Lenin

 

da Fornero, Tassinari - Le filosofie del Novecento (Bruno Mondadori, Milano 2002)

15. Il marxismo dopo Marx

6. Lenin, stratega e pensatore

a) La teoria del partito

Nell'opera di Lenin (1870-1924) emerge soprattutto la figura dello stratega, dedito com'egli fu lungo tutta la sua vita, instancabilmente, all'organizzazione e alla direzione delle lotte del proletariato russo contro lo zarismo prima, alla realizzazione della rivoluzione socialista e alla costruzione dello Stato socialista poi. Tutti i suoi scritti sono direttamente riferiti alla lotta politica, ubbidiscono a precisi obiettivi da raggiungere, sono diretti contro precisi avversari, legati a precise circostanze storiche. Non fanno eccezione neppure i saggi filosofici e, comunque, gli scritti più legati all'elaborazione teorica. Se questo testimonia della coerenza marxistica di Lenin nel tenere indissolubilmente unite teoria e prassi, può, per altro verso, nuocere, soprattutto sul terreno filosofico, al rispetto della complessità dei problemi e sospingere, sotto l'incalzare delle sollecitazioni politiche, a una troppo sbrigativa semplificazione delle soluzioni.

Vladimir Il'ic Ul'janov, detto Lenin, nasce a Simbirsk nel 1870 da una famiglia della piccola borghesia intellettuale. Ha diciassette anni quando un suo fratello maggiore, Aleksandr, aderente al movimento dei nichilisti, viene giustiziato per aver partecipato alla preparazione di un attentato alla vita dello zar; da quel giorno il giovane Vladimir si convince della sterilità della lotta antizarista degli anarchici. Studente presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Kazan, ne viene espulso per i suoi comportamenti ribelli nei confronti delle autorità accademiche, e solo con difficoltà riesce a laurearsi nel 1891 presso l'Università di Pietroburgo. Attraverso la lettura di Marx e di Engels e lo studio della realtà economica russa Lenin aderisce assai presto alle idee marxiste, anche per influenza di Georgi] Valentinovic Plechanov (1857-1918), che conosce nel 1895 in Svizzera, il più prestigioso esponente russo del pensiero marxista che fin dal 1882 aveva tradotto in russo il Manifesto del partito comunista. Attivo nella propaganda rivoluzionaria clandestina, Lenin viene arrestato e condannato a tre anni di confino in Siberia, durante i quali scrive il suo primo saggio importante, Lo sviluppo del capitalismo in Russia, pubblicato nel 1899.

Contro i populisti, assertori di una prospettiva rivoluzionaria che prevedeva la realizzazione del socialismo partendo dalle strutture comunitarie del mondo contadino russo, senza dover passare attraverso l'esperienza del capitalismo, Lenin dimostra, attraverso una documentatissima analisi, che il capitalismo è già penetrato nelle campagne russe, tanto da essere la formazione economico-sociale avviata a divenire dominante. Lo sviluppo del mercato, la stratificazione della popolazione contadina, la formazione di un consistente proletariato agricolo, l'industrializzazione dell'agricoltura: tutti segni evidenti dell'affermazione del capitalismo agrario.

Quest'indagine risponde a un chiaro scopo politico: mostrare che anche in Russia sussistono già le condizioni per la nascita di un partito socialdemocratico di ispirazione marxista, capace di dare avvio all'organizzazione del proletariato sulla base di un programma socialista. E appunto in quegli anni nasceva il Partito socialdemocratico russo per iniziativa di Plechanov, Martov e dello stesso Lenin che, dalla lontana Siberia, invia il suo contributo per la determinazione del programma del nuovo partito.

Il primo grande tema della riflessione di Lenin, una volta tornato nel 1899 in libertà, è, per l'appunto, il problema di quale partito costruire e con quale modello organizzativo, in un paese a ritardato sviluppo capitalistico, privo di libertà politiche e sindacali, con un proletariato di fabbrica fortemente concentrato in ristrettearee del territorio e circondato da un'immensa marea contadina. Nel 1902, alla vigilia del Congresso del Partito socialdemocratico russo, che si sarebbe svolto a Bruxelles nel 1903 e avrebbe sancito la spaccatura tra i seguaci di Lenin, i bolscevichi, e i seguaci di Martov, i menscevichi, Lenin pubblica il Che fare?, nel quale espone la propria teoria del partito. Questa si fonda sulla premessa, condivisa con Kautsky, che la visione complessiva dei rapporti di produzione, dei rapporti tra le classi, tra economia e politica, indispensabile perché si possa avere un partito capace di guidare il proletariato, non potrebbe mai essere il prodotto della coscienza spontanea della classe operaia:

La storia di tutti i paesi attesta che la classe operaia, con le sole sue forze, è in grado di elaborare soltanto una coscienza tradunionistica, cioè la convinzione della necessità di unirsi in sindacati, di condurre la lotta contro i padroni, di reclamare dal governo questa o quella legge necessaria agli operai, eccetera.

