Gesuiti
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La Compagnia di Gesù (in latino Societas Iesu) è un
istituto religioso maschile di diritto pontificio: i membri di
questo ordine di chierici regolari, detti Gesuiti, pospongono al
loro nome la sigla S.I.
L'ordine venne fondato da Ignazio di Loyola che, con alcuni
compagni, a Parigi nel 1534 fece voto di predicare in Terra Santa
(progetto abbandonato nel 1537) e di porsi agli ordini del papa: il
programma di Ignazio venne approvato da papa Paolo III con la bolla
Regimini militantis ecclesiae (27 settembre 1540).
Espulso da vari paesi europei nella seconda metà del XVIII
secolo, l'ordine venne soppresso e dissolto da papa Clemente XIV nel
1773 (la Compagnia sopravvisse però nella Russia Bianca
poiché la zarina Caterina II rifiutò l'exequatur al
decreto papale di soppressione); venne ricostituito da papa Pio VII
nel 1814.
I gesuiti, il cui motto è Ad maiorem Dei gloriam ad indicare
la loro ricerca di un percorso di perfettibilità mistica,
osservano il voto di totale obbedienza al papa e sono
particolarmente impegnati nelle missioni e nell'educazione.
Le origini
Il fondatore
Ignazio di Loyola in un'incisione di William Holl
Íñigo López de Loyola nacque, ultimo di tredici
figli, attorno al 1491 da una nobile famiglia basca. A tredici anni
venne inviato a Arévalo come paggio del primo tesoriere di
Ferdinando II d'Aragona, Juan Velázquez de Cuéllar, e
nel 1517 si arruolò nelle truppe del viceré di
Navarra, il duca di Nájera Antonio Manrique de Lara,
prendendo parte alle guerre di Carlo V contro Francesco I: durante
la difesa di Pamplona, assediata dai francesi, venne colpito da una
palla di cannone che gli sfracellò la gamba destra e gli
ferì la sinistra, costringendolo a claudicare per tutta la
vita.
Durante il periodo di convalescenza nel castello di Loyola, che
trascorse leggendo la Vita Christi di Ludolfo di Sassonia e la
Leggenda aurea di Jacopo da Varagine, maturarono in lui i germi di
una profonda crisi spirituale e si convertì: deciso a recarsi
in pellegrinaggio a Gerusalemme, sostò presso il monastero
benedettino di Montserrat e, trascorsa una notte in preghiera
davanti all'immagine della Madonna nera, depose le sue armi ai piedi
dell'immagine sacra e prese l'abito e il bastone da pellegrino. Si
diresse quindi a Manresa, dove rimase un anno vivendo ricche
esperienze interiori: lesse l'Imitazione di Cristo, testo a cui
rimase legato per tutta la vita e iniziò a cercare la pace
dell'anima attraverso opere straordinarie di penitenza, poi
ritrovò la serenità d'animo e attenuò le sue
austerità; durante il soggiorno a Manresa cominciarono a
prendere forma gli elementi essenziali dei suoi Esercizi spirituali.
Nel 1523 raggiunse Venezia e si imbarcò per Gerusalemme, dove
visitò i luoghi santi. Dovette però abbandonare il
progetto di stabilirsi in Palestina per il divieto di soggiorno
impostogli dai frati francescani dalla Custodia di Terra
Santa.Tornato in Spagna con il desiderio di abbracciare il
sacerdozio, riprese gli studi a Barcellona, poi presso
l'università di Alcalá dove, per il suo misticismo,
venne sospettato di essere un alumbrado e venne tenuto in carcere
dall'Inquisizione per quarantadue giorni. Si trasferì quindi
a Salamanca e poi, per completare la sua formazione, a Parigi, dove
arrivò il 2 febbraio 1528.
A Parigi Íñigo cominciò a farsi chiamare
Ignazio, che pensava essere una variante del suo nome: in
realtà, Íñigo era la forma basca del nome
Innico o Enecone, che gli era stato imposto in omaggio a
sant'Enecone, abate benedettino di Oña, il cui culto era
particolarmente sentito nella sua terra.
I primi compagni di Ignazio
Iscrittosi al Collège Saint-Barbe, ebbe come compagni di
stanza Pierre Favre, figlio di un umile pastore della Savoia, e
Francesco Saverio, di nobile famiglia della Navarra; nel 1533
incontrò Diego Laínez e Alfonso Salmerón,
anch'essi spagnoli e provenienti dall'università di
Alcalá che, essendo appena giunti in Francia e non conoscendo
bene la lingua del posto, si legarono molto a lui.Nel 1534 si
unirono al gruppo di compagni di Ignazio il portoghese Simão
Rodrigues e Nicolás Bobadilla, spagnolo, che aveva studiato
teologia e filosofia ad Alcalá e Valladolid.
Favre venne ordinato sacerdote agli inizi del 1534. Il 15 agosto
1534 (festa dell'Assunzione di Maria), nella cappella della Vergine
a Montmartre (sorta sul luogo tradizionale del martirio di san
Dionigi e dei suoi compagni), Favre celebrò l'eucaristia e,
prima della comunione, accolse i voti di Ignazio, Saverio,
Laínez, Salmerón, Rodrigues e Bobadilla; poi
pronunciò i suoi voti e si comunicò. Non si conosce il
testo della formula del voto emesso dai compagni, ma doveva
trattarsi di quelli di povertà, di recarsi a Gerusalemme e
mettersi a disposizione del papa (la promessa di castità era
implicita, essendo tutti aspiranti al sacerdozio).
Prima di partire da Parigi per Gerusalemme, ai sei si unirono tre
francesi, Claude Jay, Paschase Broët e Jean Codure, e giunti a
Venezia per imbarcarsi si aggregò alla comunità anche
il prete andaluso Diego Hoces.
La nascita dell'ordine
Poiché imbarcarsi per la Palestina in inverno non era
possibile, i compagni trascorsero l'attesa lavorando gratuitamente
presso gli ospedali veneziani degli Incurabili e dei Santi Giovanni
e Paolo; si recarono poi a Roma, dove vennero accolti favorevolmente
da papa Paolo III, che benedisse il loro pellegrinaggio, diede loro
del denaro per pagarsi il viaggio e diede a tutti il permesso di
farsi ordinare sacerdoti da un vescovo a loro scelta (fino ad
allora, solo Favre e Hoces erano preti).
I compagni emisero i voti di povertà e castità nelle
mani di Girolamo Verallo, legato pontificio a Venezia; Ignazio
(assieme a Saverio, Laínez, Rodrigues, Bobadilla e Codure)
venne ordinato sacerdote il 24 giugno 1537 da Vincenzo Nigusanti,
vescovo di Arbe in Dalmazia, nella cappella privata della residenza
del presule a Venezia. Subito dopo si divisero in gruppi di due o
tre individui e si stabilirono in diverse città (Verona,
Vicenza, Treviso, Monselice, Bassano) dove si dedicarono alla
predicazione per le strade, vivendo di elemosina e alloggiando dove
capitava. Avvicinandosi l'inverno, il gruppo si riunì a
Vicenza e, preso atto che il desiderato viaggio a Gerusalemme non
era fattibile, decisero di stabilirsi in nuove città
(soprattutto universitarie, dove avrebbero potuto trovare nuovi
giovani aspiranti a unirsi alla comunità).
Prima di lasciarsi, decisero di chiamarsi Compagnia di Gesù,
perché Cristo era il loro unico modello, colui a cui essi
dedicavano tutta la vita. Il termine compagnia era molto utilizzato
nel nome delle confraternite e di altre società
ecclesiastiche: diversamente da quanto tradizionalmente si ritiene
(anche gli storici gesuiti Jerónimo Nadal e Juan de Polanco
sposarono l'idea) la parola "compagnia" non venne adottata per la
sua connotazione militare.
Nel novembre del 1537, Ignazio, Favre e Laínez si recarono
nuovamente a Roma. Secondo la tradizione presso La Storta, a nove
miglia dalla città, Ignazio ebbe una delle sue più
celebri esperienze mistiche: ricevette la visione di Dio Padre
insieme a Cristo con la Croce che lo invitavano a essere loro servo
e gli assicuravano sostegno a Roma. Paolo III accolse calorosamente
i gesuiti e diede a Favre e Laínez l'incarico di insegnare
teologia e sacre scritture alla Sapienza. I tre divennero celebri
dando gli Esercizi spirituali, predicando per l'avvento e la
quaresima in Trinità dei Monti e per le strade, assistendo la
popolazione colpita dalla carestia.
L'approvazione pontificia
Ignazio e i compagni iniziarono a essere richiesti dagli alti
prelati della Curia che diedero loro incarichi importanti (il
cardinale Carafa affidò loro la riforma di alcuni monasteri).
Crescendo la loro importanza, nei primi mesi del 1539 i membri della
Compagnia si riunirono spesso per discutere del futuro della
comunità e il 15 aprile, durante una messa presieduta da
Favre, vennero interrogati sulla loro disponibilità ad andare
a costituire un ordine e a farne parte. Le loro discussioni si
protrassero fino al 24 giugno e portarono alla stesura dei "Cinque
capitoli", il testo base della Formula instituti.
La Formula, approvata da Paolo III il 3 settembre 1539, conteneva i
principali fondamenti della Compagnia: il carattere apostolico, il
fine di far progredire gli uomini nella fede e nella cultura
religiosa, la povertà, l'obbedienza alla Santa Sede e al
preposito, l'abolizione degli uffici corali, la promessa di recarsi
ovunque il papa avesse indicato.
Il testo venne sottoposto all'esame di una commissione di cardinali.
