Cum pro munere
revocava ogni licenza di leggere libri luterani o sospetti di
eresia. Questo indice fu ristampato con aggiunte ad Anversa (1570),
a Lisbona (1581), e a Monaco (1582). Nel 1571 Pio V eresse una
congregazione, di quattro cardinali e nove consultori, per il
proseguimento dell'Indice e per gli affari connessi con la
proibizione dei libri; Gregorio XIII con breve 13 settembre 1572
portò a sette i cardinali e precisò i compiti della
congregazione, confermati da Sisto V con la bolla Immensa del 22
gennaio 1587. Sisto V poco prima di morire fece stampare un'edizione
aumentata dell'Indice di Pio IV (1590), ma morto il papa l'edizione
non fu diffusa: solo nel 1596 si stampò la nuova edizione che
riproduceva l'Indice del 1564, con un'appendice tratta in gran parte
dall'edizione del 1590.
A tutte le restanti attività in cui si concreta la
controriforma va aggiunta quella politica e militare, che la Chiesa
non poté realizzare essa medesima, ma che non ristette fin
dall'inizio dal raccomandare agli stati, incoraggiando le imprese
volte a vincere sui campi di battaglia gli eretici e a sgominarne le
coalizioni.
La storia della controriforma coincide con quella delle guerre di
religione. La Germania è il loro campo principale; qui esse
s'iniziano, qui durano circa un secolo, dalla formazione della lega
smalcaldica alla pace di Vestfalia, avendo a principali momenti la
vittoria cattolica di Mühlberg (1547), la convenzione di
Passavia e la pace di Augusta (1555), e, dopo mezzo secolo di
relativa pace, la formazione dell'Unione protestante per iniziativa
dell'elettore del Palatinato (1608), la vittoria cattolica della
Montagna Bianca (1620) e lo schiacciamento dell'elettore (1623);
infine, l'estendersi della guerra con il soccorso danese e svedese
ai protestanti, Gustavo Adolfo, meteora minacciosa per la
cattolicità, il dilagare della guerra fino a coinvolgere
l'Europa intera, la pace di Münster, che è un ritorno
alle disposizioni di Passavia e di Augusta, comprendendovi, oltre ai
luterani, anche i calvinisti, e togliendo il reservatum
ecclesiasticunn. Ma nella riconquista o nella difesa dei
territorî dell'Impero la azione militare procede sempre di
pari passo con quella dei religiosi: degli abili nunzî
apostolici come Bartolomeo Portia, Feliciano Ninguarda, Alfonso
Visconti, Minuccio Minucci, dei pii vescovi come Giacomo Cristoforo
Blarer a Basilea, Giulio Echter a Würzburg, l'abate Baldassarre
von Dernbach a Fulda, Daniele Brendel a Magonza, Urbano von
Trennbach a Passavia.
In Francia la questione religiosa si complica con quella nazionale e
dinastica; l'avversione antispagnola e quella della famiglia
regnante contro i Guisa prevalgono sul sentimento cattolico. Pur
dopo la notte di S. Bartolomeo (1572) la regina Caterina e i suoi
figli sentono che non è nel loro interesse ristabilire nel
paese l'unità religiosa. L'ultimo periodo del pontificato di
Gregorio XIII è angosciato dal timore di vedere la Francia
divenire il sostegno del protestantesimo in Europa; timore
giustificato dal trattato del 1579 della Francia con Berna e
Soletta, in difesa di Ginevra minacciata dai cantoni cattolici e dal
duca di Savoia, dall'appoggio dato da Francesco d'Angiò
agl'insorti nederlandesi, dal progetto di matrimonio
dell'Angiò con Elisabetta d'Inghilterra. Sisto V considera
con occhio realistico la situazione in Francia, e si rende conto che
lo stesso interesse della Chiesa esige sia evitato un trionfo
spagnolo, che finirebbe d'infeudare il papato al re cattolico; che
è preferibile la vittoria dei Borboni, purché
convertiti, con la tolleranza concessa al protestantesimo, alla
Francia ridotta a potenza di secondo ordine. Clemente VIII è
il fortunato realizzatore di questa concezione.