Pertanto, la consapevolezza del radicale antagonismo tra il proletariato e l'ordinamento della società capitalistica, quella che Lenin chiama coscienza politica di classeossia la coscienza rivoluzionaria, può «essere portata all'operaio "solo dall'esterno", cioè dall'esterno della lotta economica, dall'esterno della sfera dei rapporti tra operai e padroni». Infatti,

il campo dal quale soltanto è possibile attingere questa coscienza è il campo dei rapporti di "tutte" le classi e di tutti gli strati della popolazione con lo Stato e con il governo, il campo dei rapporti reciproci di "tutte" le classi.

Questo vuol dire che, affinché l'esperienza immediata che l'operaio vive dello sfruttamento capitalistico possa maturare fino a farsi coscienza rivoluzionaria, occorre una teoria generale della società che dia fondamento scientifico alla prospettiva del comunismo e che può essere fornita soltanto da intellettuali in possesso dei necessari strumenti critici del pensiero, i quali non possono essere che di origine borghese.

Da questo presupposto Lenin, però, trae una concezione del partito ben diversa da quella kautskyana, che aveva trovato traduzione pratica nell'organizzazione della socialdemocrazia tedesca. Se il partito deve essere lo strumento attraverso il quale la teoria rivoluzionaria penetra nella coscienza del proletariato, esso non può che essere formato da uomini che dedichino interamente il loro tempo all'attività teorico-pratica necessaria per l'organizzazione politica delle masse operaie. Un partito, dunque, fatto di «rivoluzionari di professione» che devono «andare in tutte le classi della popolazione come teorici, come propagandisti, come agitatori e come organizzatori».3 Un partito fortemente coeso e centralizzato, che deve costituirsi non già in base a un processo spontaneo, che mai consentirebbe il passaggio dalla lotta economica "dentro" il sistema capitalistico alla lotta politica "contro" questo sistema, bensì dall'alto - il comitato centrale - al basso - la massa proletaria. Attraverso il partito si può allora esprimere quel primato del "politico" suH'"economico" che caratterizza il volontarismo rivoluzionario di Lenin, secondo il quale spetta al soggetto-partito il potere di forzare la realtà e affrettare la stessa precipitazione rivoluzionaria.

Siamo in presenza, come si vede, di una concezione del partito fortemente connotata da un'ispirazione "giacobina" ed elitaria che non sembra facilmente riconducibile all'insegnamento di Marx, secondo il quale è il proletariato che matura, attraverso le lotte, la coscienza antagonistica di classe, dalla quale i teorici attingo no la materia per poter enunciare la teoria rivoluzionaria. Certo, nel Che fare? Lenin, impegnato com'era nella lotta contro le tendenze economicistiche presenti nella socialdemocrazia russa, aveva estremizzato questa sua concezione del partito, per controbilanciare e neutralizzare tali tendenze: nel congresso del 1903 egli ebbe a dire che «gli economisti avevano curvato il bastone da una parte. Per raddrizzarlo era necessario curvarlo dalla parte opposta».4 Come è anche vero che era la stessa situazione della Russia, un paese nel quale l'autocrazia zarista impediva qualunque forma di opposizione politica e sociale, a costringere alla clandestinità un partito rivoluzionario, imponendogli un'organizzazione necessariamente gerarchica e centralizzata.

Non c'è dubbio, però, che, seppur successivamente mitigate (in particolare sul punto dell'identificazione del militante con il "rivoluzionario di professione"), queste rimarranno sempre le idee di Lenin sul partito rivoluzionario. Esse comportano una separazione tra classe operaia e partito, con il rischio incombente di una sovrapposizione burocratica e autoritaria del secondo alla prima. Un rischio che, nelle vicende successive alla Rivoluzione del 1917 e, in particolare, nell'involuzione autoritaria verificatasi dopo la morte di Lenin e culminata nell'instaurarsi dello stalinismo, avrebbe trovato la sua drammatica conferma.

b) Il pensatore

In conseguenza del fallimento della rivoluzione del 1905, un grande disorientamento viene a diffondersi all'interno del movimento rivoluzionario russo, e anche tra le schiere degli intellettuali acquisiti al marxismo affiorano le prime insofferenze nei confronti dell'eredità soprattutto engelsiana della filosofia marxista, mentre trovano ascolto sempre maggiore orientamenti filosofici ispirati al neokantismo e soprattutto all'empiriocriticismo di Mach e Avenarius. Si profila, pertanto, la tendenza a dare un fondamento idealistico al pensiero socialista, mettendo in discussione quel materialismo dialettico che scritti come l'Anti-Diihring e il Ludwig Feuerbach di Engels avevano integrato nella costruzione teorica marxista.