Gasparo Contarini appoggiò incondizionatamente la formula;
Girolamo Ghinucci, vedendo nell'abolizione del coro una concessione
al luteranesimo, manifestò forti riserve; Bartolomeo
Guidiccioni, ostile al clero regolare, cercò di ostacolare la
nascita dell'ordine. Alla fine la commissione diede il suo parere
favorevole, ma Guidiccioni concesse il suo voto favorevole solo in
cambio dell'imposizione alla Compagnia di un limite massimo di
sessanta membri (all'epoca, i gesuiti erano circa venti). Papa Paolo
III concesse l'approvazione pontificia con la bolla Regimini
militantis Ecclesiae del 27 settembre 1540.
La Compagnia di Gesù divenne un ordine riconosciuto dalla
legge canonica: Ignazio venne eletto all'unanimità preposito
generale e il 22 aprile 1541, nella basilica di San Paolo fuori le
mura, il fondatore e i suoi compagni pronunciarono i loro voti
solenni. Il limite di sessanta membri venne abolito nel 1544 (bolla
Iniunctum nobis) e il 21 luglio 1550, con la bolla Exposcit debitum,
l'ordine venne confermato da papa Giulio III.
I primi successori di Ignazio
Ignazio si spense nel 1556: a causa di un conflitto tra papa Paolo
IV e il re di Spagna Filippo II, il suo successore alla guida della
Compagnia venne eletto solo nel 1558 nella persona di Diego
Laínez, al quale succedettero Francesco Borgia (nel 1565),
Everardo Mercuriano (nel 1573) e Claudio Acquaviva (nel 1581).
Sotto il loro governo l'ordine crebbe rapidamente fino a superare i
10.000 membri: i teologi gesuiti svolsero un'importante
attività come consiglieri di cardinali (al concilio di
Trento) e accompagnatori di nunzi durante le diete imperiali o i
colloqui di religione (al sinodo di Poissy); i missionari della
Compagnia ebbero un ruolo determinante nel contrasto alla diffusione
delle dottrine protestanti e nella "ricattolicizzazione" dei paesi
dell'Europa centro-orientale dove si era diffuso il luteranesimo (fu
determinante il ruolo di Pietro Canisio, il cui catechismo venne
utilizzato a lungo come testo di base per l'insegnamento della
dottrina cattolica nei paesi di lingua tedesca).
I missionari gesuiti penetrarono in Irlanda e Inghilterra (dove
Ogilvie e Campion subirono il martirio); proseguirono l'opera
iniziata da Francesco Saverio nell'Estremo Oriente (Ricci, Schall,
Verbiest) e iniziarono a propagare il cattolicesimo nelle Americhe.
I teologi della Compagnia furono però protagonisti di
violenti conflitti dottrinali (la disputa di Luis de Molina con i
domenicani sul rapporto tra grazia e libero arbitrio; la questione
dei riti cinesi; l'accusa di lassismo rivolta ai gesuiti dai
giansenisti) che si trascinarono fino al XVIII secolo.
L'ordinamento degli studi seguito dai gesuiti nei loro collegi
(definitivamente fissato da Acquaviva con la pubblicazione della
Ratio studiorum del 1599) esercitò una grande influenza in
campo educativo.
La rapida crescita dell'ordine si arrestò sotto il generalato
di Muzio Vitelleschi, successore di Acquaviva, che si adoperò
a favore della pacificazione interna e sotto il cui governo si
celebrò il centenario della fondazione della Compagnia.
Il ministero dei gesuiti
La cura d'anime
Tra i ministeri ai quali dovevano attendere i gesuiti la Formula del
1550 citava (insieme alla catechesi, alla predicazione, alle lezioni
sacre e al servizio della parola di Dio) la "consolazione spirituale
dei credenti, con l'ascoltarne le confessioni e con
l'amministrazione degli altri sacramenti".
I gesuiti, del tutto indifferenti alle questioni sollevate dai
protestanti sulle origini e sulla forma del sacramento della
penitenza, promossero il ricorso frequente alla confessione.
Diffusero anche la pratica della confessione generale, raccomandata
dagli Esercizi spirituali, ovvero la revisione di tutta la propria
vita fatta con un confessore al fine di raggiungere una migliore
conoscenza di se stessi e iniziare un nuovo modo di vita.
La legislazione riguardante la confessione era estremamente
intricata e l'assoluzione da alcuni peccati era riservata ai vescovi
o alla Santa Sede. Nel 1545 papa Paolo III concesse ampi privilegi
alla Compagnia in materia di assoluzione: papa Giulio III nel 1552
concesse ai gesuiti la facoltà di assolvere i penitenti
addirittura dal peccato di eresia.
In connessione con l'aumento dello spazio riservato al sacramento
della penitenza, i gesuiti affrontarono sempre più largamente
lo studio dei casi di coscienza (casuistica): la casuistica nacque
come riflessione su quello che, nelle varie circostanze concrete,
poteva essere ritenuto l'orientamento morale più corretto.
Per giudicare la colpevolezza di un atto, i gesuiti privilegiarono
la teoria del "probabilismo": vi era una molteplicità di
opinioni su quello che doveva essere il modo giusto di agire in una
determinata situazione e il confessore poteva sceglierne una
probabile (non necessariamente la più probabile) se questa
era favorevole al penitente.
A questa morale, ritenuta "lassista", i giansenisti ne
contrapponevano una estremamente rigorista, che arrivava a rifiutare
l'assoluzione ai fedeli fino alla loro totale e irrevocabile
conversione. Blaise Pascal si inserì nella polemica tra
gesuiti e giansenisti nelle sue Lettres provinciales, accusando i
primi di tradire i principi eterni della morale evangelica e
compromettere i veri interessi della religione adattandoli
disinvoltamente ai vizi del secolo. Le Lettres conobbero una grande
diffusione e suscitarono un acceso dibattito: in un testo di autore
anonimo pubblicato a Venezia nel 1698 (Lettere d'un direttore) si
affermava che l'accusa di lassismo mossa alla morale gesuita era
contraddetta dalla "severa virtù" che era possibile
constatare nei penitenti della Compagnia e nel fatto che molti
fuggissero la loro direzione spirituale ritenendola troppo rigorosa.
La Compagnia di Gesù si specializzò nella direzione
spirituale di personaggi di rango elevato, anche di sovrani (Pierre
Coton, François Annat e La Chaise furono confessori dei re di
Francia Enrico IV e Luigi XIV).
Le opere di carità
Se nella versione della Formula del 1540, tra le opere di
carità cui intendevano dedicarsi i gesuiti, comparivano solo
l'insegnamento del catechismo e l'ascolto delle confessioni, in
quella del 1550 vennero inseriti anche la riconciliazione dei
litiganti e il servizio ai carcerati e ai malati negli ospedali.
Chiamati a predicare e a confessare nelle zone più remote
delle penisole italiana e iberica, i gesuiti le trovavano spesso
sconvolte da lotte tra fazioni rivali e faide sanguinose che
infuriavano da anni: i padri organizzavano nelle chiese vere e
proprie liturgie di riconciliazione alle quali venivano invitati gli
esponenti dei gruppi in lotta e, dopo la predica, venivano invitati
a perdonarsi reciprocamente. L'azione pacificatrice era rivolta
anche agli sposi separati e a comporre dispute, per esempio, tra
monaci e clero secolare.
L'opera di assistenza agli ammalati, molto importante alle origini,
cominciò a declinare quando i gesuiti iniziarono a
specializzarsi nell'insegnamento (sotto il generalato di
Laínez). Il ministero dei prigionieri, ai quali i religiosi
offrivano grosso modo gli stessi servizi offerti agli ammalati,
continuò perché i carcerati non richiedevano cure
continue come gli ammalati e il loro servizio era quindi compatibile
con l'insegnamento. I prigionieri erano in massima parte debitori o
detenuti in attesa di processo, quindi non criminali incalliti.
Nelle prigioni i gesuiti predicavano, confessavano e insegnavano il
catechismo, distribuivano le elemosine raccolte per i detenuti;
spesso trattavano con i creditori e con le autorità per
ottenere la mitigazione o la sospensione delle condanne.
Nel 1543 Ignazio fondò a Roma la Casa di Santa Marta, per
aiutare le prostitute desiderose di abbandonare il loro mestiere a
reinserirsi nella società, e anche altrove i gesuiti si
impegnarono in vari modi in tale ministero. Nel 1546 venne anche
creato il conservatorio delle Vergini Miserabili, presso la chiesa
di Santa Caterina dei Funari, dove alle figlie delle prostitute
veniva fornita un'educazione e una dote: istituzioni simili vennero
promosse dai gesuiti a Venezia (conservatorio delle Vergini
Periclanti) e Firenze (istituto delle Fanciulle della Pietà).
L'impegno dei gesuiti fu notevole anche in favore degli ebrei e dei
musulmani convertiti al cattolicesimo (Ignazio fu tra i primi a
consentire a moriscos e marranos l'accesso a un ordine religioso).
L'attività educativa
Diego Laínez e Pierre Favre furono i primi gesuiti a
dedicarsi all'insegnamento (ricevettero l'incarico da Paolo III nel
1537); Jay nel 1543 ottenne una cattedra a Ingolstadt e nel 1545
Rodríguez divenne precettore dei figli di Giovanni III del
Portogallo.
Tra il 1540 e il 1544 vennero creati dei collegi per la formazione
dei futuri membri dell'ordine a Parigi, Lovanio, Colonia, Padova,
Alcalá, Valencia e Coimbra: queste istituzioni erano semplici
residenze, senza attività didattiche, destinate a dare
alloggio agli scolastici che studiavano presso le locali
università.
Il ministero dell'insegnamento, inizialmente non previsto dal
fondatore, si sviluppò fino a divenire una delle principali
attività dell'ordine e uno dei principali strumenti della sua
diffusione.
