L'Autore
Camillo Boito (Roma, 30 ottobre 1836 – Milano, 28 giugno 1914) è stato un architetto, scrittore e accademico italiano.
Partecipa al movimento letterario della Scapigliatura, debuttando con Storielle vane (Milano 1876) e seguite nel 1883 da Senso. Nuove storielle vane, da cui Luchino Visconti ha tratto la sceneggiatura per il suo famoso, omonimo film.
Costante della narrativa di Camillo Boito è il tema della bellezza in tutte le sue forme, soprattutto quella femminile, musicale e artistica. Lo stile limpido e rigoroso, lontano dagli eccessi e dalle sbavature di tanta prosa scapigliata tardo ottocentesca, rese le sue opere molto amate soprattutto dai lettori che si affacciavano per la prima volta alla letteratura: l’ultima opera da lui scritta fu Il maestro di setticlavio, una raccolta di racconti pubblicata nel 1891.
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Gaetano Carlo Chelli (Massa, 29 agosto 1847 – Roma, 22 febbraio 1904) è stato un romanziere italiano.
È il primo narratore ottocentesco ad ambientare le sue storie nella capitale, cogliendone l’aspetto di città tesa ad un rapido e disordinato sviluppo; ne profitta soprattutto la borghesia, che il Chelli privilegia, sulle orme di Capuana e Verga. La Roma degli anni Settanta può offrire il successo a lavoratori infaticabili, a idealisti fortunati, ma il più delle volte è terreno infido ove “l’intelligenza e la buona volontà non bastano ad assicurare la vittoria”, occorrono piuttosto mancanza di scrupoli, spregiudicatezza e tempestività delle iniziative, indifferenza ai casi altrui e una fibra fisica e psichica assai robusta per resistere ai rovesci improvvisi. Su questo aspetto corrotto e corruttore della città, il Chelli imposta i due romanzi, La colpa di Bianca e L’eredità Ferramonti.
Con L’eredità Ferramonti aderisce pienamente al verismo; si ispira ad un aspetto della realtà che lo circonda: gli sforzi di bottegai, burocrati di terz’ordine e piccoli imprenditori per raggiungere la ricchezza che, dal loro punto di vista, consente di mutare stato sociale e acquistare rispettabilità. L’ordine tradizionale che prevedeva un lento miglioramento da conquistarsi con operosità e fatica è sovvertito: prevalgono le speculazioni e il gioco di borsa (Mario), gli intrighi e le ipocrisie (Furlin), la mancanza di scrupoli e la volontà di sfruttare gli altri ai propri fini, plagiandoli (Irene). Gli sforzi dei giovani Ferramonti (Mario, Pippo con la moglie Irene, Teta col marito Furlin) per impadronirsi delle ricchezze accumulate con pochi scrupoli dal vecchio fornaio, non sono che un pretesto per cogliere questo aspetto inedito della vita romana. L’impianto narrativo rispetta l’esame obiettivo del reale, caro alla poetica veristica; gli interventi dello scrittore sono irrilevanti e per lo più assumono carattere sentenzioso e quindi pressoché impersonale; l’azione è come riferita da un “coro” di osservatori che vivono all’interno della vicenda, o, ancor più spesso, secondo l’ottica di uno dei protagonisti, via via privilegiato rispetto agli altri; scarseggiano quindi i passi descrittivi, mentre predominano il dialogo e il discorso indiretto libero. I caratteri vengono delineati e messi in luce nelle loro pieghe insospettabili a mano a mano che la vicenda lo consente nel suo sviluppo; su tutti predomina la figura di Irene, ottimamente delineata specie nelle manovre di seduzione del vecchio Ferramonti.
Nel 1885 con Amori claustrali si interrompe la produzione del Chelli. Le sue opere, già non molto apprezzate dai contemporanei, furono presto dimenticate. Il Croce, tuttavia, nella Letteratura della Nuova Italia le cita tra i romanzi-documenti della vita romana dopo il ’70, accanto a quelle di altri autori, Serao, Castelli, Fortis, Bizzoni, Del Balzo, Colautti.
