Lenin
da Fornero, Tassinari - Le
filosofie del Novecento (Bruno Mondadori, Milano 2002)
15. Il marxismo dopo Marx
6. Lenin, stratega e pensatore
a) La teoria del partito
Nell'opera di Lenin (1870-1924) emerge soprattutto la figura dello
stratega, dedito com'egli fu lungo tutta la sua vita, instancabilmente,
all'organizzazione e alla direzione delle lotte del proletariato russo
contro lo zarismo prima, alla realizzazione della rivoluzione
socialista e alla costruzione dello Stato socialista poi. Tutti i suoi
scritti sono direttamente riferiti alla lotta politica, ubbidiscono a
precisi obiettivi da raggiungere, sono diretti contro precisi
avversari, legati a precise circostanze storiche. Non fanno eccezione
neppure i saggi filosofici e, comunque, gli scritti più legati
all'elaborazione teorica. Se questo testimonia della coerenza
marxistica di Lenin nel tenere indissolubilmente unite teoria e prassi,
può, per altro verso, nuocere, soprattutto sul terreno filosofico, al
rispetto della complessità dei problemi e sospingere, sotto l'incalzare
delle sollecitazioni politiche, a una troppo sbrigativa semplificazione
delle soluzioni.
Vladimir Il'ic Ul'janov, detto Lenin, nasce a Simbirsk nel 1870 da una
famiglia della piccola borghesia intellettuale. Ha diciassette anni
quando un suo fratello maggiore, Aleksandr, aderente al movimento dei
nichilisti, viene giustiziato per aver partecipato alla preparazione di
un attentato alla vita dello zar; da quel giorno il giovane Vladimir si
convince della sterilità della lotta antizarista degli anarchici.
Studente presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Kazan,
ne viene espulso per i suoi comportamenti ribelli nei confronti delle
autorità accademiche, e solo con difficoltà riesce a laurearsi nel 1891
presso l'Università di Pietroburgo. Attraverso la lettura di Marx e di
Engels e lo studio della realtà economica russa Lenin aderisce assai
presto alle idee marxiste, anche per influenza di Georgi] Valentinovic
Plechanov (1857-1918), che conosce nel 1895 in Svizzera, il più
prestigioso esponente russo del pensiero marxista che fin dal 1882
aveva tradotto in russo il Manifesto del partito comunista. Attivo
nella propaganda rivoluzionaria clandestina, Lenin viene arrestato e
condannato a tre anni di confino in Siberia, durante i quali scrive il
suo primo saggio importante, Lo sviluppo del capitalismo in Russia,
pubblicato nel 1899.
Contro i populisti, assertori di una prospettiva rivoluzionaria che
prevedeva la realizzazione del socialismo partendo dalle strutture
comunitarie del mondo contadino russo, senza dover passare attraverso
l'esperienza del capitalismo, Lenin dimostra, attraverso una
documentatissima analisi, che il capitalismo è già penetrato nelle
campagne russe, tanto da essere la formazione economico-sociale avviata
a divenire dominante. Lo sviluppo del mercato, la stratificazione della
popolazione contadina, la formazione di un consistente proletariato
agricolo, l'industrializzazione dell'agricoltura: tutti segni evidenti
dell'affermazione del capitalismo agrario.
Quest'indagine risponde a un chiaro scopo politico: mostrare che anche
in Russia sussistono già le condizioni per la nascita di un partito
socialdemocratico di ispirazione marxista, capace di dare avvio
all'organizzazione del proletariato sulla base di un programma
socialista. E appunto in quegli anni nasceva il Partito
socialdemocratico russo per iniziativa di Plechanov, Martov e dello
stesso Lenin che, dalla lontana Siberia, invia il suo contributo per la
determinazione del programma del nuovo partito.
Il primo grande tema della riflessione di Lenin, una volta tornato nel
1899 in libertà, è, per l'appunto, il problema di quale partito
costruire e con quale modello organizzativo, in un paese a ritardato
sviluppo capitalistico, privo di libertà politiche e sindacali, con un
proletariato di fabbrica fortemente concentrato in ristrettearee del
territorio e circondato da un'immensa marea contadina. Nel 1902, alla
vigilia del Congresso del Partito socialdemocratico russo, che si
sarebbe svolto a Bruxelles nel 1903 e avrebbe sancito la spaccatura tra
i seguaci di Lenin, i bolscevichi, e i seguaci di Martov, i
menscevichi, Lenin pubblica il Che fare?, nel quale espone la propria
teoria del partito. Questa si fonda sulla premessa, condivisa con
Kautsky, che la visione complessiva dei rapporti di produzione, dei
rapporti tra le classi, tra economia e politica, indispensabile perché
si possa avere un partito capace di guidare il proletariato, non
potrebbe mai essere il prodotto della coscienza spontanea della classe
operaia:
La storia di tutti i paesi attesta
che la classe operaia, con le sole sue forze, è in grado di elaborare
soltanto una coscienza tradunionistica, cioè la convinzione della
necessità di unirsi in sindacati, di condurre la lotta contro i
padroni, di reclamare dal governo questa o quella legge necessaria agli
operai, eccetera.
Pertanto, la consapevolezza del radicale antagonismo tra il
proletariato e l'ordinamento della società capitalistica, quella che
Lenin chiama coscienza politica di classeossia la coscienza
rivoluzionaria, può «essere portata all'operaio "solo dall'esterno",
cioè dall'esterno della lotta economica, dall'esterno della sfera dei
rapporti tra operai e padroni». Infatti,
il campo dal quale soltanto è
possibile attingere questa coscienza è il campo dei rapporti di "tutte"
le classi e di tutti gli strati della popolazione con lo Stato e con il
governo, il campo dei rapporti reciproci di "tutte" le classi.
Questo vuol dire che, affinché l'esperienza immediata che l'operaio
vive dello sfruttamento capitalistico possa maturare fino a farsi
coscienza rivoluzionaria, occorre una teoria generale della società che
dia fondamento scientifico alla prospettiva del comunismo e che può
essere fornita soltanto da intellettuali in possesso dei necessari
strumenti critici del pensiero, i quali non possono essere che di
origine borghese.
Da questo presupposto Lenin, però, trae una concezione del partito ben
diversa da quella kautskyana, che aveva trovato traduzione pratica
nell'organizzazione della socialdemocrazia tedesca. Se il partito deve
essere lo strumento attraverso il quale la teoria rivoluzionaria
penetra nella coscienza del proletariato, esso non può che essere
formato da uomini che dedichino interamente il loro tempo all'attività
teorico-pratica necessaria per l'organizzazione politica delle masse
operaie. Un partito, dunque, fatto di «rivoluzionari di professione»
che devono «andare in tutte le classi della popolazione come teorici,
come propagandisti, come agitatori e come organizzatori».3 Un partito
fortemente coeso e centralizzato, che deve costituirsi non già in base
a un processo spontaneo, che mai consentirebbe il passaggio dalla lotta
economica "dentro" il sistema capitalistico alla lotta politica
"contro" questo sistema, bensì dall'alto - il comitato centrale - al
basso - la massa proletaria. Attraverso il partito si può allora
esprimere quel primato del "politico" suH'"economico" che caratterizza
il volontarismo rivoluzionario di Lenin, secondo il quale spetta al
soggetto-partito il potere di forzare la realtà e affrettare la stessa
precipitazione rivoluzionaria.
Siamo in presenza, come si vede, di una concezione del partito
fortemente connotata da un'ispirazione "giacobina" ed elitaria che non
sembra facilmente riconducibile all'insegnamento di Marx, secondo il
quale è il proletariato che matura, attraverso le lotte, la coscienza
antagonistica di classe, dalla quale i teorici attingo no la materia
per poter enunciare la teoria rivoluzionaria. Certo, nel Che fare?
Lenin, impegnato com'era nella lotta contro le tendenze economicistiche
presenti nella socialdemocrazia russa, aveva estremizzato questa sua
concezione del partito, per controbilanciare e neutralizzare tali
tendenze: nel congresso del 1903 egli ebbe a dire che «gli economisti
avevano curvato il bastone da una parte. Per raddrizzarlo era
necessario curvarlo dalla parte opposta».4 Come è anche vero che era la
stessa situazione della Russia, un paese nel quale l'autocrazia zarista
impediva qualunque forma di opposizione politica e sociale, a
costringere alla clandestinità un partito rivoluzionario, imponendogli
un'organizzazione necessariamente gerarchica e centralizzata.
Non c'è dubbio, però, che, seppur successivamente mitigate (in
particolare sul punto dell'identificazione del militante con il
"rivoluzionario di professione"), queste rimarranno sempre le idee di
Lenin sul partito rivoluzionario. Esse comportano una separazione tra
classe operaia e partito, con il rischio incombente di una
sovrapposizione burocratica e autoritaria del secondo alla prima. Un
rischio che, nelle vicende successive alla Rivoluzione del 1917 e, in
particolare, nell'involuzione autoritaria verificatasi dopo la morte di
Lenin e culminata nell'instaurarsi dello stalinismo, avrebbe trovato la
sua drammatica conferma.
b) Il pensatore
In conseguenza del fallimento della rivoluzione del 1905, un grande
disorientamento viene a diffondersi all'interno del movimento
rivoluzionario russo, e anche tra le schiere degli intellettuali
acquisiti al marxismo affiorano le prime insofferenze nei confronti
dell'eredità soprattutto engelsiana della filosofia marxista, mentre
trovano ascolto sempre maggiore orientamenti filosofici ispirati al
neokantismo e soprattutto all'empiriocriticismo di Mach e Avenarius. Si
profila, pertanto, la tendenza a dare un fondamento idealistico al
pensiero socialista, mettendo in discussione quel materialismo
dialettico che scritti come l'Anti-Diihring e il Ludwig Feuerbach di
Engels avevano integrato nella costruzione teorica marxista.
In nome dell'inseparabilità di marxismo e materialismo Lenin scrive,
nel 1908, a Londra e a Parigi Materialismo ed empiriocriticismo. Note
critiche su una filosofia reazionaria, pubblicato a Mosca l'anno
successivo. Si tratta di una risposta netta e decisa alle posizioni
"machiste", che prende avvio dalla convinzione che la teoria, sia
scientifica che filosofica, non sia mai svincolata dalla prassi,
neutrale e indiffe rente alle sue pressioni. Convinto, al contrario,
della "partiticità" della filosofia e dello stesso sapere scientifico
(nel senso che il momento teorico sarebbe sempre funzionale agli
interessi pratici della classe sociale che lo promuove), Lenin scorge
nel contrasto tra idealismo e materialismo l'espressione di due opposti
"partiti", quello borghese e reazionario che si esprimerebbe nelle
filosofie idealistiche, quel lo progressista e proletario che
svilupperebbe invece un'interpretazione materialistica della realtà.
Con questo Lenin non intende concedere nulla alle tendenze
pragmatistiche e convenzionalistiche presenti nel dibattito scientifico
e filosofico dei primi del Novecento, secondo le quali la verità di una
teoria filosofica o scientifica si risolverebbe nella sua efficacia
pragmatica, ossia nella sua capacità di assicurare il successo
all'attività pratica. Una teoria non è vera, sostiene Lenin, perché ha
successo nella prassi, ma, al contrario, essa ha un'efficacia pratica
perché prima di tutto è vera. E la verità risiede nella sua
obiettività, ossia nel saper riprodurre mentalmente la struttura e le
proprietà che appartengono agli oggetti conosciuti, indipendentemente
dal soggetto conoscente. Merito principale del materialismo è, appunto,
quello di avere affermato che «il "successo" della pratica umana
dimostra la corrispondenza delle nostre idee con la natura obiettiva
delle cose che percepiamo».
L'idealismo cui Lenin si oppone è quello di stampo soggettivistico che,
muovendo dall'esse est percipi del vescovo Berkeley, passa, attraverso
Hume e certi enunciati della teoria kantiana della conoscenza, nella
filosofia empiriocriticistica. Comune a tutte queste forme di idealismo
è la riduzione del mondo oggettivo a un semplice complesso di
sensazioni, intese come gli "elementi primari del mondo". Questa
filosofia nasconde un preciso significato politico: erodendo, fino a
distruggerlo, il concetto di materia come realtà esistente al di fuori
e indipendentemente dalla nostra coscienza, essa apre la porta alle
interpretazioni spiritualistiche della realtà, e dunque al fideismo,
alla religione, alla «mistica dei preti».
Contro i "machisti" (come venivano chiamati in Russia i sostenitori di
queste po sizioni filosofiche, dal nome di Ernst Mach), Lenin riafferma
vigorosamente il punto di vista materialistico che demistifica gli
arbìtri idealistici. Le sensazioni non possono venire intese come
elementi primari, giacché esse presuppongono la materia e la sua azione
sui nostri organi sensoriali: «la sensazione dipende dal cervello, dai
nervi, dalla retina ecc., cioè dalla materia organizzata in modo
determinato».6Pertanto, l'esistenza della materia non può dipendere
dalle sensazioni. Scrive Lenin:
Il materialismo, in pieno accordo con
le scienze naturali, considera come dato pri mordiale la materia e come
dato secondario la coscienza, il pensiero, la sensazione; poiché la
sensibilità è connessa, in una forma chiaramente espressa, unicamente
alle forme superiori della materia.
E ancora:
Le scienze naturali affermano con sicurezza che la terra esisteva in
condizioni tali che né l'uomo né in generale qualsiasi altro essere
vivente poteva esistere su di essa. La materia organica è un fenomeno
ulteriore, frutto di un lunghissimo sviluppo [...] La materia è
primordiale, il pensiero, la coscienza, la sensazione sono il prodotto
di uno sviluppo molto elevato.