In nome dell'inseparabilità di marxismo e materialismo Lenin scrive, nel 1908, a Londra e a Parigi Materialismo ed empiriocriticismo. Note critiche su una filosofia reazionaria, pubblicato a Mosca l'anno successivo. Si tratta di una risposta netta e decisa alle posizioni "machiste", che prende avvio dalla convinzione che la teoria, sia scientifica che filosofica, non sia mai svincolata dalla prassi, neutrale e indiffe rente alle sue pressioni. Convinto, al contrario, della "partiticità" della filosofia e dello stesso sapere scientifico (nel senso che il momento teorico sarebbe sempre funzionale agli interessi pratici della classe sociale che lo promuove), Lenin scorge nel contrasto tra idealismo e materialismo l'espressione di due opposti "partiti", quello borghese e reazionario che si esprimerebbe nelle filosofie idealistiche, quel lo progressista e proletario che svilupperebbe invece un'interpretazione materialistica della realtà.

Con questo Lenin non intende concedere nulla alle tendenze pragmatistiche e convenzionalistiche presenti nel dibattito scientifico e filosofico dei primi del Novecento, secondo le quali la verità di una teoria filosofica o scientifica si risolverebbe nella sua efficacia pragmatica, ossia nella sua capacità di assicurare il successo all'attività pratica. Una teoria non è vera, sostiene Lenin, perché ha successo nella prassi, ma, al contrario, essa ha un'efficacia pratica perché prima di tutto è vera. E la verità risiede nella sua obiettività, ossia nel saper riprodurre mentalmente la struttura e le proprietà che appartengono agli oggetti conosciuti, indipendentemente dal soggetto conoscente. Merito principale del materialismo è, appunto, quello di avere affermato che «il "successo" della pratica umana dimostra la corrispondenza delle nostre idee con la natura obiettiva delle cose che percepiamo».

L'idealismo cui Lenin si oppone è quello di stampo soggettivistico che, muovendo dall'esse est percipi del vescovo Berkeley, passa, attraverso Hume e certi enunciati della teoria kantiana della conoscenza, nella filosofia empiriocriticistica. Comune a tutte queste forme di idealismo è la riduzione del mondo oggettivo a un semplice complesso di sensazioni, intese come gli "elementi primari del mondo". Questa filosofia nasconde un preciso significato politico: erodendo, fino a distruggerlo, il concetto di materia come realtà esistente al di fuori e indipendentemente dalla nostra coscienza, essa apre la porta alle interpretazioni spiritualistiche della realtà, e dunque al fideismo, alla religione, alla «mistica dei preti».

Contro i "machisti" (come venivano chiamati in Russia i sostenitori di queste po sizioni filosofiche, dal nome di Ernst Mach), Lenin riafferma vigorosamente il punto di vista materialistico che demistifica gli arbìtri idealistici. Le sensazioni non possono venire intese come elementi primari, giacché esse presuppongono la materia e la sua azione sui nostri organi sensoriali: «la sensazione dipende dal cervello, dai nervi, dalla retina ecc., cioè dalla materia organizzata in modo determinato».6Pertanto, l'esistenza della materia non può dipendere dalle sensazioni. Scrive Lenin:

Il materialismo, in pieno accordo con le scienze naturali, considera come dato pri mordiale la materia e come dato secondario la coscienza, il pensiero, la sensazione; poiché la sensibilità è connessa, in una forma chiaramente espressa, unicamente alle forme superiori della materia.

E ancora:

Le scienze naturali affermano con sicurezza che la terra esisteva in condizioni tali che né l'uomo né in generale qualsiasi altro essere vivente poteva esistere su di essa. La materia organica è un fenomeno ulteriore, frutto di un lunghissimo sviluppo [...] La materia è primordiale, il pensiero, la coscienza, la sensazione sono il prodotto di uno sviluppo molto elevato.

Una siffatta filosofia materialistica richiede una gnoseologia compatibile che non può che essere fondata sulla teoria del rispecchiamento: la realtà oggettiva, esistente prima e indipendentemente dall'uomo, viene rispecchiata nel cervello umano attraverso le sensazioni, le quali, lungi dall'essere, come vorrebbe il soggettivismo idealistico, «una barriera, un muro che separa la coscienza dal mondo esterno», costituiscono, al contrario, il legame che unisce la prima al secondo. «La realtà esterna è copiata, fotografata, riflessa dalle nostre sensazioni, ma esiste indipen dentemente da esse.»9

Espressioni come queste - «copiata, fotografata, riflessa» - potrebbero indurre a un fraintendimento del pensiero di Lenin, facendo pensare a una concezione sostanzialmente statica e immediatistica della conoscenza. Al contrario, questa va intesa in modo dinamico e processuale: le sensazioni sono strumenti mediante i quali noi ci approssimiamo sempre di più alla realtà; pertanto ognuna di esse e tutte nel loro insieme debbono essere vagliate ed elaborate sempre di nuovo ai livelli delle conoscenze superiori, in modo da offrirci una rappresentazione sempre più ade rente alla realtà oggettiva delle cose.

