Quaderno 4

Nota di lettura

Le "insufficienze" della filosofia marxista



"§ 3 L’affermazione che il marxismo è una filosofia nuova, indipendente, è l’affermazione della indipendenza e originalità di una nuova cultura in incubazione, che si svilupperà con lo svilupparsi delle relazioni sociali."

"§ 11 In sede teorica, il marxismo non si confonde e non si riduce a nessun’altra filosofia: esso non è solo originale in quanto supera le filosofie precedenti, ma è originale specialmente in quanto apre una strada completamente nuova, cioè rinnova da cima a fondo il modo di concepire la filosofia."

"§ 14 Ritenere che il materialismo storico non sia una struttura di pensiero completamente autonoma significa in realtà non avere completamente tagliato i legami col vecchio mondo."

L'orgogliosa rivendicazione da parte di Gramsci di una totale autonomia della filosofia marxista, che interviene proprio nel periodo in cui lo sviluppo delle scienze naturali per un verso e di quelle umane e sociali per un altro comporta l'intuizione che nessuna filosofia potrà pretendere di porsi come una visione totalizzante della realtà prescindendo da esse, riconosce cause estrinseche e cause intrinseche.

Le cause estrinseche sono agevoli da capire. Mentre in Unione Sovietica il marxismo si va trasformando, soprattutto per opera di Stalin, in uno sterile dogmatismo economicistico, che vanamente Bucharin tenta di flessibilizzare introducendo in esso principi di sociologia positivista (che Gramsci nei Quaderni sottopone ad un'aspra critica), in Occidente si delineano le correnti revisionistiche e riformistiche destinate ad esitare nella social-democrazia.

Tali correnti contestano proprio l'assolutismo del materialismo storico-dialettico e propongono con Kautsky la sua integrazione con il positivismo evoluzionistico e con l'austromarxismo la sua integrazione con l'etica kantiana. Per quanto questi tentativi abbiano una loro ragione d'essere, riconducibile al fatto che le masse operaie occidentali sembrano sempre più orientate a rivendicare un miglioramento immediato delle loro condizioni di vita e sempre meno inclini ad impegnarsi sul terreno di una rivoluzione radicale, essi in realtà sono teoricamente mediocri: il primo perché trascura l'incompatibilità tra il gradualismo darwiniano e il riferimento, intrinseco al marxismo, di salti di qualità rivoluzionari nel corso della storia; il secondo perché integra nel marxismo una massima morale che, in sé e per sé, è del tutto astratta.

Rispetto al revisionismo e al riformismo socialdemocratico, Gramsci assume giustamente il ruolo (attribuito notoriamente a Kautsky) di defensor fidei. Egli riconosce la necessità di integrare il pensiero di Marx con una riflessione più profonda sul rapporto tra infrastruttura e sovrastruttura, ma senza stravolgerne l'impianto globale storicistico.

La convinzione di Gramsci della completa autonomia della filosofia marxista si fonda, come accennato in un'altra note (ed è questo il fattore intrinseco), sullo storicismo assoluto, vale a dire sulla valorizzazione al massimo grado dell'attività dell'uomo che trasforma il mondo, adattandolo alle sue esigenze, trasforma se stesso attraverso l'evoluzione dei processi storici e, alla fine, intuita la possibilità di creare un mondo fatto a  misura d'uomo, ribalta e sormonta il sistema sociale capitalistico che, pur avendo prodotto i presupposti atti a crearlo, per le sue contraddizioni intrinseche tende a mantenere uno status quo che viola i bisogni e i diritti di gran parte della popolazione.

Che il marxismo, eliminando qualunque riferimento alla trascendenza, e impegnando l'uomo a utilizzare l'enorme ricchezza sociale (materiale e "spirituale") prodotta nel corso della storia al fine di promuovere un salto sulla via di una civiltà superiore, sia una filosofia teorico-pratica del tutto originale è indubbio.

Certo, la storia della cultura, come Gramsci ricorda più volte nei quaderni, ha riconosciuto parecchie utopie filosofiche - dalla Città di Dio di Agostino di Ippona alla Città del Sole di T. Campanella, all'Utopia di T. Moore, a Erewhon di S. Butler, ecc.-, ma si è trattato di "plastici" immaginari senza alcuna conseguenza pratica. La filosofia marxista, invece, promuove concretamente la realizzazione del "sogno" che Marx ha identificato come presente da sempre al fondo della mente umana.

Gramsci ha perfettamente ragione nel sostenere che, se il pensiero di Marx postula di essere integrato nelle sue inevitabili lacune, l'integrazione non deve snaturarne il nucleo essenziale, vale a dire il riferimento ad una dialettica storica che, per effetto del costituirsi di una volontà collettiva, possa esitare in un salto di qualità rivoluzionario che avvia la costruzione di una civiltà di livello superiore.