Una siffatta filosofia materialistica richiede una gnoseologia
compatibile che non può che essere fondata sulla teoria del
rispecchiamento: la realtà oggettiva, esistente prima e
indipendentemente dall'uomo, viene rispecchiata nel cervello umano
attraverso le sensazioni, le quali, lungi dall'essere, come vorrebbe il
soggettivismo idealistico, «una barriera, un muro che separa la
coscienza dal mondo esterno», costituiscono, al contrario, il legame
che unisce la prima al secondo. «La realtà esterna è copiata,
fotografata, riflessa dalle nostre sensazioni, ma esiste indipen
dentemente da esse.»9
Espressioni come queste - «copiata, fotografata, riflessa» - potrebbero
indurre a un fraintendimento del pensiero di Lenin, facendo pensare a
una concezione sostanzialmente statica e immediatistica della
conoscenza. Al contrario, questa va intesa in modo dinamico e
processuale: le sensazioni sono strumenti mediante i quali noi ci
approssimiamo sempre di più alla realtà; pertanto ognuna di esse e
tutte nel loro insieme debbono essere vagliate ed elaborate sempre di
nuovo ai livelli delle conoscenze superiori, in modo da offrirci una
rappresentazione sempre più ade rente alla realtà oggettiva delle cose.
Dire che la conoscenza riflette la realtà, non significa sostenere che
essa esaurisca la realtà: è in questo che il materialismo di Lenin,
fedele al materialismo dialettico di Engels, si distingue dal
materialismo meccanicistico settecentesco come da quello "volgare" di
Ludwig Büchner e Jacob Moleschott. Fermi entrambi a un punto di vista
ancora dogmatico e metafisico, costoro affermavano che gli uomini
sarebbero capaci di conoscere una volta per sempre e in modo esaustivo
la verità delle cose, in quanto questa sarebbe costituita da un'essenza
immutabile. Il materialismo dialettico, invece, pur riconoscendo
l'esistenza oggettiva e incondizionata del mondo fisico, lo considera
come il modello cui le conoscenze scientifiche si avvicinano
progressivamente senza mai poter pretendere di averlo riprodotto per
intero. In questo modo si può riconoscere la relatività delle
conoscenze scientifiche senza, per questo, cedere alle posizioni
relativistiche e convenzionalistiche che negano a quelle conoscenze il
valore di verità. Scrive Lenin:
La dialettica materialistica di Marx
e di Engels contiene in sé incontestabilmente il relativismo, ma non si
riduce a esso, ammette cioè la relatività di tutte le nostre
conoscenze, non nel senso della negazione della verità obiettiva, bensì
nel senso della relatività storica dei limiti dell'approssimazione
delle nostre conoscenze a questa verità.
In virtù di questa teoria della conoscenza che vuole la coscienza come
riflesso della realtà oggettiva, Lenin può guardare criticamente anche
alla dottrina kantiana della cosa in sé. Kant ha errato nel ritenere
assoluto il limite della conoscenza umana, e la cosa in sé irriducibile
al fenomeno. Il materialismo dialettico insegna, infatti, che
non vi è né vi può essere differenza
di principio tra fenomeno e cosa in sé. La differenza è semplicemente
fra ciò che è noto e ciò che non è ancora noto, mentre le fantasie
filosofiche sui limiti specifici tra l'uno e l'altro, sul fatto che la
cosa in sé si trova "al di là" dei fenomeni [...] tutto ciò non è che
vuoto non senso, ubbia, invenzione.
Alla luce di questa esclusione di una linea fissa e insormontabile che
stia a separare verità relativa e verità assoluta, Lenin ritiene di
poter difendere la validità del materialismo anche di fronte ai grandi
rivolgimenti della fisica che hanno segnato la crisi del modello
meccanicistico newtoniano, cui faceva riferimento il materialismo di
origine settecentesca. La sostituzione del vecchio concetto di materia,
contrassegnato da proprietà della massa, come la corpuscolarità,
l'impenetrabilità e così via, con i nuovi concetti di energia,
elettricità, particella subatomica ecc., non significa che la materia
sia svanita, come vorrebbero scienziati e filosofi legati a prospettive
idealistiche:
"La materia scompare": ciò significa
che scompare il limite al quale finora si arre stava la nostra
conoscenza della materia, significa che la nostra conoscenza si
approfondisce; scompaiono certe proprietà della materia che prima ci
sembravano assolute, immutabili, primordiali (impenetrabilità, inerzia,
massa) e che ora si dimostrano relative, inerenti soltanto a certi
stati della materia. Poiché l'"unica" proprietà della materia, il cui
riconoscimento è alla base del materialismo filosofico, è la proprietà
di "essere una realtà obiettiva", di esistere fuori della nostra
coscienza.
La teoria della coscienza come riflesso non vale solo per la realtà
fisica ma deve es sere estesa anche alla prassi e all'essere sociale
dell'uomo. Nell'ultimo capitolo di Materialismo ed empiriocriticismo
Lenin, in contrasto con i socialdemocratici "ma- chisti" secondo i
quali essere sociale e coscienza sociale coinciderebbero, osserva che
la coscienza sociale è semplicemente il riflesso, soltanto
approssimativamente giusto, dell'essere sociale dell'uomo. Questo è
reso evidente dal fatto che
in ogni formazione sociale più o meno
complessa - e in particolare nella formazione sociale capitalistica -
gli uomini che entrano a far parte della società non sono coscienti dei
rapporti sociali che si creano in essa, delle leggi secondo le quali
questi rapporti si sviluppano ecc. Per esempio, il contadino che vende
il grano entra in "rapporti" con i produttori di grano di tutto il
mondo sul mercato mondiale; ma egli non ne ha coscienza, e non ha
coscienza neppure dei rapporti sociali che si creano in seguito allo
scambio.
Oltre che essere generalmente indipendente dalla coscienza sociale, lo
svolgimento dell'esistenza sociale degli uomini ubbidisce a leggi
oggettivamente necessarie:
Il fatto che voi vivete e svolgete
un'attività economica, generate dei figli e fabbrica te prodotti e li
scambiate, dà origine a una catena di eventi obiettivamente necessaria,
a una catena di sviluppi che è indipendente dalla vostra coscienza
sociale e che la vostra coscienza non abbraccia mai interamente.
Da questa interpretazione deterministica dell'evoluzione dell'essere
sociale, assai vicina alle propensioni naturalistiche ed
evoluzionistiche tipiche del marxismo ortodosso di Kautsky, e dalla
teoria della coscienza come semplice riflesso deriva un modo
d'intendere lo sviluppo della coscienza sociale come adattamento di
essa allo sviluppo oggettivo della società che, pur essendo frutto
delle attività umane precedenti, si presenta con i caratteri di
necessità e "datità" propri degli eventi naturali. La stessa azione
rivoluzionaria viene prospettata, conseguentemente, come frutto della
conoscenza scientifica dei processi sociali oggettivi, e quindi come
"adattamento" all'evoluzione necessaria dei rapporti sociali.
Siamo di fronte a un Lenin determinista ed evoluzionista difficilmente
conciliabile con lo stratega della rivoluzione socialista, proposta
come esito della volontà politica che preme sulle situazioni oggettive
per accelerarne la risoluzione rivoluzionaria. Tanto che si ha
l'impressione che lo scopo politico di questo scritto leniniano abbia
in qualche misura forzato la mano di Lenin, inducendolo, allo scopo di
neutralizzare il soggettivismo degli avversari, ad accentuare
l'incidenza dei processi oggettivi della società.
Resta comunque da capire come la teoria leniniana del riflesso possa
conciliarsi con il Marx delle Tesi su Feuerbach, che pure Lenin invoca
a sostegno del proprio materialismo. Non sembra, infatti, questo
materialismo molto dissimile da quello feuerbachiano che Marx, nella
prima delle sue tesi, rifiuta come materialismo meramente intuitivo e
contemplativo che «vuole oggetti sensibili, realmente distinti dagli
oggetti del pensiero», ma è incapace di intendere «l'attività umana
stessa come attività oggettiva».
La produzione filosofica di Lenin non si esaurisce con Materialismo ed
empiriocriticismo. Già negli anni precedenti e poi, soprattutto,
durante gli anni della guerra, quando si dedica allo studio
approfondito di Hegel, egli compila appunti e commenti critici alle
letture filosofiche che viene via via facendo. Questo materiale sarebbe
apparso postumo nel 1929, sotto il titolo di Quaderni filosofici. Per
la prima volta nella storia del marxismo secondinternazionalista dopo
Engels, l'attenzione alla dialettica hegeliana torna al centro della
riflessione marxista. Significativo che ciò si verifichi a partire dal
1914: sono le sollecitazioni esercitate dalle vicende tumultuose della
guerra mondiale e della Rivoluzione del 1917, con le loro drammatiche
contraddizioni, a concentrare la riflessione di Lenin sul pensiero
dialettico che nella contraddizione, appunto, e nella sua risoluzione,
riconosce la propria funzione fondamentale.
Non può dunque sorprendere che nei Quaderni filosofici, pur mantenendo
la teoria della conoscenza come riflesso, Lenin ne approfondisca il
carattere dialettico, in stretta connessione con la dialetticità del
mondo reale di cui, appunto, il pensiero è il riflesso. Egli afferma
che «il rispecchiamento della natura nel pensiero dell'uomo è da
concepire non come "morto", "astratto", senza movimento e senza
contraddizioni, ma nell'eterno processo del movimento, del porsi e del
risolversi delle contraddizioni».38 Il pensiero è dialettico perché
riflette la dialettica della realtà:
L'"insieme" di "tutti" i lati del
fenomeno, della realtà, e i loro (reciproci) "rapporti": ecco di che
cosa è composta la verità. Le relazioni (= trapassi = contraddizioni)
dei concetti = principale contenuto della logica; "inoltre", questi
concetti (e i loro rapporti, trapassi, contraddizioni) sono mostrati
come riflessi del mondo oggettivo. La dialettica delle "cose" crea la
dialettica delle "idee", e non viceversa.
L'idealismo di Hegel, che pur va rovesciato in materialismo, è ben
diverso da quello machiano: mentre questo è coscienzialistico e
soggettivistico, l'idealismo hegeliano è un idealismo oggettivo nel
quale il concetto non è semplicemente cosa della coscienza, ma qualcosa
di oggettivo, anzi la stessa essenza dell'oggetto. Lenin s'interessa in
particolare alla Scienza della logica, «la più idealistica», ma in cui
«vi è il meno di idealismo e il più di materialismo»; il suo studio
consente di penetrare più facilmente nei segreti del Capitale di Marx.
E stato detto che i Quaderni di filosofia rappresenterebbero una svolta
o addirittura una frattura rispetto al materialismo del saggio del
1909, ma si è trascurato il fatto che le tesi enunciate in
quest'ultimo, relative al problema della conoscenza e della realtà,
sono interamente confermate dal Lenin dei Quaderni. Questo non
significa, però, che non vi si possano cogliere alcuni accenti di
novità, quale quello relativo a una maggiore sottolineatura, rispetto
all'oggettivismo precedente, dell'elemento attivo della coscienza.
Frequentemente è stata citata la pagina in cui Lenin scrive che «la
coscienza dell'uomo non solo rispecchia il mondo oggettivo, ma altresì
lo crea», affermando così che, mentre da un punto di vista teoretico il
sog getto non può che riprodurre l'oggetto nella sua necessità, dal
punto di vista della prassi esso si contrappone al mondo oggettivo,
perché questo «non soddisfa l'uomo, e l'uomo decide di cambiarlo con la
sua azione». In questo senso la pratica è superiore alla conoscenza
teorica; infatti,
l'attività dell'uomo, che si è fatto
un quadro oggettivo del mondo, "modifica" la realtà esterna, ne
distrugge la determinatezza (= ne cambia questi o quei lati, qualità) e
le sottrae così i tratti dell'apparenza, dell'esteriorità, della
nullità, la rende esistente in sé e per sé (= oggettivamente vera).
c) La teoria dell'imperialismo. La rivoluzione socialista
L'imperialismo, fase suprema del capitalismo. Saggio popolare (1916) e
Stato e rivoluzione (1917) sono i due scritti più rilevanti
dell'itinerario politico leniniano durante gli anni della guerra
mondiale e della Rivoluzione del 1917. Nel primo l'obiettivo politico
di Lenin è quello di dimostrare l'infondatezza del socialpacifismo
caratte ristico della Seconda Internazionale, e la necessità di operare
in modo da trasformare la guerra imperialistica in guerra civile
finalizzata alla rivoluzione socialista e alla conquista del potere da
parte del proletariato. Al centro del discorso campeggia l'affermazione
che l'inevitabile sviluppo in senso imperialistico del capitalismo è
destinato, a differenza di quanto aveva insegnato Kautsky, a generare
guerre al trettanto inevitabili. Si tratta, pertanto (ed è lo scopo di
questo Saggio popolare), di convincere le masse proletarie che, solo
attraverso la trasformazione della guerra in lotta rivoluzionaria,
potranno essere evitati per il futuro nuovi «macelli di popoli».
Questo scritto non rivela una particolare originalità sotto il profilo
teorico, dal momento che riprende i risultati di ricerche condotte
precedentemente da altri: Ylmperialismo (1902) del liberale inglese
Hobson, il Capitale finanziario (1910) dell'austromarxista Hilferding,
il manoscritto intitolato L'economia mondiale e l'imperialismo del
bolscevico Bucharin, e infine L'accumulazione del capitale della
Luxemburg. Lenin sostiene che l'imperialismo è il prodotto della
trasformazione, avvenuta tra la fine dell'Ottocento e i primi anni del
Novecento, del capitalismo concorrenziale in capitalismo monopolistico.