Dire che la conoscenza riflette la realtà, non significa sostenere che essa esaurisca la realtà: è in questo che il materialismo di Lenin, fedele al materialismo dialettico di Engels, si distingue dal materialismo meccanicistico settecentesco come da quello "volgare" di Ludwig Büchner e Jacob Moleschott. Fermi entrambi a un punto di vista ancora dogmatico e metafisico, costoro affermavano che gli uomini sarebbero capaci di conoscere una volta per sempre e in modo esaustivo la verità delle cose, in quanto questa sarebbe costituita da un'essenza immutabile. Il materialismo dialettico, invece, pur riconoscendo l'esistenza oggettiva e incondizionata del mondo fisico, lo considera come il modello cui le conoscenze scientifiche si avvicinano progressivamente senza mai poter pretendere di averlo riprodotto per intero. In questo modo si può riconoscere la relatività delle conoscenze scientifiche senza, per questo, cedere alle posizioni relativistiche e convenzionalistiche che negano a quelle conoscenze il valore di verità. Scrive Lenin:

La dialettica materialistica di Marx e di Engels contiene in sé incontestabilmente il relativismo, ma non si riduce a esso, ammette cioè la relatività di tutte le nostre conoscenze, non nel senso della negazione della verità obiettiva, bensì nel senso della relatività storica dei limiti dell'approssimazione delle nostre conoscenze a questa verità.

In virtù di questa teoria della conoscenza che vuole la coscienza come riflesso della realtà oggettiva, Lenin può guardare criticamente anche alla dottrina kantiana della cosa in sé. Kant ha errato nel ritenere assoluto il limite della conoscenza umana, e la cosa in sé irriducibile al fenomeno. Il materialismo dialettico insegna, infatti, che

non vi è né vi può essere differenza di principio tra fenomeno e cosa in sé. La differenza è semplicemente fra ciò che è noto e ciò che non è ancora noto, mentre le fantasie filosofiche sui limiti specifici tra l'uno e l'altro, sul fatto che la cosa in sé si trova "al di là" dei fenomeni [...] tutto ciò non è che vuoto non senso, ubbia, invenzione.

Alla luce di questa esclusione di una linea fissa e insormontabile che stia a separare verità relativa e verità assoluta, Lenin ritiene di poter difendere la validità del materialismo anche di fronte ai grandi rivolgimenti della fisica che hanno segnato la crisi del modello meccanicistico newtoniano, cui faceva riferimento il materialismo di origine settecentesca. La sostituzione del vecchio concetto di materia, contrassegnato da proprietà della massa, come la corpuscolarità, l'impenetrabilità e così via, con i nuovi concetti di energia, elettricità, particella subatomica ecc., non significa che la materia sia svanita, come vorrebbero scienziati e filosofi legati a prospettive idealistiche:

"La materia scompare": ciò significa che scompare il limite al quale finora si arre stava la nostra conoscenza della materia, significa che la nostra conoscenza si approfondisce; scompaiono certe proprietà della materia che prima ci sembravano assolute, immutabili, primordiali (impenetrabilità, inerzia, massa) e che ora si dimostrano relative, inerenti soltanto a certi stati della materia. Poiché l'"unica" proprietà della materia, il cui riconoscimento è alla base del materialismo filosofico, è la proprietà di "essere una realtà obiettiva", di esistere fuori della nostra coscienza.

La teoria della coscienza come riflesso non vale solo per la realtà fisica ma deve es sere estesa anche alla prassi e all'essere sociale dell'uomo. Nell'ultimo capitolo di Materialismo ed empiriocriticismo Lenin, in contrasto con i socialdemocratici "ma- chisti" secondo i quali essere sociale e coscienza sociale coinciderebbero, osserva che la coscienza sociale è semplicemente il riflesso, soltanto approssimativamente giusto, dell'essere sociale dell'uomo. Questo è reso evidente dal fatto che

in ogni formazione sociale più o meno complessa - e in particolare nella formazione sociale capitalistica - gli uomini che entrano a far parte della società non sono coscienti dei rapporti sociali che si creano in essa, delle leggi secondo le quali questi rapporti si sviluppano ecc. Per esempio, il contadino che vende il grano entra in "rapporti" con i produttori di grano di tutto il mondo sul mercato mondiale; ma egli non ne ha coscienza, e non ha coscienza neppure dei rapporti sociali che si creano in seguito allo scambio.

Oltre che essere generalmente indipendente dalla coscienza sociale, lo svolgimento dell'esistenza sociale degli uomini ubbidisce a leggi oggettivamente necessarie:

Il fatto che voi vivete e svolgete un'attività economica, generate dei figli e fabbrica te prodotti e li scambiate, dà origine a una catena di eventi obiettivamente necessaria, a una catena di sviluppi che è indipendente dalla vostra coscienza sociale e che la vostra coscienza non abbraccia mai interamente.

