Gesuiti
     
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    La Compagnia di Gesù (in latino Societas Iesu) è un
    istituto religioso maschile di diritto pontificio: i membri di
    questo ordine di chierici regolari, detti Gesuiti, pospongono al
    loro nome la sigla S.I.
    
    L'ordine venne fondato da Ignazio di Loyola che, con alcuni
    compagni, a Parigi nel 1534 fece voto di predicare in Terra Santa
    (progetto abbandonato nel 1537) e di porsi agli ordini del papa: il
    programma di Ignazio venne approvato da papa Paolo III con la bolla
    Regimini militantis ecclesiae (27 settembre 1540).
    
    Espulso da vari paesi europei nella seconda metà del XVIII
    secolo, l'ordine venne soppresso e dissolto da papa Clemente XIV nel
    1773 (la Compagnia sopravvisse però nella Russia Bianca
    poiché la zarina Caterina II rifiutò l'exequatur al
    decreto papale di soppressione); venne ricostituito da papa Pio VII
    nel 1814.
    
    I gesuiti, il cui motto è Ad maiorem Dei gloriam ad indicare
    la loro ricerca di un percorso di perfettibilità mistica,
    osservano il voto di totale obbedienza al papa e sono
    particolarmente impegnati nelle missioni e nell'educazione.
    
    Le origini 
    
    Il fondatore
    
    
    
    Ignazio di Loyola in un'incisione di William Holl
    
    Íñigo López de Loyola nacque, ultimo di tredici
    figli, attorno al 1491 da una nobile famiglia basca. A tredici anni
    venne inviato a Arévalo come paggio del primo tesoriere di
    Ferdinando II d'Aragona, Juan Velázquez de Cuéllar, e
    nel 1517 si arruolò nelle truppe del viceré di
    Navarra, il duca di Nájera Antonio Manrique de Lara,
    prendendo parte alle guerre di Carlo V contro Francesco I: durante
    la difesa di Pamplona, assediata dai francesi, venne colpito da una
    palla di cannone che gli sfracellò la gamba destra e gli
    ferì la sinistra, costringendolo a claudicare per tutta la
    vita.
    
    Durante il periodo di convalescenza nel castello di Loyola, che
    trascorse leggendo la Vita Christi di Ludolfo di Sassonia e la
    Leggenda aurea di Jacopo da Varagine, maturarono in lui i germi di
    una profonda crisi spirituale e si convertì: deciso a recarsi
    in pellegrinaggio a Gerusalemme, sostò presso il monastero
    benedettino di Montserrat e, trascorsa una notte in preghiera
    davanti all'immagine della Madonna nera, depose le sue armi ai piedi
    dell'immagine sacra e prese l'abito e il bastone da pellegrino. Si
    diresse quindi a Manresa, dove rimase un anno vivendo ricche
    esperienze interiori: lesse l'Imitazione di Cristo, testo a cui
    rimase legato per tutta la vita e iniziò a cercare la pace
    dell'anima attraverso opere straordinarie di penitenza, poi
    ritrovò la serenità d'animo e attenuò le sue
    austerità; durante il soggiorno a Manresa cominciarono a
    prendere forma gli elementi essenziali dei suoi Esercizi spirituali.
    
    Nel 1523 raggiunse Venezia e si imbarcò per Gerusalemme, dove
    visitò i luoghi santi. Dovette però abbandonare il
    progetto di stabilirsi in Palestina per il divieto di soggiorno
    impostogli dai frati francescani dalla Custodia di Terra
    Santa.Tornato in Spagna con il desiderio di abbracciare il
    sacerdozio, riprese gli studi a Barcellona, poi presso
    l'università di Alcalá dove, per il suo misticismo,
    venne sospettato di essere un alumbrado e venne tenuto in carcere
    dall'Inquisizione per quarantadue giorni. Si trasferì quindi
    a Salamanca e poi, per completare la sua formazione, a Parigi, dove
    arrivò il 2 febbraio 1528.
    
    A Parigi Íñigo cominciò a farsi chiamare
    Ignazio, che pensava essere una variante del suo nome: in
    realtà, Íñigo era la forma basca del nome
    Innico o Enecone, che gli era stato imposto in omaggio a
    sant'Enecone, abate benedettino di Oña, il cui culto era
    particolarmente sentito nella sua terra.
    
    I primi compagni di Ignazio 
    
    Iscrittosi al Collège Saint-Barbe, ebbe come compagni di
    stanza Pierre Favre, figlio di un umile pastore della Savoia, e
    Francesco Saverio, di nobile famiglia della Navarra; nel 1533
    incontrò Diego Laínez e Alfonso Salmerón,
    anch'essi spagnoli e provenienti dall'università di
    Alcalá che, essendo appena giunti in Francia e non conoscendo
    bene la lingua del posto, si legarono molto a lui.Nel 1534 si
    unirono al gruppo di compagni di Ignazio il portoghese Simão
    Rodrigues e Nicolás Bobadilla, spagnolo, che aveva studiato
    teologia e filosofia ad Alcalá e Valladolid.
    
    Favre venne ordinato sacerdote agli inizi del 1534. Il 15 agosto
    1534 (festa dell'Assunzione di Maria), nella cappella della Vergine
    a Montmartre (sorta sul luogo tradizionale del martirio di san
    Dionigi e dei suoi compagni), Favre celebrò l'eucaristia e,
    prima della comunione, accolse i voti di Ignazio, Saverio,
    Laínez, Salmerón, Rodrigues e Bobadilla; poi
    pronunciò i suoi voti e si comunicò. Non si conosce il
    testo della formula del voto emesso dai compagni, ma doveva
    trattarsi di quelli di povertà, di recarsi a Gerusalemme e
    mettersi a disposizione del papa (la promessa di castità era
    implicita, essendo tutti aspiranti al sacerdozio).
    
    Prima di partire da Parigi per Gerusalemme, ai sei si unirono tre
    francesi, Claude Jay, Paschase Broët e Jean Codure, e giunti a
    Venezia per imbarcarsi si aggregò alla comunità anche
    il prete andaluso Diego Hoces.
    
    La nascita dell'ordine 
    
    Poiché imbarcarsi per la Palestina in inverno non era
    possibile, i compagni trascorsero l'attesa lavorando gratuitamente
    presso gli ospedali veneziani degli Incurabili e dei Santi Giovanni
    e Paolo; si recarono poi a Roma, dove vennero accolti favorevolmente
    da papa Paolo III, che benedisse il loro pellegrinaggio, diede loro
    del denaro per pagarsi il viaggio e diede a tutti il permesso di
    farsi ordinare sacerdoti da un vescovo a loro scelta (fino ad
    allora, solo Favre e Hoces erano preti).
    
    I compagni emisero i voti di povertà e castità nelle
    mani di Girolamo Verallo, legato pontificio a Venezia; Ignazio
    (assieme a Saverio, Laínez, Rodrigues, Bobadilla e Codure)
    venne ordinato sacerdote il 24 giugno 1537 da Vincenzo Nigusanti,
    vescovo di Arbe in Dalmazia, nella cappella privata della residenza
    del presule a Venezia. Subito dopo si divisero in gruppi di due o
    tre individui e si stabilirono in diverse città (Verona,
    Vicenza, Treviso, Monselice, Bassano) dove si dedicarono alla
    predicazione per le strade, vivendo di elemosina e alloggiando dove
    capitava. Avvicinandosi l'inverno, il gruppo si riunì a
    Vicenza e, preso atto che il desiderato viaggio a Gerusalemme non
    era fattibile, decisero di stabilirsi in nuove città
    (soprattutto universitarie, dove avrebbero potuto trovare nuovi
    giovani aspiranti a unirsi alla comunità).
    
    Prima di lasciarsi, decisero di chiamarsi Compagnia di Gesù,
    perché Cristo era il loro unico modello, colui a cui essi
    dedicavano tutta la vita. Il termine compagnia era molto utilizzato
    nel nome delle confraternite e di altre società
    ecclesiastiche: diversamente da quanto tradizionalmente si ritiene
    (anche gli storici gesuiti Jerónimo Nadal e Juan de Polanco
    sposarono l'idea) la parola "compagnia" non venne adottata per la
    sua connotazione militare.
    
    Nel novembre del 1537, Ignazio, Favre e Laínez si recarono
    nuovamente a Roma. Secondo la tradizione presso La Storta, a nove
    miglia dalla città, Ignazio ebbe una delle sue più
    celebri esperienze mistiche: ricevette la visione di Dio Padre
    insieme a Cristo con la Croce che lo invitavano a essere loro servo
    e gli assicuravano sostegno a Roma. Paolo III accolse calorosamente
    i gesuiti e diede a Favre e Laínez l'incarico di insegnare
    teologia e sacre scritture alla Sapienza. I tre divennero celebri
    dando gli Esercizi spirituali, predicando per l'avvento e la
    quaresima in Trinità dei Monti e per le strade, assistendo la
    popolazione colpita dalla carestia.
    
    L'approvazione pontificia 
    
    Ignazio e i compagni iniziarono a essere richiesti dagli alti
    prelati della Curia che diedero loro incarichi importanti (il
    cardinale Carafa affidò loro la riforma di alcuni monasteri).
    Crescendo la loro importanza, nei primi mesi del 1539 i membri della
    Compagnia si riunirono spesso per discutere del futuro della
    comunità e il 15 aprile, durante una messa presieduta da
    Favre, vennero interrogati sulla loro disponibilità ad andare
    a costituire un ordine e a farne parte. Le loro discussioni si
    protrassero fino al 24 giugno e portarono alla stesura dei "Cinque
    capitoli", il testo base della Formula instituti.
    
    La Formula, approvata da Paolo III il 3 settembre 1539, conteneva i
    principali fondamenti della Compagnia: il carattere apostolico, il
    fine di far progredire gli uomini nella fede e nella cultura
    religiosa, la povertà, l'obbedienza alla Santa Sede e al
    preposito, l'abolizione degli uffici corali, la promessa di recarsi
    ovunque il papa avesse indicato.
    