Il fenomeno imperialistico è infatti connotato da cinque tratti
principali:
a) l'altissima concentrazione dei capitali e della produzione nelle
mani di grandi proprietà monopolistiche che controllano interi settori
della vita economica;
b) la crescente importanza del capitale finanziario e la sempre più
totale dipendenza da esso del capitale industriale. Ciò produce, da un
lato un'oligarchia finanziaria, che vive del «taglio di cedole» senza
partecipare direttamente alle attività produttive, dall'altro la
selezione di pochi stati finanziariamente più forti degli altri;
c) la grande importanza acquisita dall'esportazione del capitale
eccedente in rapporto all'esportazione di merci, di cui viveva
essenzialmente il capitalismo concorrenziale;
d) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si spartiscono il mondo;
e) la compiuta ripartizione della Terra tra le più grandi potenze capitalistiche.
Inevitabile conseguenza dei conflitti interimperialistici che si
scatenano tra i vari paesi occidentali, soprattutto a opera di quelli
arrivati più tardi allo sviluppo capita listico, è la guerra, solo
attraverso la quale questi ultimi possono ambire alla conquista di uno
"spazio vitale". Il caso più tipico era allora rappresentato dalla
Germania.
Rimpatriato nel marzo del 1917, dopo un esilio che, tranne la breve
parentesi rivoluzionaria nel 1905, durava dall'inizio del secolo, Lenin
è costretto di nuovo a riparare nello stesso anno in Finlandia dove
scrive Stato e rivoluzione, l'esposizione più completa della sua teoria
dello Stato. Ormai convinto della necessità di passare dalla
rivoluzione democratico-borghese del febbraio alla rivoluzione
socialista, Lenin si propone di combattere l'"opportunismo" della
concezione dello Stato elaborata da Kautsky e dagli altri leader della
socialdemocrazia, tra i quali il menscevico Plechanov, e di riprendere,
sviluppandole, le autentiche idee di Marx e di Engels. Il discorso
leniniano si rivolge contro gli "opportunisti", che ritengono si possa
camminare verso il socialismo semplicemente rilevando la macchina
statale borghese che sarebbe destinata a lenta estinzione, «senza
sussulti né tempeste, senza rivoluzione».20 Lenin sostiene, al
contrario, che lo Stato della borghesia deve essere distrutto nel corso
della rivoluzione e sostituito con la dittatura del proletariato che ha
il compito, attraverso un «intero periodo storico», di preparare
l'instaurazione della società senza classi e senza Stato. Recuperato il
discorso di Marx sulla natura intrinsecamente repressiva dello Stato
(strumento nelle mani della classe dominante per realizzare il proprio
dominio), Lenin afferma che anche lo Stato della fase di transizione -
la dittatura del proletariato, appunto - non potrà che essere uno
strumento di repressione, anche se in "modo nuovo": non più, come nel
caso dello Stato borghese, una dittatura repressiva ai danni della
maggioranza, bensì lo strumento in mano a una «maggioranza di ex
schiavi salariati» per liquidare «una minoranza di sfruttatori». Di qui
il suo carattere realmente, ma anche non compiutamente democratico:
Insieme a un grandissimo allargamento
della democrazia, divenuta per la prima volta una democrazia per i
poveri, per il popolo, e non una democrazia per i ricchi, la dittatura
del proletariato apporta una serie di restrizioni alla libertà degli
oppressori, degli sfruttatori, dei capitalisti. Costoro noi li dobbiamo
reprimere, per liberare l'umanità dalla schiavitù salariata [...].
Nelle circostanze della rivoluzione socialista, la dittatura del
proletariato avrebbe dovuto esprimersi nella gestione del potere da
parte dei soviet degli operai, dei soldati e dei contadini - «tutto il
potere ai soviet» fu, in effetti, la parola d'ordine della insurrezione
di ottobre. Lenin scorge nei soviet la realizzazione autenticamente
democratica del principio della rappresentatività che nella repubblica
democratica borghese è riduttivamente incarnato nelle istituzioni
parlamentari della democrazia delegata. Di qui il richiamo che Stato e
rivoluzione rinnova di continuo alla Comune di Parigi e alle pagine che
Marx aveva a questa dedicate.
Rimane il dubbio sull'effettiva conciliabilità tra questa aperta
rivendicazione della democrazia consiliare e la concezione leniniana
del partito che, come s'è visto, è contrassegnata da una forte
centralizzazione del dibattito e dei momenti decisionali, cui
corrisponde una struttura organizzativa di tipo verticale. Sta di
fatto, comunque, che Stato e rivoluzione è attraversato da una forte
ispirazione democratica e libertaria che si esprime soprattutto
nell'idea che lo Stato, ogni specie di Stato, sia di per sé
incompatibile con la libertà: «finché esiste lo Stato, non vi è
libertà; quando si avrà la libertà, non vi sarà più Stato».
Discende da qui l'affermazione più significativa contenuta nell'opera,
cioè che lo Stato proletario (ossia il «proletariato organizzato come
classe dominante»), nato dall'abbattimento dello Stato borghese, dovrà
cominciare a estinguersi fin dal primo giorno della sua nascita «poiché
lo Stato è inutile e impossibile in una società senza antagonismi di
classe».23
Lenin riteneva dunque che la transizione avrebbe proceduto in modo
lineare e non avrebbe occupato un tempo lunghissimo. Ancora nel
discorso ai lavoratori raccolti nella Piazza Rossa il primo maggio del
1919, egli predice che «la maggior parte dei presenti che non hanno
superato i trenta o trentacinque anni di età vedrà il rigoglio del
comunismo, dal quale siamo ancora lontani».
Come ben sappiamo, questa previsione doveva rivelarsi sbagliata: lo
Stato sovietico, identificato con il Partito comunista, si sarebbe
progressivamente rafforzato già a partire dal 1919, per trasformarsi,
nell'epoca staliniana, in una struttura sempre più repressiva e
autoritaria, fino al punto di assumere le caratteristiche di una
dittatura personale, intollerante di qualsiasi forma di potere che non
fosse quello del capo del Partito e dello Stato.
Wikipedia
Lenin , pseudonimo di Vladimir Il'ič Ul'janov, (Simbirsk, 22 aprile
1870 – Gorki Leninskie, 21 gennaio 1924) è stato un politico
e rivoluzionario russo. Artefice della Rivoluzione russa
dell'ottobre 1917, fu capo del partito bolscevico e presidente del
Consiglio dei Commissari del Popolo della Russia sovietica e poi
dell'URSS.
Biografia
Il padre, Il'ja Nikolaevič Ul'janov (1831-1886), di religione
ortodossa, era originario di Astrachan'; laureato in matematica col
famoso professor Lobačevskij, uno dei fondatori delle geometrie
non-euclidee, dal 1855 insegnò matematica e fisica
nell'Istituto dei nobili di Penza, dove conobbe e sposò nel
1863 Marija Aleksandrovna Blank (1835-1916).
Si trasferirono a Nižnij Novgorod, dove Il'ja Nikolaevič
insegnò nel locale ginnasio finché nel 1869
accettò l'incarico di ispettore delle scuole elementari del
governatorato di Simbirsk, e vi si trasferì con la moglie,
già incinta di Vladimir, e con i due figli Anna (1864-1935) e
Aleksandr (1866-1887). Nel 1874 venne nominato direttore scolastico,
col grado di consigliere di Stato e insignito dell'ordine di San
Vladimiro, ottenendo l'inserimento nel quarto grado della gerarchia
nobiliare e il diritto alla trasmissibilità del titolo.
La madre era figlia del medico Aleksandr Dmitrevič Blank. Questi, di
origine tedesca, nato in Ucraina e proprietario di terre nel
governatorato di Kazan', professava opinioni avanzate per i tempi.
Educata in un ambiente luterano, Marija Aleksandrovna aveva studiato
privatamente e conseguito il diploma di insegnante. Allevò
altri tre figli, Ol'ga (1872-1891), Dmitrij (1875-1943) e Marija
(1878-1937).
Vladimir - Volodja per i genitori - era un bambino vivace, allegro,
amante degli scherzi. Imparò a leggere a cinque anni,
studiò privatamente fino a nove e nel 1879 fu iscritto alla
prima classe ginnasiale. Nel 1883 il fratello maggiore Aleksandr
andò a studiare scienze naturali all'Università di
Pietroburgo, dove già era iscritta la sorella Anna. Il 12
gennaio 1886 morì il padre. La pensione lasciata alla vedova,
le rendite delle terre, le pigioni degli affittuari e qualche
economia permisero alla famiglia di continuare a vivere con
sufficiente agiatezza.
Il 1º marzo 1887, anniversario dell'assassinio dello zar
Alessandro II, la polizia arrestò i fratelli Anna e Aleksandr
nella loro casa pietroburghese con l'accusa di cospirazione.
Aleksandr, insieme con altri studenti, tutti affiliati alla
Narodnaja Volja, aveva progettato di attentare alla vita dello zar
Alessandro III, ed essendo esperto di chimica, aveva confezionato le
bombe da utilizzare nell'attentato. La sorella Anna, estranea ai
fatti, venne rilasciata pochi giorni dopo, ma fu confinata a
Kokuškino, la cittadina ove la madre era nata e possedeva una casa.
Nel processo, Aleksandr ammise le sue responsabilità,
cercando di attenuare quelle dei complici. Condannato a morte,
rifiutò di presentare domanda di grazia e l'8 maggio venne
impiccato con quattro suoi compagni.
Il mese dopo, Vladimir concluse gli studi ginnasiali a pieni voti. A
stilare le note caratteristiche di Vladimir fu il direttore della
scuola Fëdor Kerenskij, padre del suo futuro avversario
politico Aleksandr Kerenskij: «Assai dotato, costante e
intelligente, Ul'janov è sempre stato in testa alla sua
classe e alla fine del corso ha meritato la medaglia d'oro come
allievo più degno per l'esito, il profitto e il
comportamento». Seguiva un giudizio sul carattere: «non
ho potuto fare a meno di notare in lui un riserbo talvolta eccessivo
e un atteggiamento scostante anche verso persone di sua conoscenza
e, fuori del ginnasio, verso compagni che sono il vanto della
scuola; in genere, è poco socievole».
La condanna di Aleksandr aveva creato il vuoto intorno alla famiglia
Ul'janov nella provinciale cittadina di Simbirsk; per questo motivo,
quella stessa estate gli Ul'janov si trasferirono a Kazan', e
Vladimir si iscrisse alla facoltà di legge della locale
Università.
La formazione politica
Il 4 dicembre 1887 gli studenti di Kazan' tennero un'assemblea non
autorizzata nell'Università; le autorità considerarono
sovversiva l'iniziativa e quella notte la polizia arrestò
Vladimir e una quarantina di studenti. All'osservazione del
poliziotto: «perché vi rivoltate, giovanotto? Avete
davanti una muraglia», rispose: «Sì, una muraglia
che crolla. Basta una spinta perché precipiti». Venne
rilasciato due giorni dopo ed espulso dall'Università.
Le autorità lo confinarono dapprima a Kokuškino e, dopo aver
respinto per due volte la richiesta di essere riammesso
all'Università e avergli negato il passaporto, nell'autunno
del 1888 gli concessero di abitare insieme con la famiglia a Kazan'.
Qui Vladimir prese a frequentare uno dei diversi circoli
studenteschi esistenti nella città universitaria, frequentato
da un'anziana populista, Marija Četvergova, dove si leggeva e si
discuteva di politica. Il più importante era quello creato
dal giovane marxista Fedoseev, che peraltro Vladimir, ancora
soggetto all'influsso della Narodnaja Volja, contattò solo
qualche anno dopo. Cominciò a leggere Il Capitale di Marx,
una lettura già praticata dal fratello Aleksandr. È
probabile che le tendenze rivoluzionarie di Vladimir non avessero
ancora assunto «una tinta socialdemocratica» e che lo
studio del marxismo non significasse per lui una rottura con le
opinioni populiste.
Il 3 maggio 1889 gli Ul'janov, sempre sorvegliati dalla polizia,
andarono a passare l'estate ad Alakaevka, un villaggio della
provincia di Samara, dove la madre, vendute le proprietà di
Simbirsk, aveva acquistato una piccola proprietà agricola.
Quella stessa estate, il 13 luglio, il circolo socialdemocratico di
Kazan' venne sciolto d'autorità e Fedoseev e i suoi compagni
furono arrestati. L'inverno fu trascorso in una casa presa in
affitto a Samara, che accolse anche Mark Elizarov, fresco sposo di
Anna Ul'janova. La casa era frequentata da alcuni rivoluzionari
richiamati dalla fama di Aleksandr Ul'janov, come Nikolaj Dolgov,
seguace di Nečaev, il fondatore della Narodnaja Rasprava, i coniugi
Livanov, implicati nell'affare Koval'skij e nel «processo dei
193», Marija Golubeva, già seguace di Pëtr
Zaičnevskij. Questi tipici populisti «divennero per Vladimir
una vera scuola superiore di pratica rivoluzionaria».
Vladimir frequentava anche il coetaneo Aleksej Skljarenko, che aveva
già scontato un anno di carcere a San Pietroburgo. Questi,
con l'amico Semёnov, riproduceva e diffondeva manifestini
rivoluzionari ispirati alla Narodnaja Volja, ma entrambi passarono
ben presto alla socialdemocrazia. Nel maggio del 1890 Vladimir
ottenne finalmente l'autorizzazione a sostenere gli esami come
studente esterno nella facoltà di giurisprudenza
dell'Università di San Pietroburgo. Alla fine di agosto era
nella capitale per informarsi dei programmi e in quell'occasione si
procurò da un professore una copia dell'Anti-Dühring di
Engels. Insieme all'altro scritto di Engels, La situazione della
classe operaia in Inghilterra, al Capitale e alla Miseria della
filosofia di Marx, a Le nostre divergenze di Plechanov e ai testi di
diritto, questa lettura lo impegnò per un anno.