Da questa interpretazione deterministica dell'evoluzione dell'essere sociale, assai vicina alle propensioni naturalistiche ed evoluzionistiche tipiche del marxismo ortodosso di Kautsky, e dalla teoria della coscienza come semplice riflesso deriva un modo d'intendere lo sviluppo della coscienza sociale come adattamento di essa allo sviluppo oggettivo della società che, pur essendo frutto delle attività umane precedenti, si presenta con i caratteri di necessità e "datità" propri degli eventi naturali. La stessa azione rivoluzionaria viene prospettata, conseguentemente, come frutto della conoscenza scientifica dei processi sociali oggettivi, e quindi come "adattamento" all'evoluzione necessaria dei rapporti sociali.

Siamo di fronte a un Lenin determinista ed evoluzionista difficilmente conciliabile con lo stratega della rivoluzione socialista, proposta come esito della volontà politica che preme sulle situazioni oggettive per accelerarne la risoluzione rivoluzionaria. Tanto che si ha l'impressione che lo scopo politico di questo scritto leniniano abbia in qualche misura forzato la mano di Lenin, inducendolo, allo scopo di neutralizzare il soggettivismo degli avversari, ad accentuare l'incidenza dei processi oggettivi della società.

Resta comunque da capire come la teoria leniniana del riflesso possa conciliarsi con il Marx delle Tesi su Feuerbach, che pure Lenin invoca a sostegno del proprio materialismo. Non sembra, infatti, questo materialismo molto dissimile da quello feuerbachiano che Marx, nella prima delle sue tesi, rifiuta come materialismo meramente intuitivo e contemplativo che «vuole oggetti sensibili, realmente distinti dagli oggetti del pensiero», ma è incapace di intendere «l'attività umana stessa come attività oggettiva».

La produzione filosofica di Lenin non si esaurisce con Materialismo ed empiriocriticismo. Già negli anni precedenti e poi, soprattutto, durante gli anni della guerra, quando si dedica allo studio approfondito di Hegel, egli compila appunti e commenti critici alle letture filosofiche che viene via via facendo. Questo materiale sarebbe apparso postumo nel 1929, sotto il titolo di Quaderni filosofici. Per la prima volta nella storia del marxismo secondinternazionalista dopo Engels, l'attenzione alla dialettica hegeliana torna al centro della riflessione marxista. Significativo che ciò si verifichi a partire dal 1914: sono le sollecitazioni esercitate dalle vicende tumultuose della guerra mondiale e della Rivoluzione del 1917, con le loro drammatiche contraddizioni, a concentrare la riflessione di Lenin sul pensiero dialettico che nella contraddizione, appunto, e nella sua risoluzione, riconosce la propria funzione fondamentale.

Non può dunque sorprendere che nei Quaderni filosofici, pur mantenendo la teoria della conoscenza come riflesso, Lenin ne approfondisca il carattere dialettico, in stretta connessione con la dialetticità del mondo reale di cui, appunto, il pensiero è il riflesso. Egli afferma che «il rispecchiamento della natura nel pensiero dell'uomo è da concepire non come "morto", "astratto", senza movimento e senza contraddizioni, ma nell'eterno processo del movimento, del porsi e del risolversi delle contraddizioni».38 Il pensiero è dialettico perché riflette la dialettica della realtà:

L'"insieme" di "tutti" i lati del fenomeno, della realtà, e i loro (reciproci) "rapporti": ecco di che cosa è composta la verità. Le relazioni (= trapassi = contraddizioni) dei concetti = principale contenuto della logica; "inoltre", questi concetti (e i loro rapporti, trapassi, contraddizioni) sono mostrati come riflessi del mondo oggettivo. La dialettica delle "cose" crea la dialettica delle "idee", e non viceversa.

L'idealismo di Hegel, che pur va rovesciato in materialismo, è ben diverso da quello machiano: mentre questo è coscienzialistico e soggettivistico, l'idealismo hegeliano è un idealismo oggettivo nel quale il concetto non è semplicemente cosa della coscienza, ma qualcosa di oggettivo, anzi la stessa essenza dell'oggetto. Lenin s'interessa in particolare alla Scienza della logica, «la più idealistica», ma in cui «vi è il meno di idealismo e il più di materialismo»; il suo studio consente di penetrare più facilmente nei segreti del Capitale di Marx.

E stato detto che i Quaderni di filosofia rappresenterebbero una svolta o addirittura una frattura rispetto al materialismo del saggio del 1909, ma si è trascurato il fatto che le tesi enunciate in quest'ultimo, relative al problema della conoscenza e della realtà, sono interamente confermate dal Lenin dei Quaderni. Questo non significa, però, che non vi si possano cogliere alcuni accenti di novità, quale quello relativo a una maggiore sottolineatura, rispetto all'oggettivismo precedente, dell'elemento attivo della coscienza. Frequentemente è stata citata la pagina in cui Lenin scrive che «la coscienza dell'uomo non solo rispecchia il mondo oggettivo, ma altresì lo crea», affermando così che, mentre da un punto di vista teoretico il sog getto non può che riprodurre l'oggetto nella sua necessità, dal punto di vista della prassi esso si contrappone al mondo oggettivo, perché questo «non soddisfa l'uomo, e l'uomo decide di cambiarlo con la sua azione». In questo senso la pratica è superiore alla conoscenza teorica; infatti,

l'attività dell'uomo, che si è fatto un quadro oggettivo del mondo, "modifica" la realtà esterna, ne distrugge la determinatezza (= ne cambia questi o quei lati, qualità) e le sottrae così i tratti dell'apparenza, dell'esteriorità, della nullità, la rende esistente in sé e per sé (= oggettivamente vera).