    Il testo venne sottoposto all'esame di una commissione di cardinali.
    Gasparo Contarini appoggiò incondizionatamente la formula;
    Girolamo Ghinucci, vedendo nell'abolizione del coro una concessione
    al luteranesimo, manifestò forti riserve; Bartolomeo
    Guidiccioni, ostile al clero regolare, cercò di ostacolare la
    nascita dell'ordine. Alla fine la commissione diede il suo parere
    favorevole, ma Guidiccioni concesse il suo voto favorevole solo in
    cambio dell'imposizione alla Compagnia di un limite massimo di
    sessanta membri (all'epoca, i gesuiti erano circa venti). Papa Paolo
    III concesse l'approvazione pontificia con la bolla Regimini
    militantis Ecclesiae del 27 settembre 1540.
    
    La Compagnia di Gesù divenne un ordine riconosciuto dalla
    legge canonica: Ignazio venne eletto all'unanimità preposito
    generale e il 22 aprile 1541, nella basilica di San Paolo fuori le
    mura, il fondatore e i suoi compagni pronunciarono i loro voti
    solenni. Il limite di sessanta membri venne abolito nel 1544 (bolla
    Iniunctum nobis) e il 21 luglio 1550, con la bolla Exposcit debitum,
    l'ordine venne confermato da papa Giulio III.
    
    I primi successori di Ignazio 
    
    Ignazio si spense nel 1556: a causa di un conflitto tra papa Paolo
    IV e il re di Spagna Filippo II, il suo successore alla guida della
    Compagnia venne eletto solo nel 1558 nella persona di Diego
    Laínez, al quale succedettero Francesco Borgia (nel 1565),
    Everardo Mercuriano (nel 1573) e Claudio Acquaviva (nel 1581).
    
    Sotto il loro governo l'ordine crebbe rapidamente fino a superare i
    10.000 membri: i teologi gesuiti svolsero un'importante
    attività come consiglieri di cardinali (al concilio di
    Trento) e accompagnatori di nunzi durante le diete imperiali o i
    colloqui di religione (al sinodo di Poissy); i missionari della
    Compagnia ebbero un ruolo determinante nel contrasto alla diffusione
    delle dottrine protestanti e nella "ricattolicizzazione" dei paesi
    dell'Europa centro-orientale dove si era diffuso il luteranesimo (fu
    determinante il ruolo di Pietro Canisio, il cui catechismo venne
    utilizzato a lungo come testo di base per l'insegnamento della
    dottrina cattolica nei paesi di lingua tedesca).
    
    I missionari gesuiti penetrarono in Irlanda e Inghilterra (dove
    Ogilvie e Campion subirono il martirio); proseguirono l'opera
    iniziata da Francesco Saverio nell'Estremo Oriente (Ricci, Schall,
    Verbiest) e iniziarono a propagare il cattolicesimo nelle Americhe.
    
    I teologi della Compagnia furono però protagonisti di
    violenti conflitti dottrinali (la disputa di Luis de Molina con i
    domenicani sul rapporto tra grazia e libero arbitrio; la questione
    dei riti cinesi; l'accusa di lassismo rivolta ai gesuiti dai
    giansenisti) che si trascinarono fino al XVIII secolo.
    
    L'ordinamento degli studi seguito dai gesuiti nei loro collegi
    (definitivamente fissato da Acquaviva con la pubblicazione della
    Ratio studiorum del 1599) esercitò una grande influenza in
    campo educativo.
    
    La rapida crescita dell'ordine si arrestò sotto il generalato
    di Muzio Vitelleschi, successore di Acquaviva, che si adoperò
    a favore della pacificazione interna e sotto il cui governo si
    celebrò il centenario della fondazione della Compagnia.
    
    Il ministero dei gesuiti 
    
    La cura d'anime 
    
    Tra i ministeri ai quali dovevano attendere i gesuiti la Formula del
    1550 citava (insieme alla catechesi, alla predicazione, alle lezioni
    sacre e al servizio della parola di Dio) la "consolazione spirituale
    dei credenti, con l'ascoltarne le confessioni e con
    l'amministrazione degli altri sacramenti".
    
    I gesuiti, del tutto indifferenti alle questioni sollevate dai
    protestanti sulle origini e sulla forma del sacramento della
    penitenza, promossero il ricorso frequente alla confessione.
    Diffusero anche la pratica della confessione generale, raccomandata
    dagli Esercizi spirituali, ovvero la revisione di tutta la propria
    vita fatta con un confessore al fine di raggiungere una migliore
    conoscenza di se stessi e iniziare un nuovo modo di vita.
    
    La legislazione riguardante la confessione era estremamente
    intricata e l'assoluzione da alcuni peccati era riservata ai vescovi
    o alla Santa Sede. Nel 1545 papa Paolo III concesse ampi privilegi
    alla Compagnia in materia di assoluzione: papa Giulio III nel 1552
    concesse ai gesuiti la facoltà di assolvere i penitenti
    addirittura dal peccato di eresia.
    
    In connessione con l'aumento dello spazio riservato al sacramento
    della penitenza, i gesuiti affrontarono sempre più largamente
    lo studio dei casi di coscienza (casuistica): la casuistica nacque
    come riflessione su quello che, nelle varie circostanze concrete,
    poteva essere ritenuto l'orientamento morale più corretto.
    Per giudicare la colpevolezza di un atto, i gesuiti privilegiarono
    la teoria del "probabilismo": vi era una molteplicità di
    opinioni su quello che doveva essere il modo giusto di agire in una
    determinata situazione e il confessore poteva sceglierne una
    probabile (non necessariamente la più probabile) se questa
    era favorevole al penitente.
    
    A questa morale, ritenuta "lassista", i giansenisti ne
    contrapponevano una estremamente rigorista, che arrivava a rifiutare
    l'assoluzione ai fedeli fino alla loro totale e irrevocabile
    conversione. Blaise Pascal si inserì nella polemica tra
    gesuiti e giansenisti nelle sue Lettres provinciales, accusando i
    primi di tradire i principi eterni della morale evangelica e
    compromettere i veri interessi della religione adattandoli
    disinvoltamente ai vizi del secolo. Le Lettres conobbero una grande
    diffusione e suscitarono un acceso dibattito: in un testo di autore
    anonimo pubblicato a Venezia nel 1698 (Lettere d'un direttore) si
    affermava che l'accusa di lassismo mossa alla morale gesuita era
    contraddetta dalla "severa virtù" che era possibile
    constatare nei penitenti della Compagnia e nel fatto che molti
    fuggissero la loro direzione spirituale ritenendola troppo rigorosa.
    
    La Compagnia di Gesù si specializzò nella direzione
    spirituale di personaggi di rango elevato, anche di sovrani (Pierre
    Coton, François Annat e La Chaise furono confessori dei re di
    Francia Enrico IV e Luigi XIV).
    
    Le opere di carità 
    
    Se nella versione della Formula del 1540, tra le opere di
    carità cui intendevano dedicarsi i gesuiti, comparivano solo
    l'insegnamento del catechismo e l'ascolto delle confessioni, in
    quella del 1550 vennero inseriti anche la riconciliazione dei
    litiganti e il servizio ai carcerati e ai malati negli ospedali.
    
    Chiamati a predicare e a confessare nelle zone più remote
    delle penisole italiana e iberica, i gesuiti le trovavano spesso
    sconvolte da lotte tra fazioni rivali e faide sanguinose che
    infuriavano da anni: i padri organizzavano nelle chiese vere e
    proprie liturgie di riconciliazione alle quali venivano invitati gli
    esponenti dei gruppi in lotta e, dopo la predica, venivano invitati
    a perdonarsi reciprocamente. L'azione pacificatrice era rivolta
    anche agli sposi separati e a comporre dispute, per esempio, tra
    monaci e clero secolare.
    
    L'opera di assistenza agli ammalati, molto importante alle origini,
    cominciò a declinare quando i gesuiti iniziarono a
    specializzarsi nell'insegnamento (sotto il generalato di
    Laínez). Il ministero dei prigionieri, ai quali i religiosi
    offrivano grosso modo gli stessi servizi offerti agli ammalati,
    continuò perché i carcerati non richiedevano cure
    continue come gli ammalati e il loro servizio era quindi compatibile
    con l'insegnamento. I prigionieri erano in massima parte debitori o
    detenuti in attesa di processo, quindi non criminali incalliti.
    Nelle prigioni i gesuiti predicavano, confessavano e insegnavano il
    catechismo, distribuivano le elemosine raccolte per i detenuti;
    spesso trattavano con i creditori e con le autorità per
    ottenere la mitigazione o la sospensione delle condanne.
    
    Nel 1543 Ignazio fondò a Roma la Casa di Santa Marta, per
    aiutare le prostitute desiderose di abbandonare il loro mestiere a
    reinserirsi nella società, e anche altrove i gesuiti si
    impegnarono in vari modi in tale ministero. Nel 1546 venne anche
    creato il conservatorio delle Vergini Miserabili, presso la chiesa
    di Santa Caterina dei Funari, dove alle figlie delle prostitute
    veniva fornita un'educazione e una dote: istituzioni simili vennero
    promosse dai gesuiti a Venezia (conservatorio delle Vergini
    Periclanti) e Firenze (istituto delle Fanciulle della Pietà).
    
    L'impegno dei gesuiti fu notevole anche in favore degli ebrei e dei
    musulmani convertiti al cattolicesimo (Ignazio fu tra i primi a
    consentire a moriscos e marranos l'accesso a un ordine religioso).
    
    L'attività educativa 
    
    Diego Laínez e Pierre Favre furono i primi gesuiti a
    dedicarsi all'insegnamento (ricevettero l'incarico da Paolo III nel
    1537); Jay nel 1543 ottenne una cattedra a Ingolstadt e nel 1545
    Rodríguez divenne precettore dei figli di Giovanni III del
    Portogallo.
    
    Tra il 1540 e il 1544 vennero creati dei collegi per la formazione
    dei futuri membri dell'ordine a Parigi, Lovanio, Colonia, Padova,
    Alcalá, Valencia e Coimbra: queste istituzioni erano semplici
    residenze, senza attività didattiche, destinate a dare
    alloggio agli scolastici che studiavano presso le locali
    università.
    
    Il ministero dell'insegnamento, inizialmente non previsto dal
    fondatore, si sviluppò fino a divenire una delle principali
    attività dell'ordine e uno dei principali strumenti della sua
    diffusione.
    