In un anno e mezzo riuscì a dare tutti gli esami previsti nei
quattro anni del corso di laurea, e il 15 novembre 1891, primo dei
134 studenti promossi, ottenne il diploma di primo grado. Dopo un
tirocinio nello studio dell'avvocato Chardin, valente scacchista
apprezzato dal famoso Čigorin e radicale in politica, nel luglio del
1892 ottenne l'iscrizione all'Albo degli avvocati: la sua brevissima
attività professionale consistette nel patrocinio di sole
dieci cause giudiziarie, modesti processi nei quali intervenne per
lo più come difensore d'ufficio, perdendoli tutti.
Nell'inverno 1891-1892 la Russia patì una grave carestia. Il
giornalista Vodovozov, allora residente a Samara, raccontò
poi «la profonda divergenza» che lo divise da Vladimir
Ul'janov «riguardo l'atteggiamento da prendersi nei confronti
della carestia». I populisti, soccorrendo bisognosi e
ammalati, speravano di «trovare una via pacifica e legale per
conquistarsi la simpatia del popolo», mentre i marxisti
«si pronunciavano non già contro i soccorsi agli
affamati, ma contro le illusioni [...] della filantropia». In
quell'occasione Vladimir espresse apertamente il suo disprezzo verso
i personaggi più autorevoli del populismo. La sua formazione
politica era ormai compiuta quando, il 31 agosto 1893, Vladimir
Ul'janov si trasferì a San Pietroburgo per cominciare la sua
vita di rivoluzionario.
La polemica contro il populismo
Il suo impiego come assistente dell'anziano avvocato liberale
Folkenstein fu soprattutto una copertura. In effetti Lenin si
occupò prevalentemente di un piccolo circolo
socialdemocratico costituito da seguaci di Michail Brusnev,
fondatore di un'organizzazione rivoluzionaria soppressa dalla
polizia nel 1892. Questo circolo si fuse nel 1895 con un altro
gruppo socialdemocratico guidato da Julij Martov, formando l'Unione
di lotta per l'emancipazione della classe operaia, della quale Lenin
divenne con Martov la figura preminente. Il circolo fu organizzato
costituendo un gruppo centrale formato da intellettuali e operai:
questi ultimi, debitamente istruiti, dovevano reclutare nelle loro
fabbriche altri operai e costituire così altri gruppi che
sarebbero stati a loro volta istruiti, allargando progressivamente
il numero dei simpatizzanti.
Il primo scritto di Lenin, terminato nel 1893 ma pubblicato solo nel
1923, Nuovi spostamenti economici nella vita contadina, si occupa
dell'obščina (община), la tradizionale comunità rurale, di
origine feudale, dei villaggi russi, esaltata dai populisti che la
ritengono una società di eguali, contrapponendola alle forme
economiche capitalistiche, che invece producono disuguaglianze.
Lenin osserva che anche nell'obščina si sono prodotte differenze di
classe, in quanto una minoranza di contadini è riuscita ad
accumulare progressivamente una maggiore quantità di terra,
mentre la maggioranza si è impoverita.
I populisti deducono che in queste condizioni il capitalismo non sia
possibile, mancando un mercato adeguato al suo sviluppo. Secondo
Lenin, invece, la disgregazione dell'obščina crea le premesse del
capitalismo, in quanto i contadini poveri, per sopravvivere, devono
lavorare come salariati e acquisiscono così mezzi monetari a
loro prima sconosciuti, favorendo il passaggio dall'economia
naturale della comunità all'economia di mercato.
In una riunione del circolo di Pietroburgo, tenuta nel febbraio del
1894, Ul'janov conobbe Nadežda Krupskaja (1869-1939), un'impiegata
delle Ferrovie che la domenica sera insegnava in una scuola per
operai. Nell'autunno del 1894 scrisse il breve saggio Che cosa sono
'Gli amici del popolo' e come lottano contro i socialdemocratici,
che inizialmente circolò ciclostilato e anonimo, seguito da
Il contenuto economico del populismo e la sua critica nel libro del
signor Struve.
Lenin vi esalta la superiorità scientifica del marxismo e
rimprovera i populisti di soggettivismo sociologico: «I
marxisti» - scrive - «prendono senza riserve dalla
teoria di Marx soltanto i metodi preziosi senza i quali non è
possibile mettere in chiaro i rapporti sociali», senza
precostituire «schemi astratti e altre
assurdità», commisurando la giustezza della teoria con
la sua corrispondenza con la realtà, e compito dei
socialdemocratici è indagare «concretamente tutte le
forme della lotta di classe e dello sfruttamento, che in Russia sono
particolarmente intricate e camuffate».
I populisti costruiscono invece teorie astratte e consolatorie:
«Le condizioni storiche che avevano dato ai nostri
soggettivisti il materiale per la loro "teoria" consistevano (come
consistono tuttora) in rapporti antagonistici e hanno generato
l'espropriazione del produttore. Non riuscendo a capire questi
rapporti antagonistici, non riuscendo a trovare in essi elementi
sociali che possano riscuotere l'adesione degli "individui isolati",
i soggettivisti si sono limitati a costruire teorie che consolassero
questi individui "isolati", affermando che la storia l'hanno fatta
questi individui vivi».
L'organizzazione del partito rivoluzionario
Nel maggio del 1895 l'Unione di lotta lo inviò in Svizzera
per prendere contatto con il maggior teorico marxista russo del
tempo, Georgij Plechanov, fondatore del gruppo Emancipazione del
lavoro. Rimase deluso dall'aria professorale del famoso Plechanov,
ma si accordarono per collaborare a una rivista non periodica da
pubblicare a Ginevra, il «Rabotnik» (Il Lavoratore), di
concerto con l'Unione dei socialdemocratici russi all'estero. Dopo
un mese Lenin passò a Parigi, dove conobbe il genero di Marx,
Paul Lafargue, uno dei dirigenti, con Jules Guesde, del Partito
operaio francese. Ai primi di agosto era a Berlino e il 7 settembre
rientrò in Russia, con il doppio fondo della sua valigia
carico di pubblicazioni illegali.
La notte del 21 dicembre 1895, Lenin e altri componenti del gruppo
vennero arrestati. Durante la detenzione scrsse un opuscolo, Sugli
scioperi, e abbozzò Lo sviluppo del capitalismo in Russia.
Gli arresti impedirono l'uscita, prevista in quei giorni, del
giornale «Rabočee Delo» (La causa operaia), ma non
fermarono l'attività dell'Unione di lotta, che nell'estate
del 1896, proprio in occasione dell'incoronazione di Nicola II,
organizzò scioperi a Pietroburgo per ottenere la riduzione
dell'orario di lavoro.
Condannato a tre anni di deportazione in Siberia, vi terminò
Lo sviluppo del capitalismo in Russia, pubblicato nel 1899; nel
luglio del 1898 sposò Nadežda Krupskaja, anch'ella detenuta
per aver partecipato a uno sciopero. Nel 1900, scontata la pena, per
evitare l'assillo della sorveglianza poliziesca, scelse
volontariamente l'esilio, trasferendosi prima a Monaco di Baviera
(1900-1902), poi a Londra (1902-1903) e poi a Zurigo, dove si
unì a Plechanov e a Martov con i quali fondò il
periodico «Iskra» (La scintilla) che usciva a Monaco di
Baviera e a Lipsia per essere poi diffuso clandestinamente in
Russia.
Nel marzo 1901 fondò un'altra rivista da diffondere
clandestinamente in Russia, «Zarjà» (L'alba).
Dall'aprile cominciò a firmare i suoi articoli con lo
pseudonimo di Lenin. Nello stesso periodo fu raggiunto dalla moglie
che aveva finito di scontare la detenzione in Siberia.
Il 1902 si aprì con i contrasti fra Lenin e Plechanov sui
princìpi che dovevono guidare il partito; alle tesi
programmatiche di Plechanov, Lenin risponde che «questo non
è il programma di un partito che lotta praticamente, ma una
dichiarazione di princìpi, quasi un programma di allievi del
primo corso, là dove si parla del capitalismo in genere e non
ancora del capitalismo russo». Secondo Lenin, a Plechanov
sfuggiva il rapporto del capitalismo russo con l'economia rurale, il
fenomeno della disgregazione delle comunità contadine e la
relazione fra le vecchie e nuove realtà sociali che
emergevano in Russia.
La rivoluzione del 1905 e la dittatura della classe operaia
Le conseguenze di una grave carestia e della sconfitta nella guerra
russo-giapponese mostrano l'inefficienza di vasti strati del ceto
dirigente zarista. Il 22 gennaio 1905 una dimostrazione popolare a
San Pietroburgo viene repressa nel sangue dalla guardia di palazzo e
dai cosacchi della guarnigione: guidato dal Pope Gapon, il corteo si
era diretto verso il Palazzo d'Inverno (vista simbolicamente come la
residenza dello zar) per consegnare al sovrano una serie di
richieste politiche e amministrative, non considerando che Nicola II
non abitava a San Pietroburgo e non era stato avvisato della
petizione. Quest'evento è simbolicamente conosciuto come la
Domenica di sangue. Il governo provvisorio varò
immediatamente i provvedimenti che avrebbero dovuto transformare la
Russia in una repubblica democratica borghese:
* aboli la censura e la pena di morte;
* proclamò la fine dei privilegi aristocratici e
l'uguaglianza di tutte le religioni;
* stabili l'elezione di un'Assemblea costituente
incaricata di elaborare una Costituzione liberale.
In seguito il discredito del governo aumenta: si ammutina la
corazzata Potëmkin nel mar Nero e si estendono scioperi e
manifestazioni; si costituiscono per la prima volta i Soviet,
consigli di delegati dei lavoratori delle forze produttive del
Paese; accanto a essi, si costituiscono migliaia di consigli operai
e di quartiere - che differiscono dai Soviet, costituiti invece da
delegati. Chi possiede armi organizza brigate di "Guardie rosse", e
nella campagne si formano i comitati dei contadini. Sono tutti
luoghi di discussione, in cui la popolazione affronta direttamente
problemi concreti e prende iniziative per risolverli. Nel novembre
Lenin giunge a Pietroburgo clandestinamente, sotto il nome di
Karpov: nel dicembre, al congresso del partito in Finlandia, chiede
che i bolscevichi agiscano in piena autonomia dalle altre forze di
opposizione al regime zarista. In questa occasione, per la prima
volta Stalin incontra Lenin: scriverà che, conoscendolo solo
di fama, si era aspettato di vedere un gigante e quando vide che
Lenin era un uomo perfettamente normale, ne restò deluso. Nel
gennaio 1906 Lenin è a Mosca, per contrastare le elezioni del
parlamento russo, la Duma, che considera manipolata dalle forze
politiche reazionarie. Ai primi del 1907 lo zarismo restaura
pienamente l'autocrazia sciogliendo la Duma.
Riflettendo sugli insegnamenti della fallita rivoluzione del 1905,
Lenin afferma che il proletariato «deve sostenere qualunque
borghesia, anche la peggiore, nella misura in cui lotti
concretamente contro lo zarismo». La rivoluzione del 1905
fallisce perché la borghesia russa, troppo debole ancora
rispetto allo zarismo, non cerca il potere democratico, ma solo un
accordo con l'autocrazia, perché era troppo forte, in essa,
il timore di aprire la strada a una rivoluzione proletaria.
Per i menscevichi, invece, il proletariato deve sì appoggiare
le rivoluzioni che abbiano un contenuto borghese, perché
porterebbero a un regime democratico ove, in condizioni più
favorevoli, la classe operaia può svolgere la sua lotta
rivoluzionaria per il socialismo, ma non deve mettersi a capo di
quella rivoluzione, non deve cercare di esserne protagonista ma deve
rimanere all'opposizione.
Per Lenin, al contrario, solo se gli operai (i proletari) e i
contadini (i piccolo borghesi) saranno i protagonisti di una
rivoluzione democratica, questa sarà vittoriosa: «La
lotta del proletariato per la libertà politica democratica
è una lotta rivoluzionaria, perché mira alla piena
sovranità del popolo. La lotta della borghesia per la
libertà è una lotta opportunistica, perché mira
alla divisione del potere fra l'autocrazia e le classi
abbienti». Il proletariato deve operare, insieme con la
borghesia, l'abbattimento del potere reazionario zarista,
instaurando una dittatura democratica degli operai e dei contadini;
quando fossero realizzate le libertà democratiche, il
proletariato e il partito socialdemocratico che lo guida dovranno
abbattere le istituzioni democratiche per instaurare il socialismo,
attraverso la dittatura della classe operaia. Già nel 1898,
del resto, con l'articolo I compiti dei socialdemocratici russi,
Lenin aveva affermato che il partito era socialdemocratico -
appunto, socialista e democratico insieme - nel senso che era
democratico battendosi, in una società assolutista, per la
conquista della democrazia «borghese», e socialista
perché dovevano battersi per affermare il socialismo
rovesciando la società capitalistica. Due erano le
rivoluzioni da compiere, almeno in Russia, e se allora egli non si
era posto il problema se vi dovesse essere un intervallo fra le due
rivoluzioni, certamente il proletariato e il partito
socialdemocratico dovevano essere protagonisti di entrambe le
rivoluzioni. Sono i temi che si presenteranno, in forme concrete e
drammatiche, nel 1917.
