CAVOUR, CAMILLO BENSO CONTE DI

(Torino 1810 - ivi 1861). Politico italiano. Figlio di Michele e di Adele di Sellon, fu avviato alla carriera delle armi. Ufficiale del Regno di Sardegna fino al 1831, si dedicò poi all'agricoltura e alle scienze economiche e sociali. Di idee liberali, dopo un viaggio in Europa occidentale (1835) apportò significative innovazioni nella conduzione delle tenute di famiglia intorno a Leri. Membro della Commissione superiore di statistica (1836), nel 1842 promosse un'Associazione agraria e propugnò una politica liberistica. Nel dicembre 1847 fondò "Il Risorgimento" organo liberal-costituzionale, con cui sostenne pubblicamente la richiesta dello statuto e di una guerra contro l'Austria per la liberazione del Lombardo-Veneto. Eletto alla Camera nelle elezioni del 26 giugno 1848, il suo primo successo parlamentare coincise con la discussione sull'abolizione del foro ecclesiastico. La legge passò ed egli divenne leader di un gruppo "centro-destro", che gli permise di entrare nel gabinetto d'Azeglio col portafoglio dell'agricoltura (1850). In seguito al connubio con il gruppo "centro-sinistro" di Rattazzi, riuscì a formare una maggioranza e un governo propri (1852). Riformò le finanze e l'esercito, promosse l'istruzione popolare, modernizzò le infrastrutture e i servizi del regno e si mostrò ostile all'Austria e sollecito verso i patrioti lombardi emigrati in Piemonte. Nel 1855 inserì il Regno di Sardegna nell'alleanza franco-turco-britannica contro la Russia e inviò in Crimea 15.000 uomini, che gli consentirono di partecipare al congresso di Parigi, nel corso del quale pose la questione italiana. Accordatosi con Napoleone III (1858), ottenne la promessa di un intervento francese contro l'Austria, garantendo un'Italia confederata, gradita alla Francia. Scoppiata la Seconda guerra di indipendenza italiana (1859), si dimise dopo l'armistizio di Villafranca, che lasciava il Veneto all'Austria. Tornò, però, al governo nel 1860. Dopo la spedizione dei Mille, spinse le truppe sarde nelle Marche, nell'Umbria, nei domini borbonici e indusse Garibaldi a lasciare alla monarchia sabauda il compito di concludere la "rivoluzione" nazionale. Morì il 6 giugno 1861, dopo la proclamazione del Regno d'Italia (14 marzo), dopo aver tentato di risolvere nell'ambito della sua concezione liberale, il problema del rapporto con la Chiesa.