    I collegi di Gandía e Messina 
    
    Nel 1544 Francesco Borgia, che aveva già contribuito alla
    nascita del collegio di Valencia, ottenne da Paolo III il permesso
    di fondare un collegio a Gandía: fu il primo collegio in cui
    i gesuiti impartivano anche l'insegnamento e dove erano ammessi
    anche studenti non destinati a entrare nella Compagnia (nelle
    intenzioni di Borgia, era destinato all'educazione dei figli dei
    moriscos).
    
    Essendo venuto al corrente di quello che era accaduto a
    Gandía, Jerónimo Doménech pensò di
    fondare un collegio a Messina, dove aveva trovato un'immensa
    ignoranza nel clero: fece interessare all'iniziativa anche Eleonora
    Osorio, moglie del viceré di Sicilia, e il 19 dicembre 1547
    le autorità cittadine chiesero a Ignazio l'invio di
    insegnanti, ai quali si garantiva cibo, vestiario e alloggio.
    
    Dopo l'apertura del collegio di San Niccolò a Messina (1548),
    il senato di Palermo chiese a Ignazio l'apertura di un collegio
    anche nella capitale siciliana; in breve tempo, la Compagnia si mise
    all'opera per aprire collegi a Napoli, Venezia e Colonia. Il 22
    febbraio 1551, con il sostegno economico del duca di Gandía,
    venne aperto il Collegio Romano.
    
    La Ratio studiorum 
    
    Le scuole divennero strumenti per confermare i cattolici dubbiosi,
    per ottenere la conversione dei giovani dal protestantesimo e
    influire sui loro genitori. I collegi divennero in breve il centro
    principale di tutti i ministeri gesuitici: a questi era collegata
    una chiesa in cui scolastici e docenti della Compagnia svolgevano i
    loro consueti ministeri.
    
    A partire dalla fondazione dei primi collegi, negli anni quaranta e
    cinquanta del Cinquecento, venne elaborata la Ratio atque institutio
    studiorum Societatis Iesu, messa a punto da una commissione tra il
    1581 e il 1599, anno della sua pubblicazione. Questo manuale sul
    metodo educativo e l'ordinamento delle scuole, composto da 463
    regole, codificava un metodo pedagogico imperniato sull'insegnamento
    del latino e dei classici, emulazione tra studenti e severa
    disciplina.
    
    Le caratteristiche che portarono al successo dei collegi gesuiti e
    imposero un nuovo stile di educazione furono la gratuità,
    l'apertura a studenti di tutte le classi sociali (almeno in linea di
    principio), l'insegnamento delle "umane lettere" unito a quello
    delle scienze, la divisioni in classi con insegnanti propri e la
    progressione da una classe all'altra in base a obiettivi curricolari
    predefiniti, l'adozione di un programma chiaro e coerente.
    
    I collegi, diversamente dalla case professe, che non potevano
    possedere beni, erano dotate di rendite e benefattori: si
    specializzarono nell'educazione dei giovani di nascita aristocratica
    e alto borghese e i gesuiti si specializzarono nella formazione
    delle classi dirigenti. I collegi della Compagnia erano 48 nel
    1556, 144 nel 1580 e nel 1640 521.
    
    Le missioni 
    
    I gesuiti non solo contribuirono ad arrestare il dilagare del
    protestantesimo nell'Europa centrale, ma già durante la vita
    di Ignazio intrapresero anche intensa attività missionaria
    nei paesi da poco scoperti.
    
    Le missioni estere 
    
    L'apostolo delle Indie 
    
    L'impegno missionario della Compagnia fu conseguenza del desiderio
    del re di Portogallo Giovanni III di evangelizzare le popolazioni
    nei suoi domini d'oltremare. Il sovrano si rivolse a Ignazio che
    decise di inviare in Portogallo Rodrigues e Bobadilla: poiché
    Bobadilla era indisposto, lo sostituì Francesco Saverio.
    Rodrigues rimase a Lisbona per impiantarvi la Compagnia, mentre
    Saverio partì dalla capitale portoghese il 7 aprile 1541
    insieme a due compagni (un prete romano e un seminarista portoghese)
    sulla nave Santiago; giunse a Goa il 6 maggio 1542.
    
    I primi destinatari dell'opera di Francesco Saverio furono i
    pescatori di perle della zona di capo Comorin, per i quali tradusse
    in tamil le principali preghiere cristiane; dopo due anni
    tornò a Goa, dove venne raggiunto da altri confratelli, e
    trascorse i successivi quattro anni in viaggi di ricognizione che lo
    portarono fino nelle isole Molucche. Il 15 agosto 1549 sbarcò
    in Giappone, dove riuscì a stabilire contatti con la classe
    colta e arrivò a convertire alcune migliaia di indigeni.
    
    Francesco infine cercò, inutilmente, di penetrare in Cina, ma
    morì sull'isola di Sancian il 3 dicembre 1552.
    
    India 
    
    Dopo la morte di Francesco Saverio, che aveva fondato la provincia
    indiana della Compagnia con seda a Goa (alla quale si aggiunse poi
    quella di Cochin o Malabar), l'apostolato missionario dei gesuiti in
    India si rivolse particolarmente a tre terre che si erano mostrate
    ricche di prospettive per l'attecchimento del cattolicesimo: il
    regno del gran mogol, che si estendeva da Kabul, all'Iran, al
    Bengala meridionale, il Malabar, nel sud-ovest della penisola
    indiana, e la regione attorno alla città Madurai.
    
    Il gran mogol Akbar nel 1579 inviò un'ambasceria ai gesuiti
    invitandoli a corte per esporre i principi del cristianesimo. La
    Compagnia inviò tre missionari: Rodolfo Acquaviva, nipote di
    Claudio, Francisco Henriquez, un persiano convertito al
    cattolicesimo dall'Islam, e il catalano Antonio de Monserrare. I tre
    lasciarono Goa diretti a Fatehpur, capitale dell'impero del gran
    mogol, il 17 novembre 1579. Acquaviva rimase presso Akbar per
    quattro anni ma, nonostante la grande stima che riuscì a
    guadagnarsi, non suscitò la conversione del sovrano e nel
    1583 venne richiamato a Goa (morì martire qualche anno dopo,
    ucciso dagli indù a Salsette). Nel 1584 Akbar invitò a
    corte altri gesuiti: la missione venne guidata da Gerolamo Saverio,
    pronipote di Francesco, che rimase presso il sovrano per oltre
    trent'anni accompagnandolo nei suoi lunghi viaggi attraverso il suo
    vasto impero. Le speranze di convertirlo, comunque, andarono deluse.
    
    Nella penisola di Malabar esisteva un'antica comunità
    cristiana, che la tradizione faceva risalire alla predicazione
    dell'apostolo Tommaso: le loro pratiche rituali erano sensibilmente
    diverse da quelle latine (vigeva l'uso della saliva e
    dell'insufflazione durante il battesimo) a causa della vicinanza con
    i caldei della Mesopotamia, la loro dottrina si era tinta di
    nestorianesimo. Il mantenimento di tali usi, sostenuto dai gesuiti,
    venne duramente contestato da altri missionari e portò alla
    nascita della questione dei riti malabarici. Papa Benedetto XIV, con
    il documento Omnium sollecitudinem del 13 settembre 1744,
    condannò i riti malabarici: molti cristiani indiani
    secessionarono e divennero giacobiti. Per la prima volta dall'arrivo
    dei gesuiti in India, il numero dei cattolici iniziò a
    diminuire.
    
    Nel 1606 il gesuita Roberto de Nobili venne inviato come missionario
    a Madurai. Imparò presto la lingua tamil e i costumi locali:
    essendo di nobile nascita, si presentò come rajah e,
    diversamente da quanti lo avevano preceduto, godette di grande
    rispetto. Conoscendo l'alta considerazione in cui erano tenuti
    gli asceti sannyasin, adottò il loro stile di vita:
    vestì un abito ocra, si fece un segno sulla fronte e
    iniziò a nutrirsi di riso, frutta ed erbe; imparò il
    sanscrito e studiò i veda. Nel 1611 aveva convertito oltre
    150 indiani. I superiori di de Nobili denunciarono come forieri
    di superstizione i suoi metodi, ma papa Gregorio XV, con la
    costituzione Romanae sedis del 31 gennaio 1623, sostenne il
    missionario. De Nobili rivolse quindi le sue attenzioni ai
    paria, i senza casta: si servì del gesuita Baltasar de Costa,
    che attraversò i regni di Madurai, Tanjore e Sathyamangalam
    vestito di una tunica gialla e con degli orecchini d'oro e
    riuscì a battezzare oltre 2.500 adulti, soprattutto delle
    classi contaminate.
    
    Giappone 
    
    Tornando dal viaggio alle Molucche, Francesco Saverio aveva
    conosciuto Yajiro, nativo del Giappone, che gli aveva parlato del
    suo paese: Yaijro venne battezzato con il nome di Paolo della Santa
    Fede e nel 1549 partì con il Saverio e altri gesuiti per
    Kagoshima, capitale del Giappone meridionale, dove venne fondata una
    missione e vennero operate circa duecento conversioni. Nel 1550
    Francesco si presentò, con le credenziali di ambasciatore del
    re di Portogallo, a Ōuchi Yoshitaka, potente daimyō di Yamaguchi,
    recandogli numerosi doni (orologi, occhiali, carillon, vino): il
    daimyō accolse benevolmente i gesuiti, concesse loro di predicare il
    cristianesimo e mise a loro disposizione un tempio buddista
    abbandonato, che divenne loro quartier generale.
    
    Francesco Saverio aveva molta stima dei giapponesi, che considerava
    "un popolo di moralità eccellente [...] buono e senza
    malizia". Arrivò a credere che il Giappone rappresentasse il
    campo di missione più promettente dell'Oriente e,
    conoscendo la grande stima che quel popolo aveva per la cultura
    cinese, pensò di dedicarsi all'evangelizzazione della Cina
    sperando che questa avrebbe facilitato le conversioni anche in
    Giappone. Fu questo a spingere Saverio a lasciare il Giappone e a
    tentare di entrare in Cina.
    
    Nel 1579 i battezzati giapponesi erano circa 150.000: molti,
    però, si erano convertiti per interesse economico, per
    prendere parte al commercio con i portoghesi; ad altri il battesimo
    era stato imposto ai sudditi dai principi locali (il daimyō di
    Ōmura, che abbracciò il Cristianesimo nel 1563, aveva imposto
    la conversione ai suoi oltre 20.000 sudditi; lo stesso accadde nei
    feudi di Amakusa e Bungo).
    