La prima guerra mondiale
Allo scoppio della prima guerra mondiale, i partiti socialisti
francese e tedesco votarono i crediti di guerra, sostenendo lo
sforzo bellico dei rispettivi governi; Lenin denunciò il
fallimento della Seconda Internazionale, che avrebbe tradito lo
spirito dell'internazionalismo: nelle conferenze di Zimmerwald, nel
1915, e di Kienthal, nel 1916, sostenne la necessità di
trasformare la guerra, che definì imperialista, in
rivoluzione. Fra le parti in guerra non c'è differenza; il
significato di nazionale, che ogni borghesia cerca di attribuire
alla propria guerra, nasconde il reale contenuto di rapina:
«La Germania si batte non per liberare ma per opprimere le
nazioni. Non è compito dei socialisti aiutare il brigante
più giovane e forte a depredare i briganti più vecchi
e nutriti».
Si può distinguere tra guerra giusta e ingiusta.
Indipendentemente da colui che attacca per primo, è
aggressore colui che opprime; se l'oppresso lotta contro
l'oppressore, conduce una guerra giusta. La parola d'ordine della
difesa della patria è legittima e progressista in caso di
guerra di liberazione nazionale, ma è reazionaria nel caso di
guerra imperialista: «Il periodo dal 1789 al 1871 fu l'epoca
di un capitalismo progressivo in cui l'abbattimento del feudalesimo,
dell'assolutismo e la liberazione dal giogo straniero erano
all'ordine del giorno della storia. Su questa unica base si poteva
ammettere la 'difesa della patria', cioè la lotta contro
l'oppressione. Oggi si potrebbe ancora applicare questa concezione
in una guerra contro le grandi potenze imperialistiche, ma sarebbe
assurdo applicarla in una guerra fra queste grandi potenze, in cui
si tratta di sapere chi saprà spogliare meglio i paesi
balcanici, l'Asia minore ecc. [...] una classe rivoluzionaria non
può, durante una guerra reazionaria, che augurarsi la
sconfitta del proprio governo [...] la rivoluzione in tempo di
guerra è la guerra civile; la trasformazione della guerra dei
governi in guerra civile è facilitata dalla sconfitta di
questi governi».
La rivoluzione del 1917
Le Tesi di aprile
Quando scoppiò la rivoluzione in Russia nel febbraio del
1917, Lenin era ancora esule in Svizzera. Giunto a Pietrogrado il 3
aprile con il noto viaggio in treno, all'interno di un vagone
piombato, attraversando i territori controllati dalla Germania,
tracciò per i bolscevichi, nelle Tesi di Aprile, un programma
in 10 punti pubblicato il 7 aprile:
«La guerra rimane incontestabilmente una
guerra imperialistica di brigantaggio, in forza del carattere
capitalistico di questo governo, non è ammissibile la
benché minima concessione al "difensivismo rivoluzionario"
[...] Data l'innegabile buona fede di larghi strati dei
rappresentanti delle masse favorevoli al difensivismo
rivoluzionario, che accettano la guerra come una necessità e
non per spirito di conquista, e poiché essi sono ingannati
dalla borghesia, bisogna spiegar loro con particolare cura,
ostinazione e pazienza, l'errore in cui cadono, svelando il legame
indissolubile esistente fra il capitale e la guerra imperialistica,
dimostrando che è impossibile metter fine alla guerra con una
pace veramente democratica, e non imposta con la forza, senza
abbattere il capitale. Organizzare la propaganda più ampia di
questa posizione nell'esercito combattente. Fraternizzare».
«L'originalità dell'attuale momento
in Russia consiste nel passaggio dalla prima fase della rivoluzione,
che ha dato il potere alla borghesia a causa dell'insufficiente
grado di coscienza e di organizzazione del proletariato, alla sua
seconda fase, che deve dare il potere al proletariato e agli strati
poveri dei contadini [...]».
«Non appoggiare in alcun modo il Governo
provvisorio, dimostrare la completa falsità di tutte le sue
promesse, soprattutto di quelle concernenti la rinuncia alle
annessioni. Smascherare questo governo, invece di "rivendicare" -
ciò che è inammissibile e semina illusioni - che esso,
governo di capitalisti, cessi di essere imperialistico».
«Riconoscere che il nostro partito è
in minoranza [...] nella maggior parte dei Soviet dei deputati
operai, di fronte al blocco di tutti gli elementi opportunistici
piccolo-borghesi [...] Spiegare alle masse che i Soviet dei deputati
operai sono l'unica forma possibile di governo rivoluzionario [...]
svolgeremo un'opera di critica e di spiegazione degli errori,
sostenendo in pari tempo la necessità del passaggio di tutto
il potere statale ai Soviet dei deputati operai [...]».
«Niente repubblica parlamentare - ritornare
ad essa dopo i Soviet dei deputati operai sarebbe un passo indietro
- ma Repubblica dei Soviet di deputati degli operai, dei salariati
agricoli e dei contadini in tutto il paese, dal basso in alto.
Sopprimere la polizia, l'esercito e il corpo dei funzionari. Lo
stipendio dei funzionari - tutti eleggibili e revocabili in
qualsiasi momento - non deve superare il salario medio di un buon
operaio [...]».
«Nel programma agrario spostare il centro
di gravità sui Soviet dei deputati dei salariati agricoli.
Confiscare tutte le grandi proprietà fondiarie.
Nazionalizzare tutte le terre del paese e metterle a disposizione di
Soviet locali di deputati dei salariati agricoli e dei contadini.
Costituire i Soviet dei deputati dei contadini poveri [...]».
«Fusione immediata di tutte le banche del
paese in un'unica banca nazionale, posta sotto il controllo dei
Soviet dei deputati operai».
«Il nostro compito immediato non è
l'"instaurazione" del socialismo, ma, per ora, soltanto il passaggio
al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei
prodotti da parte dei Soviet dei deputati operai».
«Compiti del partito: convocare
immediatamente il congresso del partito; modificare il programma del
partito, principalmente: sull'imperialismo e sulla guerra
imperialistica; sull'atteggiamento verso lo Stato e sulla nostra
rivendicazione dello "Stato-Comune"; emendare il programma minimo,
ormai invecchiato; cambiare il nome del partito».
«Rinnovare l'Internazionale [...]».
Le tesi di Lenin disorientarono i suoi compagni di partito che,
nella prima riunione del comitato di partito di Pietrogrado, l'8
aprile, le respinsero a larghissima maggioranza: essi non riuscivano
a concepire, nell'attuale momento, la possibilità di una
trasformazione in rivoluzione socialista della rivoluzione borghese,
che essi ritenevano appena iniziata e bisognosa di un lungo tempo
per dare alla Russia le strutture democratiche. Come i menscevichi,
essi ritenevano che i Soviet dovessero limitarsi a esercitare un
controllo sull'attività del Governo provvisorio, espressione
della borghesia imprenditoriale. Ma già alla conferenza del
partito della capitale, tenuta il 14 aprile, e in quella panrussa
del 24 aprile, le tesi di Lenin guadagnarono l'approvazione della
grande maggioranza dei delegati: in essa si condannava il Governo
per la sua collaborazione con «la controrivoluzione dei
borghesi e dei latifondisti» e impegnava il partito a
realizzare «il rapido passaggio di tutti i poteri statali ai
Soviet dei deputati degli operai e dei soldati» e alle altre
forme di potere, quale l'Assemblea costituente.
Con la caduta del primo Governo provvisorio e la costituzione, in
maggio, di un nuovo governo costituito da una coalizione di cadetti
- il partito della grande borghesia - e di socialisti moderati,
espressione dei Soviet, si era cercato di risolvere il dualismo dei
poteri esistente tra Governo e Soviet: in realtà, il Governo
era intenzionato a proseguire, a fianco degli inglesi e dei francesi
che avevano largamente investito capitali nelle industrie russe, una
guerra da cui si ripromettevano grandi conquiste territoriali, senza
risolversi ad attuare una riforma agraria, dati i contrasti
esistenti in proposito fra cadetti e socialisti.
Il 3 luglio si svolse a Vyborg, sobborgo operaio di Pietrogrado, una
manifestazione spontanea di centinaia di migliaia di operai e di
soldati della guarnigione della capitale. La presenza dei militari
rischia di trasformare la manifestazione, indetta ancora per il
giorno successivo, in una rivolta che i bolscevichi intendono
scongiurare, giudicandola del tutto prematura; a questo scopo, il
giorno dopo, vi aderiscono ufficialmente con l'intenzione di
controllarla, limitandone gli slogan alla richiesta della pace e del
passaggio del potere ai Soviet. Il 4 luglio si accesero sparatorie
fra cosacchi e allievi ufficiali, fedeli al governo, e soldati
manifestanti, con decine di morti: i manifestanti sono dispersi, le
sedi del partito e dei giornali bolscevichi chiuse, diversi
dirigenti arrestati. Non Lenin che, accusato di aver organizzato una
sommossa e persino di essere una spia tedesca, si nascose prima
nella stessa Pietrogrado, poi, dal 12 luglio, in una capanna presso
Razliv e, dal 22 agosto, a Helsinki, in Finlandia, allora regione
dell'Impero russo.
L'ottobre
Il tentativo controrivoluzionario del generale Kornilov, che
tentò di ripristinare il vecchio regime con la connivenza dei
grandi industriali e del partito dei cadetti, per quanto sventato,
compromise definitivamente la credibilità del Governo
provvisorio di Kerenskij a favore dei Soviet e degli stessi
bolscevichi, che avevano sempre appoggiato il passaggio del potere
agli organismi popolari e risultavano ora il primo partito nei
Soviet di Pietrogrado e di Mosca. Tutti i dirigenti bolscevichi
arrestati vennero rilasciati mentre Lenin, dalla
clandestinità, fece pubblicare il 6 settembre l'articolo Sui
compromessi, proponendo la formazione di un governo di menscevichi e
socialisti rivoluzionari che goda della fiducia dei Soviet e che
abbia un programma democratico avanzato. La proposta viene accettata
il 13 settembre dal Comitato centrale del partito. Il 14 si apriva a
Pietrogrado la Conferenza democratica, che avrebbe dovuto discutere
della formazione di un nuovo governo e degli assetti istituzionali
della Repubblica russa ma non riuscì a prendere nessuna
decisione; intanto, attraverso due nuove lettere, I bolscevichi
devono prendere il potere e Il marxismo e l'insurrezione, Lenin,
paventando che reazionari e moderati intendessero abbandonare la
capitale nelle mani dei tedeschi per soffocare la rivoluzione, e
giudicando ormai mature le condizioni, proponeva improvvisamente ai
compagni di partito di preparare segretamente e in tempi brevi
l'insurrezione armata, rifiutando ogni compromesso, definito
«cretinismo parlamentare», con la Conferenza
democratica. Il Comitato centrale bolscevico respinse tuttavia la
sua proposta.
Lenin rientrò allora clandestinamente a Pietrogrado il 9
ottobre: nella riunione del 10 la maggioranza si rovescia a suo
favore, e il partito decide di preparare l'insurrezione armata: una
grave difficoltà viene creata il 18 ottobre con la
pubblicazione sulla rivista «Novaja Žizn'» di una
lettera inviata da Kamenev che, in disaccordo con la maggioranza,
rende di dominio pubblico la preparazione dell'insurrezione; il
dissidio tuttavia rientra e il partito organizza, per la prima volta
nella sua storia, un Politburo incaricato di sovrintendere
all'insurrezione, mentre il Soviet di Pietrogrado, a maggioranza
bolscevica, costituisce un Comitato militare rivoluzionario.
All'alba del 25 ottobre 1917, le guardie rosse, milizie operaie
bolsceviche, e i reggimenti della guarnigione della capitale,
occupano i punti strategici della città e il Palazzo
d'Inverno, sede del governo, arrestando alcuni ministri: altri, fra
cui Kerenskij, riescono a fuggire. La «Rivoluzione
d'ottobre» ha vinto senza quasi incontrare resistenza.
La conquista del potere
Il 26 ottobre il II Congresso panrusso dei Soviet degli operai e dei
soldati dichiara decaduto il governo provvisorio di Kerenskij,
approva i decreti sulla pace e sulla terra: vengono confiscate senza
indennizzo le terre dei proprietari fondiari e della Chiesa;
ratifica la nomina del nuovo governo – il Consiglio dei commissari
del popolo, o Sovnarkom – a capo del quale è Lenin ed
è costituito da soli bolscevichi – e nomina il Comitato
esecutivo centrale panrusso (VCIK), organo facente funzione di
parlamento, che è composto di 101 rappresentanti, dei quali,
per il ritiro dei Socialisti rivoluzionari (SR) di destra e della
maggioranza dei menscevichi dal Congresso dei Soviet, 62 sono
bolscevichi, 29 SR di sinistra e 10 menscevichi internazionalisti;
per attività controrivoluzionaria vengono soppressi dal
Comitato militare rivoluzionario i quotidiani Birževye Vedomosti
(Informazioni della borsa), Den (Il Giorno), giornale menscevico
finanziato dalle banche, Novoe Vremja (Il tempo nuovo) e Russkaja
Volja (La volontà russa), di estrema destra, Russkie
Vedomosti (Informazioni russe) e Reč' (Il discorso), organi dei
cadetti.
Superato il primo momento di sorpresa, si organizza la reazione: il
27 ottobre il generale Duchonin, nel suo Quartier generale di
Mogilëv, si nomina capo dell'esercito e prende contatto con
Kerenskij il quale, con le truppe del generale Krasnov, marcia su
Pietrogrado; il generale Kaledin controlla il sud della Russia dove
ha costituito una "Repubblica dei cosacchi" mentre una parte
dell'Ucraina si costituisce in Repubblica indipendente con capitale
Kiev. A Mosca, il colonnello Rjabtsev, comandante del Distretto
militare, occupa il Cremlino uccidendo centinaia di soldati
disarmati: la guerra civile è di fatto iniziata.