I collegi di Gandía e Messina
Nel 1544 Francesco Borgia, che aveva già contribuito alla
nascita del collegio di Valencia, ottenne da Paolo III il permesso
di fondare un collegio a Gandía: fu il primo collegio in cui
i gesuiti impartivano anche l'insegnamento e dove erano ammessi
anche studenti non destinati a entrare nella Compagnia (nelle
intenzioni di Borgia, era destinato all'educazione dei figli dei
moriscos).
Essendo venuto al corrente di quello che era accaduto a
Gandía, Jerónimo Doménech pensò di
fondare un collegio a Messina, dove aveva trovato un'immensa
ignoranza nel clero: fece interessare all'iniziativa anche Eleonora
Osorio, moglie del viceré di Sicilia, e il 19 dicembre 1547
le autorità cittadine chiesero a Ignazio l'invio di
insegnanti, ai quali si garantiva cibo, vestiario e alloggio.
Dopo l'apertura del collegio di San Niccolò a Messina (1548),
il senato di Palermo chiese a Ignazio l'apertura di un collegio
anche nella capitale siciliana; in breve tempo, la Compagnia si mise
all'opera per aprire collegi a Napoli, Venezia e Colonia. Il 22
febbraio 1551, con il sostegno economico del duca di Gandía,
venne aperto il Collegio Romano.
La Ratio studiorum
Le scuole divennero strumenti per confermare i cattolici dubbiosi,
per ottenere la conversione dei giovani dal protestantesimo e
influire sui loro genitori. I collegi divennero in breve il centro
principale di tutti i ministeri gesuitici: a questi era collegata
una chiesa in cui scolastici e docenti della Compagnia svolgevano i
loro consueti ministeri.
A partire dalla fondazione dei primi collegi, negli anni quaranta e
cinquanta del Cinquecento, venne elaborata la Ratio atque institutio
studiorum Societatis Iesu, messa a punto da una commissione tra il
1581 e il 1599, anno della sua pubblicazione. Questo manuale sul
metodo educativo e l'ordinamento delle scuole, composto da 463
regole, codificava un metodo pedagogico imperniato sull'insegnamento
del latino e dei classici, emulazione tra studenti e severa
disciplina.
Le caratteristiche che portarono al successo dei collegi gesuiti e
imposero un nuovo stile di educazione furono la gratuità,
l'apertura a studenti di tutte le classi sociali (almeno in linea di
principio), l'insegnamento delle "umane lettere" unito a quello
delle scienze, la divisioni in classi con insegnanti propri e la
progressione da una classe all'altra in base a obiettivi curricolari
predefiniti, l'adozione di un programma chiaro e coerente.
I collegi, diversamente dalla case professe, che non potevano
possedere beni, erano dotate di rendite e benefattori: si
specializzarono nell'educazione dei giovani di nascita aristocratica
e alto borghese e i gesuiti si specializzarono nella formazione
delle classi dirigenti. I collegi della Compagnia erano 48 nel
1556, 144 nel 1580 e nel 1640 521.
Le missioni
I gesuiti non solo contribuirono ad arrestare il dilagare del
protestantesimo nell'Europa centrale, ma già durante la vita
di Ignazio intrapresero anche intensa attività missionaria
nei paesi da poco scoperti.
Le missioni estere
L'apostolo delle Indie
L'impegno missionario della Compagnia fu conseguenza del desiderio
del re di Portogallo Giovanni III di evangelizzare le popolazioni
nei suoi domini d'oltremare. Il sovrano si rivolse a Ignazio che
decise di inviare in Portogallo Rodrigues e Bobadilla: poiché
Bobadilla era indisposto, lo sostituì Francesco Saverio.
Rodrigues rimase a Lisbona per impiantarvi la Compagnia, mentre
Saverio partì dalla capitale portoghese il 7 aprile 1541
insieme a due compagni (un prete romano e un seminarista portoghese)
sulla nave Santiago; giunse a Goa il 6 maggio 1542.
I primi destinatari dell'opera di Francesco Saverio furono i
pescatori di perle della zona di capo Comorin, per i quali tradusse
in tamil le principali preghiere cristiane; dopo due anni
tornò a Goa, dove venne raggiunto da altri confratelli, e
trascorse i successivi quattro anni in viaggi di ricognizione che lo
portarono fino nelle isole Molucche. Il 15 agosto 1549 sbarcò
in Giappone, dove riuscì a stabilire contatti con la classe
colta e arrivò a convertire alcune migliaia di indigeni.
Francesco infine cercò, inutilmente, di penetrare in Cina, ma
morì sull'isola di Sancian il 3 dicembre 1552.
India
Dopo la morte di Francesco Saverio, che aveva fondato la provincia
indiana della Compagnia con seda a Goa (alla quale si aggiunse poi
quella di Cochin o Malabar), l'apostolato missionario dei gesuiti in
India si rivolse particolarmente a tre terre che si erano mostrate
ricche di prospettive per l'attecchimento del cattolicesimo: il
regno del gran mogol, che si estendeva da Kabul, all'Iran, al
Bengala meridionale, il Malabar, nel sud-ovest della penisola
indiana, e la regione attorno alla città Madurai.
Il gran mogol Akbar nel 1579 inviò un'ambasceria ai gesuiti
invitandoli a corte per esporre i principi del cristianesimo. La
Compagnia inviò tre missionari: Rodolfo Acquaviva, nipote di
Claudio, Francisco Henriquez, un persiano convertito al
cattolicesimo dall'Islam, e il catalano Antonio de Monserrare. I tre
lasciarono Goa diretti a Fatehpur, capitale dell'impero del gran
mogol, il 17 novembre 1579. Acquaviva rimase presso Akbar per
quattro anni ma, nonostante la grande stima che riuscì a
guadagnarsi, non suscitò la conversione del sovrano e nel
1583 venne richiamato a Goa (morì martire qualche anno dopo,
ucciso dagli indù a Salsette). Nel 1584 Akbar invitò a
corte altri gesuiti: la missione venne guidata da Gerolamo Saverio,
pronipote di Francesco, che rimase presso il sovrano per oltre
trent'anni accompagnandolo nei suoi lunghi viaggi attraverso il suo
vasto impero. Le speranze di convertirlo, comunque, andarono deluse.
Nella penisola di Malabar esisteva un'antica comunità
cristiana, che la tradizione faceva risalire alla predicazione
dell'apostolo Tommaso: le loro pratiche rituali erano sensibilmente
diverse da quelle latine (vigeva l'uso della saliva e
dell'insufflazione durante il battesimo) a causa della vicinanza con
i caldei della Mesopotamia, la loro dottrina si era tinta di
nestorianesimo. Il mantenimento di tali usi, sostenuto dai gesuiti,
venne duramente contestato da altri missionari e portò alla
nascita della questione dei riti malabarici. Papa Benedetto XIV, con
il documento Omnium sollecitudinem del 13 settembre 1744,
condannò i riti malabarici: molti cristiani indiani
secessionarono e divennero giacobiti. Per la prima volta dall'arrivo
dei gesuiti in India, il numero dei cattolici iniziò a
diminuire.
Nel 1606 il gesuita Roberto de Nobili venne inviato come missionario
a Madurai. Imparò presto la lingua tamil e i costumi locali:
essendo di nobile nascita, si presentò come rajah e,
diversamente da quanti lo avevano preceduto, godette di grande
rispetto. Conoscendo l'alta considerazione in cui erano tenuti
gli asceti sannyasin, adottò il loro stile di vita:
vestì un abito ocra, si fece un segno sulla fronte e
iniziò a nutrirsi di riso, frutta ed erbe; imparò il
sanscrito e studiò i veda. Nel 1611 aveva convertito oltre
150 indiani. I superiori di de Nobili denunciarono come forieri
di superstizione i suoi metodi, ma papa Gregorio XV, con la
costituzione Romanae sedis del 31 gennaio 1623, sostenne il
missionario. De Nobili rivolse quindi le sue attenzioni ai
paria, i senza casta: si servì del gesuita Baltasar de Costa,
che attraversò i regni di Madurai, Tanjore e Sathyamangalam
vestito di una tunica gialla e con degli orecchini d'oro e
riuscì a battezzare oltre 2.500 adulti, soprattutto delle
classi contaminate.
Giappone
Tornando dal viaggio alle Molucche, Francesco Saverio aveva
conosciuto Yajiro, nativo del Giappone, che gli aveva parlato del
suo paese: Yaijro venne battezzato con il nome di Paolo della Santa
Fede e nel 1549 partì con il Saverio e altri gesuiti per
Kagoshima, capitale del Giappone meridionale, dove venne fondata una
missione e vennero operate circa duecento conversioni. Nel 1550
Francesco si presentò, con le credenziali di ambasciatore del
re di Portogallo, a Ōuchi Yoshitaka, potente daimyō di Yamaguchi,
recandogli numerosi doni (orologi, occhiali, carillon, vino): il
daimyō accolse benevolmente i gesuiti, concesse loro di predicare il
cristianesimo e mise a loro disposizione un tempio buddista
abbandonato, che divenne loro quartier generale.
Francesco Saverio aveva molta stima dei giapponesi, che considerava
"un popolo di moralità eccellente [...] buono e senza
malizia". Arrivò a credere che il Giappone rappresentasse il
campo di missione più promettente dell'Oriente e,
conoscendo la grande stima che quel popolo aveva per la cultura
cinese, pensò di dedicarsi all'evangelizzazione della Cina
sperando che questa avrebbe facilitato le conversioni anche in
Giappone. Fu questo a spingere Saverio a lasciare il Giappone e a
tentare di entrare in Cina.
Nel 1579 i battezzati giapponesi erano circa 150.000: molti,
però, si erano convertiti per interesse economico, per
prendere parte al commercio con i portoghesi; ad altri il battesimo
era stato imposto ai sudditi dai principi locali (il daimyō di
Ōmura, che abbracciò il Cristianesimo nel 1563, aveva imposto
la conversione ai suoi oltre 20.000 sudditi; lo stesso accadde nei
feudi di Amakusa e Bungo).
