Risorgimento
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(1815-1870). Processo di rinnovamento culturale, politico e sociale
che consentì la formazione dello stato nazionale in Italia.
RIVOLUZIONE NAZIONALE BORGHESE URBANA.
Il termine, benché già utilizzato nella prima metà dell'Ottocento,
si affermò nel linguaggio comune solo sul finire del secolo, quando,
in occasione dell'Esposizione generale di Torino (1884), al
Risorgimento fu dedicato un padiglione in onore di Vittorio Emanuele
II.
L'interpretazione nazionalista, orientata a evidenziare la matrice
autoctona della lotta per l'indipendenza, ne scorse i prodromi nelle
idee dell'illuminismo italiano, in
pieno XVIII secolo, mentre la tradizione liberaldemocratica
privilegiò l'apporto delle idee rivoluzionarie, diffuse nella
penisola dalle armate napoleoniche a partire dal 1796.
Le esperienze della Repubblica cisalpina
e del Regno d'Italia consentirono alle
classi dirigenti del nord di venire in contatto con la cultura
politico-amministrativa della Francia, ma il passaggio da
un'aspirazione unitaria di carattere puramente letterario a una
consapevolmente politica si compì durante la Restaurazione, in pieno clima
romantico.
Tanto i moti del 1820-1821 nel Regno
delle Due Sicilie e nel Regno di Sardegna, quanto quelli scoppiati a
Modena e nelle Legazioni dello stato pontificio (1831), tutti
falliti, non ebbero ancora, tuttavia, un prevalente carattere
nazionale: i primi, di matrice carbonara,
mirarono soprattutto a ottenere istituzioni più liberali (la
costituzione), mentre gli ultimi furono sorretti da un vasto
consenso locale proprio perché si limitavano a richiedere al papa la
concessione di prudenti riforme amministrative.
Il superamento di queste generiche aspirazioni fu compiuto da Giuseppe Mazzini. Il suo pensiero politico
e la sua attività di cospiratore segnarono l'avvio del Risorgimento
consapevole, espressione di una riflessione originale sulla
nazionalità italiana fortemente intrisa di elementi volontaristici,
morali, culturali. Per Mazzini, che avversava le concezioni
naturalistiche della nazione, l'Italia unita doveva essere il frutto
della libera scelta di un destino comune da parte di un popolo
finalmente educato attraverso l'adesione a valori e istituzioni
democratiche. Nella sua prospettiva, la cacciata dello straniero, la
repubblica, il suffragio universale e lo spirito di associazione
costituivano un tutto unico.
Gli ambienti settentrionali della borghesia, del commercio e
dell'artigianato urbani furono i primi che raccolsero il messaggio
mazziniano. Esso non riuscì a produrre la rivoluzione promessa, ma
solo tentativi abortiti o repressi. Fino al 1834, tuttavia
l'adesione alla mazziniana Giovane Italia
fu sinonimo di lotta per l'indipendenza nazionale. Il radicalismo
politico di Mazzini si scontrò con l'arretratezza sociale ed
economica della penisola, dominata da campagne povere e da una
drammatica ristrettezza dei mercati.
Solo nella Lombardia austriaca e in Piemonte (a partire dal 1840)
esisteva un ceto imprenditoriale relativamente avanzato, legato a un
mondo agricolo moderno e interessato a un mercato nazionale (o
almeno padano). Di questi interessi si rese interprete, dopo il
1848, il conte di Cavour, primo ministro
del Regno di Sardegna, l'unico stato
italiano che, conclusa la temperie rivoluzionaria, con lo Statuto albertino (1848) aveva
mantenuto fede al costituzionalismo, attirando le simpatie e le
speranze di tutti i liberali della penisola.
Estranee le masse contadine, cioè la maggioranza degli italiani, il
Risorgimento fu dunque una rivoluzione nazionale borghese e urbana:
borghese, perché i protagonisti, moderati o democratici,
appartenevano in larga misura agli ambienti delle professioni
liberali, dei commerci, degli impieghi o della scuola; urbana,
perché nelle città, da Milano a Brescia, a Bologna, a Roma vasti
strati popolari collaborarono attivamente alla lotta per
l'indipendenza, spinti ora dall'impulso all'emancipazione, ora da un
istintivo sentimento patriottico.