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Theodor Fontane (Neuruppin, Brandeburgo, 1819 – Berlino 1898) è stato un romanziere tedesco, discendente da ugonotti francesi.
Datosi al giornalismo, fu a lungo in Inghilterra, ove ebbe occasione di studiare la letteratura e soprattutto le ballate inglesi (a esse si ispirò in molte delle sue poesie). Solo in vecchiaia trovò la sua vera strada come autore di racconti e romanzi che ne fanno il più grande esponente del realismo borghese dell’Ottocento tedesco. Con un’obiettività che mal cela la coscienza del vuoto sotto le apparenze trionfali del secondo Reich, descrisse l’intrecciarsi contraddittorio di vecchio e di nuovo nella società contemporanea tedesca. Legato alle strutture tradizionali della Germania e all’ethos a esse connesso, non se ne lasciò però sfuggire la decadenza. Accanto al vecchio e nuovo mondo aristocratico rappresentò fenomeni tipici dell’epoca, come la crisi dell’istituto matrimoniale (Effi Briest, 1895) o l’emergere dei nuovi ricchi (Frau Jenny Treibel, 1892) o l’incomprensione fra le diverse classi sociali (Irrungen, Wirrungen, 1887; Stine, 1890). Il suo realismo non è tagliente o polemico, ma anzi è dominato dal sorriso, distaccato e nello stesso tempo partecipe, di chi sa che non ci sono vere vie d’uscita. La rappresentazione dei conflitti, tenuta su un piano prevalentemente psicologico e di costume, tende a dissolvere le forme massicce del romanzo naturalistico, accordando un rilievo sempre maggiore al dialogo e all’evocazione di situazioni concretissime ma insieme irrigidite in una perplessa staticità. La lezione di Fontane fu decisiva per lo sviluppo dell’arte epica di Thomas Mann.
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Benito Pérez Galdós (Las Palmas de Gran Canaria, 10 maggio 1843 – Madrid, 4 gennaio 1920) è stato uno scrittore e drammaturgo spagnolo, una delle figure più emblematiche della letteratura realista della Spagna ottocentesca, unanimemente considerato lo scrittore spagnolo più importante dopo Cervantes.
I viaggi in Europa saranno importanti per Galdós, che attraverso il paragone tra la realtà spagnola e quella europea svilupperà una forte aspirazione al rinnovamento politico, culturale ed artistico del proprio paese.
I suoi romanzi – Tormento, Fortunata y Jacinta, Tristana – sono testimoni di una profonda riflessione sulla società. Rappresentante del realismo come i francesi Honoré de Balzac, Émile Zola o Gustave Flaubert, interpreterà in chiave spagnola questa corrente letteraria ed artistica di respiro europeo.
Nel 1897 La Real Academia Spagnola della Lingua lo nominò tra i suoi membri. In quegli anni compì lunghi soggiorni nella sua casa di Santander, “San Quintín”, inaugurata nel 1893.
Le sue ultime creazioni letterarie seguono un’evoluzione in senso spirituale e simbolista: La razón de la sin razón, El caballero encantado, Casandra, Electra, Santa Juana de Castilla, sono alcuni esempi di tale percorso. Il suo nome fu proposto per il Premio Nobel che non riuscì a ottenere per la dura opposizione degli ambienti culturali tradizionalisti. Negli ultimi anni, ricorrenti problemi alla vista lo portarono alla cecità. Morì a Madrid il 4 gennaio 1920. La sua morte venne dichiarata lutto nazionale e fu considerata una grave perdita per la cultura spagnola: ai suoi funerali partecipò una folla di 20.000 persone.