Il consolidamento della Compagnia in Giappone è dovuto ad
Alessandro Valignano, che fu visitatore in Giappone per tre periodi
(1579-1582, 1590-1592 e 1598-1603): al primo suo arrivo, i gesuiti
in Giappone erano 59 (28 dei quali sacerdoti). Grande estimatore
della cultura giapponese, impose ai suoi missionari di adattarsi
agli usi locali limitandosi a non compromettere i dogmi cattolici.
Ad esempio, fece assumere ai gesuiti la condizione dei monaci zen.
Favorì anche l'ingresso nella Compagnia degli indigeni, per i
quali venne aperto un noviziato, che non avendo problemi con la
lingua potevano facilmente catechizzare e predicare. Nel 1602
vennero ordinati i primi due sacerdoti giapponesi.
Dopo il rapido successo iniziale, l'avvento al potere di Toyotomi
Hideyoshi mise in difficoltà missione gesuita in Giappone.
L'intromissione del viceprovinciale Coelho nella politica locale
fece sospettare a Hideyoshi che i gesuiti fossero spie e che
stessero preparando un'invasione da parte degli occidentali: il 24
luglio 1587 venne emanato un decreto di espulsione per i gesuiti,
che non venne applicato rigorosamente solo per non compromettere le
relazioni commerciali con Macao. Inoltre, benché con il breve
Ex pastoralis officio papa Gregorio XIII avesse reso il Giappone una
missione esclusiva dei gesuiti (si temeva che l'arrivo di altri
religiosi potesse indurre i giapponesi a pensare che il
cristianesimo mancasse di unità e fosse un insieme di piccole
sette), anche i frati francescani spagnoli stabilirono delle
missioni in Giappone, scontrandosi spesso con i gesuiti: le baruffe
aumentarono la diffidenza di Hideyoshi, che il 5 gennaio 1597 fece
uccidere ventisei cristiani (tra cui Paolo Miki e altri due
scolastici gesuiti).
Tokugawa Ieyasu, successore di Hideyoshi, inizialmente si
dimostrò tollerante con i cristiani, incoraggiò i
gesuiti e ricevette in udienza Valignano. Solo tra il 1599 e il 1600
vi furono 70.000 battesimi. Ma nel 1600 arrivarono in oriente i
mercanti olandesi protestanti, che fecero diminuire l'importanza
delle relazioni economiche con il Portogallo e misero in cattiva
luce il cattolicesimo: tutto questo, insieme al desiderio di Ieyasu
di far tornare tutti i giapponesi al buddhismo, portò
all'espulsione dei gesuiti dal Giappone (27 gennaio 1614). La
comunità cristiana, che era arrivata a contare 300.000
individui, venne distrutta.
Cina
Fallito il tentativo di Francesco Saverio, il piano per la
penetrazione della Compagnia in Cina venne elaborato da Alessandro
Valignano durante il suo soggiorno a Macao (1578). Convinto che
l'ordine dovesse dissociarsi dall'immagine di predone occidentale
avido di conquista, invitò i suoi missionari ad acquisire la
maggior padronanza possibile della lingua cinese, a rispettare i
valori culturali e spirituali dei cinesi, a usare la scienza come
mezzo per introdurre la fede, a sviluppare l'apostolato per mezzo
degli scritti e delle relazioni sociali e a concentrare il loro
impegno missionario nei confronti della classe colta dominante.
Valignano inviò Michele Ruggieri a Macao a studiare il
cinese: a lui si unì lo scienziato e linguista Matteo Ricci
e, grazie alla fama di grande matematico di cui godeva Ricci, i due
vennero invitati in Cina e ottennero il permesso di risiedervi.
Ruggieri e Ricci fissarono la loro residenza a Shiuhing e nei
venticinque anni che rimasero nel paese raggiunsero Shaoguan,
Nanchang, Nanchino e Pechino.
Ricci concentrò i suoi sforzi nella conversione delle classi
elitarie: si appellò alla loro curiosità intellettuale
mostrando loro prismi, orologi, strumenti matematici e carte
geografiche. Nel 1594 venne ammesso nella classe dei mandarini, il
che gli permise di aumentare il suo prestigio sociale. Nel 1601 si
stabilì a Pechino, accolto con favore dall'imperatore.
Nel 1610, anno della morte di Ricci, i cattolici cinesi erano circa
2.500: tale numero raddoppiò nei cinque anni successivi.
Dopo il rapido successo iniziale, per i gesuiti iniziarono i primi
problemi. Il mandarino Shen Ch'ueh, preoccupato per l'infiltrazione
di un culto straniero, tra il 1617 e il 1622 promosse la prima
persecuzione contro i cattolici, costringendo i gesuiti alla
clandestinità. Nel 1644 le truppe della Manciuria invasero la
Cina e misero fine al secolare governo della dinastia Ming, che si
erano sempre mostrati favorevoli ai gesuiti: sotto uno dei primi
imperatori della dinastia Ch'ing, tra il 1664 e il 1669, i religiosi
vennero tenuti agli arresti domiciliari a Canton.
Nonostante le persecuzioni i gesuiti continuarono la loro opera: il
successore di Ricci alla guida della missione, Niccolò
Longobardi, ne accolse il metodo e nel 1618 fece giungere
dall'Europa il gesuita Johann Schreck, astronomo e accademico dei
Lincei, che portò in Cina nuove conoscenze matematiche e
geometriche, nuove tecniche per la costruzione di strumenti
astronomici e le teorie di Galileo Galilei.
Da ricordare sono anche i gesuiti Johann Adam Schall von Bell,
tedesco, che venne nominato presidente del tribunale matematico e
mandarino di prima classe, e Ferdinand Verbiest, fiammingo, chiamato
dall'imperatore K'ang-hsi per farsi esporre le ultime scoperte
europee in campo matematico e astronomico.
L'apertura dei gesuiti nei confronti della cultura e delle
tradizioni cinesi portò allo scoppio della questione dei riti
cinesi.
I gesuiti nel 1615 avevano ottenuto da papa Paolo V il permesso di
tradurre la Bibbia in cinese e, per i preti locali, di celebrare la
Messa e recitare il breviario nella loro lingua (l'autorizzazione fu
revocata dalla congregazione di Propaganda Fide sotto i pontificati
di Alessandro VII e Innocenzo XI); soprattutto, avevano consentito,
sin dai tempi di Matteo Ricci, ai convertiti di continuare a
celebrare i riti in onore degli antenati e di Confucio che, secondo
i gesuiti, avevano carattere più civile e politico che
religioso.
L'arrivo dei francescani e dei domenicani nel 1631 creò i
primi problemi: essi criticarono il metodo missionario gesuita (la
decisione di vestire i preziosi abiti dei mandarini, di rivolgersi
prevalentemente alle classi elevate) e condannarono come
superstiziosi e pagani i riti cinesi. Al fronte religioso che si
opponeva alla prassi missionaria dei gesuiti in Cina si aggiunsero
poi i padri del Seminario delle Missioni Estere di Parigi, e i
missionari di Propaganda Fide, i carmelitani, gli eremitani, i
barnabiti e i caracciolini.
Nel 1693 il vicario apostolico di Fukien, Charles Maigrot, delle
Missioni Estere di Parigi, condannò l'utilizzo dei termini
cinesi Tian (cielo) e Shangdi (signore supremo), che i Gesuiti
tolleravano quali termini per designare il Dio dei cristiani da
parte dei cinesi convertiti. Maigrot portò il suo decreto a
Roma, e la Santa Sede iniziò una istruttoria che si concluse
con una condanna dei riti: il 20 novembre 1704, con il decreto Cum
Deus Optimus papa Clemente XI proibì l'uso di quei termini e
la partecipazione dei neoconvertiti ai riti ancestrali. La condanna
dei riti cinesi venne confermata con il decreto del 25 settembre
1710, con la costituzione Ex illa die del 1715 e con la bolla Ex quo
singulari del 1742).
Secondo lo storico gesuita Bangert, la questione dei riti cinesi
venne sollevata più per svilire l'immagine della Compagnia
che per tutelare la purezza del culto.
Brasile
Negli stessi anni in cui Saverio iniziava l'evangelizzazione del
lontano Oriente, altri gesuiti si dedicarono alle missioni presso le
popolazioni indigene del Brasile, altro grande possedimento
portoghese. Il 29 marzo 1549 una comunità di sei religiosi
guidata da Manuel da Nóbrega partì per l'America e
sbarcò a Bahía de Todos los Santos.
Il loro primo incarico fu quello di curare l'educazione dei figli
dei coloni portoghesi, insediati lungo la costa atlantica: la loro
prima capanna di fango eretta a São Salvador da Bahia divenne
il collegio massimo, una delle più importanti istituzioni
culturali del paese.
Nel 1553 Nóbrega si spinse all'interno insieme a José
de Anchieta, un giovane gesuita proveniente dalle Canarie, e i due
fondarono un seminario destinato a diventare il centro per
l'organizzazione dell'apostolato presso gli indigeni tupi, che i
missionari organizzarono in comunità stabili. Da
quell'insediamento si sviluppò la città di São
Paulo.
Anchieta scrisse la prima grammatica della lingua tupi e fu autore
di numerosi canzoni in lingua indigena utilizzando melodie popolari.