    Il consolidamento della Compagnia in Giappone è dovuto ad
    Alessandro Valignano, che fu visitatore in Giappone per tre periodi
    (1579-1582, 1590-1592 e 1598-1603): al primo suo arrivo, i gesuiti
    in Giappone erano 59 (28 dei quali sacerdoti). Grande estimatore
    della cultura giapponese, impose ai suoi missionari di adattarsi
    agli usi locali limitandosi a non compromettere i dogmi cattolici.
    Ad esempio, fece assumere ai gesuiti la condizione dei monaci zen.
    Favorì anche l'ingresso nella Compagnia degli indigeni, per i
    quali venne aperto un noviziato, che non avendo problemi con la
    lingua potevano facilmente catechizzare e predicare. Nel 1602
    vennero ordinati i primi due sacerdoti giapponesi.
    
    Dopo il rapido successo iniziale, l'avvento al potere di Toyotomi
    Hideyoshi mise in difficoltà missione gesuita in Giappone.
    L'intromissione del viceprovinciale Coelho nella politica locale
    fece sospettare a Hideyoshi che i gesuiti fossero spie e che
    stessero preparando un'invasione da parte degli occidentali: il 24
    luglio 1587 venne emanato un decreto di espulsione per i gesuiti,
    che non venne applicato rigorosamente solo per non compromettere le
    relazioni commerciali con Macao. Inoltre, benché con il breve
    Ex pastoralis officio papa Gregorio XIII avesse reso il Giappone una
    missione esclusiva dei gesuiti (si temeva che l'arrivo di altri
    religiosi potesse indurre i giapponesi a pensare che il
    cristianesimo mancasse di unità e fosse un insieme di piccole
    sette), anche i frati francescani spagnoli stabilirono delle
    missioni in Giappone, scontrandosi spesso con i gesuiti: le baruffe
    aumentarono la diffidenza di Hideyoshi, che il 5 gennaio 1597 fece
    uccidere ventisei cristiani (tra cui Paolo Miki e altri due
    scolastici gesuiti).
    
    Tokugawa Ieyasu, successore di Hideyoshi, inizialmente si
    dimostrò tollerante con i cristiani, incoraggiò i
    gesuiti e ricevette in udienza Valignano. Solo tra il 1599 e il 1600
    vi furono 70.000 battesimi. Ma nel 1600 arrivarono in oriente i
    mercanti olandesi protestanti, che fecero diminuire l'importanza
    delle relazioni economiche con il Portogallo e misero in cattiva
    luce il cattolicesimo: tutto questo, insieme al desiderio di Ieyasu
    di far tornare tutti i giapponesi al buddhismo, portò
    all'espulsione dei gesuiti dal Giappone (27 gennaio 1614). La
    comunità cristiana, che era arrivata a contare 300.000
    individui, venne distrutta.
    
    Cina 
    
    Fallito il tentativo di Francesco Saverio, il piano per la
    penetrazione della Compagnia in Cina venne elaborato da Alessandro
    Valignano durante il suo soggiorno a Macao (1578). Convinto che
    l'ordine dovesse dissociarsi dall'immagine di predone occidentale
    avido di conquista, invitò i suoi missionari ad acquisire la
    maggior padronanza possibile della lingua cinese, a rispettare i
    valori culturali e spirituali dei cinesi, a usare la scienza come
    mezzo per introdurre la fede, a sviluppare l'apostolato per mezzo
    degli scritti e delle relazioni sociali e a concentrare il loro
    impegno missionario nei confronti della classe colta dominante.
    
    Valignano inviò Michele Ruggieri a Macao a studiare il
    cinese: a lui si unì lo scienziato e linguista Matteo Ricci
    e, grazie alla fama di grande matematico di cui godeva Ricci, i due
    vennero invitati in Cina e ottennero il permesso di risiedervi.
    Ruggieri e Ricci fissarono la loro residenza a Shiuhing e nei
    venticinque anni che rimasero nel paese raggiunsero Shaoguan,
    Nanchang, Nanchino e Pechino.
    
    Ricci concentrò i suoi sforzi nella conversione delle classi
    elitarie: si appellò alla loro curiosità intellettuale
    mostrando loro prismi, orologi, strumenti matematici e carte
    geografiche. Nel 1594 venne ammesso nella classe dei mandarini, il
    che gli permise di aumentare il suo prestigio sociale. Nel 1601 si
    stabilì a Pechino, accolto con favore dall'imperatore.
    
    Nel 1610, anno della morte di Ricci, i cattolici cinesi erano circa
    2.500: tale numero raddoppiò nei cinque anni successivi.
    
    Dopo il rapido successo iniziale, per i gesuiti iniziarono i primi
    problemi. Il mandarino Shen Ch'ueh, preoccupato per l'infiltrazione
    di un culto straniero, tra il 1617 e il 1622 promosse la prima
    persecuzione contro i cattolici, costringendo i gesuiti alla
    clandestinità. Nel 1644 le truppe della Manciuria invasero la
    Cina e misero fine al secolare governo della dinastia Ming, che si
    erano sempre mostrati favorevoli ai gesuiti: sotto uno dei primi
    imperatori della dinastia Ch'ing, tra il 1664 e il 1669, i religiosi
    vennero tenuti agli arresti domiciliari a Canton.
    
    Nonostante le persecuzioni i gesuiti continuarono la loro opera: il
    successore di Ricci alla guida della missione, Niccolò
    Longobardi, ne accolse il metodo e nel 1618 fece giungere
    dall'Europa il gesuita Johann Schreck, astronomo e accademico dei
    Lincei, che portò in Cina nuove conoscenze matematiche e
    geometriche, nuove tecniche per la costruzione di strumenti
    astronomici e le teorie di Galileo Galilei.
    
    Da ricordare sono anche i gesuiti Johann Adam Schall von Bell,
    tedesco, che venne nominato presidente del tribunale matematico e
    mandarino di prima classe, e Ferdinand Verbiest, fiammingo, chiamato
    dall'imperatore K'ang-hsi per farsi esporre le ultime scoperte
    europee in campo matematico e astronomico.
    
    L'apertura dei gesuiti nei confronti della cultura e delle
    tradizioni cinesi portò allo scoppio della questione dei riti
    cinesi.
    
    I gesuiti nel 1615 avevano ottenuto da papa Paolo V il permesso di
    tradurre la Bibbia in cinese e, per i preti locali, di celebrare la
    Messa e recitare il breviario nella loro lingua (l'autorizzazione fu
    revocata dalla congregazione di Propaganda Fide sotto i pontificati
    di Alessandro VII e Innocenzo XI); soprattutto, avevano consentito,
    sin dai tempi di Matteo Ricci, ai convertiti di continuare a
    celebrare i riti in onore degli antenati e di Confucio che, secondo
    i gesuiti, avevano carattere più civile e politico che
    religioso.
    
    L'arrivo dei francescani e dei domenicani nel 1631 creò i
    primi problemi: essi criticarono il metodo missionario gesuita (la
    decisione di vestire i preziosi abiti dei mandarini, di rivolgersi
    prevalentemente alle classi elevate) e condannarono come
    superstiziosi e pagani i riti cinesi. Al fronte religioso che si
    opponeva alla prassi missionaria dei gesuiti in Cina si aggiunsero
    poi i padri del Seminario delle Missioni Estere di Parigi, e i
    missionari di Propaganda Fide, i carmelitani, gli eremitani, i
    barnabiti e i caracciolini.
    
    Nel 1693 il vicario apostolico di Fukien, Charles Maigrot, delle
    Missioni Estere di Parigi, condannò l'utilizzo dei termini
    cinesi Tian (cielo) e Shangdi (signore supremo), che i Gesuiti
    tolleravano quali termini per designare il Dio dei cristiani da
    parte dei cinesi convertiti. Maigrot portò il suo decreto a
    Roma, e la Santa Sede iniziò una istruttoria che si concluse
    con una condanna dei riti: il 20 novembre 1704, con il decreto Cum
    Deus Optimus papa Clemente XI proibì l'uso di quei termini e
    la partecipazione dei neoconvertiti ai riti ancestrali. La condanna
    dei riti cinesi venne confermata con il decreto del 25 settembre
    1710, con la costituzione Ex illa die del 1715 e con la bolla Ex quo
    singulari del 1742).
    
    Secondo lo storico gesuita Bangert, la questione dei riti cinesi
    venne sollevata più per svilire l'immagine della Compagnia
    che per tutelare la purezza del culto.
    
    Brasile 
    
    Negli stessi anni in cui Saverio iniziava l'evangelizzazione del
    lontano Oriente, altri gesuiti si dedicarono alle missioni presso le
    popolazioni indigene del Brasile, altro grande possedimento
    portoghese. Il 29 marzo 1549 una comunità di sei religiosi
    guidata da Manuel da Nóbrega partì per l'America e
    sbarcò a Bahía de Todos los Santos.
    
    Il loro primo incarico fu quello di curare l'educazione dei figli
    dei coloni portoghesi, insediati lungo la costa atlantica: la loro
    prima capanna di fango eretta a São Salvador da Bahia divenne
    il collegio massimo, una delle più importanti istituzioni
    culturali del paese.
    
    Nel 1553 Nóbrega si spinse all'interno insieme a José
    de Anchieta, un giovane gesuita proveniente dalle Canarie, e i due
    fondarono un seminario destinato a diventare il centro per
    l'organizzazione dell'apostolato presso gli indigeni tupi, che i
    missionari organizzarono in comunità stabili. Da
    quell'insediamento si sviluppò la città di São
    Paulo.
    
    Anchieta scrisse la prima grammatica della lingua tupi e fu autore
    di numerosi canzoni in lingua indigena utilizzando melodie popolari.
    
