GARIBALDI, GIUSEPPE
(Nizza 1807 - Caprera 1882). Militare e politico italiano. Figlio di
un capitano della marina mercantile, s'imbarcò giovanissimo. Nel
1833, a Taganrog, sul mar Nero, ebbe notizia della Giovane Italia,
cui aderì prendendo parte ai moti piemontesi del 1834. Condannato a
morte in contumacia, fuggì a Marsiglia, finché, dopo varie
peripezie, ottenne un imbarco per Rio de Janeiro, dove giunse
all'inizio del 1836. Ripresi i contatti con la Giovane Italia,
divenne corsaro per lo stato del Rio Grande do Sul, affrancatosi dal
Brasile. Rifugiatosi a Montevideo, nel 1842 sposò Anita (Ana Maria
Ribeiro da Silva) e combatté nella guerra civile uruguaiana contro i
filoargentini a capo di una legione italiana, con parte della quale
rientrò in Italia alla notizia delle rivoluzioni del 1848.
Accantonata la pregiudiziale repubblicana, si batté a fianco dei
piemontesi e quindi raggiunse lo stato pontificio in rivolta.
Deputato alla costituente romana, fu tenace assertore della
repubblica, organizzò la difesa di Roma e resistette fino al luglio
1849 all'assedio dei francesi. Fuggito con pochi fedeli, nonostante
la feroce repressione austriaca riparò a San Marino e infine in
Piemonte, da cui fu espulso. Esule, riprese a navigare, finché nel
1854 entrò in contatto con Mazzini a Londra, contestandone le
posizioni intransigenti. Nel 1856 aderì alla filosabauda Società
nazionale e durante la guerra del 1859 comandò il corpo dei
Cacciatori delle Alpi. Dopo Villafranca (1859) divenne generale
delle truppe emiliane e toscane affrancatesi dai vecchi regimi,
nella prospettiva di una ripresa della lotta per l'indipendenza del
paese. Scontratosi col governo di Torino, tornò a Caprera, da cui lo
trasse, nell'aprile 1860, la notizia della rivolta di Palermo.
Segretamente favorito da Cavour partì da Quarto alla volta della
Sicilia con circa mille volontari (5-6 maggio 1860), sbarcò a
Marsala (11 maggio) e, dopo una travolgente campagna, entrò in
Napoli (7 settembre), sbaragliò l'esercito borbonico sul Volturno
(1-2 ottobre) e consegnò infine il regno liberato a Vittorio
Emanuele. Deputato, amareggiato per la liquidazione delle truppe
volontarie e contrariato per la brusca interruzione della guerra
liberatrice, che egli intendeva proseguire fino all'indipendenza di
tutta la penisola, tentò un moto in Trentino (Sarnico, maggio 1862)
e un altro dal Mezzogiorno verso Roma (agosto 1862). Fermato in
Aspromonte dall'esercito regolare, fu ferito e fatto prigioniero.
Nella guerra del 1866 comandò i suoi garibaldini in Trentino,
riportando notevoli successi. Dopo l'annessione del Veneto, preparò
l'invasione dell'Agro romano, che s'infranse a Mentana contro la
resistenza dei francesi e dei pontifici (novembre 1867). Di nuovo
arrestato, riparò a Caprera. Nel 1870 accorse nella Francia tornata
repubblicana con un corpo di volontari per contrastare l'esercito
prussiano, e ottenne a Digione l'ultima vittoria.