Paraguay
I gesuiti vennero chiamati in Paraguay nel 1585 dal vescovo di
Tucumán per evangelizzare i Guaraní che, dinanzi
all'avanzata degli spagnoli, si erano ritirati a est del
Paraná, nelle zone delle Pampas e del Chaco. Inizialmente
l'azione dei gesuiti fu poco efficace per vari motivi (il metodo
adottato della missione itinerante, il carattere nomade della
popolazione, i cacciatori di schiavi), così il preposito
generale Claudio Acquaviva suggerì ai missionari la creazione
di colonie stabili di indios, lontane dai centri abitati spagnoli
(al sicuro, quindi, dall'influsso dei costumi coloniali e dai
cacciatori di schiavi). Sorsero così le prime reducciones (o
riduzioni), approvate dalla Corona spagnola ma ostacolate dai
coloni, dei piccoli villaggi fortificati autonomi a struttura
teocratica che, grazie alle attività agricole introdotte dai
gesuiti (coltivazione del cotone, del mate), godettero una certa
prosperità.
Le reducciones del Paraguay, tra il 1610 e il 1640 circa, di
diffusero fino a comprendere gli indios della provincia brasiliana
di Tapes e andarono a costituire quasi una repubblica indipendente
(il cosiddetto "stato gesuita del Paraguay"), suscitando
l'ostilità delle locali autorità ecclesiastiche e
coloniali (tanto che Filippo IV di Spagna autorizzò gli
indigeni a munirsi di armi da fuoco). Tra il 1628 e il 1635 i
portoghesi del Brasile attaccarono le reducciones che, alla fine del
conflitto, nel 1641 erano ridotte a una trentina, con circa 150.000
indios cristiani.
Sempre nell'America del Sud, il gesuita Pietro Claver, missionario
nella Nuova Granada e responsabile dell'apostolato tra gli schiavi
neri di Cartagena, svolse un'importante azione antischiavista: venne
canonizzato nel 1888 e dichiarato patrono delle missioni africane.
Canada
Dopo alcuni isolati tentativi fatti negli anni precedenti, i primi
gesuiti provenienti dalla Francia giunsero a Québec nel 1632
sotto la guida di Paul Le Jeune. I padri aprirono il collegio di
Nostra Signora degli Angeli e su loro invito anche l'orsolina Maria
dell'Incarnazione raggiunse la colonia per unirsi alla loro missione
educativa.
A pochi anni dall'arrivo in Canada i gesuiti avevano già
raggiunto il numero di 23 padri e 6 fratelli. I missionari
iniziarono a dedicarsi all'evangelizzazione degli uroni e si
spinsero verso l'interno per cercare contatti con altri popoli
indigeni: avendo sentito parlare di un grande fiume che scorreva
verso il sud che gli avrebbe permesso di raggiungere altri territori
abitati dagli amerindi, il gesuita Jacques Marquette si unì
al viaggio dell'esploratore Louis Jolliet e nel 1673, risalendo il
corso del Wisconsin, scoprì il corso superiore del
Mississippi e discese il fiume esplorando soprattutto le confluenze
del Missouri e dell'Ohio, giungendo alla conclusione che il fiume
scorreva verso sud per sfociare nel golfo del Messico.
I gesuiti convertirono al cristianesimo numerosi uroni stanziati
lungo il fiume San Lorenzo. Contro gli uroni si formò presto
una confederazione di cinque popoli irochesi, tra cui i mohawk, che
creò gravi problemi ai missionari. Nel 1642 René
Goupil venne ucciso dai mohawk e il suo compagno Isaac Jogues,
liberato dopo mesi di prigonia e torture; nel 1646 Jogues
tornò tra i mohawk assieme a Jean La Lande per una missione
di pace, ma vennero entrambi uccisi. Al numero dei gesuiti uccisi
dagli irochesi in Canada si unirono Jean de Brébeuf, Gabriel
Lalemant, Antoine Daniel, Charles Garnier e Noël Chabanel.
Il gruppo degli otto martiri canado-americani venne canonizzato da
papa Pio XI nel 1930.
Africa
Nel 1548 i gesuiti tentarono di penetrare in Marocco, ma vennero
espulsi poco dopo. Maggior successo ebbe l'attività
missionaria della Compagnia in Etiopia, Mozambico, Angola, Congo e
Capo Verde.
Minacciato dai musulmani, il negus d'Etiopia Claudio promise a
Giovanni III di Portogallo, in cambio del suo sostegno militare, di
abiurare il monofisismo e di aderire con i suoi sudditi al
cattolicesimo. Da Goa giunsero in Etiopia alcuni missionari gesuiti
e il 30 marzo 1556 lasciò Lisbona João Nunes Barreto,
nominato patriarca d'Abissinia (fu il primo gesuita a essere
innalzato all'episcopato). Dopo la sconfitta dei musulmani il
negus dimenticò le sue promesse e il successore di Claudio
confinò i gesuiti nel deserto (l'ultimo morì nel
1597). I padri Eliano e Rodríguez contattarono, per conto
della Santa Sede, il patriarca copto di Alessandria Gabriele VII, ma
i colloqui per la riunione delle Chiese cattolica e copta non ebbero
un esito positivo.
Nel 1560 tre gesuiti giunsero da Goa in Mozambico, dove erano stati
chiamati da Gamba, capo della tribù dei MaKaranga stanziati
presso Inhambane, che avevano conosciuto il cristianesimo grazie ai
loro contatti con i portoghesi. In breve i missionari battezzarono
oltre 450 persone, poi si spinsero verso lo Zambesi e convertirono
il capo dell'impero di Monomotapa, sua madre e i suoi 300 sudditi. I
musulmani, però, ordirono una congiura e spinsero
l'imperatore a far assassinare i gesuiti (Gonçalo da
Silveira, il capo della missione, venne strangolato il 15 marzo
1561) mettendo fine all'impresa dei gesuiti nella zona.
I primi quattro gesuiti penetrarono in Angola attorno al 1563, ma la
loro missione non ebbe successo: l'11 febbraio 1575 sbarcarono a
Luanda altri quattro gesuiti (due preti e due fratelli) che,
nonostante lo scarso appoggio della Compagnia (che inviò
rinforzi solo nel 1580), in tre anni battezzarono oltre 200 persone
(nel 1593 gli angolani battezzati erano già oltre 8.000).
I gesuiti eressero a Luanda una chiesa e un collegio e tra il 1604 e
il 1608 fondarono stazioni missionarie nelle isole di Capo Verde.
Dopo una prima breve impresa in Congo tra il 1548 e il 1555, nel
1581 i gesuiti dell'Angola, guidati da Baltasar Barreira, tornarono
in questa regione per un viaggio di esplorazione e vi
battezzò 1500 persone. Dopo un inizio promettente della
missione, alcuni eventi portarono alla distruzione dell'armonia
religiosa (nel 1645 giunsero dei missionari cappuccini spagnoli che
cercarono di portare i congolesi nell'orbita spagnola) e al
disordine civile (rivolte di indigeni). Anche a causa dell'esiguo
numero di gesuiti, nel 1674 l'impresa in Congo venne abbandonata.
Fra le molte missioni fondate dai gesuiti in Africa prima della
soppressione del XVIII secolo, quella in Angola fu l'unica a
radicarsi e ad avere un certo sviluppo.
Le missioni interne
Come Ignazio, che aveva iniziato il suo ministero insegnando la
dottrina ai bambini e girando insieme ai compagni per le piazze dei
paesi predicando ai passanti, anche i primi gesuiti si dedicarono
alla predicazione estemporanea, quasi in concorrenza con cantastorie
e cavadenti, viaggiando di città in città, spesso a
piedi nudi. Fino alla metà del Cinquecento questa forma
di predicazione ebbe caratteristiche di improvvisazione e venne
esercitata in maniera quasi giullaresca, assumendo anche un fine di
mortificazione per chi la compiva. La situazione mutò a
partire dalla seconda metà del secolo e soprattutto nel
Seicento.
Le gerarchie ecclesiastiche (vescovi e inquisitori) iniziarono a
ricorrere ai gesuiti commissionando loro un'opera di controllo
antiereticale (tra i valdesi di Piemonte, Puglia e Calabria, tra i
moriscos in Spagna) ma anche di rilancio della vita religiosa. La
vicenda del gesuita Silvestro Landino è paradigmatica: tra il
1550 e il 1551, in occasione della visita pastorale di Egidio
Foscari a Modena (capitale italiana del movimento filoprotestante) e
nella sua diocesi, affiancò il presule dedicandosi allo
smascheramento di ecclesiastici e maggiorenti in odore di eresia;
spostandosi nelle zone montane, però, si rese conto che a
minacciare la vita cristiana non era tanto la diffusione delle
dottrine riformate, quanto la profonda ignoranza e superstizione
della popolazione e del clero delle zone più isolate.
Capitava che i sacerdoti delle aree rurali ignorassero la formula
del sacramento dell'Eucaristia o che, interrogati sulla
Trinità, i contadini rispondessero essere battesimo, cresima
ed eucaristia, o fede, speranza e carità, o Gesù,
Giuseppe e Maria; altri credevano all'esistenza di un numero
indefinito di dei.
Dalle zone dell'Appennino Tosco-Emiliano Landino passò
all'isola di Capraia e poi in Corsica, dove trascorse gli ultimi
giorni della sua vita dedicandosi alle missioni tra le popolazioni
più isolate e abbandonate. Nei luoghi desolati e periferici i
gesuiti riconobbero "altre Indie", bisognose di evangelizzazione al
pari di quelle dell'Asia e delle Americhe.
Nel corso del Seicento le missioni nelle campagne acquisirono una
struttura fissa: i padri si recavano in una località al
centro di un'area rurale e vi rimanevano alcuni giorni dando
esercizi spirituali a sacerdoti e nobili, predicando al popolo,
organizzando processioni, confessioni e comunioni
collettive,distribuendo medaglie e immaginette sacre, fondando o
rivitalizzando confraternite, formando catechisti.