    Paraguay 
    
    I gesuiti vennero chiamati in Paraguay nel 1585 dal vescovo di
    Tucumán per evangelizzare i Guaraní che, dinanzi
    all'avanzata degli spagnoli, si erano ritirati a est del
    Paraná, nelle zone delle Pampas e del Chaco. Inizialmente
    l'azione dei gesuiti fu poco efficace per vari motivi (il metodo
    adottato della missione itinerante, il carattere nomade della
    popolazione, i cacciatori di schiavi), così il preposito
    generale Claudio Acquaviva suggerì ai missionari la creazione
    di colonie stabili di indios, lontane dai centri abitati spagnoli
    (al sicuro, quindi, dall'influsso dei costumi coloniali e dai
    cacciatori di schiavi). Sorsero così le prime reducciones (o
    riduzioni), approvate dalla Corona spagnola ma ostacolate dai
    coloni, dei piccoli villaggi fortificati autonomi a struttura
    teocratica che, grazie alle attività agricole introdotte dai
    gesuiti (coltivazione del cotone, del mate), godettero una certa
    prosperità.
    
    Le reducciones del Paraguay, tra il 1610 e il 1640 circa, di
    diffusero fino a comprendere gli indios della provincia brasiliana
    di Tapes e andarono a costituire quasi una repubblica indipendente
    (il cosiddetto "stato gesuita del Paraguay"), suscitando
    l'ostilità delle locali autorità ecclesiastiche e
    coloniali (tanto che Filippo IV di Spagna autorizzò gli
    indigeni a munirsi di armi da fuoco). Tra il 1628 e il 1635 i
    portoghesi del Brasile attaccarono le reducciones che, alla fine del
    conflitto, nel 1641 erano ridotte a una trentina, con circa 150.000
    indios cristiani.
    
    Sempre nell'America del Sud, il gesuita Pietro Claver, missionario
    nella Nuova Granada e responsabile dell'apostolato tra gli schiavi
    neri di Cartagena, svolse un'importante azione antischiavista: venne
    canonizzato nel 1888 e dichiarato patrono delle missioni africane.
    
    Canada 
    
    Dopo alcuni isolati tentativi fatti negli anni precedenti, i primi
    gesuiti provenienti dalla Francia giunsero a Québec nel 1632
    sotto la guida di Paul Le Jeune. I padri aprirono il collegio di
    Nostra Signora degli Angeli e su loro invito anche l'orsolina Maria
    dell'Incarnazione raggiunse la colonia per unirsi alla loro missione
    educativa.
    
    A pochi anni dall'arrivo in Canada i gesuiti avevano già
    raggiunto il numero di 23 padri e 6 fratelli. I missionari
    iniziarono a dedicarsi all'evangelizzazione degli uroni e si
    spinsero verso l'interno per cercare contatti con altri popoli
    indigeni: avendo sentito parlare di un grande fiume che scorreva
    verso il sud che gli avrebbe permesso di raggiungere altri territori
    abitati dagli amerindi, il gesuita Jacques Marquette si unì
    al viaggio dell'esploratore Louis Jolliet e nel 1673, risalendo il
    corso del Wisconsin, scoprì il corso superiore del
    Mississippi e discese il fiume esplorando soprattutto le confluenze
    del Missouri e dell'Ohio, giungendo alla conclusione che il fiume
    scorreva verso sud per sfociare nel golfo del Messico.
    
    I gesuiti convertirono al cristianesimo numerosi uroni stanziati
    lungo il fiume San Lorenzo. Contro gli uroni si formò presto
    una confederazione di cinque popoli irochesi, tra cui i mohawk, che
    creò gravi problemi ai missionari. Nel 1642 René
    Goupil venne ucciso dai mohawk e il suo compagno Isaac Jogues,
    liberato dopo mesi di prigonia e torture; nel 1646 Jogues
    tornò tra i mohawk assieme a Jean La Lande per una missione
    di pace, ma vennero entrambi uccisi. Al numero dei gesuiti uccisi
    dagli irochesi in Canada si unirono Jean de Brébeuf, Gabriel
    Lalemant, Antoine Daniel, Charles Garnier e Noël Chabanel.
    
    Il gruppo degli otto martiri canado-americani venne canonizzato da
    papa Pio XI nel 1930.
    
    Africa 
    
    Nel 1548 i gesuiti tentarono di penetrare in Marocco, ma vennero
    espulsi poco dopo. Maggior successo ebbe l'attività
    missionaria della Compagnia in Etiopia, Mozambico, Angola, Congo e
    Capo Verde.
    
    Minacciato dai musulmani, il negus d'Etiopia Claudio promise a
    Giovanni III di Portogallo, in cambio del suo sostegno militare, di
    abiurare il monofisismo e di aderire con i suoi sudditi al
    cattolicesimo. Da Goa giunsero in Etiopia alcuni missionari gesuiti
    e il 30 marzo 1556 lasciò Lisbona João Nunes Barreto,
    nominato patriarca d'Abissinia (fu il primo gesuita a essere
    innalzato all'episcopato). Dopo la sconfitta dei musulmani il
    negus dimenticò le sue promesse e il successore di Claudio
    confinò i gesuiti nel deserto (l'ultimo morì nel
    1597). I padri Eliano e Rodríguez contattarono, per conto
    della Santa Sede, il patriarca copto di Alessandria Gabriele VII, ma
    i colloqui per la riunione delle Chiese cattolica e copta non ebbero
    un esito positivo.
    
    Nel 1560 tre gesuiti giunsero da Goa in Mozambico, dove erano stati
    chiamati da Gamba, capo della tribù dei MaKaranga stanziati
    presso Inhambane, che avevano conosciuto il cristianesimo grazie ai
    loro contatti con i portoghesi. In breve i missionari battezzarono
    oltre 450 persone, poi si spinsero verso lo Zambesi e convertirono
    il capo dell'impero di Monomotapa, sua madre e i suoi 300 sudditi. I
    musulmani, però, ordirono una congiura e spinsero
    l'imperatore a far assassinare i gesuiti (Gonçalo da
    Silveira, il capo della missione, venne strangolato il 15 marzo
    1561) mettendo fine all'impresa dei gesuiti nella zona.
    
    I primi quattro gesuiti penetrarono in Angola attorno al 1563, ma la
    loro missione non ebbe successo: l'11 febbraio 1575 sbarcarono a
    Luanda altri quattro gesuiti (due preti e due fratelli) che,
    nonostante lo scarso appoggio della Compagnia (che inviò
    rinforzi solo nel 1580), in tre anni battezzarono oltre 200 persone
    (nel 1593 gli angolani battezzati erano già oltre 8.000).
    I gesuiti eressero a Luanda una chiesa e un collegio e tra il 1604 e
    il 1608 fondarono stazioni missionarie nelle isole di Capo Verde.
    
    Dopo una prima breve impresa in Congo tra il 1548 e il 1555, nel
    1581 i gesuiti dell'Angola, guidati da Baltasar Barreira, tornarono
    in questa regione per un viaggio di esplorazione e vi
    battezzò 1500 persone. Dopo un inizio promettente della
    missione, alcuni eventi portarono alla distruzione dell'armonia
    religiosa (nel 1645 giunsero dei missionari cappuccini spagnoli che
    cercarono di portare i congolesi nell'orbita spagnola) e al
    disordine civile (rivolte di indigeni). Anche a causa dell'esiguo
    numero di gesuiti, nel 1674 l'impresa in Congo venne abbandonata.
    
    Fra le molte missioni fondate dai gesuiti in Africa prima della
    soppressione del XVIII secolo, quella in Angola fu l'unica a
    radicarsi e ad avere un certo sviluppo.
    
    Le missioni interne 
    
    Come Ignazio, che aveva iniziato il suo ministero insegnando la
    dottrina ai bambini e girando insieme ai compagni per le piazze dei
    paesi predicando ai passanti, anche i primi gesuiti si dedicarono
    alla predicazione estemporanea, quasi in concorrenza con cantastorie
    e cavadenti, viaggiando di città in città, spesso a
    piedi nudi. Fino alla metà del Cinquecento questa forma
    di predicazione ebbe caratteristiche di improvvisazione e venne
    esercitata in maniera quasi giullaresca, assumendo anche un fine di
    mortificazione per chi la compiva. La situazione mutò a
    partire dalla seconda metà del secolo e soprattutto nel
    Seicento.
    
    Le gerarchie ecclesiastiche (vescovi e inquisitori) iniziarono a
    ricorrere ai gesuiti commissionando loro un'opera di controllo
    antiereticale (tra i valdesi di Piemonte, Puglia e Calabria, tra i
    moriscos in Spagna) ma anche di rilancio della vita religiosa. La
    vicenda del gesuita Silvestro Landino è paradigmatica: tra il
    1550 e il 1551, in occasione della visita pastorale di Egidio
    Foscari a Modena (capitale italiana del movimento filoprotestante) e
    nella sua diocesi, affiancò il presule dedicandosi allo
    smascheramento di ecclesiastici e maggiorenti in odore di eresia;
    spostandosi nelle zone montane, però, si rese conto che a
    minacciare la vita cristiana non era tanto la diffusione delle
    dottrine riformate, quanto la profonda ignoranza e superstizione
    della popolazione e del clero delle zone più isolate.
    Capitava che i sacerdoti delle aree rurali ignorassero la formula
    del sacramento dell'Eucaristia o che, interrogati sulla
    Trinità, i contadini rispondessero essere battesimo, cresima
    ed eucaristia, o fede, speranza e carità, o Gesù,
    Giuseppe e Maria; altri credevano all'esistenza di un numero
    indefinito di dei.
    
    Dalle zone dell'Appennino Tosco-Emiliano Landino passò
    all'isola di Capraia e poi in Corsica, dove trascorse gli ultimi
    giorni della sua vita dedicandosi alle missioni tra le popolazioni
    più isolate e abbandonate. Nei luoghi desolati e periferici i
    gesuiti riconobbero "altre Indie", bisognose di evangelizzazione al
    pari di quelle dell'Asia e delle Americhe.
    
    Nel corso del Seicento le missioni nelle campagne acquisirono una
    struttura fissa: i padri si recavano in una località al
    centro di un'area rurale e vi rimanevano alcuni giorni dando
    esercizi spirituali a sacerdoti e nobili, predicando al popolo,
    organizzando processioni, confessioni e comunioni
    collettive,distribuendo medaglie e immaginette sacre, fondando o
    rivitalizzando confraternite, formando catechisti.
    