c) La teoria dell'imperialismo. La rivoluzione socialista

L'imperialismo, fase suprema del capitalismo. Saggio popolare (1916) e Stato e rivoluzione (1917) sono i due scritti più rilevanti dell'itinerario politico leniniano durante gli anni della guerra mondiale e della Rivoluzione del 1917. Nel primo l'obiettivo politico di Lenin è quello di dimostrare l'infondatezza del socialpacifismo caratte ristico della Seconda Internazionale, e la necessità di operare in modo da trasformare la guerra imperialistica in guerra civile finalizzata alla rivoluzione socialista e alla conquista del potere da parte del proletariato. Al centro del discorso campeggia l'affermazione che l'inevitabile sviluppo in senso imperialistico del capitalismo è destinato, a differenza di quanto aveva insegnato Kautsky, a generare guerre al trettanto inevitabili. Si tratta, pertanto (ed è lo scopo di questo Saggio popolare), di convincere le masse proletarie che, solo attraverso la trasformazione della guerra in lotta rivoluzionaria, potranno essere evitati per il futuro nuovi «macelli di popoli».

Questo scritto non rivela una particolare originalità sotto il profilo teorico, dal momento che riprende i risultati di ricerche condotte precedentemente da altri: Ylmperialismo (1902) del liberale inglese Hobson, il Capitale finanziario (1910) dell'austromarxista Hilferding, il manoscritto intitolato L'economia mondiale e l'imperialismo del bolscevico Bucharin, e infine L'accumulazione del capitale della Luxemburg. Lenin sostiene che l'imperialismo è il prodotto della trasformazione, avvenuta tra la fine dell'Ottocento e i primi anni del Novecento, del capitalismo concorrenziale in capitalismo monopolistico. Il fenomeno imperialistico è infatti connotato da cinque tratti principali:

a) l'altissima concentrazione dei capitali e della produzione nelle mani di grandi proprietà monopolistiche che controllano interi settori della vita economica;

b) la crescente importanza del capitale finanziario e la sempre più totale dipendenza da esso del capitale industriale. Ciò produce, da un lato un'oligarchia finanziaria, che vive del «taglio di cedole» senza partecipare direttamente alle attività produttive, dall'altro la selezione di pochi stati finanziariamente più forti degli altri;

c) la grande importanza acquisita dall'esportazione del capitale eccedente in rapporto all'esportazione di merci, di cui viveva essenzialmente il capitalismo concorrenziale;

d) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si spartiscono il mondo;

e) la compiuta ripartizione della Terra tra le più grandi potenze capitalistiche.

Inevitabile conseguenza dei conflitti interimperialistici che si scatenano tra i vari paesi occidentali, soprattutto a opera di quelli arrivati più tardi allo sviluppo capita listico, è la guerra, solo attraverso la quale questi ultimi possono ambire alla conquista di uno "spazio vitale". Il caso più tipico era allora rappresentato dalla Germania.

Rimpatriato nel marzo del 1917, dopo un esilio che, tranne la breve parentesi rivoluzionaria nel 1905, durava dall'inizio del secolo, Lenin è costretto di nuovo a riparare nello stesso anno in Finlandia dove scrive Stato e rivoluzione, l'esposizione più completa della sua teoria dello Stato. Ormai convinto della necessità di passare dalla rivoluzione democratico-borghese del febbraio alla rivoluzione socialista, Lenin si propone di combattere l'"opportunismo" della concezione dello Stato elaborata da Kautsky e dagli altri leader della socialdemocrazia, tra i quali il menscevico Plechanov, e di riprendere, sviluppandole, le autentiche idee di Marx e di Engels. Il discorso leniniano si rivolge contro gli "opportunisti", che ritengono si possa camminare verso il socialismo semplicemente rilevando la macchina statale borghese che sarebbe destinata a lenta estinzione, «senza sussulti né tempeste, senza rivoluzione».20 Lenin sostiene, al contrario, che lo Stato della borghesia deve essere distrutto nel corso della rivoluzione e sostituito con la dittatura del proletariato che ha il compito, attraverso un «intero periodo storico», di preparare l'instaurazione della società senza classi e senza Stato. Recuperato il discorso di Marx sulla natura intrinsecamente repressiva dello Stato (strumento nelle mani della classe dominante per realizzare il proprio dominio), Lenin afferma che anche lo Stato della fase di transizione - la dittatura del proletariato, appunto - non potrà che essere uno strumento di repressione, anche se in "modo nuovo": non più, come nel caso dello Stato borghese, una dittatura repressiva ai danni della maggioranza, bensì lo strumento in mano a una «maggioranza di ex schiavi salariati» per liquidare «una minoranza di sfruttatori». Di qui il suo carattere realmente, ma anche non compiutamente democratico:

Insieme a un grandissimo allargamento della democrazia, divenuta per la prima volta una democrazia per i poveri, per il popolo, e non una democrazia per i ricchi, la dittatura del proletariato apporta una serie di restrizioni alla libertà degli oppressori, degli sfruttatori, dei capitalisti. Costoro noi li dobbiamo reprimere, per liberare l'umanità dalla schiavitù salariata [...].