L'esilio cui furono costretti molti rivoluzionari prima e dopo il 1848 e i lunghi viaggi d'istruzione,
soprattutto in Francia e in Gran Bretagna, intrapresi dai giovani
della nobiltà e della borghesia più avanzate, contribuirono a
rendere europea la classe dirigente che avrebbe governato il paese
dopo il 1861, che si nutrì di una cultura liberale in politica,
liberista in economia e separatista in materia di rapporti fra stato
e Chiesa.
All'interno del movimento risorgimentale esisteva, d'altra parte,
una forte resistenza a concepire l'Italia in termini unitari.
UNITÁ, FEDERALISMO, MODERNIZZAZIONE.
Fino al 1848, il pensiero moderato, da V.
Gioberti a C. Balbo, aveva cercato
di accreditare l'ipotesi di una confederazione di stati, aperti a
istituzioni moderatamente rappresentative, presieduta dal papa o dal
re di Sardegna, cui sarebbe spettato il compito di unificare il
mercato della penisola attraverso una grande lega doganale.
L'elezione di Pio IX al soglio pontificio
parve confortare questa tesi; il biennio riformista 1846-1847 vide
quasi ovunque la concessione della libertà di stampa e della Guardia
civica, e la nascita di un'opinione pubblica moderna, prerequisito
indispensabile alla concessione delle costituzioni
(1848). Sembrava possibile un'unità
federalista e neoguelfa, guidata dai notabilati dei vecchi
stati restaurati.
La rivoluzione del febbraio 1848 a Parigi dimostrò la precoce
obsolescenza non solo di questo programma, ma persino di quello,
altrettanto limitato, legato a un ancora incerto liberalismo
sabaudo, incapace di coinvolgere nella Prima
guerra d'indipendenza gli altri sovrani italiani. Sconfitti i
piemontesi, nell'estate la guida del moto passò ai democratici, che
sperimentarono governi rivoluzionari a Venezia, Firenze e Roma.
La Repubblica romana (1849) di Mazzini
e Garibaldi segnò il culmine della
"guerra di popolo", sfortunato tentativo di affermare l'unità
nazionale chiamando a raccolta le forze interne disponibili, al di
fuori di qualsiasi accordo dinastico o internazionale. La
repressione francese e austriaca e il ritorno agli antichi poteri
dispotici ridussero i margini di manovra dei mazziniani, confermando
il ruolo guida assunto dal Piemonte di Vittorio
Emanuele II.
Durante il decennio di preparazione (1849-1859), il Regno di
Sardegna attuò una rapida modernizzazione delle istituzioni
politiche in senso liberalcostituzionale e delle infrastrutture
necessarie al decollo economico; i governi di Cavour, inoltre,
crearono le condizioni diplomatiche favorevoli a una soluzione della
"questione italiana" concertata a livello europeo. La partecipazione
sabauda alla guerra di Crimea e gli accordi di Plombières con Napoleone III (1859) in funzione
antiaustriaca affiancarono la mobilitazione del mondo patriottico
intorno a Vittorio Emanuele e permisero, nel biennio 1859-1860, la Seconda guerra d'indipendenza e quindi
la conclusione in chiave monarchico-unitaria della vittoriosa
spedizione dei Mille di Garibaldi nel Mezzogiorno, inizialmente
osteggiata da Torino.
Nel 1861, con la proclamazione del Regno
d'Italia, si esauriva la prima fase del Risorgimento,
definitivamente concluso con la liberazione del Veneto (1866) e di
Roma (1870).
Le tradizioni democratica e nazionalistica, identificando il
Risorgimento con l'aspirazione a uno stato che comprendesse tutti
gli italiani, considerarono, tuttavia, la partecipazione alla Prima
guerra mondiale come l'ultima delle campagne per l'indipendenza,
dato che solo in seguito alla vittoria del 1918 Trento e Trieste,
terre irredente, entrarono a far parte del regno.
L'espressione secondo Risorgimento indica, infine, la guerra
partigiana combattuta fra il 1943 e il 1945 per la liberazione del
territorio nazionale dalle truppe nazifasciste (vedi Resistenza in
Europa).