    Colonialismo 
    
    Lo slancio missionario dei gesuiti è testimoniato dalle circa
    quindicimila lettere, scritte tra il 1550 e il 1771 da tutta Europa
    e conservate negli archivi romani dell'Ordine. In esse i religiosi
    domandavano di essere mandati nelle missioni d'oltremare per emulare
    san Francesco Saverio, l'apostolo del Giappone, il cui nome appare a
    chiare lettere in duemila missive.
    
    I membri secolari e regolari del clero si dedicavano ovunque ad
    attività commerciali, in particolare i gesuiti furono attivi
    in Giappone fino alla proibizione del cristianesimo nel 1614 e alla
    successiva espulsione dei portoghesi dal paese. L'unica funzione
    dell'impero, scrisse una volta lo stesso san Francesco Saverio, era
    quella di coniugare «ogni modo e tempo del verbo
    depredare». Persino un religioso cattolico, recatosi in India
    nel 1672, rimase colpito dalle ricchezze accumulate nei monasteri e
    nei conventi portoghesi e ricavò l'impressione che
    «tutto il commercio della nazione fosse nelle loro
    mani». Quando furono espulsi dal Giappone nel 1639, i gesuiti
    si trasferirono nel Macassar; in Indocina e in Thailandia, che
    offrivano tuttavia opportunità meno remunerative.
    
    Per quanto riguarda il Brasile, i padri gesuiti dapprima
    trasferirono gli amerindi in villaggi dove potevano proteggerli e
    convertirli, come il re aveva ordinato, e nel 1570 ottennero dal
    sovrano che venisse abolita la schiavitù, tranne per chi
    praticava il cannibalismo o rifiutava la conversione al
    Cristianesimo. Come conseguenza essi vennero espulsi due volte da
    Maranhão, ed a causa della pressante richiesta di manodopera,
    soddisfatta dall'importazione dei neri africani solo alla fine del
    XVI secolo, furono infine costretti ad accettare la politica dei
    coloni.
    
    Secondo le credenze del tempo era infatti per volontà di Dio
    che gli africani fossero schiavi di padroni bianchi e cristiani.
    Essi meritavano tale sorte non solo perché appartenevano
    presumibilmente alla razza su cui ricadeva, secondo la Bibbia, la
    maledizione lanciata da Noè sui discendenti del figlio Cam,
    ma anche per l'enormità dei peccati commessi dai loro
    antenati, della quale il colore della pelle era un'indubbia
    testimonianza. Anche la riluttanza a lavorare con zelo in condizioni
    di schiavitù era ritenuta una prova della loro inadeguatezza,
    e si pensava che l'asservimento li avrebbe abituati ai benefici
    effetti di una vita faticosa e regolare, preparandoli a ricevere il
    dono divino del messaggio cristiano. È comprensibile quindi
    che in un'Europa in cui i vagabondi erano marchiati e i dissidenti
    religiosi torturati o arsi vivi, non si sollevassero serie obiezioni
    ad analoghi trattamenti inflitti ai neri ritenuti altrettanto
    recalcitranti.
    
    Intorno al 1600 i gesuiti possedevano, insieme ai dominicani, circa
    un terzo delle terre produttive nelle colonie spagnole e portoghesi
    delle Americhe. All'inizio del 1700 in ogni latifondo lavoravano,
    secondo le modalità tipiche dell'economia coloniale iberica,
    mille indigeni ogni centocinquanta schiavi neri.
    
    Nelle Americhe colonizzate da spagnoli e portoghesi, dove gli
    edifici ecclesiastici, alcuni dei quali erano autentiche fortezze,
    regolarmente superavano per dimensioni e magnificenza le opere
    più imponenti dell'architettura civile, la Chiesa cattolica
    si insediò in maniera solenne e fastosa acquisendo immense
    proprietà, come in Asia accadde di rado. Monasteri e conventi
    fornivano l'istruzione primaria ai bambini non indigeni, e dalla
    fine del 1500 i gesuiti aprirono una rete di scuole secondarie:
    città opulente ospitavano conventi alla moda e lungo le
    frontiere imperiali missionari paternalistici dirigevano il lavoro e
    le preghiere degli accoliti amerindi, mentre nel cuore dell'impero i
    convertiti nativi professavano un cattolicesimo fatto di devozione
    superstiziosa e di paganesimo appena velato, oppure strane
    combinazioni di usanze cristiane ed indigene.
    
    Soppressione e rinascita dell'ordine 
    
    La vicenda che condusse alla soppressione della Compagnia di
    Gesù è sintomatica della debolezza
    dell'autorità papale. I governi di numerosi stati europei
    consideravano l'ordine il più pericoloso alleato dei
    pontefici e la Compagnia venne sempre più considerata il
    principale ostacolo alle politiche riformiste e giurisdizionaliste
    (gallicanesimo, febronianesimo) dei sovrani, nonché al
    rinnovamento delle forme religiose (propugnato dai giansenisti).
    Accusati di regicidio, di pervertire l'ordine sociale, di corrompere
    la gioventù e di essere artefici della supremazia del papa
    sul potere monarchico, i gesuiti vennero espulsi dai principali
    regni europei e dalle loro colonie.
    
    Fu il Portogallo ad aprire la via alla soppressione. Il marchese di
    Pombal, capo del governo, fautore dell'assolutismo monarchico,
    entrò in aperto conflitto con i gesuiti per la vicenda delle
    reducciones brasiliane. Il marchese inviò a papa Benedetto
    XIV una relazione in cui accusava i gesuiti di avidità di
    denaro e sete di potere e li denunciava di essere al centro di
    scandalose operazioni commerciali, il che costrinse il pontefice a
    inviare in Portogallo il cardinale Saldanha a compiere un'inchiesta;
    i gesuiti vennero anche accusati di essere coinvolti nel fallito
    attentato a Giuseppe I del 1758. Agli inizi del 1759 il re
    ordinò di confiscare tutte le proprietà dell'ordine e
    pochi mesi dopo ne decretò l'espulsione.
    
    I problemi per la Compagnia in Francia iniziarono con la condanna
    per bancarotta fraudolenta del gesuita Antoine La Vallette decretata
    dal parlamento di Parigi, dominato da elementi giansenisti e
    gallicani e in cui era ben radicato il movimento antigesuitico. Il 6
    agosto 1761 il parlamento ordinò di bruciare pubblicamente le
    opere di ventitré gesuiti (tra i quali Bellarmino) in quanto
    lesive della morale cristiana e ai gesuiti di chiudere i loro
    collegi, nei quali si sarebbe esercitata una cattiva influenza sui
    giovani: Luigi XV cercò di far sospendere l'esecuzione della
    sentenza, ma la sua debolezza politica lo costrinse però alla
    fine a piegarsi di fronte alle pressioni dei parlamenti e a rendere
    esecutivo il decreto.
    
    Dalla Spagna i gesuiti vennero cacciati da Carlo III, per il quale i
    religiosi rappresentavano un ostacolo nella realizzazione
    dell'assolutismo monarchico: essi infatti avevano sempre preso
    posizione contro la filosofia regalista e avevano un forte legame
    con l'aristocrazia ostile alla politica del sovrano. Inoltre, il
    ministro Campomanes accusò falsamente i gesuiti di essere gli
    istigatori di una rivolta, inducendo Carlo III a credere che essi
    stessero complottando contro di lui. Tutti questi elementi
    concorsero a spingere il re a emettere il decreto di espulsione il
    27 febbraio 1767. Gli altri Stati borbonici imitarono presto
    l'esempio spagnolo: Ferdinando IV, spinto da Tanucci, espulse i
    gesuiti da Napoli e Sicilia nel novembre 1767 e il duca di
    Parma Ferdinando, consigliato da du Tillot, cacciò i
    religiosi dai suoi stati nel febbraio 1768.
    
    A Roma, dopo l'elezione al soglio pontificio di papa Clemente XIV
    nel 1769, il cardinale François-Joachim de Pierre de Bernis
    scrisse: «Il papa ha voluto e vuole sinceramente anche
    soddisfare la casa di Francia sull'affare dei gesuiti? Io rispondo
    due cose a questa domanda: la prima è che non vi è
    dubbio che il papa non ama i gesuiti; la seconda è che li
    teme ancora più di quanto li disprezzi e, dato che il suo
    pensiero è vivere in pace con tutti i sovrani senza
    disgustare gli uni mentre accontenta gli altri, così il Santo
    Padre sarebbe lietissimo che la Francia e la Spagna si
    accontentassero di una soppressione parziale dell'Ordine e
    dell'umiliazione e del discredito in cui egli spera di ridurlo negli
    Stati pontifici. Ma potrà egli fermarsi a questo
    punto?». Clemente XIV diede inizio allo smantellamento della
    Compagnia togliendo la direzione del Collegio Romano e del Collegio
    degli Irlandesi ai gesuiti e privando degli ottocento scudi mensili
    i gesuiti portoghesi cacciati dal paese e ospiti nello Stato della
    Chiesa. Il pontefice manifestò pubblicamente la sua
    avversione alla Compagnia: appena eletto ricevette l'ossequio del
    superiore generale Lorenzo Ricci ma poi gli vietò di mettere
    piede nel Palazzo Apostolico. Inoltre quando incontrava un gesuita
    per Roma o passava davanti alla chiesa del Gesù, si voltava
    dall'altra parte.
    
    Con il breve Dominus ac Redemptor del 21 luglio 1773 papa Clemente
    XIV soppresse la Compagnia, che all'epoca contava circa 23.000
    membri in 42 provincie: i vescovi locali erano nominati delegati
    apostolici per eseguire la soppressione delle case situate nella
    loro diocesi.Il documento papale mirava ad assecondare i sovrani che
    avevano cacciato i gesuiti dai loro territori, confermandone
    solennemente le ragioni. In aggiunta, il pontefice ricordava il suo
    dovere come vicario di Cristo, di ristabilire la pace turbata non
    solo nei regni e nella Chiesa, ma anche nella stessa Compagnia,
    affinché, una volta soppressi, i gesuiti «liberi da
    tutte le contenzioni, dissensioni e angosce onde furono vessati,
    possano più fruttuosamente coltivare la vigna del Signore e
    giovare più copiosamente alla salute delle anime. […] Con
    matura deliberazione, scienza sicura e con la pienezza della
    potestà apostolica, estinguiamo e sopprimiamo la Compagnia di
    Gesù». L'applicazione del decreto avvenne in forma
    solenne: il 16 agosto 1773 due prelati, scortati da un drappello di
    soldati, raggiunsero la casa dei gesuiti presso la chiesa del
    Gesù. Alla presenza del Preposito generale, Lorenzo Ricci, e
    degli altri superiori, fu letto ad alta voce il decreto di
    soppressione: ai religiosi fu intimato, fino a nuovo ordine, di non
    uscire dalla casa, di non scendere in chiesa a celebrare la messa,
    di non confessare e di non svolgere alcuna attività di
    ministero. Inoltre una commissione di cinque cardinali, tutti
    avversi alla Compagnia, vigilò affinché i beni dei
    gesuiti fossero rimasti a disposizione del pontefice anziché
    cadere in mani altrui.
    