Nelle circostanze della rivoluzione socialista, la dittatura del proletariato avrebbe dovuto esprimersi nella gestione del potere da parte dei soviet degli operai, dei soldati e dei contadini - «tutto il potere ai soviet» fu, in effetti, la parola d'ordine della insurrezione di ottobre. Lenin scorge nei soviet la realizzazione autenticamente democratica del principio della rappresentatività che nella repubblica democratica borghese è riduttivamente incarnato nelle istituzioni parlamentari della democrazia delegata. Di qui il richiamo che Stato e rivoluzione rinnova di continuo alla Comune di Parigi e alle pagine che Marx aveva a questa dedicate.

Rimane il dubbio sull'effettiva conciliabilità tra questa aperta rivendicazione della democrazia consiliare e la concezione leniniana del partito che, come s'è visto, è contrassegnata da una forte centralizzazione del dibattito e dei momenti decisionali, cui corrisponde una struttura organizzativa di tipo verticale. Sta di fatto, comunque, che Stato e rivoluzione è attraversato da una forte ispirazione democratica e libertaria che si esprime soprattutto nell'idea che lo Stato, ogni specie di Stato, sia di per sé incompatibile con la libertà: «finché esiste lo Stato, non vi è libertà; quando si avrà la libertà, non vi sarà più Stato».

Discende da qui l'affermazione più significativa contenuta nell'opera, cioè che lo Stato proletario (ossia il «proletariato organizzato come classe dominante»), nato dall'abbattimento dello Stato borghese, dovrà cominciare a estinguersi fin dal primo giorno della sua nascita «poiché lo Stato è inutile e impossibile in una società senza antagonismi di classe».23

Lenin riteneva dunque che la transizione avrebbe proceduto in modo lineare e non avrebbe occupato un tempo lunghissimo. Ancora nel discorso ai lavoratori raccolti nella Piazza Rossa il primo maggio del 1919, egli predice che «la maggior parte dei presenti che non hanno superato i trenta o trentacinque anni di età vedrà il rigoglio del comunismo, dal quale siamo ancora lontani».

Come ben sappiamo, questa previsione doveva rivelarsi sbagliata: lo Stato sovietico, identificato con il Partito comunista, si sarebbe progressivamente rafforzato già a partire dal 1919, per trasformarsi, nell'epoca staliniana, in una struttura sempre più repressiva e autoritaria, fino al punto di assumere le caratteristiche di una dittatura personale, intollerante di qualsiasi forma di potere che non fosse quello del capo del Partito e dello Stato.


Wikipedia

Lenin , pseudonimo di Vladimir Il'ič Ul'janov, (Simbirsk, 22 aprile 1870 – Gorki Leninskie, 21 gennaio 1924) è stato un politico e rivoluzionario russo. Artefice della Rivoluzione russa dell'ottobre 1917, fu capo del partito bolscevico e presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo della Russia sovietica e poi dell'URSS.


Biografia

Il padre, Il'ja Nikolaevič Ul'janov (1831-1886), di religione ortodossa, era originario di Astrachan'; laureato in matematica col famoso professor Lobačevskij, uno dei fondatori delle geometrie non-euclidee, dal 1855 insegnò matematica e fisica nell'Istituto dei nobili di Penza, dove conobbe e sposò nel 1863 Marija Aleksandrovna Blank (1835-1916).

Si trasferirono a Nižnij Novgorod, dove Il'ja Nikolaevič insegnò nel locale ginnasio finché nel 1869 accettò l'incarico di ispettore delle scuole elementari del governatorato di Simbirsk, e vi si trasferì con la moglie, già incinta di Vladimir, e con i due figli Anna (1864-1935) e Aleksandr (1866-1887). Nel 1874 venne nominato direttore scolastico, col grado di consigliere di Stato e insignito dell'ordine di San Vladimiro, ottenendo l'inserimento nel quarto grado della gerarchia nobiliare e il diritto alla trasmissibilità del titolo.

La madre era figlia del medico Aleksandr Dmitrevič Blank. Questi, di origine tedesca, nato in Ucraina e proprietario di terre nel governatorato di Kazan', professava opinioni avanzate per i tempi. Educata in un ambiente luterano, Marija Aleksandrovna aveva studiato privatamente e conseguito il diploma di insegnante. Allevò altri tre figli, Ol'ga (1872-1891), Dmitrij (1875-1943) e Marija (1878-1937).

