L'Autore
Sinclair Lewis è stato uno scrittore americano, nato nel 1885 nel piccolo villaggio di Saulk Centre – che Lewis descrisse come “Minnesota, il nostro Stato più scandinavo” – figlio e nipote di medici.
Trascorse la sua infanzia sepolto nei libri, esageratamente goffo a causa dell’altezza e di problemi alla pelle, per i quali veniva spesso sbeffeggiato. Per difendersi divenne un esperto imitatore. Come Gore Vidal scrisse di lui, “era brutto come uno di quei mostri che ornano le grondaie: capelli rossi, poco coordinato, soffriva di acne che divenne cancerosa in seguito ai primitivi trattamenti ai raggi x”.
Lewis pensava che la vita potesse essere un po’ migliore a Yale, dove lo mandò suo padre, solo che lì incontrò lo snobismo della East Coast. Così si immerse sempre di più nel lavoro, sfornando poesie e bozzetti tristi e sentimentali. Temendo i pericoli di un eccessivo intellettualismo, nel 1906 si prese una pausa dalla scuola e trascorse diversi mesi nella fattoria utopica di Upton Sinclair nel New Jersey, scrivendo nell’aura del colossale successo che Upton ottenne con “La giungla”. Il fascino del radicalismo avrebbe in seguito fatto la sua comparsa in moltissimi romanzi di Lewis. Non essendo un genio o un poeta nato, sapeva di aver molto da imparare e aveva fretta di darsi da fare. All’inizio faceva un po’ di tutto: vendette a Jack London idee per racconti, 15 per 70 dollari; produsse cataloghi e recensioni di libri, scrivendo con furia. In questo periodo si sposò e iniziò a vendere racconti a giornali e riviste. Cercava di farsi conoscere, dedicando libri a personaggi famosi, scrivendo note di copertina per i vincitori del Pulitzer e frequentando i suoi mentori.
Nel 1916 tornò a casa in Minnesota dopo parecchio tempo e notò come il padre trattasse male la madre. Probabilmente in quell’occasione ebbe l’idea per “Main Street”. È la storia di Carol Milford e del suo trasferimento da una grande città a Gopher Prairie, in Minnesota, e strappa il velo dalla presunta nobiltà e gentilezza della vita nelle piccole città americane. Gli americani comprarono il libro in massa, due milioni di copie nel primo anno. Sulla scia del successo, i Lewis fecero il primo dei molti viaggi in Europa e Lewis iniziò a pensare al libro successivo, che sarebbe stato il suo capolavoro, “Babbitt”.
Gli anni Venti furono il decennio di Lewis. Non che fosse il miglior scrittore di quel periodo – certo Virginia Woolf, Joyce e Yeats sono molto al di sopra di lui. Piuttosto, la particolare combinazione di vandalismo economico, sviluppo manifatturiero e nuova mobilità sociale, e la necessità di rifletterci su, resero l’America per gli americani un luogo interessante e vivo da osservare e di cui leggere. Volevano leggere di se stessi e Lewis offrì ai suoi connazionali grandi storie, dagli orrori della piccola città in “Main Street”, alle idiozie della propaganda in “Babbitt” (1922), ai problemi di un medico idealista “Arrowsmith” (1925), poi tradotto in film da John Ford.
Proprio “Arrowsmith” vinse il Premio Pulitzer nel 1926, ma Lewis lo rifiutò perché “pericoloso” per la libertà di espressione.[*]
Nessuno di questi libri dipinge un bel quadro della nazione ma da Lewis gli americani, per qualche ragione, lo accettavano. Forse Gore Vidal aveva ragione a dire che “il segreto di Lewis era essere tutt’uno con il suo pubblico” – un ruolo poi ripreso da John Updike (che ripeteva sempre di essere cresciuto durante la Depressione, e che “Rabbit” veniva da “Babbitt”), e da Jonathan Franzen. Quando leggiamo di George Babbitt che chiacchiera del tempo con i suoi vicini al di là della staccionata a Zenith, Minnesota, non è difficile immaginare che chi scrive, queste chiacchiere ogni tanto le facesse.
Lewis ha prodotto una grande quantità di romanzi negli anni successivi, ma nessuno di questi ha avuto il successo dei suoi primi lavori.
“Ann Vickers” (1933) ripercorre la carriera di una donna instabile che inizia come assistente sociale e finisce come amante di un politico; “Cass Timberlane” (1945) si occupa di un matrimonio infelice tra un giudice di mezza età e la sua amorevole moglie; “Kingsblood Royal” (1947) affronta il tema del pregiudizio razziale; “The God-Seeker” (1949) racconta la storia dei tentativi di un missionario del New England di convertire gli indiani nativi americani del Minnesota negli anni Quaranta dell’Ottocento.
La sua ultima opera fu “It Can’t Happen Here”, un romanzo distopico di fantapolitica che narra dell’elezione di un fascista come presidente degli Stati Uniti.
Negli ultimi anni Lewis si ritirò quasi completamente a vita privata. Sempre più cosciente riguardo al suo declino fisico, si rifiutava di farsi vedere anche dai suoi pochi amici.
Morì il 10 gennaio 1951 per un attacco di cuore, in una clinica di una piccola città appena fuori Roma.
____
[*] Motivi del rifiuto del premio Pulitzer addotti da Sinclair Lewis: “Desidero ringraziarvi di aver scelto il mio romanzo Arrowsmith per il Premio Pulitzer. Devo tuttavia rifiutare il Premio e il mio rifiuto non avrebbe senso se adesso non ne spiegassi le ragioni. Tutti i premi, come tutte le onorificenze, sono pericolosi. Quelli che vanno alla ricerca di premi tendono a lavorare non per l’eccellenza intrinseca all’opera, ma per riconoscimenti pubblici: tendono a scrivere di un certo argomento, o timorosamente a evitare di scriverlo, per non solleticare i pregiudizi delle commissioni. E il Premio Pulitzer per i romanzi è particolarmente discutibile perché i termini sono stati costantemente e gravemente travisati. Questi termini, infatti, affermano che il premio sarà assegnato ‘al romanzo americano pubblicato nel corso dell’anno che riesce a rappresentare al meglio la sana atmosfera della vita americana nel suo più alto livello di educazione e di coraggio’. Questa frase, se significa qualcosa, sembrerebbe voler dire che la valutazione dei romanzi deve essere fatta non in base al loro effettivo valore letterario, ma in obbedienza a qualsiasi codice di buona forma che potrebbe essere popolare in quel preciso momento”.