    La soppressione dei gesuiti a Roma venne eseguita il 16 agosto
    successivo e il preposito generale Lorenzo Ricci venne incarcerato
    in Castel Sant'Angelo, dove si spense il 24 novembre 1775. Ricci
    scriverà nel suo testamento: «Dichiaro e protesto che
    la disciolta Compagnia di Gesù non ha dato alcun motivo
    né alcun pretesto per la sua soppressione […]. In secondo
    luogo, dichiaro e protesto di non aver mai offerto il minimo
    pretesto né il minimo appiglio per la mia
    carcerazione». Nel carcere verranno poi tradotti anche gli
    assistenti generali e il segretario della Compagnia, dopo lunghi
    interrogatori sul modo di vivere dei gesuiti, sulle loro posizioni
    rispetto al pontefice, e soprattutto sui luoghi ove i gesuiti
    avrebbero nascosto le loro ricchezze.
    
    I gesuiti in Russia 
    
    Dopo la spartizione della Polonia (1772), i territori orientali del
    paese (la cosiddetta Russia Bianca) erano passati sotto il dominio
    della Russia di Caterina II: i gesuiti contavano in quelle terre 18
    case, di cui tre collegi (a Połock, Witebsk e Orsza) e 201
    religiosi.
    
    La zarina rifiutò di dare l'exequatur al breve di
    soppressione e fece comunicare al superiore di Połock, Stanisław
    Czerniewicz, la sua intenzione di conservare la compagnia nei suoi
    domini. I gesuiti della Russia Bianca ebbero il compito storico di
    assicurare la continuità dell'ordine di prima del 1773 con
    quello restaurato nel 1814.
    
    Anche Federico II, per motivi legati all'educazione, non volle
    consentire subito la soppressione delle case gesuite nei territori
    cattolici del regno di Prussia (Slesia e parte della Polonia). La
    soppressione ebbe comunque luogo a Breslavia il 5 febbraio 1776.
    
    Tentativi di ricostituzione 
    
    Subito dopo la soppressione vennero effettuati numerosi tentativi di
    ripristinare l'ordine: la carmelitana Teresa di Sant'Agostino,
    figlia di Luigi XV, cercò di ottenere dal papa
    l'autorizzazione per gli ex gesuiti a organizzarsi in
    fraternità di preti secolari, ma Clemente XIV non accolse
    favorevolmente il progetto.
    
    Qualche anno dopo, altri cercarono, con successo, di ricostruire la
    forma di vita e il modo di operare della Compagnia dando inizio a
    nuove congregazioni: nel 1791 Pierre-Joseph Picot de
    Clorivière, già membro della Compagnia, fondò
    l'istituto dei Sacerdoti del Cuore di Gesù, approvato da papa
    Pio VII; François-Léonor de Tournély e
    Charles de Broglie, nel 1794, fondarono a Eegenhoven (Belgio) i
    padri del Sacro Cuore, che ebbero un certo sviluppo sotto la guida
    di Joseph Varin.
    
    Nel 1797, con l'autorizzazione del cardinale Giulio Maria della
    Somaglia, Niccolò Paccanari istituì a Roma la
    Società della Fede di Gesù, le cui regole ricalcavano
    le costituzioni dei gesuiti: Pio VI approvò temporaneamente
    la congregazione e nel 1799 vi unì i padri del Sacro Cuore di
    Varin. Dopo aver conosciuto una notevole diffusione, i padri della
    Fede entrarono in un periodo di crisi dopo l'arresto di Paccanari da
    parte del Santo Uffizio: quando venne ristabilita la Compagnia di
    Gesù (1814) molti membri vi entrarono, gli altri divennero
    preti diocesani.
    
    Queste congregazioni contribuirono in modo efficace a tenere in vita
    lo spirito della Compagnia di Gesù.
    
    La restaurazione 
    
    Nel 1793 la Santa Sede approvò segretamente i gesuiti della
    Russia Bianca e il 17 marzo 1801, con il breve Catholicae fidei
    di Pio VII, il riconoscimento divenne pubblico; nel 1803 venne
    approvata l'attività dei gesuiti in Inghilterra e il 30
    luglio 1804, con il breve Per alias, Pio VII ristabilì la
    Compagnia a Napoli e in Sicilia (dove l'ordine era stato
    reintrodotto a opera di Giuseppe Pignatelli).
    
    Con la bolla Sollicitudo omnium ecclesiarum del 30 luglio 1814
    Pio VII ripristinò la Compagnia di Gesù in tutto il
    mondo.
    
    La Compagnia dopo la ricostituzione 
    
    L'azione dell'olandese Joannes Philippe Roothaan, preposito generale
    dal 1829 al 1853, fu di notevole importanza per la ricostruzione
    dell'ordine. Vennero riprese le vecchie attività, con una
    speciale attenzione verso le missioni e l'educazione della
    gioventù (la Ratio atque institutio studiorum venne
    aggiornata e adattata alle esigenze del tempo); per mantenere alto
    il livello di edificazione ascetica dei gesuiti, sottolineò
    l'importanza della pratica degli Esercizi spirituali e ne
    pubblicò un importante commentario.
    
    Nel XIX secolo la Compagnia assunse un ruolo preminente di difesa
    della Santa Sede contro le tendenze laicizzatrici e liberali delle
    nazioni europee (l'ordine esercitò un grande influsso sui
    movimenti cristiano-sociali sorti in questo periodo con intento
    contestativo nei riguardi del liberalismo politico ed economico) e
    delle ideologie "moderniste" (furono tra i principali difensori del
    Sillabo di papa Pio IX) e favorirono notevolmente il processo di
    centralizzazione delle strutture ecclesiastiche culminato con il
    concilio Vaticano I e la proclamazione del dogma
    dell'infallibilità papale. Nel campo teologico e filosofico i
    gesuiti promossero la rinascita del tomismo, culminata nel 1879 con
    la pubblicazione dell'enciclica Aeterni Patris di papa Leone XIII.
    
    Lungo tutto il secolo i gesuiti vennero a più riprese espulsi
    da numerosi stati: prima dalla Russia, poi dalla Spagna e dal regno
    di Napoli, quindi dalla Francia e dal Portogallo; l'ordine venne
    espulso dalla Svizzera nel 1847, a seguito della guerra del
    Sonderbund, e solo nel 1973 una consultazione popolare
    consentì la presenza dei religiosi della Compagnia nel
    territorio elvetico; in Germania i gesuiti vennero espulsi a causa
    del Kulturkampf e solo nel 1917 venne abrogata la legge che proibiva
    la presenza della Compagnia nel paese.
    
    I gesuiti dovettero affrontare polemiche particolarmente vive in
    Italia, dove i rapporti tra Chiesa e Stato erano complicati dalla
    questione romana e la Compagnia era accusata di essere uno dei
    principali ostacoli alla realizzazione dell'unità nazionale
    (è in questo contesto va inquadrata una delle maggiori opere
    di Vincenzo Gioberti, Il gesuita moderno).
    
    Sotto i governi di Włodzimierz Ledóchowski, preposito
    generale dal 1915 al 1942, e di Jean-Baptiste Janssens, che resse la
    Compagnia tra il 1946 e il 1964, il numero dei gesuiti crebbe sino a
    raggiungere la cifra più elevata.
    
    Particolarmente significativo fu il generalato di Pedro Arrupe
    (1965-1983), che resse l'ordine negli anni che seguirono la
    celebrazione del Concilio Vaticano II: sotto il suo governo il
    numero dei membri della Compagnia calò significativamente, ma
    nell'ordine crebbe la consapevolezza del legame inscindibile tra
    l'annuncio della fede e l'impegno per la giustizia sociale e venne
    avviato un processo di rinnovamento di metodi e di dottrine
    nell'ambito educativo e missionario (anche se l'interpretazione e
    l'attuazione di questi principi causarono forti tensioni).
    
    Nel 1981 un ictus costrinse Arrupe a dimettersi (morì nel
    1991) e, in deroga alle costituzioni (che prevedevano che la guida
    dell'ordine passasse al vicario generale), papa Giovanni Paolo II
    nominò un delegato pontificio, Paolo Dezza, e solo nel 1983
    venne convocata la XXXIII congregazione generale che elesse
    preposito l'olandese Peter Hans Kolvenbach (dimessosi nel 2008,
    al raggiungimento del suo ottantesimo anno di età).
    
    La spiritualità dell'ordine 
    
    La spiritualità della Compagnia si fonda sugli Esercizi
    spirituali ignaziani. Gli elementi fondamentali degli Esercizi sono
    la contemplazione della vita di Gesù, l'accoglimento della
    chiamata alla sequela di Cristo fattosi servo per noi, lo sforzo ad
    assomigliare sempre più a Gesù nella vocazione
    personale al servizio della Chiesa. Secondo gli Esercizi
    l'imitazione di Gesù implica l'assoluta povertà (solo
    i collegi erano autorizzati ad avere rendite fisse), l'abbandono
    alla volontà di Dio (manifestato nell'assoluta obbedienza ai
    superiori perinde ac cadaver, ovvero come un cadavere),
    l'umiltà, la sopportazione paziente di umiliazioni e offese,
    della croce e delle persecuzioni.
    
    In reazione alla diffusione del giansenismo, che negava il valore di
    ogni devozione e proponeva un regime di vita spirituale rigoroso,
    arcigno e arido, i gesuiti si fecero propagatori della calda e
    confortante devozione al Sacro Cuore di Gesù, che poneva
    l'accento sulla centralità dell'amore di Dio come chiave
    della storia della salvezza.
    
