L'Autore
Federigo Tozzi (Siena, 1° gennaio 1883 – Roma, 21 marzo 1920), scrittore per lungo tempo misconosciuto, è stato rivalutato solo molti anni dopo la sua scomparsa ed è ormai considerato uno dei più importanti narratori italiani del XX secolo.
Il padre era un piccolo contadino inurbatosi e divenuto oste, aspro, violento e incapace di affetti. Federigo nacque ultimo di figli tutti morti subito dopo la nascita, quando ormai la madre, mite e sottomessa, era rassegnata anche per lui alla sorte comune. Tozzi fu sempre cagionevole di salute e soffrì di epilessia fino alla morte prematura per influenza spagnola. Crebbe nell’indifferenza della famiglia, con pochi affetti e molti contrasti, soprattutto con il padre.
Cupo, ribelle, insofferente, con un carattere estremamente incostante su un fondo malinconico e doloroso, Tozzi coltivò anche aspirazioni mistiche sulle orme della lettura di S. Caterina, appassionatamente ammirata e venerata fin dagli anni giovanili. Aveva improvvisi scatti polemici, umori non duraturi (fu anarchico, socialista, infine nazionalista in politica), e fece studi saltuari, abbandonando ben presto pittura e disegno a cui dapprima si era dedicato.
Cacciato di casa dal padre dopo un grave litigio, visse a Firenze alcuni mesi di disordine. Conobbe e divenne amico di Giuliotti, lasciandosi influenzare dal suo cattolicesimo reazionario e fondando con lui nel 1913, a Siena, la rivista «La Torre». Nel 1908 fu impiegato nelle ferrovie, prima a Pontedera poi a Firenze. Mortogli il padre – che si era da poco risposato con una serva – abbandonò l’impiego per raccogliere la piccola eredità, ma la sua esperienza di amministratore del podere finì in un disastro, soffocata dai debiti. Collaborò alla «Voce» e nel 1914, in miseria, si trasferì a Roma, e qui visse fino alla morte, in continue difficoltà economiche.
Tozzi lasciò le sue opere per lo più inedite oppure disperse tra giornali e riviste: spettò al figlio Glauco il riordinamento del materiale che fu, in parte, pubblicato postumo. La morte coincide, infatti, con la pubblicazione delle sue opere più importanti e con la prima consacrazione critica del suo valore da parte di Borgese.
Tozzi iniziò con due volumetti di poesie, “La zampogna verde” (1911) e “La città della vergine” (1913), di tono molto tradizionale. Le prime prose sono raccolte nell’opera “Bestie” (1917), dove si trovano notazioni intense, ricche e vive che già mostrano un’impronta originale nella pittorica descrizione dei paesaggi della campagna senese, che formerà lo sfondo di tutta la sua opera. Con i “Ricordi di un impiegato” (postumi, 1928, ma scritti nel 1918) si assiste a un mutamento quasi radicale: alla liricità effusa si sostituisce un moralismo duro, compresso, marcato dalla forma diaristica. Nei racconti raccolti in “Giovani” (1920) e in “L’amore” (1920) Tozzi si dimostra un attento lettore di William James e Pierre Janet, un simbolista d’elezione (e non verista o naturalista, come spesso è stato presentato) e un raffinato interprete dell’animo umano.
Un risultato narrativo di valido impianto è costituito dal romanzo “Con gli occhi chiusi” (1919): partendo da spunti autobiografici, che ritornano in tutte le opere di Tozzi, si svolge una rappresentazione ben delineata, con una continuità sicura di racconto, dove spicca il personaggio tozziano tipico, il giovane debole, incerto, fondamentalmente onesto e ingenuo, che finisce ingannato e vinto dagli uomini e dalle cose. Qui, tutta la storia d’amore del protagonista con Ghisola, una figura di donna stupendamente tratteggiata nell’ambiguità dell’affetto e dell’inganno, rappresenta un risultato narrativo e poetico assai alto. Lo stile lirico, descrittivo, fra l’impressione commossa e accesa e un espressionismo a tratti violento e accanito, trova il suo equilibrio nella fusione funzionale della descrizione ambientale e della costruzione morale dei personaggi, con un’intensità che diversifica Tozzi dal comune realismo di provincia.
Il tema di un carattere introverso, del contrasto con il padre, dell’inferiorità-ribellione del giovane che si consuma in un inutile rovello e resta impotente a dominare la realtà, gli altri uomini, le situazioni sociali ed economiche, se sono presenti in molte novelle, hanno una più profonda consacrazione nel romanzo “Il podere” (1920), dove l’esperienza autobiografica tenta un’ulteriore obiettivizzazione nella descrizione dello sforzo del giovane Remigio di difendere il podere ereditato dal padre contro la matrigna Luigia, la serva Giulia, che era stata l’amante del padre, gli avvocati, i creditori, i contadini (descritti con ostilità, come avidi e falsi), e soprattutto contro la sua debolezza interiore, la sua incapacità alla chiarezza, il suo carattere sognante che ama l’evasione della natura, il suo fatalismo che lo conduce lentamente alla sconfitta e alla morte.
Il romanzo di Tozzi più apprezzato dal pubblico che dalla critica è costituito da “Tre croci” (1920), dove la problematica morale delle altre opere e il lirismo autobiografico e descrittivo riescono a fondersi in un racconto equilibrato e saldo. Nel narrare la vicenda dei tre fratelli, Giulio, debole e rinunciatario, Nicola ed Enrico, irosi e aggressivi, della loro decadenza morale, con la falsificazione delle firme sulle cambiali mentre il loro commercio di librai va in rovina, e il suicidio di Giulio quando la truffa è scoperta, della rovina fisica e mentale dei due fratelli superstiti, Tozzi raggiunge una secchezza di disegno, un’esattezza di notazioni, una forza amara e dolorosa che fanno del romanzo uno dei suoi testi migliori.
Tozzi ha scritto inoltre il dramma “L’incalco” (postumo, 1923) e le commedie “La Lippa”, “L’uva”, “Le due mogli”, che sceneggiano novelle di Boccaccio e di Lasca, nonché altri minori lavori teatrali; ha curato l’“Antologia d’antichi scrittori senesi” (1913), “Mascherate e strambotti della Congrega dei Rozzi di Siena” (1915), “Le più belle pagine di S. Caterina da Siena” (1918), e ha scritto “Realtà di ieri e di oggi” (postumo, 1928). Molto importante per conoscere il carattere dello scrittore e la sua biografia è “Novale” (postumo, 1925), che raccoglie le lettere scritte negli anni 1906-08 alla donna che divenne poi sua moglie.
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fonti:
G. Barberi Squarotti
A. Fraccareta