Il generale Duchonin, destituito da Lenin, che pone al suo posto il
sottotenente Krylenko, rifiuta di chiedere l'armistizio ai tedeschi
e fa liberare i generali golpisti Kornilov, Denikin, Lukomskij e
Romanovskij. Prima ancora che Krylenko e le sue truppe giungano a
Mogilëv, Duchonin è arrestato e fucilato dai suoi stessi
soldati. Intanto, le truppe di Krasnov sono battute e si sbandano:
Kerenskij fugge, mentre il generale Krasnov, catturato e rilasciato
sulla parola di non combattere più contro la Rivoluzione, va
nel bacino del Don dove riorganizza un nuovo esercito
controrivoluzionario.
Mentre si costituiscono, dal 28 ottobre, milizie operaie alle
dirette dipendenze del Soviet, un decreto del 10 novembre
stabilisce, per eliminare ogni formale distinzione di classe
sociale, l'abrogazione di ogni privilegio, dei gradi civili, dei
titoli nobiliari e onorifici, e si afferma l'eguaglianza dei diritti
fra uomini e donne.
Il 12 novembre si tengono le elezioni, che si svolgono suffragio
universale, per l'elezione dei membri dell'Assemblea costituente,
avente lo scopo di redigere la nuova costituzione della Russia: su
707 seggi, i SR ne ottengono 410, il 58%, i bolscevichi 175, il 25%,
i partiti nazionalisti 86, il 9%, i cadetti 17 e i menscevichi 16,
il 4% ciascuno. Se per i bolscevichi le elezioni sono una sconfitta,
in parte prevista, il clamoroso successo dei SR è in
realtà solo apparente: già solo due giorni dopo, al
Congresso panrusso dei Soviet dei contadini, i SR si scindono in due
frazioni, delle quali l'ala sinistra ottiene la maggioranza. Il VCIK
viene allargato da 108 membri a 350 (poi ridotti a 200) divenendo il
Comitato esecutivo centrale panrusso degli operai, dei soldati e dei
contadini e tre esponenti della sinistra SR entrano a far parte del
governo.
Il 22 novembre vengono aboliti i precedenti organismi giudiziari e
tutte le leggi incompatibili con il nuovo regime; al loro posto si
costituiscono tribunali popolari locali, eletti dai Soviet
cittadini. Il 6 dicembre vengono requisite le grandi abitazioni, il
7 dicembre viene costituita la Čeka (Commissione straordinaria),
diretta da Dzeržinskij, incaricata di condurre la lotta contro la
controrivoluzione e il boicottaggio e il 27 dicembre vengono
nazionalizzate le banche.
L'Assemblea costituente
La convocazione dell'Assemblea costituente, così come si era
costituita in base al risultato elettorale, avrebbe legittimato
un'opposizione al regime dei Soviet e del governo bolscevico e
infatti tutti i partiti antibolscevichi richiesero l'apertura dei
suoi lavori. Lenin affrontò il problema con le sue Tesi
sull'Assemblea costituente, apparse sulla Pravda del 13 dicembre
1917. Se è vero che «in una Repubblica borghese
l'Assemblea costituente è la forma più alta di
democrazia» è anche vero, secondo Lenin, che tutte le
forze socialdemocratiche le avevano opposto la Repubblica fondata
sui Soviet come «una forma di democrazia più
elevata» e «l'unica forma capace di assicurare il
passaggio al socialismo nel modo meno doloroso». pertanto,
richiedere la convocazione dell'Assemblea significava rifiutare il
passaggio al socialismo, rimanendo «nell'ambito della
democrazia borghese», proprio ora che la rivoluzione d'ottobre
aveva «strappato il dominio politico dalle mani della
borghesia per darlo al proletariato e ai contadini poveri».
Secondo Lenin, «la guerra civile, cominciata con
l'insurrezione controrivoluzionaria dei cadetti e dei seguaci di
Kaledin [...] ha inasprito la lotta di classe e ha eliminato ogni
possibilità di risolvere, per una via formalmente
democratica», i problemi della Russia.
Già dal febbraio 1917 la Rivoluzione antizarista aveva
vissuto il dualismo dei poteri del Governo provvisorio borghese e
del Soviet socialista: ora il governo bolscevico era deciso a
risolverlo. Il sovnarchom convocò l'Assemblea costituente per
il 5 gennaio 1918, mentre il VCIK, convocando il III Congresso
panrusso dei Soviet per l'8 gennaio, preparò un progetto di
Dichiarazione dei Diritti del Popolo Oppresso e Sfruttato, che
l'Assemblea costituente avrebbe dovuto approvare, che all'articolo
1º del I paragrafo recitava: «La Russia è una
Repubblica di Soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei
contadini. Tutti i poteri, centrali e locali, appartengono a questi
Soviet», e al IV paragrafo affermava che «L'Assemblea
costituente, appoggiando il potere sovietico e i decreti del
Sovnarchom, ritiene di esaurire i propri compiti, stabilendo le basi
fondamentali della trasformazione socialista della
società».
L'Assemblea respinse a grande maggioranza la Dichiarazione e
continuò i suoi lavori per tutta la notte finché,
all'alba del 6 gennaio, la minoranza bolscevica e SR di sinistra
abbandonarono la seduta. A quel punto, il comandante della guardia,
il marinaio Železnjakov, fa presente al presidente dell'Assemblea,
Černov, che «la guardia è stanca» e l'Assemblea
va chiusa. Così fu e la Costituente non si riunì
più.
Il 20 gennaio 1918 il governo emise il decreto con il quale viene
riconosciuta a tutti i cittadini la libertà di coscienza - in
particolare la libertà di professare qualunque religione - e,
avendo stabilito il principio della separazione fra Stato e Chiesa,
si abrogano, oltre i privilegi di cui al decreto del 10 novembre,
anche i sussidi statali di cui la Chiesa godeva. L'insegnamento
della religione ortodossa, già obbligatorio nelle scuole
statali, è abolito.
Il trattato di pace
« Abbiamo alzato ora la bandiera bianca della resa;
innalzeremo più tardi, su tutto il mondo, la bandiera rossa
della nostra rivoluzione »
(Lenin commentando la firma del trattato di pace
di Brest-Litovsk del 1918; citato in Antonio Pugliese, Alta marea,
Editrice Sud, Napoli, 1955)
Dopo lunghi e duri contrasti in seno al partito, nel quale Lenin,
che chiedeva di raggiungere la pace al più presto, è
posto più volte in minoranza, il 3 marzo il governo russo
stipula, con il Trattato di Brest-Litovsk, la pace con gli Imperi
Centrali a condizioni durissime: la Russia deve cedere la Polonia,
la Lituania, la Lettonia, l'Estonia, la Finlandia, parte della
Bielorussia, alcuni territori alla Turchia, riconoscere la Rada
ucraina, pagare 6 miliardi di marchi e smobilitare l'esercito e la
marina. I SR di sinistra non solo lasciano il governo ma si avviano
a una politica di netta opposizione.
Il 14 giugno 1918 il VCIK espulse i menscevichi e i SR di destra e
chiede ai soviet locali di fare altrettanto. Il 6 luglio
l'ambasciatore tedesco a Mosca, Wilhelm von Mirbach-Harff, è
assassinato da due SR, membri della Čeka, allo scopo di provocare
l'intervento dell'esercito tedesco in appoggio al contemporaneo
tentativo insurrezionale della capitale: l'operazione è
finanziata dalla Francia. La maggior parte dei delegati SR al V
Congresso panrusso dei Soviet, compresa la dirigente SR Marija
Spiridonova, vengono arrestati e 13 SR, membri della Čeka, sono
fucilati. La Spiridonova confessa di essere la mandante
dell'omicidio ma, riconosciuta inferma di mente, viene liberata
qualche mese dopo.
Con l'aperto intervento straniero in appoggio alla rivolta zarista,
la posizione politica dei menscevichi e dei SR diviene delicata:
essi non potevano sperare nulla da una vittoria dei "Bianchi"
né rimanere indifferenti di fronte all'invasione straniera.
Il congresso menscevico tenuto a Mosca alla fine dell'ottobre 1918
riconosce la «necessità storica» della
Rivoluzione d'ottobre, rifiuta ogni collaborazione con la
controrivoluzione, promette di appoggiare le operazioni militari
contro gli stranieri e chiede la fine della repressione poliziesca e
del «terrore politico ed economico». Analogamente
stabiliva il congresso SR tenuto a Pietrogrado nel febbraio 1919,
cosicché il VCIK riammise, rispettivamente il 30 novembre
1918 e il 25 febbraio 1919 le due formazioni politiche. Ciò
non toglie che la Čeka continuasse a rendere difficile, con arresti
e perquisizioni, la vita dei dirigenti dei due partiti, Dan, Martov,
Cernov, che infatti finirono per emigrare.
La Costituzione della RSFSR
Il 10 luglio 1918 entra in vigore la nuova Costituzione: i primi due
articoli stabiliscono che la Russia è «una Repubblica
di Soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei
contadini», i quali appartengono i poteri centrali e locali,
«istituita sulla base di una libera unione di nazioni libere,
come federazione di repubbliche nazionali sovietiche».
L'articolo 3 delibera che, proponendosi la soppressione di
«ogni sfruttamento dell'uomo sull'uomo, l'annullamento
completo della divisione della società in classi, lo
sterminio completo degli sfruttatori» e l'edificazione del
socialismo, «la proprietà privata della terra è
abolita»; riafferma il «controllo operaio» sulle
fabbriche «per assicurare il potere dei lavoratori sugli
sfruttatori»; annulla tutti i prestiti contratti dal governo
zarista, «primo colpo portato al capitale finanziario
internazionale delle banche», che sono nazionalizzate;
stabilisce il lavoro obbligatorio «per annientare le classi
parassite della società»; decreta «l'armamento
degli operai e dei contadini, la formazione dell'Armata rossa
socialista degli operai e dei contadini e il disarmo completo delle
classi possidenti».
L'articolo 65 stabilisce che non possono essere né elettori
né eleggibili «a) le persone che impiegano salariati
con lo scopo di aumentare il loro profitto; b) le persone che vivono
di redditi non derivanti dal loro lavoro, come: rendite utili su
fabbricati, profitti su immobili, ecc.; c) i commercianti privati e
i mediatori di commercio; d) i frati, i cappellani di culto e delle
chiese; e) gli impiegati e gli agenti della vecchia polizia, del
corpo scelto dei gendarmi, delle sezioni della polizia segreta e i
membri delle ex-famiglie regnanti; f) gli alienati, i deboli di
mente e le persone sotto tutela; g) i condannati per furto e delitti
infamanti».
Il Terrore rosso
Nell'estate 1918 le truppe controrivoluzionarie cecoslovacche
avanzano rapidamente verso Ekaterinburg, dove il deposto Nicola II
si trova agli arresti con la sua famiglia. Il 16 luglio, Sverdlov
con il beneplacito di Lenin[49] ordina al commissario Jurovskij
l'eliminazione di Nicola II, della moglie Aleksandra Fëdorovna,
e dei figli Ol'ga, Tat'jana, Marija, Anastasija e Aleksej,
unitamente a membri del loro seguito anch'essi detenuti. La notizia
dell'esecuzione a Mosca viene data mentre Lenin ascolta la
discussione sui provvedimenti sanitari proposta dal commissario per
la sanità Semaško; c'è "silenzio generale" fino a
quando Lenin non propone di continuare la lettura della relazione.
Il comunicato ufficiale diramato dall'"Izvéstija" del 19
luglio proclama l'avvenuta fucilazione dello zar, ma non menziona la
famiglia, che anzi dichiara "trasferita in un luogo sicuro". La
Chiesa ortodossa russa ha canonizzato nel 2000 Nicola II e la sua
famiglia come martiri.
Ai primi di agosto lasciano la Russia gli ambasciatori delle potenze
dell'Intesa, che decide di appoggiare direttamente la
controrivoluzione: il 15 agosto 1918 truppe inglesi e americane
sbarcano ad Arcangelo e a Murmansk, mentre il 30, a Mosca, la
socialista rivoluzionaria Fanny Kaplan, con due colpi di rivoltella,
ferisce gravemente Lenin e a Pietrogrado è ucciso il
dirigente della Čeka Uritskij. Il Governo concede alla Čeka
un'autorità illimitata, autorizzando la fucilazione senza
processo di tutti i criminali politici e degli speculatori,
l'arresto dei socialisti rivoluzionari di destra, la presa di
ostaggi fra i borghesi e gli ufficiali: il 7 settembre vengono rese
note 512 fucilazioni a Pietrogrado, un centinaio a Kronštadt, 60 a
Mosca, 86 a Perm, 41 a Novgorod.
Il VCIK, il 25 ottobre, dichiara che «vista la situazione, il
terrore, come mezzo di sicurezza, s'impone. È indispensabile,
se si vuole salvare la repubblica sovietica contro i suoi nemici,
isolare questi ultimi in campi di concentramento e fucilare tutti
coloro che saranno sorpresi nelle organizzazioni, nei complotti e
nelle sommosse delle guardie bianche»; è la chiara,
speculare risposta a dichiarazioni come quella del generale bianco
Denisov, il quale afferma che «è necessario sterminare
senza pietà le persone che fossero scoperte a collaborare con
i bolscevichi».