    Fu il gesuita Claude La Colombière, direttore spirituale
    delle monache della Visitazione di Paray-le-Monial, a diffondere
    della pratica dei primi nove venerdì del mese, ispirata,
    secondo la tradizione, da Gesù stesso alla visitandina
    Margherita Maria Alacoque. Nella visione di Gesù che
    Margherita Maria affermò di aver ricevuto il 2 luglio 1688,
    infatti, il Cristo avrebbe indicato i gesuiti come speciali
    propagatori della devozione al suo cuore e avrebbe chiamato La
    Colombière "servo fedele e perfetto amico".
    
    In stretta connessione alla devozione al Sacro Cuore, a opera del
    gesuita François-Xavier Gautrelet, nel 1844 nacque in Francia
    l'Apostolato della preghiera, i cui aderenti si impegnano ad offrire
    giornalmente preghiere e azioni al Sacro Cuore in spirito di
    riparazione dei peccati dell'umanità. Il gesuita Henri
    Ramière fondò il periodico Messaggero del Sacro Cuore,
    che nel 1912 veniva pubblicato in ventisei lingue diverse.
    
    Gli Esercizi e la devozione al Sacro Cuore dimostrano il carattere
    cristocentrico della spiritualità gesuita.
    
    Numerosi appartenenti all'ordine sono stati elevati agli onori
    dell'altare: il fondatore, i missionari Francesco Saverio e Pietro
    Claver, i teologi Pietro Canisio e Roberto Bellarmino, i giovani
    scolastici Luigi Gonzaga, Stanislao Kostka e Giovanni Berchmans, il
    superiore Francesco Borgia, il provinciale e principale restauratore
    della Compagnia Giuseppe Pignatelli, i predicatori Giovanni
    Francesco Régis, Bernardino Realino e Francesco De Geronimo,
    i martiri Paolo Miki e Giovanni de Brébeuf.
    
    L'organizzazione dell'ordine 
    
    La Compagnia di Gesù appartiene al numero degli ordini di
    chierici regolari, sorti nel corso del XVI secolo e utilizzati dalla
    Chiesa per contrastare la diffusione del protestantesimo e
    diffondere i dettami del Concilio di Trento, caratterizzati
    dall'unione di vita religiosa e impegno apostolico.
    
    La struttura dell'ordine è stabilita dalla Formula instituti,
    codificata e ampliata da Ignazio nelle Costituzioni della Compagnia,
    redatte insieme al suo segretario Juan de Polanco tra il 1547 e il
    1550, ulteriormente modificate in base ai suggerimenti dei religiosi
    professi e promulgate nel 1553: il testo, approvato nel 1606 da papa
    Paolo V con la bolla Quantum religio, è rimasto
    sostanzialmente immutato fino alla XXXI congregazione generale
    dell'ordine (1965-1966).
    
    Le costituzioni ignaziane (frutto della riflessione sull'esperienza
    religiosa del fondatore e dei suoi primi compagni) non sono solo un
    codice legislativo, ma uniscono agli elementi giuridici anche
    aspetti spirituali e ascetici e non possono essere comprese
    prescindendo dagli Esercizi spirituali.
    
    La caratteristica impressa maggiormente da Ignazio all'ordine
    è l'universalità dell'apostolato per quanto concerne
    il territorio, i compiti e i mezzi. L'altro elemento essenziale
    è la speciale obbedienza al papa, che trova compiuta
    espressione in un quarto voto aggiunto ai consueti tre comuni a
    tutti i religiosi (povertà, obbedienza e castità).
    
    L'aspetto innovativo 
    
    Nelle sue Costituzioni, Ignazio annullò i quattro aspetti
    fondamentali dell'organizzazione monastica: la residenza per tutta
    la vita in una medesima comunità (stabilitas loci), le
    decisioni prese a maggioranza da tutti i membri della
    comunità riuniti in capitolo, l'elezione del proprio
    superiore da parte di ogni singola comunità, la recita corale
    dell'ufficio divino.
    
    I gradi di appartenenza 
    
    Vi sono diversi gradi di appartenenza all'ordine: dopo due anni di
    noviziato (o prima probazione), i gesuiti in formazione, detti
    scolastici, emettono i primi voti, semplici e perpetui, che possono
    essere sciolti dai prepositi provinciali (dopo i primi voti, gli
    scolastici si dicono "approvati"); compiuto un triennio di studi
    filosofici e uno di studi teologici, inframezzati da una seconda
    probazione nelle case professe o nei collegi, lo scolastico
    approvato viene ordinato sacerdote.
    
    Al periodo di formazione segue un ulteriore anno di noviziato (terza
    probazione) al termine del quale, dopo aver trascorso almeno dieci
    anni nella Compagnia, il candidato viene ammesso per fare la
    professione in forma solenne dei tre voti (detti finali) di
    povertà, obbedienza e castità (comuni a tutti i
    religiosi), di un quarto voto solenne (specifico della Compagnia) di
    speciale obbedienza circa missiones al papa e di cinque altri voti
    semplici (non cambiare la legislazione della Compagnia se non per
    renderla più rigida, non cercare posizioni di autorità
    nella Compagnia, non cercare prelature nella Chiesa, denunciare ai
    superiori i colpevoli di queste azioni, ascoltare i consigli della
    Compagnia in caso di innalzamento all'episcopato). Dopo questi voti,
    il gesuita si dice professo.
    
    Ai professi sono riservate tutte le alte cariche dell'ordine.
    
    Oltre ai novizi, agli scolastici e ai professi, esistono i
    coadiutori, che emettono i voti finali di povertà, obbedienza
    e castità in forma semplice e non emettono il quarto voto: i
    coadiutori si distinguono in spirituali (che accedono al sacerdozio)
    e temporali (laici). In origine i coadiutori spirituali erano
    destinati a quei ministeri che richiedevano la stabilitas loci,
    mentre i professi dovevano essere "apostoli itineranti", ma oggi la
    distinzione tra le due classi è piuttosto relativa.
    
    I coadiutori temporali non accedono al sacerdozio e si occupano
    delle necessità pratiche delle loro comunità (cucina,
    contabilità): tra i coadiutori temporali spicca la figura di
    Alfonso Rodríguez.
    
    Il governo dell'ordine 
    
    Al vertice della struttura dell'ordine Ignazio pose la congregazione
    generale, un'assemblea composta dai prepositi provinciali e da due
    padri professi delegati da ogni provincia; la congregazione generale
    non si riunisce a intervalli regolari, ma viene convocata solo in
    caso di morte del preposito generale, o per ordine del papa, o per
    volere del preposito generale, o per decisione della congregazione
    dei procuratori, eletta con mandato triennale dalle province.
    
    La massima autorità della Compagnia di Gesù è
    il preposito generale (detto popolarmente "papa nero"), eletto a
    vita dalla congregazione generale. La sua autorità è
    subordinata a quella della congregazione generale, della quale
    è tenuto ad applicare i decreti. Il generale è
    assistito da dieci assistenti, nominati dalla congregazione
    generale: a ogni assistente fa riferimento un'"assistenza",
    cioè un gruppo di province raggruppate per lingua o
    nazionalità.
    
    Quella del preposito è l'unica carica elettiva: egli nomina i
    prepositi provinciali, che nominano a loro volta quelli delle
    comunità locali.
    
    La Compagnia di Gesù non comprende un terz'ordine né
    un ramo femminile. Benché nel 1545 Ignazio avesse accettato,
    su pressioni di Paolo III, la possibilità di istituire un
    ramo femminile della Compagnia, nel 1549 i gesuiti vennero
    dispensati dall'obbligo di assistere spiritualmente le religiose
    (forse, Ignazio temeva che dover fornire cappellani fissi e
    governare i monasteri femminili avrebbe distolto i religiosi dalla
    loro missione apostolica); tuttavia nel 1554, caso unico nella
    storia dell'ordine, a Giovanna d'Asburgo, figlia di Carlo V, venne
    consentito di emettere segretamente i voti degli scolastici con il
    nome di Mateo Sánchez.
    Attività
    
    
    
    Lo scopo della Compagnia di Gesù è la difesa e la
    propagazione della fede, lavorare per il progresso spirituale dei
    fedeli mediante tutte le forme del ministero della parola (esercizi
    spirituali, sacramenti) e l'assistenza ai bisognosi (soprattutto in
    ospedali e carceri).
    
    I gesuiti sono impegnati nell'istruzione e nella ricerca
    scientifica, nella formazione dei sacerdoti, nella catechesi per gli
    adulti, nell'apostolato verso il mondo giovanile e le
    comunità di vita cristiana, nei mass media, nell'assistenza
    spirituale a categorie svantaggiate (profughi, persone emarginate).
    
    La loro forma preferita di attività sono le case per esercizi
    spirituali: gli esercizi vengono generalmente dati a gruppi omogenei
    di persone per tre o otto giorni (anche meno, secondo le
    necessità). È tuttavia possibile compiere l'intero
    ciclo mensile.
    
    Il principale centro di studio diretto dai gesuiti è la
    Pontificia Università Gregoriana, fondata nel 1553 a Roma da
    Ignazio di Loyola e Francesco Borgia con il nome di Collegio Romano,
    eretta in università da papa Paolo IV nel 1556 e restaurata
    da papa Leone XII nel 1824;a essa nel 1924 papa Pio XI ha consociato
    il Pontificio Istituto Biblico, fondato da papa Pio X nel 1909, e il
    Pontificio Istituto Orientale, fondato da papa Benedetto XV nel
    1917.
    
    L'ordine pubblica numerose riviste come Gregorianum, Analecta
    Bollandiana e Archivum Historicum Societatis Iesu, semestrale
    fondato nel 1932 che pubblica articoli di ricerca storica, documenti
    inediti, recensioni, bibliografie. Tra gli altri periodici nati per
    iniziativa della Compagnia: La Civiltà Cattolica, Etudes,
    Recherches de science religieuse, Revue d'ascétique et de
    mystique, Stimmen der Zeit, Letture, Popoli, Aggiornamenti sociali,
    Messaggio del Sacro Cuore.
    
    Nel loro apostolato missionario viene data sempre maggiore
    importanza al tentativo di incarnare nelle diverse culture
    l'annuncio del messaggio di Gesù (inculturazione).