Colonialismo
Lo slancio missionario dei gesuiti è testimoniato dalle circa
quindicimila lettere, scritte tra il 1550 e il 1771 da tutta Europa
e conservate negli archivi romani dell'Ordine. In esse i religiosi
domandavano di essere mandati nelle missioni d'oltremare per emulare
san Francesco Saverio, l'apostolo del Giappone, il cui nome appare a
chiare lettere in duemila missive.
I membri secolari e regolari del clero si dedicavano ovunque ad
attività commerciali, in particolare i gesuiti furono attivi
in Giappone fino alla proibizione del cristianesimo nel 1614 e alla
successiva espulsione dei portoghesi dal paese. L'unica funzione
dell'impero, scrisse una volta lo stesso san Francesco Saverio, era
quella di coniugare «ogni modo e tempo del verbo
depredare». Persino un religioso cattolico, recatosi in India
nel 1672, rimase colpito dalle ricchezze accumulate nei monasteri e
nei conventi portoghesi e ricavò l'impressione che
«tutto il commercio della nazione fosse nelle loro
mani». Quando furono espulsi dal Giappone nel 1639, i gesuiti
si trasferirono nel Macassar; in Indocina e in Thailandia, che
offrivano tuttavia opportunità meno remunerative.
Per quanto riguarda il Brasile, i padri gesuiti dapprima
trasferirono gli amerindi in villaggi dove potevano proteggerli e
convertirli, come il re aveva ordinato, e nel 1570 ottennero dal
sovrano che venisse abolita la schiavitù, tranne per chi
praticava il cannibalismo o rifiutava la conversione al
Cristianesimo. Come conseguenza essi vennero espulsi due volte da
Maranhão, ed a causa della pressante richiesta di manodopera,
soddisfatta dall'importazione dei neri africani solo alla fine del
XVI secolo, furono infine costretti ad accettare la politica dei
coloni.
Secondo le credenze del tempo era infatti per volontà di Dio
che gli africani fossero schiavi di padroni bianchi e cristiani.
Essi meritavano tale sorte non solo perché appartenevano
presumibilmente alla razza su cui ricadeva, secondo la Bibbia, la
maledizione lanciata da Noè sui discendenti del figlio Cam,
ma anche per l'enormità dei peccati commessi dai loro
antenati, della quale il colore della pelle era un'indubbia
testimonianza. Anche la riluttanza a lavorare con zelo in condizioni
di schiavitù era ritenuta una prova della loro inadeguatezza,
e si pensava che l'asservimento li avrebbe abituati ai benefici
effetti di una vita faticosa e regolare, preparandoli a ricevere il
dono divino del messaggio cristiano. È comprensibile quindi
che in un'Europa in cui i vagabondi erano marchiati e i dissidenti
religiosi torturati o arsi vivi, non si sollevassero serie obiezioni
ad analoghi trattamenti inflitti ai neri ritenuti altrettanto
recalcitranti.
Intorno al 1600 i gesuiti possedevano, insieme ai dominicani, circa
un terzo delle terre produttive nelle colonie spagnole e portoghesi
delle Americhe. All'inizio del 1700 in ogni latifondo lavoravano,
secondo le modalità tipiche dell'economia coloniale iberica,
mille indigeni ogni centocinquanta schiavi neri.
Nelle Americhe colonizzate da spagnoli e portoghesi, dove gli
edifici ecclesiastici, alcuni dei quali erano autentiche fortezze,
regolarmente superavano per dimensioni e magnificenza le opere
più imponenti dell'architettura civile, la Chiesa cattolica
si insediò in maniera solenne e fastosa acquisendo immense
proprietà, come in Asia accadde di rado. Monasteri e conventi
fornivano l'istruzione primaria ai bambini non indigeni, e dalla
fine del 1500 i gesuiti aprirono una rete di scuole secondarie:
città opulente ospitavano conventi alla moda e lungo le
frontiere imperiali missionari paternalistici dirigevano il lavoro e
le preghiere degli accoliti amerindi, mentre nel cuore dell'impero i
convertiti nativi professavano un cattolicesimo fatto di devozione
superstiziosa e di paganesimo appena velato, oppure strane
combinazioni di usanze cristiane ed indigene.
Soppressione e rinascita dell'ordine
La vicenda che condusse alla soppressione della Compagnia di
Gesù è sintomatica della debolezza
dell'autorità papale. I governi di numerosi stati europei
consideravano l'ordine il più pericoloso alleato dei
pontefici e la Compagnia venne sempre più considerata il
principale ostacolo alle politiche riformiste e giurisdizionaliste
(gallicanesimo, febronianesimo) dei sovrani, nonché al
rinnovamento delle forme religiose (propugnato dai giansenisti).
Accusati di regicidio, di pervertire l'ordine sociale, di corrompere
la gioventù e di essere artefici della supremazia del papa
sul potere monarchico, i gesuiti vennero espulsi dai principali
regni europei e dalle loro colonie.
Fu il Portogallo ad aprire la via alla soppressione. Il marchese di
Pombal, capo del governo, fautore dell'assolutismo monarchico,
entrò in aperto conflitto con i gesuiti per la vicenda delle
reducciones brasiliane. Il marchese inviò a papa Benedetto
XIV una relazione in cui accusava i gesuiti di avidità di
denaro e sete di potere e li denunciava di essere al centro di
scandalose operazioni commerciali, il che costrinse il pontefice a
inviare in Portogallo il cardinale Saldanha a compiere un'inchiesta;
i gesuiti vennero anche accusati di essere coinvolti nel fallito
attentato a Giuseppe I del 1758. Agli inizi del 1759 il re
ordinò di confiscare tutte le proprietà dell'ordine e
pochi mesi dopo ne decretò l'espulsione.
I problemi per la Compagnia in Francia iniziarono con la condanna
per bancarotta fraudolenta del gesuita Antoine La Vallette decretata
dal parlamento di Parigi, dominato da elementi giansenisti e
gallicani e in cui era ben radicato il movimento antigesuitico. Il 6
agosto 1761 il parlamento ordinò di bruciare pubblicamente le
opere di ventitré gesuiti (tra i quali Bellarmino) in quanto
lesive della morale cristiana e ai gesuiti di chiudere i loro
collegi, nei quali si sarebbe esercitata una cattiva influenza sui
giovani: Luigi XV cercò di far sospendere l'esecuzione della
sentenza, ma la sua debolezza politica lo costrinse però alla
fine a piegarsi di fronte alle pressioni dei parlamenti e a rendere
esecutivo il decreto.
Dalla Spagna i gesuiti vennero cacciati da Carlo III, per il quale i
religiosi rappresentavano un ostacolo nella realizzazione
dell'assolutismo monarchico: essi infatti avevano sempre preso
posizione contro la filosofia regalista e avevano un forte legame
con l'aristocrazia ostile alla politica del sovrano. Inoltre, il
ministro Campomanes accusò falsamente i gesuiti di essere gli
istigatori di una rivolta, inducendo Carlo III a credere che essi
stessero complottando contro di lui. Tutti questi elementi
concorsero a spingere il re a emettere il decreto di espulsione il
27 febbraio 1767. Gli altri Stati borbonici imitarono presto
l'esempio spagnolo: Ferdinando IV, spinto da Tanucci, espulse i
gesuiti da Napoli e Sicilia nel novembre 1767 e il duca di
Parma Ferdinando, consigliato da du Tillot, cacciò i
religiosi dai suoi stati nel febbraio 1768.
A Roma, dopo l'elezione al soglio pontificio di papa Clemente XIV
nel 1769, il cardinale François-Joachim de Pierre de Bernis
scrisse: «Il papa ha voluto e vuole sinceramente anche
soddisfare la casa di Francia sull'affare dei gesuiti? Io rispondo
due cose a questa domanda: la prima è che non vi è
dubbio che il papa non ama i gesuiti; la seconda è che li
teme ancora più di quanto li disprezzi e, dato che il suo
pensiero è vivere in pace con tutti i sovrani senza
disgustare gli uni mentre accontenta gli altri, così il Santo
Padre sarebbe lietissimo che la Francia e la Spagna si
accontentassero di una soppressione parziale dell'Ordine e
dell'umiliazione e del discredito in cui egli spera di ridurlo negli
Stati pontifici. Ma potrà egli fermarsi a questo
punto?». Clemente XIV diede inizio allo smantellamento della
Compagnia togliendo la direzione del Collegio Romano e del Collegio
degli Irlandesi ai gesuiti e privando degli ottocento scudi mensili
i gesuiti portoghesi cacciati dal paese e ospiti nello Stato della
Chiesa. Il pontefice manifestò pubblicamente la sua
avversione alla Compagnia: appena eletto ricevette l'ossequio del
superiore generale Lorenzo Ricci ma poi gli vietò di mettere
piede nel Palazzo Apostolico. Inoltre quando incontrava un gesuita
per Roma o passava davanti alla chiesa del Gesù, si voltava
dall'altra parte.
Con il breve Dominus ac Redemptor del 21 luglio 1773 papa Clemente
XIV soppresse la Compagnia, che all'epoca contava circa 23.000
membri in 42 provincie: i vescovi locali erano nominati delegati
apostolici per eseguire la soppressione delle case situate nella
loro diocesi.Il documento papale mirava ad assecondare i sovrani che
avevano cacciato i gesuiti dai loro territori, confermandone
solennemente le ragioni. In aggiunta, il pontefice ricordava il suo
dovere come vicario di Cristo, di ristabilire la pace turbata non
solo nei regni e nella Chiesa, ma anche nella stessa Compagnia,
affinché, una volta soppressi, i gesuiti «liberi da
tutte le contenzioni, dissensioni e angosce onde furono vessati,
possano più fruttuosamente coltivare la vigna del Signore e
giovare più copiosamente alla salute delle anime. […] Con
matura deliberazione, scienza sicura e con la pienezza della
potestà apostolica, estinguiamo e sopprimiamo la Compagnia di
Gesù». L'applicazione del decreto avvenne in forma
solenne: il 16 agosto 1773 due prelati, scortati da un drappello di
soldati, raggiunsero la casa dei gesuiti presso la chiesa del
Gesù. Alla presenza del Preposito generale, Lorenzo Ricci, e
degli altri superiori, fu letto ad alta voce il decreto di
soppressione: ai religiosi fu intimato, fino a nuovo ordine, di non
uscire dalla casa, di non scendere in chiesa a celebrare la messa,
di non confessare e di non svolgere alcuna attività di
ministero. Inoltre una commissione di cinque cardinali, tutti
avversi alla Compagnia, vigilò affinché i beni dei
gesuiti fossero rimasti a disposizione del pontefice anziché
cadere in mani altrui.