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Prosper Mérimée (Parigi, 28 settembre 1803 – Cannes, 23 settembre 1870) è stato uno scrittore, storico e archeologo francese. Fu anche un discreto pittore paesaggista.
Mérimée amava il misticismo, la storia e l’inconsueto e fu influenzato dai romanzi di Sir Walter Scott, dalla crudezza e dai drammi psicologici di Alexander Pushkin. Spesso le sue opere sono ricche di misteri e si svolgono fuori dalla Francia, in particolare in Spagna e in Russia. Da uno dei suoi racconti è stata tratta l’opera Carmen.
Mérimée iniziò a scrivere pubblicando alcune opere sotto svariati pseudonimi. Lo interessavano soprattutto le vicende strane, e aveva un certo gusto macabro per il gotico, che lo accompagnò sempre. Mérimée viaggiò molto, e familiarizzava con ogni tipo di gente: persone “con cui un Inglese si vergognerebbe di farsi vedere in giro”. Conosceva alcune parole di lingua rom, e gli zingari lo rispettavano. Le prime opere furono scritti di scarso successo ma, con il raffinarsi dello stile dei suoi racconti, salirono anche le vendite. Nel 1830, in Spagna, il ventisettenne scrittore conobbe il conte di Montijo Cipriano de Palafox y Portocarrero de Guzmán, che lo accolse nella sua dimora. Lì conobbe donna Manuela, consorte del conte, ed Eugenia, la contessina che anni dopo sposerà Napoleone III e che fu sua protettrice. A casa dei Montijo, lo scrittore apprese dalla contessa un racconto che trasformò poi in Carmen.
Nel 1844 fu nominato membro dell’Accademia di Francia ma definì l’esperienza “il giorno più brutto della mia vita”. Mérimée infatti odiava l’ipocrisia.
Dopo il 1860, malato di cuore, visse a Cannes assistito da due governanti inglesi, continuando però a viaggiare: visitò Londra e fu membro dell’Esposizione universale della città. Amico della coppia imperiale, morì durante la Guerra franco-prussiana, che segnò la fine per Napoleone III e Eugenia, e di gran parte degli scrittori francesi della sua epoca. Durante la Comune di Parigi del 1871, la sua casa e la sua biblioteca di Parigi furono distrutte.
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Émile Zola (Parigi 1840 – ivi 1902) è stato uno scrittore francese.
Teorico del naturalismo, ne offrì un modello esemplare nella sua opera narrativa: da Teresa Raquin (1868) al ciclo Les Rougon-Macquart, histoire naturelle et sociale d’une famille sous le Second Empire (1871-93), che comprende L’assommoir (1877) e Germinal (1885), i romanzi di Zola costituiscono un immenso affresco della società del tempo, osservata con rigore scientifico e con una scrupolosa ricognizione storica, sociologica, linguistica.
Figlio di un ingegnere veneziano e di una francese, visse dal 1843 a Aix-en-Provence, dove, perduto il padre nel 1847, compì i primi studi, assistito dalla madre; fu coetaneo e amico di Cézanne. A diciotto anni, tornò a Parigi con la madre; non poté accedere all’università e, stretto dal bisogno, s’impiegò assai modestamente presso la casa editrice Hachette. Si affermò dapprima come critico d’arte, assumendo la difesa dell’impressionismo.
Il suo primo romanzo degno di nota è Teresa Raquin, dove già si osserva una preoccupazione “scientifica”, sotto l’influsso delle teorie di C. Bernard; quindi vagheggiò un grande ciclo di romanzi fondato su “documenti umani”, secondo i canoni del nascente naturalismo alla cui affermazione Zola contribuì anche attraverso le famose “serate” di Médan.
Zola, nelle sue opere, accentuò sempre di più la minuziosa osservazione della vita del suo tempo, senza rifuggire da immagini anche brutali e da particolari audaci, scegliendo per ciascun romanzo un ambiente ben preciso che egli puntualizzava con una documentazione capillare e diretta.