In Polonia i dieci anni di regno di Stefano Báthory vedono
una restaurazione cattolica attuata senza violenza, con l'appoggio
del sovrano, ma soprattutto per l'opera dei gesuiti, tra cui il
popolare Pietro Skarga, per la savia direzione dei nunzî, per
l'opera di buoni vescovi, primo Stanislao Hosio.
Quale fu il risultato della controriforma, quello intimo, non
segnato dai confini tracciati tra paesi cattolici e paesi
protestanti, né dalle statistiche degli appartenenti alle due
confessioni?
Essa poté isterilire lo spirito del Rinascimento (se pur non
si pensi che fosse ormai scoccata l'ora del suo spontaneo
esaurirsi), come apparve soprattutto nel campo della letteratura; ma
non poté annullarne l'opera. Il Rinascimento aveva modificato
non poco le masse cattoliche: con la controriforma la teologia non
ritorna a essere regina delle scienze com'era stata nel Medioevo,
né si vede rinascere quella medesima forma di
religiosità medievale.
Lo spirito di mortificazione della carne rimane bensì parte
essenziale della pietà cattolica, ma scompaiono o si
attenuano certe forme di asperrima e pubblica penitenza. I santi
della controriforma saranno spesso purissimi asceti, ma non
trascineranno più dietro di sé compagnie di
flagellanti che rinuncino a ogni bene terreno per seguirli.
La religiosità della controriforma accetta l'uomo
qual'è ormai, quale il Rinascimento lo è venuto
foggiando: l'uomo credente, che vuole obbedire alla legge morale e
all'autorità della Chiesa, pur non rinunciando a valutare e
giudicare con severità i mancamenti dei suoi ministri.
Nel campo intellettuale la teologia della controriforma si mostra
più sollecita di tutelare la libertà umana e la
realtà del merito delle buone opere, pur mantenendo tutte le
tradizionali affermazioni sulla necessità e potenza della
grazia; essa anche si studia maggiormente di porre in piena luce i
fondamenti positivi del dogma cattolico: basti ricordare i nomi dei
teologi domenicani Vitoria, Cano, Soto, Bañez e quelli dei
gesuiti Bellarmino, Valenza, Suarez, Petau. Nel campo morale poi
predomina una maggiore benignità, un senso più vivo e
una valutazione più estesa di tutte le condizioni
psicologiche degli atti umani. Aumenta anche grandemente la cura per
il miglioramento del costume degli ecclesiastici, l'attività
sociale e benefica del clero, che rimarrà come vigile scolta
in un campo su cui incombe ognora un pericolo, in cui il nemico
dà tregua per preparare nuove armi.
L'importanza del sacerdozio, che era stato elemento vitale sin
dagl'inizî della Chiesa cattolica, è ancora accresciuta
se possibile, ma non manca come in passato qualche laico che assurge
a figura di primo rango nella vita della Chiesa e molti
ecclesiastici i quali abbiano in essa un'importanza senza alcun
rapporto con la loro posizione gerarchica; ora la militia Christi,
di fronte al pericolo incombente, assume sempre più un
atteggiamento corrispondente a quello dell'altra milizia: i diritti
della gerarchia dànno luogo a un'organizzazione sempre
più forte e disciplinata; il primato papale afferma con
sempre maggiore fermezza i suoi attributi.
Chi da un punto di vista strettamente religioso instauri raffronti
tra lo spirito dei primi secoli del cristianesimo, quello della
cristianità medievale, e quello della controriforma,
potrà pur non preferire quest'ultima età alle due
precedenti. Ma è certo che la controriforma ebbe, accanto
alle sue pagine sanguinose, pagine bellissime segnate dal rapido
miglioramento del costume cattolico; fu una ricca sorgente
d'iniziative religiose, di opere di carità e d'intraprese
culturali, che a quasi quattro secoli di distanza sono ancora lungi
dall'esaurirsi; soprattutto diede alla Chiesa un'intima struttura
che, da quasi quattrocento anni, si palesa sempre meglio adatta a
difenderla contro ogni tentativo, esterno e interno, di
disgregazione, contro ogni influenza perturbatrice che miri a
deviarla dal suo cammino.