La soppressione dei gesuiti a Roma venne eseguita il 16 agosto
successivo e il preposito generale Lorenzo Ricci venne incarcerato
in Castel Sant'Angelo, dove si spense il 24 novembre 1775. Ricci
scriverà nel suo testamento: «Dichiaro e protesto che
la disciolta Compagnia di Gesù non ha dato alcun motivo
né alcun pretesto per la sua soppressione […]. In secondo
luogo, dichiaro e protesto di non aver mai offerto il minimo
pretesto né il minimo appiglio per la mia
carcerazione». Nel carcere verranno poi tradotti anche gli
assistenti generali e il segretario della Compagnia, dopo lunghi
interrogatori sul modo di vivere dei gesuiti, sulle loro posizioni
rispetto al pontefice, e soprattutto sui luoghi ove i gesuiti
avrebbero nascosto le loro ricchezze.
I gesuiti in Russia
Dopo la spartizione della Polonia (1772), i territori orientali del
paese (la cosiddetta Russia Bianca) erano passati sotto il dominio
della Russia di Caterina II: i gesuiti contavano in quelle terre 18
case, di cui tre collegi (a Połock, Witebsk e Orsza) e 201
religiosi.
La zarina rifiutò di dare l'exequatur al breve di
soppressione e fece comunicare al superiore di Połock, Stanisław
Czerniewicz, la sua intenzione di conservare la compagnia nei suoi
domini. I gesuiti della Russia Bianca ebbero il compito storico di
assicurare la continuità dell'ordine di prima del 1773 con
quello restaurato nel 1814.
Anche Federico II, per motivi legati all'educazione, non volle
consentire subito la soppressione delle case gesuite nei territori
cattolici del regno di Prussia (Slesia e parte della Polonia). La
soppressione ebbe comunque luogo a Breslavia il 5 febbraio 1776.
Tentativi di ricostituzione
Subito dopo la soppressione vennero effettuati numerosi tentativi di
ripristinare l'ordine: la carmelitana Teresa di Sant'Agostino,
figlia di Luigi XV, cercò di ottenere dal papa
l'autorizzazione per gli ex gesuiti a organizzarsi in
fraternità di preti secolari, ma Clemente XIV non accolse
favorevolmente il progetto.
Qualche anno dopo, altri cercarono, con successo, di ricostruire la
forma di vita e il modo di operare della Compagnia dando inizio a
nuove congregazioni: nel 1791 Pierre-Joseph Picot de
Clorivière, già membro della Compagnia, fondò
l'istituto dei Sacerdoti del Cuore di Gesù, approvato da papa
Pio VII; François-Léonor de Tournély e
Charles de Broglie, nel 1794, fondarono a Eegenhoven (Belgio) i
padri del Sacro Cuore, che ebbero un certo sviluppo sotto la guida
di Joseph Varin.
Nel 1797, con l'autorizzazione del cardinale Giulio Maria della
Somaglia, Niccolò Paccanari istituì a Roma la
Società della Fede di Gesù, le cui regole ricalcavano
le costituzioni dei gesuiti: Pio VI approvò temporaneamente
la congregazione e nel 1799 vi unì i padri del Sacro Cuore di
Varin. Dopo aver conosciuto una notevole diffusione, i padri della
Fede entrarono in un periodo di crisi dopo l'arresto di Paccanari da
parte del Santo Uffizio: quando venne ristabilita la Compagnia di
Gesù (1814) molti membri vi entrarono, gli altri divennero
preti diocesani.
Queste congregazioni contribuirono in modo efficace a tenere in vita
lo spirito della Compagnia di Gesù.
La restaurazione
Nel 1793 la Santa Sede approvò segretamente i gesuiti della
Russia Bianca e il 17 marzo 1801, con il breve Catholicae fidei
di Pio VII, il riconoscimento divenne pubblico; nel 1803 venne
approvata l'attività dei gesuiti in Inghilterra e il 30
luglio 1804, con il breve Per alias, Pio VII ristabilì la
Compagnia a Napoli e in Sicilia (dove l'ordine era stato
reintrodotto a opera di Giuseppe Pignatelli).
Con la bolla Sollicitudo omnium ecclesiarum del 30 luglio 1814
Pio VII ripristinò la Compagnia di Gesù in tutto il
mondo.
La Compagnia dopo la ricostituzione
L'azione dell'olandese Joannes Philippe Roothaan, preposito generale
dal 1829 al 1853, fu di notevole importanza per la ricostruzione
dell'ordine. Vennero riprese le vecchie attività, con una
speciale attenzione verso le missioni e l'educazione della
gioventù (la Ratio atque institutio studiorum venne
aggiornata e adattata alle esigenze del tempo); per mantenere alto
il livello di edificazione ascetica dei gesuiti, sottolineò
l'importanza della pratica degli Esercizi spirituali e ne
pubblicò un importante commentario.
Nel XIX secolo la Compagnia assunse un ruolo preminente di difesa
della Santa Sede contro le tendenze laicizzatrici e liberali delle
nazioni europee (l'ordine esercitò un grande influsso sui
movimenti cristiano-sociali sorti in questo periodo con intento
contestativo nei riguardi del liberalismo politico ed economico) e
delle ideologie "moderniste" (furono tra i principali difensori del
Sillabo di papa Pio IX) e favorirono notevolmente il processo di
centralizzazione delle strutture ecclesiastiche culminato con il
concilio Vaticano I e la proclamazione del dogma
dell'infallibilità papale. Nel campo teologico e filosofico i
gesuiti promossero la rinascita del tomismo, culminata nel 1879 con
la pubblicazione dell'enciclica Aeterni Patris di papa Leone XIII.
Lungo tutto il secolo i gesuiti vennero a più riprese espulsi
da numerosi stati: prima dalla Russia, poi dalla Spagna e dal regno
di Napoli, quindi dalla Francia e dal Portogallo; l'ordine venne
espulso dalla Svizzera nel 1847, a seguito della guerra del
Sonderbund, e solo nel 1973 una consultazione popolare
consentì la presenza dei religiosi della Compagnia nel
territorio elvetico; in Germania i gesuiti vennero espulsi a causa
del Kulturkampf e solo nel 1917 venne abrogata la legge che proibiva
la presenza della Compagnia nel paese.
I gesuiti dovettero affrontare polemiche particolarmente vive in
Italia, dove i rapporti tra Chiesa e Stato erano complicati dalla
questione romana e la Compagnia era accusata di essere uno dei
principali ostacoli alla realizzazione dell'unità nazionale
(è in questo contesto va inquadrata una delle maggiori opere
di Vincenzo Gioberti, Il gesuita moderno).
Sotto i governi di Włodzimierz Ledóchowski, preposito
generale dal 1915 al 1942, e di Jean-Baptiste Janssens, che resse la
Compagnia tra il 1946 e il 1964, il numero dei gesuiti crebbe sino a
raggiungere la cifra più elevata.
Particolarmente significativo fu il generalato di Pedro Arrupe
(1965-1983), che resse l'ordine negli anni che seguirono la
celebrazione del Concilio Vaticano II: sotto il suo governo il
numero dei membri della Compagnia calò significativamente, ma
nell'ordine crebbe la consapevolezza del legame inscindibile tra
l'annuncio della fede e l'impegno per la giustizia sociale e venne
avviato un processo di rinnovamento di metodi e di dottrine
nell'ambito educativo e missionario (anche se l'interpretazione e
l'attuazione di questi principi causarono forti tensioni).
Nel 1981 un ictus costrinse Arrupe a dimettersi (morì nel
1991) e, in deroga alle costituzioni (che prevedevano che la guida
dell'ordine passasse al vicario generale), papa Giovanni Paolo II
nominò un delegato pontificio, Paolo Dezza, e solo nel 1983
venne convocata la XXXIII congregazione generale che elesse
preposito l'olandese Peter Hans Kolvenbach (dimessosi nel 2008,
al raggiungimento del suo ottantesimo anno di età).
La spiritualità dell'ordine
La spiritualità della Compagnia si fonda sugli Esercizi
spirituali ignaziani. Gli elementi fondamentali degli Esercizi sono
la contemplazione della vita di Gesù, l'accoglimento della
chiamata alla sequela di Cristo fattosi servo per noi, lo sforzo ad
assomigliare sempre più a Gesù nella vocazione
personale al servizio della Chiesa. Secondo gli Esercizi
l'imitazione di Gesù implica l'assoluta povertà (solo
i collegi erano autorizzati ad avere rendite fisse), l'abbandono
alla volontà di Dio (manifestato nell'assoluta obbedienza ai
superiori perinde ac cadaver, ovvero come un cadavere),
l'umiltà, la sopportazione paziente di umiliazioni e offese,
della croce e delle persecuzioni.
In reazione alla diffusione del giansenismo, che negava il valore di
ogni devozione e proponeva un regime di vita spirituale rigoroso,
arcigno e arido, i gesuiti si fecero propagatori della calda e
confortante devozione al Sacro Cuore di Gesù, che poneva
l'accento sulla centralità dell'amore di Dio come chiave
della storia della salvezza.