Il comunismo di guerra
Nel corso del 1918 era scoppiata la guerra civile tra le "armate
bianche", che lottavano per la restaurazione dell'impero zarista
(esse trovarono in alcune zone l'iniziale appoggio delle masse
rurali contrarie alle requisizioni effettuate dal governo sovietico,
ma poi lo persero per la volontà dei "bianchi" di restaurare
sistematicamente nei territori conquistati tutti gli antichi
privilegi della nobiltà e del clero), e le "armate rosse"
comuniste.
Le armate bianche erano finanziate e appoggiate militarmente dalle
potenze dell'Intesa (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Giappone e
Italia), contrarie alla nascita di uno stato anticapitalista. Le
armate rosse dovevano anche affrontare una guerra contro la Polonia
per il possesso di ampie zone di confine (che si concluderà
col trattato di Riga del 1921) e le numerose sommosse anti-comuniste
promosse da contadini, menscevichi e populisti.
Truppe bolsceviche impegnate nella guerra civile
In conseguenza della situazione precaria, Lenin (con l'appoggio
degli altri dirigenti del partito bolscevico), al fine di poter
vincere la guerra e poter quindi realizzare la rivoluzione
socialista e l'eliminazione della "classe borghese",
autorizzò la promulgazione e l'attuazione di una serie di
provvedimenti (in vigore tra il 1918 ed il 1921), che vanno
complessivamente sotto il nome di "comunismo di guerra".
Vengono decisi il razionamento delle derrate alimentari e la
requisizione forzata delle eccedenze cerealicole dei contadini (la
popolazione rurale rispose con sollevazioni ai tentativi del governo
di sequestrare le derrate agricole, le quali furono duramente
represse), il che, in comune con i danni causati dagli scontri della
guerra civile e dalla prima guerra mondiale, causò carestie
che provocarono (tra il 1918 ed il 1922) la morte di un numero di
persone stimato fra i 2 ed i 5 milioni, soprattutto tra le
più indigenti.
Il comunismo di guerra consistette principalmente nel controllo
statale della produzione (per fini bellici) e della distribuzione di
alimenti e prodotti (che dovevano essere razionati per le esigenze
legate alla guerra). La politica di razionamenti avrebbe determinato
la crisi dell'economia di scambio basata sulla moneta a favore di
una forma di economia basata sul baratto (il governo russo
ovvierà a tale situazione a partire dal 1921).
Per le esigenze legate alla produzione bellica, viene vietato lo
sciopero e viene attuata la militarizzazione del lavoro, con turni
di lavoro forzato.
Per impedire la diffusione tra il popolo di idee
controrivoluzionarie ritenute "pericolose", viene soppressa la
libertà d'opinione, viene reintrodotta (essa era stata
abrogata subito dopo la rivoluzione d'ottobre) la pena di morte (per
il solo ma vago reato di "controrivoluzione"), viene abolita la
libertà di stampa (con conseguente ufficializzazione della
censura, già praticata), si inizia la persecuzione di tutti
coloro che vengono considerati "non lavoratori" e amplissimi poteri
vengono dati alla čeka, la polizia politica che diviene il simbolo
della repressione leniniana (il cosiddetto "terrore rosso", che
determinò la morte o la detenzione di migliaia di civili;
Lenin, basandosi sull'esperienza francese, considerava il terrore
indispensabile per la realizzazione di una qualsiasi
rivoluzione).[53]
La NEP
Col decimo congresso del Partito comunista nel marzo 1921, Lenin
annuncia l'abbandono del "comunismo di guerra" e l'inizio la "Nuova
Politica Economica" (NEP), come già preannunciato nel saggio
"L'estremismo, malattia infantile del comunismo", scritto
nell'aprile 1920.
Egli rinuncia alla realizzazione immediata di un sistema economico
pianificato (di cui era possibile ravvisare alcuni elementi come il
GOELRO la Commissione di Stato per L'Elettrificazione della Russia
istituita nel febbraio del 1920),[54] già durante il periodo
del "comunismo di guerra" ed in quello immediatamente precedente,
giudicando non pronta la popolazione: si ha la sostituzione delle
requisizioni ai contadini con un'imposta in natura, la restaurazione
della libertà di commercio e della proprietà privata
delle piccole e medie imprese, l'abolizione del controllo operaio,
la reintroduzione del cottimo e il ristabilimento dell'azione
sindacale. La scelta di abbandonare il comunismo di guerra viene
presa dopo una serie di ribellioni operaie e dopo l'ammutinamento
della base navale di Kronštadt (tra il 1º e il 17 marzo 1921),
i cui soldati erano stati determinanti nella presa di Pietrogrado
durante la Rivoluzione d'ottobre.
Gli ultimi anni e la morte
Al X congresso del partito viene decisa la lotta al "frazionismo" e
si istituzionalizza il divieto di creare correnti in seno al
partito. In tale occasione, il partito viene epurato di circa un
terzo dei suoi membri e viene attribuita alla Segreteria di Partito
il potere di scegliere i delegati al congresso dei soviet.
Nel 1921 si ha la reintroduzione nelle scuole dei sistemi educativi
tradizionali, integrati con la propaganda di partito. Si ha inoltre
la creazione di associazioni giovanili a carattere ideologico
socialista: i "Pionieri" (cui sono iscritti i bambini sino ai 15
anni) e la "Gioventù Comunista" o "Komsomol" (cui sono
iscritti i ragazzi al di sopra dei 15 anni), che seleziona i
candidati al partito (nella fase iniziale queste organizzazioni non
erano di massa).
Il 6 febbraio 1922 la Čeka viene sciolta e sostituita dalla GPU, una
nuova polizia politica che nasce ufficialmente per ripristinare la
"legalità rivoluzionaria" e per porre fine alle procedure
extragiudiziarie.
« Tuttavia, la GPU mantiene gli organici della Čeka ed ottiene
la facoltà di poter punire (anche con la morte) senza
processo tutti coloro che vengono considerati responsabili di
banditismo. »
(16 ottobre )
Nel marzo viene decisa la requisizione degli oggetti di culto
preziosi appartenenti al clero, ufficialmente allo scopo di
rimediare agli effetti della carestia che si erano accompagnate
durante la guerra. Infatti si ebbero circa un migliaio di episodi di
"resistenza", a seguito dei quali i Tribunali rivoluzionari
comminarono la pena di morte a 28 vescovi e 1215 preti e la pena
detentiva a circa 100 vescovi e diecimila preti.[53] In dicembre
viene organizzata una campagna pubblica per irridere il Natale;
simili manifestazioni si avranno l'anno seguente anche in occasione
della pasqua e della festa ebraica del Yom Kippur.
Nel medesimo anno viene creata la carica di segretario generale del
partito (che viene ricoperta da Stalin).
Il 30 dicembre la Russia si trasforma in Unione Sovietica (il
Partito Comunista Russo diventerà Partito Comunista
dell'Unione Sovietica).
Lenin spese gli ultimi anni della propria vita, una volta conclusa
la guerra e resosi conto delle proprie precarie condizioni di
salute, principalmente nel cercare di designare il suo "successore"
alla guida del partito.
Subisce il primo attacco della sua malattia il 25 maggio 1922 (un
ictus che comporta un parziale deficit del lato destro del corpo,
tanto che è costretto a imparare a scrivere con la sinistra);
solo il 2 ottobre comincia a tornare all'attività ma il 16
dicembre subirà un secondo attacco, il 23 dicembre riprende
forze e lucidità ma le sue condizioni si aggravarono
progressivamente, dal 6 marzo 1923 non è più in grado
di comunicare, fino alla completa paralisi ed alla morte il 21
gennaio 1924.
Data la giovane età di Lenin (aveva solo 53 anni alla data
della morte), si sono diffuse nel tempo diverse teorie riguardanti
la morte di Lenin: vi fu e vi è chi sostiene che la causa
della prematura morte di questi sia da rintracciare in una forma di
sifilide. A seguito di un'autopsia compiuta sul cadavere (poco tempo
dopo dal decesso) per conto del governo russo, la causa ufficiale
della morte venne identificata in un'aterosclerosi cerebrale.
Tuttavia solo 8 dei 27 medici curanti concordarono che
l'aterosclerosi fosse la vera causa della morte e perciò solo
costoro firmarono il referto autoptico.
Il "testamento" di Lenin
« Il compagno Stalin, divenuto segretario generale, ha
concentrato nelle sue mani un immenso potere, e io non sono sicuro
che egli sappia servirsene sempre con sufficiente prudenza. D'altro
canto, il compagno Trotsky come ha già dimostrato la sua
lotta contro il CC nella questione del commissariato del popolo per
i trasporti, si distingue non solo per le sue eminenti
capacità. Personalmente egli è forse il più
capace tra i membri dell'attuale CC. »
(Lenin)
« Stalin è troppo grossolano, e
questo difetto, del tutto tollerabile nell'ambiente e nei rapporti
tra noi comunisti, diventa intollerabile nella funzione di
segretario generale. Perciò propongo ai compagni di pensare
alla maniera di togliere Stalin da questo incarico e di designare a
questo posto un altro uomo che, a parte tutti gli altri aspetti, si
distingua dal compagno Stalin solo per una migliore qualità,
quella cioè di essere più tollerante, più
leale, più cortese e più riguardoso verso i compagni,
meno capriccioso, ecc. Questa circostanza può apparire una
piccolezza insignificante. Ma io penso che, dal punto di vista
dell'impedimento di una scissione e di quanto ho scritto sopra sui
rapporti tra Stalin e Trotsky, non sia una piccolezza, ovvero sia
una piccolezza che può avere un'importanza decisiva. »
(Lenin)
La lettera al Congresso, meglio conosciuta come "testamento",
è un insieme di documenti dettati da Lenin a sua moglie e
alla sua stenografa Maria Volodicheva tra il dicembre del 1922 e il
gennaio del 1923, durante il suo soggiorno nella casa di cura di
Gorky. Nella prima parte della lettera Lenin avanzò la
necessità di aumentare l'effettivo del Comitato Centrale
facendovi entrare operai e contadini (50-100 membri) e
delineò i ritratti dei maggiori esponenti del partito
candidati alla sua successione. Nella seconda parte del testo, Lenin
propose esplicitamente al Congresso la rimozione di Stalin
(giudicato "troppo grossolano") dalla carica di segretario generale
del partito. Egli riteneva indispensabile rendere noto il contenuto
dopo la sua morte ma il XIII Congresso del PCUS decise
all'unanimità di non rendere il testamento di dominio
pubblico. Soltanto nel 1956, durante il XX Congresso del PCUS,
Nikita Chruščëv svelò l'esistenza di questo documento
che successivamente fu pubblicato integralmente da alcune
Organizzazioni Comuniste Internazionaliste.
La rottura con Stalin però, si percepì anche prima
della stesura del testamento. Durante la malattia di Lenin infatti,
Stalin costrinse i medici a imporre misure molto restrittive al
malato, impedendogli di fatto qualsiasi attività, addirittura
non poteva ricevere documenti o notizie dai suoi assistiti,
né scrivere sotto dettatura. Il 21 dicembre 1922 Lenin
dettò alla moglie una breve lettera per Trotsky ma quando
Stalin ne fu informato, reagì con brutalità,
rimproverando e aggredendo verbalmente la Krupskaja. Quando Lenin fu
informato dell'accaduto il 5 marzo 1923, dopo averlo definito
"insolente", minacciò Stalin di interrompere qualsiasi
rapporto con lui se non avesse chiesto scusa a sua moglie.
Il culto della salma
Subito dopo la morte, il 23 gennaio, la salma fu trasferita da
Gorkij a Mosca, dove ricevette l'ultimo saluto dalla folla che
sfidò il gelido inverno russo per l'ultimo omaggio al capo
della rivoluzione. Il 26 gennaio fu celebrata una cerimonia nel
grande teatro di Mosca e all'uscita, mentre il feretro percorreva la
Piazza Rossa, l'enorme folla accorsa intonò l'Internazionale.
In tutta la Russia le attività cessarono, la città
natale di Lenin, Simbirsk, fu chiamata in sua memoria Uljanovsk, e
Pietrogrado (l'antica Pietroburgo) prese il nome di Leningrado.
Stalin e soprattutto Feliks Dzeržinskij, capo della Čeka, vollero
fare del corpo di Lenin un simbolo da esporre e da venerare in un
apposito mausoleo ai piedi delle mura del Cremlino, nonostante egli
avesse espressamente dichiarato di voler essere seppellito accanto
ai suoi compagni. All'inizio si pensò di congelare il corpo,
ma il rapido deteriorarsi nell'attesa che venisse costruita
un'apposita camera refrigerata ne rese necessaria l'imbalsamazione.
Neppure i ripetuti appelli della vedova di rispettare le ultime
volontà del marito, servirono a far cambiare idea a Stalin.
L'anatomista ucraino Vladimir Vorobiov e il dottor Boris Zbarsky, a
capo di un gruppo di medici, utilizzarono una tecnica che non
è stata ancora completamente svelata. Da più di
ottant'anni la salma viene fatta oggetto di trattamenti periodici e
attenzioni costanti affinché conservi sempre un aspetto "da
vivente": oltre ad essere ispezionata settimanalmente per rivelare
eventuali tracce di muffa o fenomeni degenerativi, ogni anno e mezzo
viene immersa per trenta giorni in un bagno di glicerolo e acetato
di potassio.