Che la filosofia marxista, però, possa perseguire tale progetto sulla base di uno storicismo umanistico assoluto è, oggi, del tutto contestabile.

Almeno per due aspetti, infatti, essa va necessariamente integrata in quanto intrinsecamente carente.

Per un verso, infatti, se è vero che l'uomo nasce dal momento in cui comincia a trasformare il mondo per adattarlo ai suoi singolari bisogni, e quindi a lavorare e a produrre beni, non è meno vero che sia il suo essere carente in rapporto agli altri animali (tal che egli non può vivere sulla base di un corredo istintivo che si è drammaticamente depotenziato) sia il suo essere dotato di potenzialità atte a sopperire a tale carenza dipendono dall'evoluzione naturale e non da quella culturale, che le utilizza.

Che l'uso di tali potenzialità abbia poi determinato, ad un certo punto dell'evoluzione storica, con la rivoluzione neolitica, un surplus di beni che ha prodotto la divisione del lavoro intellettuale da quello materiale e una determinata stratificazione sociale (la nascita delle classi) è un fatto che, in sé e per sé e nei suoi sviluppi, va indagato alla luce della filosofia marxista.

Nulla, però, rende meglio l'idea del rapporto tra natura umana (struttura del cervello) e cultura del fatto che il cervello umano, con le sue potenzialità specifiche, è affiorato evolutivamente da 200000 a 150000 anni fa, ma un salto di qualità sulla via della realizzazione di esse (attestato da manufatti di una certa complessità e da raffigurazioni artistiche) sia intervenuto solo 50000-30000 anni fa.

La biologia, insomma, ha preceduto la cultura. Questo dato, se non contrasta con la storicità dei processi sociali e la storicità dell'esperienza dei singoli individui immersi nel flusso della storia, non è in alcun modo compatibile con lo storicismo assoluto.

Il secondo aspetto è legato al fatto che il  funzionamento del cervello produce, in conseguenza dell'immersione in un contesto sociale, un'esperienza mentale specificamente umana, vissuta cioè dal soggetto, almeno a livello cosciente, come sua particolare esperienza.

Il marxismo è nato sulla base di una conoscenza della mente quasi esclusivamente riferita alla coscienza. Ancora Lenin, in pieno Novecento, avanza l'ipotesi della teoria del rispecchiamento, che si basa sulle seguenti  affermazioni: "La prima è quella dell'oggettività o esteriorità del reale, cioè dell'essere materiale e sensibile, rispetto al pensiero. La seconda è l'affermazione della piena conoscibilità del reale da parte del pensiero: cioè che il pensiero può, in via di principio, penetrare interamente la realtà, perché infinito al pari di essa. La terza, infine, è l'affermazione dell'inesauribilità del reale da parte del pensiero: il che vuoi dire che, se il reale è comprensibile dalla mente, esso tuttavia non si risolve mai interamente nel pensiero, non si identifica con esso, ma lo trascende perennemente, così che la nostra conoscenza è, di volta in volta, solo una conoscenza approssimata, perfettibile, ma mai capace di adeguarsi perfettamente alla realtà." (L. Colletti, www.treccani.it).

Oggi, occorre tenere conto che la scoperta freudiana dell'inconscio prima (che Gramsci non ha avuto modo di approfondire), gli sviluppi della psicoanalisi poi e infine il cognitivismo hanno ormai drasticamente ridimensionato il ruolo della coscienza, alla quale si attribuisce la consapevolezza del 5-10% dell'attività mentale. Il resto dell'attività mentale si realizza a livello inconscio laddove si danno processi altamente significativi che in gran parte influenzano e per alcuni aspetti determinano il modo di pensare, di sentire e di agire degli esseri umani.

L'inconscio non è più, però, come lo intendeva il primo Freud, uno sgabuzzino ove si accumulano alla rinfusa memorie, fantasie, desideri di ordine meramente privato. Esso è la dimensione mentale dove attecchiscono le tradizioni culturali, il conformismo, il senso comune, ecc.: i temi, insomma, che Gramsci ha affrontato pioneristicamente.

L'importanza di questo aspetto, per cui la coscienza diventa l'epifenomeno di processi che in gran parte si realizzano al di sotto di essa in virtù dell'interazione con l'ambiente, non può essere minimizzata se si tiene conto che la possibilità di programmare la formazione di una coscienza critica individuale e collettiva, atta a promuovere il salto ad un livello di civiltà superiore, deve fare i conti con il peso che l'attività mentale inconscia esercita sulla coscienza.

In uno dei suoi aforismi più densi, Marx ha scritto: "Il peso di tutte le passate generazioni grava come un incubo sul cervello dei viventi." (Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte). Occorrerebbe prenderlo sul serio, ma, a tal fine, occorre interrogarsi sul rapporto che il singolo soggetto, anche senza rendersene conto, intrattiene con tutte le generazioni che lo hanno preceduto...