Fu il gesuita Claude La Colombière, direttore spirituale
delle monache della Visitazione di Paray-le-Monial, a diffondere
della pratica dei primi nove venerdì del mese, ispirata,
secondo la tradizione, da Gesù stesso alla visitandina
Margherita Maria Alacoque. Nella visione di Gesù che
Margherita Maria affermò di aver ricevuto il 2 luglio 1688,
infatti, il Cristo avrebbe indicato i gesuiti come speciali
propagatori della devozione al suo cuore e avrebbe chiamato La
Colombière "servo fedele e perfetto amico".
In stretta connessione alla devozione al Sacro Cuore, a opera del
gesuita François-Xavier Gautrelet, nel 1844 nacque in Francia
l'Apostolato della preghiera, i cui aderenti si impegnano ad offrire
giornalmente preghiere e azioni al Sacro Cuore in spirito di
riparazione dei peccati dell'umanità. Il gesuita Henri
Ramière fondò il periodico Messaggero del Sacro Cuore,
che nel 1912 veniva pubblicato in ventisei lingue diverse.
Gli Esercizi e la devozione al Sacro Cuore dimostrano il carattere
cristocentrico della spiritualità gesuita.
Numerosi appartenenti all'ordine sono stati elevati agli onori
dell'altare: il fondatore, i missionari Francesco Saverio e Pietro
Claver, i teologi Pietro Canisio e Roberto Bellarmino, i giovani
scolastici Luigi Gonzaga, Stanislao Kostka e Giovanni Berchmans, il
superiore Francesco Borgia, il provinciale e principale restauratore
della Compagnia Giuseppe Pignatelli, i predicatori Giovanni
Francesco Régis, Bernardino Realino e Francesco De Geronimo,
i martiri Paolo Miki e Giovanni de Brébeuf.
L'organizzazione dell'ordine
La Compagnia di Gesù appartiene al numero degli ordini di
chierici regolari, sorti nel corso del XVI secolo e utilizzati dalla
Chiesa per contrastare la diffusione del protestantesimo e
diffondere i dettami del Concilio di Trento, caratterizzati
dall'unione di vita religiosa e impegno apostolico.
La struttura dell'ordine è stabilita dalla Formula instituti,
codificata e ampliata da Ignazio nelle Costituzioni della Compagnia,
redatte insieme al suo segretario Juan de Polanco tra il 1547 e il
1550, ulteriormente modificate in base ai suggerimenti dei religiosi
professi e promulgate nel 1553: il testo, approvato nel 1606 da papa
Paolo V con la bolla Quantum religio, è rimasto
sostanzialmente immutato fino alla XXXI congregazione generale
dell'ordine (1965-1966).
Le costituzioni ignaziane (frutto della riflessione sull'esperienza
religiosa del fondatore e dei suoi primi compagni) non sono solo un
codice legislativo, ma uniscono agli elementi giuridici anche
aspetti spirituali e ascetici e non possono essere comprese
prescindendo dagli Esercizi spirituali.
La caratteristica impressa maggiormente da Ignazio all'ordine
è l'universalità dell'apostolato per quanto concerne
il territorio, i compiti e i mezzi. L'altro elemento essenziale
è la speciale obbedienza al papa, che trova compiuta
espressione in un quarto voto aggiunto ai consueti tre comuni a
tutti i religiosi (povertà, obbedienza e castità).
L'aspetto innovativo
Nelle sue Costituzioni, Ignazio annullò i quattro aspetti
fondamentali dell'organizzazione monastica: la residenza per tutta
la vita in una medesima comunità (stabilitas loci), le
decisioni prese a maggioranza da tutti i membri della
comunità riuniti in capitolo, l'elezione del proprio
superiore da parte di ogni singola comunità, la recita corale
dell'ufficio divino.
I gradi di appartenenza
Vi sono diversi gradi di appartenenza all'ordine: dopo due anni di
noviziato (o prima probazione), i gesuiti in formazione, detti
scolastici, emettono i primi voti, semplici e perpetui, che possono
essere sciolti dai prepositi provinciali (dopo i primi voti, gli
scolastici si dicono "approvati"); compiuto un triennio di studi
filosofici e uno di studi teologici, inframezzati da una seconda
probazione nelle case professe o nei collegi, lo scolastico
approvato viene ordinato sacerdote.
Al periodo di formazione segue un ulteriore anno di noviziato (terza
probazione) al termine del quale, dopo aver trascorso almeno dieci
anni nella Compagnia, il candidato viene ammesso per fare la
professione in forma solenne dei tre voti (detti finali) di
povertà, obbedienza e castità (comuni a tutti i
religiosi), di un quarto voto solenne (specifico della Compagnia) di
speciale obbedienza circa missiones al papa e di cinque altri voti
semplici (non cambiare la legislazione della Compagnia se non per
renderla più rigida, non cercare posizioni di autorità
nella Compagnia, non cercare prelature nella Chiesa, denunciare ai
superiori i colpevoli di queste azioni, ascoltare i consigli della
Compagnia in caso di innalzamento all'episcopato). Dopo questi voti,
il gesuita si dice professo.
Ai professi sono riservate tutte le alte cariche dell'ordine.
Oltre ai novizi, agli scolastici e ai professi, esistono i
coadiutori, che emettono i voti finali di povertà, obbedienza
e castità in forma semplice e non emettono il quarto voto: i
coadiutori si distinguono in spirituali (che accedono al sacerdozio)
e temporali (laici). In origine i coadiutori spirituali erano
destinati a quei ministeri che richiedevano la stabilitas loci,
mentre i professi dovevano essere "apostoli itineranti", ma oggi la
distinzione tra le due classi è piuttosto relativa.
I coadiutori temporali non accedono al sacerdozio e si occupano
delle necessità pratiche delle loro comunità (cucina,
contabilità): tra i coadiutori temporali spicca la figura di
Alfonso Rodríguez.
Il governo dell'ordine
Al vertice della struttura dell'ordine Ignazio pose la congregazione
generale, un'assemblea composta dai prepositi provinciali e da due
padri professi delegati da ogni provincia; la congregazione generale
non si riunisce a intervalli regolari, ma viene convocata solo in
caso di morte del preposito generale, o per ordine del papa, o per
volere del preposito generale, o per decisione della congregazione
dei procuratori, eletta con mandato triennale dalle province.
La massima autorità della Compagnia di Gesù è
il preposito generale (detto popolarmente "papa nero"), eletto a
vita dalla congregazione generale. La sua autorità è
subordinata a quella della congregazione generale, della quale
è tenuto ad applicare i decreti. Il generale è
assistito da dieci assistenti, nominati dalla congregazione
generale: a ogni assistente fa riferimento un'"assistenza",
cioè un gruppo di province raggruppate per lingua o
nazionalità.
Quella del preposito è l'unica carica elettiva: egli nomina i
prepositi provinciali, che nominano a loro volta quelli delle
comunità locali.
La Compagnia di Gesù non comprende un terz'ordine né
un ramo femminile. Benché nel 1545 Ignazio avesse accettato,
su pressioni di Paolo III, la possibilità di istituire un
ramo femminile della Compagnia, nel 1549 i gesuiti vennero
dispensati dall'obbligo di assistere spiritualmente le religiose
(forse, Ignazio temeva che dover fornire cappellani fissi e
governare i monasteri femminili avrebbe distolto i religiosi dalla
loro missione apostolica); tuttavia nel 1554, caso unico nella
storia dell'ordine, a Giovanna d'Asburgo, figlia di Carlo V, venne
consentito di emettere segretamente i voti degli scolastici con il
nome di Mateo Sánchez.
Attività
Lo scopo della Compagnia di Gesù è la difesa e la
propagazione della fede, lavorare per il progresso spirituale dei
fedeli mediante tutte le forme del ministero della parola (esercizi
spirituali, sacramenti) e l'assistenza ai bisognosi (soprattutto in
ospedali e carceri).
I gesuiti sono impegnati nell'istruzione e nella ricerca
scientifica, nella formazione dei sacerdoti, nella catechesi per gli
adulti, nell'apostolato verso il mondo giovanile e le
comunità di vita cristiana, nei mass media, nell'assistenza
spirituale a categorie svantaggiate (profughi, persone emarginate).
La loro forma preferita di attività sono le case per esercizi
spirituali: gli esercizi vengono generalmente dati a gruppi omogenei
di persone per tre o otto giorni (anche meno, secondo le
necessità). È tuttavia possibile compiere l'intero
ciclo mensile.
Il principale centro di studio diretto dai gesuiti è la
Pontificia Università Gregoriana, fondata nel 1553 a Roma da
Ignazio di Loyola e Francesco Borgia con il nome di Collegio Romano,
eretta in università da papa Paolo IV nel 1556 e restaurata
da papa Leone XII nel 1824;a essa nel 1924 papa Pio XI ha consociato
il Pontificio Istituto Biblico, fondato da papa Pio X nel 1909, e il
Pontificio Istituto Orientale, fondato da papa Benedetto XV nel
1917.
L'ordine pubblica numerose riviste come Gregorianum, Analecta
Bollandiana e Archivum Historicum Societatis Iesu, semestrale
fondato nel 1932 che pubblica articoli di ricerca storica, documenti
inediti, recensioni, bibliografie. Tra gli altri periodici nati per
iniziativa della Compagnia: La Civiltà Cattolica, Etudes,
Recherches de science religieuse, Revue d'ascétique et de
mystique, Stimmen der Zeit, Letture, Popoli, Aggiornamenti sociali,
Messaggio del Sacro Cuore.
Nel loro apostolato missionario viene data sempre maggiore
importanza al tentativo di incarnare nelle diverse culture
l'annuncio del messaggio di Gesù (inculturazione).