Pensiero e opere di Lenin
La concezione del partito come avanguardia rivoluzionaria e la
coscienza di classe
Nel marzo 1902, Lenin pubblicò presso l'editore Dietz di
Stoccarda il saggio Che fare?, composto dal maggio 1901 al febbraio
1902. Riprendendo il titolo di un noto romanzo dello scrittore russo
Nikolaj Gavrilovič Černyševskij, che aveva affascinato più di
una generazione di rivoluzionari russi, Lenin polemizza contro gli
economicisti, per i quali «gli operai devono condurre una
lotta economica [...] che abbracci anche la politica specificamente
operaia, gli intellettuali marxisti devono fondersi con i liberali
per la lotta politica»; in questo modo, secondo Lenin, essi
finiscono per negare ogni funzione rivoluzionaria del partito. Negli
anni novanta ci fu una notevole estensione di scioperi spontanei:
«Presi per sé, questi scioperi costituivano una lotta
tradunionistica, ma non ancora socialdemocratica; annunciavano il
risveglio dell'antagonismo tra operai e padroni, ma gli operai non
avevano e non potevano avere ancora la coscienza dell'irriducibile
antagonismo fra i loro interessi e tutto l'ordinamento politico e
sociale contemporaneo, cioè la coscienza socialdemocratica.
Gli scioperi della fine del secolo…restavano un movimento puramente
spontaneo». La classe operaia, lasciata sola di fronte alle
proprie condizioni, non supera i limiti dell'economicismo, del
sindacalismo, non mette in discussione il sistema economico e
sociale e resta succube della borghesia.
La coscienza politica socialista, secondo Lenin, è la
comprensione del rapporto che lega il capitalista all'ordinamento
economico, alle istituzioni politiche e allo Stato. È
illusorio credere di poter combattere il proprio avversario di
classe senza combattere l'ordinamento che lo difende e di cui
è espressione. Per questo non bastano i sindacati ma è
necessario un partito: «La socialdemocrazia rivoluzionaria ha
sempre compreso nella propria azione la lotta per le riforme [...]
ma anche e innanzi tutto la soppressione del regime
autocratico». Il pensiero politico socialista non è
nato in conseguenza delle lotte economiche operaie, ma fu lo
sviluppo del pensiero di intellettuali rivoluzionari: «La
coscienza politica di classe può essere portata all'operaio
solo dall'esterno, cioè dall'esterno delle lotte economiche,
della sfera dei rapporti fra operai e padroni. Il solo campo dal
quale è possibile raggiungere questa coscienza è il
campo dei rapporti di tutte le classi, di tutti gli strati della
popolazione con lo Stato e con il governo, il campo dei rapporti
reciproci di tutte le classi».
Nel luglio 1903, nel corso del II Congresso del Partito
socialdemocratico russo tenuto a Bruxelles e poi a Londra, emersero
contrasti tra i socialisti russi: da un lato i bolscevichi
(maggioritari), guidati da Lenin e Plechanov, sostengono la
necessità di un partito fortemente centralizzato, diretto da
rivoluzionari di professione, dall'altro i menscevichi (minoritari),
Aksel'rod, Vera Zasulic e Martov, sostenevano la concezione di un
partito più aperto alla società civile.
In Un passo avanti, due indietro (1904) Lenin commenta l'esito del
II Congresso del Partito socialdemocratico russo e completa la sua
teoria del partito, che per lui è un'organizzazione costruita
dall'alto verso il basso: considerare autoritaria e burocratica
questa concezione, come sostengono i menscevichi, ma anche la
socialdemocratica (poi comunista) tedesca Rosa Luxemburg, «con
la loro tendenza ad andare dal basso in alto, dando a qualsiasi
professore, a qualsiasi studente di ginnasio, a ogni scioperante la
possibilità di annoverarsi tra i membri del partito»,
significa privilegiare il movimento e la spontaneità contro
la coscienza critica, significa diminuire il valore dell'iniziativa
politica, avere una concezione deterministica dello sviluppo sociale
- illudendosi di un presunto inevitabile crollo del capitalismo - e
abbandonarsi alla politica del contingente, del caso per caso.
Pur essendo il partito della classe operaia, il partito non
può identificarsi con essa, perché il partito
rivoluzionario è la coscienza politica e teorica
dell'avanguardia della classe, e questa avanguardia non può
coincidere con coscienza politica di tutta la classe operaia:
«Sarebbe codismo pensare che, con il capitalismo, tutta la
classe operaia sia capace di elevarsi alla coscienza e
all'attività dell'avanguardia [...]: dimenticare la
differenza che esiste tra l'avanguardia e le masse che gravitano su
di essa, dimenticare il dovere dell'avanguardia di elevare strati
sempre più vasti al suo livello, vorrebbe dire ingannare se
stessi»
Materialismo ed empiriocriticismo
Nel 1909 Lenin pubblicò Materialismo ed empiriocriticismo, in
polemica con il compagno di partito Aleksandr Bogdanov, uno dei
fondatori del bolscevismo e dirigente della corrente di sinistra,
con un ruolo preminente nel 1905), il quale sosteneva che l'unica
realtà è costituita dall'esperienza e che il marxismo
vada aggiornato sulla base delle conclusioni degli scienziati
positivisti (Bogdanov stesso era uno scienziato). La posizione
filosofica di Bogdanov venne valutata da Lenin una variante
dell'empiriocriticismo di Richard Avenarius e di Ernst Mach, sebbene
Bogdanov proponesse una visione parzialmente diversa, basata
sull'unificazione delle esperienze psichiche e fisiche, da lui
denominata empiriomonismo.
Ernst Mach
Restando sul solco di Plechanov, Lenin afferma che «l'unica
proprietà della materia [...] è la proprietà di
essere una realtà obiettiva, di esistere fuori della nostra
coscienza [...]. Le nostre sensazioni, la nostra coscienza, sono
solo l'immagine del mondo esterno». Pertanto, secondo Lenin,
seguendo Engels, la realtà non è, come sostengono gli
empiriocriticisti, «una forma organizzatrice
dell'esperienza», ma è il modo di essere dell'oggetto a
cui il pensiero umano si avvicina secondo una dialettica fra
verità assoluta e relativa: il soggetto è il cervello
umano, «materia organizzata in un certo modo», che segue
le stesse leggi della materia.
Lenin sostiene questa polemica senza avere potuto conoscere tutta
l'elaborazione filosofica di Marx, pubblicata dopo la sua morte.
Più tardi tenterà una rifondazione teorica dei
presupposti filosofici marxisti nel breve articolo Tre fonti e tre
parti integranti del marxismo, dove ripete la spiegazione di Engels
secondo cui il marxismo è il prodotto originale del confluire
di tre grandi filoni di pensiero rappresentativi dei «punti
più elevati» raggiunti dal pensiero europeo nel secolo
precedente: il socialismo francese, la filosofia tedesca e
l'economia inglese.
Non tutti i seguaci della politica leninista hanno condiviso tutte
le riflessioni filosofiche di Lenin, in particolare la teoria del
«riflesso». Il problema è il ruolo della prassi,
concetto centrale nel pensiero filosofico di Marx. Se la
verità è l'adeguamento del soggetto conoscente
all'oggetto esistente di per sé, si contraddice forse la
centralità del ruolo della prassi enunciata da Marx nelle sue
Tesi su Feuerbach. Se la prassi - l'attività del soggetto
sull'oggetto - è la mediazione fra conoscente e conosciuto,
è il mezzo stesso del conoscere, essa diviene in Lenin una
mera derivazione del riflesso.
L'imperialismo
Dal 1912 al 1916 studia il fenomeno dell'imperialismo. Già il
socialdemocratico austriaco Rudolf Hilferding nel suo Il capitale
finanziario, nel 1909, aveva individuato nella formazione del
capitale finanziario - fusione di capitale bancario e industriale -
la premessa delle politiche imperialistiche. Lenin gli rimprovera di
trascurare la divisione del mercato mondiale operata dai trust
internazionali e la formazione di una classe parassitaria di
possessori di reddito azionario: «il capitalismo ha la
proprietà di staccare il possesso del capitale dal suo
impiego nella produzione, il capitale liquido dal capitale
industriale e produttivo, di separare il 'rentier', che vive
soltanto del profitto tratto dal capitale liquido, dall'imprenditore
[...] l'imperialismo, cioè l'egemonia del capitale
finanziario, è lo stadio supremo del capitalismo in cui tale
separazione assume le maggiori dimensioni».
Ne sono conseguenze i diversi fenomeni speculativi, finanziari, di
Borsa, dei terreni, immobiliari. Se la forma dominante del capitale
non è più quella industriale, ma è quella
finanziaria, se «per il vecchio capitalismo, sotto il pieno
dominio della libera concorrenza, era caratteristica l'esportazione
di merci, per il nuovo capitalismo, sotto il dominio dei monopoli,
è caratteristica l'esportazione del capitale [...] la
necessità dell'esportazione di capitale è determinata
dal fatto che in alcuni paesi il capitalismo è diventato
più che maturo e al capitale [...] non rimane più un
campo di investimento redditizio».
In questa fase, secondo la visione leniniana, si mostra più
palesemente il carattere antisociale e l'irrazionalità del
capitalismo e la conflittualità che esso provoca fra la sua
necessità di profitto e i bisogni sociali della popolazione.
Si può riassumere la definizione leniniana di imperialismo
come «capitalismo giunto alla fase dello sviluppo in cui si
è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario,
ha acquisito grande importanza l'esportazione dei capitali, è
iniziata la divisione del mondo fra i trust internazionali e i
maggiori paesi capitalistici si sono divisi l'intera superficie
terrestre».
Stato e rivoluzione
Seguendo Marx ed Engels, Lenin sostiene che lo Stato - qualunque
Stato - è l'organo con il quale la classe dominante esercita
il suo potere: «la dittatura di una sola classe è
necessaria non solo per ogni società classista in generale,
non solo per il proletariato dopo aver abbattuto la borghesia, ma
per l'intero periodo storico che separa il capitalismo dalla
"società senza classi", dal comunismo. Le forme degli Stati
borghesi sono straordinariamente varie, ma la loro sostanza è
unica: tutti questi Stati sono [...] una dittatura della borghesia.
Il passaggio dal capitalismo al comunismo, naturalmente, non
può non produrre un'enorme abbondanza e varietà di
forme politiche, ma la sostanza sarà inevitabilmente una
sola: la dittatura del proletariato».
Come una democrazia borghese resta, secondo Lenin, una forma di
dittatura esercitata con i mezzi dello Stato, così anche una
democrazia socialista sarà una dittatura del proletariato:
«la democrazia non si identifica con la sottomissione delle
minoranza alla maggioranza. La democrazia è uno Stato che
riconosce la sottomissione della minoranza alla maggioranza,
cioè l'organizzazione sistematica della violenza esercitata
da una classe contro un'altra, da una parte della popolazione contro
l'altra».
A differenza della società borghese, che considera lo Stato
una necessità permanente per la sua esistenza, nella
società socialista lo Stato è destinato a estinguersi
e dovrà essere organizzato in modo che cominci a estinguersi:
«Noi ci assegniamo come scopo finale la soppressione dello
Stato, cioè di ogni forma organizzata e sistematica di ogni
violenza esercitata contro gli uomini in generale. Noi non
auspichiamo l'avvento di un ordinamento sociale in cui non venga
osservato il principio della sottomissione della minoranza alla
maggioranza. Ma, aspirando al socialismo, abbiamo la convinzione che
esso si trasformerà in comunismo, e che scomparirà
quindi ogni necessità di ricorrere in generale alla violenza
contro gli uomini [...] perché gli uomini si abitueranno a
osservare le condizioni elementari della convivenza sociale, senza
violenza e senza sottomissione».
Risposta alle critiche socialdemocratiche
Alle critiche, di origine socialdemocratica, che considerano la
Russia immatura per il socialismo, nel 1923 Lenin risponderà:
« ..ma un popolo che era davanti a una situazione
rivoluzionaria, quale si era creata nella prima guerra imperialista,
sotto l'imminenza di questa situazione senza via di uscita, non
poteva forse gettarsi in una lotta che gli apriva almeno qualche
speranza di conquistarsi condizioni non del tutto ordinarie per un
ulteriore progresso della civiltà?
La Russia non ha raggiunto il livello di sviluppo delle forze
produttive sulla base del quale è possibile il socialismo.
Tutti gli eroi della II Internazionale... presentano questa tesi
come oro colato... la considerano decisiva per l'apprezzamento della
nostra rivoluzione.
Ma che cosa fare se l'originalità della situazione ha innanzi
tutto condotto la Russia nella guerra imperialista mondiale, nella
quale erano coinvolti tutti i paesi dell'Europa occidentale che
avevano una qualche influenza, ha creato per il suo sviluppo...
condizioni in cui noi potevamo attuare precisamente quella unione
della guerra dei contadini con il movimento operaio, di cui parlava,
come di una prospettiva possibile, un marxista come Marx, nel 1856,
a proposito della Prussia?
Che fare se la situazione, assolutamente senza vie d'uscita,
decuplicava le forze degli operai e dei contadini e ci apriva
più vaste possibilità di creare le premesse
fondamentali della civiltà, su una via diversa da quella
percorsa da tutti gli altri Stati dell'Europa occidentale? Forse che
per questo la linea generale dello sviluppo della storia mondiale si
è modificata? Si sono forse perciò cambiati i rapporti
fondamentali tra le classi principali di ogni Stato...?
Se per creare il socialismo occorre un certo grado di cultura
(quantunque nessuno possa dire quale sia di preciso questo certo
grado di cultura, dato che esso è diverso in ogni Stato
dell'Europa occidentale), perché non dovremmo allora
cominciare con la conquista, per via rivoluzionaria, delle premesse
necessarie per questo certo grado, in modo da potere in seguito -
sulla base del potere operaio e contadino e del regime sovietico -
metterci in marcia per raggiungere gli altri popoli?... »
Opere di Lenin
Opere complete, 45 voll., Roma, Rinascita-Editori
Riuniti, 1955-1970