Vladimir - Volodja per i genitori - era un bambino vivace, allegro, amante degli scherzi. Imparò a leggere a cinque anni, studiò privatamente fino a nove e nel 1879 fu iscritto alla prima classe ginnasiale. Nel 1883 il fratello maggiore Aleksandr andò a studiare scienze naturali all'Università di Pietroburgo, dove già era iscritta la sorella Anna. Il 12 gennaio 1886 morì il padre. La pensione lasciata alla vedova, le rendite delle terre, le pigioni degli affittuari e qualche economia permisero alla famiglia di continuare a vivere con sufficiente agiatezza.

Il 1º marzo 1887, anniversario dell'assassinio dello zar Alessandro II, la polizia arrestò i fratelli Anna e Aleksandr nella loro casa pietroburghese con l'accusa di cospirazione. Aleksandr, insieme con altri studenti, tutti affiliati alla Narodnaja Volja, aveva progettato di attentare alla vita dello zar Alessandro III, ed essendo esperto di chimica, aveva confezionato le bombe da utilizzare nell'attentato. La sorella Anna, estranea ai fatti, venne rilasciata pochi giorni dopo, ma fu confinata a Kokuškino, la cittadina ove la madre era nata e possedeva una casa. Nel processo, Aleksandr ammise le sue responsabilità, cercando di attenuare quelle dei complici. Condannato a morte, rifiutò di presentare domanda di grazia e l'8 maggio venne impiccato con quattro suoi compagni.

Il mese dopo, Vladimir concluse gli studi ginnasiali a pieni voti. A stilare le note caratteristiche di Vladimir fu il direttore della scuola Fëdor Kerenskij, padre del suo futuro avversario politico Aleksandr Kerenskij: «Assai dotato, costante e intelligente, Ul'janov è sempre stato in testa alla sua classe e alla fine del corso ha meritato la medaglia d'oro come allievo più degno per l'esito, il profitto e il comportamento». Seguiva un giudizio sul carattere: «non ho potuto fare a meno di notare in lui un riserbo talvolta eccessivo e un atteggiamento scostante anche verso persone di sua conoscenza e, fuori del ginnasio, verso compagni che sono il vanto della scuola; in genere, è poco socievole».

La condanna di Aleksandr aveva creato il vuoto intorno alla famiglia Ul'janov nella provinciale cittadina di Simbirsk; per questo motivo, quella stessa estate gli Ul'janov si trasferirono a Kazan', e Vladimir si iscrisse alla facoltà di legge della locale Università.

La formazione politica

Il 4 dicembre 1887 gli studenti di Kazan' tennero un'assemblea non autorizzata nell'Università; le autorità considerarono sovversiva l'iniziativa e quella notte la polizia arrestò Vladimir e una quarantina di studenti. All'osservazione del poliziotto: «perché vi rivoltate, giovanotto? Avete davanti una muraglia», rispose: «Sì, una muraglia che crolla. Basta una spinta perché precipiti». Venne rilasciato due giorni dopo ed espulso dall'Università.

Le autorità lo confinarono dapprima a Kokuškino e, dopo aver respinto per due volte la richiesta di essere riammesso all'Università e avergli negato il passaporto, nell'autunno del 1888 gli concessero di abitare insieme con la famiglia a Kazan'. Qui Vladimir prese a frequentare uno dei diversi circoli studenteschi esistenti nella città universitaria, frequentato da un'anziana populista, Marija Četvergova, dove si leggeva e si discuteva di politica. Il più importante era quello creato dal giovane marxista Fedoseev, che peraltro Vladimir, ancora soggetto all'influsso della Narodnaja Volja, contattò solo qualche anno dopo. Cominciò a leggere Il Capitale di Marx, una lettura già praticata dal fratello Aleksandr. È probabile che le tendenze rivoluzionarie di Vladimir non avessero ancora assunto «una tinta socialdemocratica» e che lo studio del marxismo non significasse per lui una rottura con le opinioni populiste.

Il 3 maggio 1889 gli Ul'janov, sempre sorvegliati dalla polizia, andarono a passare l'estate ad Alakaevka, un villaggio della provincia di Samara, dove la madre, vendute le proprietà di Simbirsk, aveva acquistato una piccola proprietà agricola. Quella stessa estate, il 13 luglio, il circolo socialdemocratico di Kazan' venne sciolto d'autorità e Fedoseev e i suoi compagni furono arrestati. L'inverno fu trascorso in una casa presa in affitto a Samara, che accolse anche Mark Elizarov, fresco sposo di Anna Ul'janova. La casa era frequentata da alcuni rivoluzionari richiamati dalla fama di Aleksandr Ul'janov, come Nikolaj Dolgov, seguace di Nečaev, il fondatore della Narodnaja Rasprava, i coniugi Livanov, implicati nell'affare Koval'skij e nel «processo dei 193», Marija Golubeva, già seguace di Pëtr Zaičnevskij. Questi tipici populisti «divennero per Vladimir una vera scuola superiore di pratica rivoluzionaria».

Vladimir frequentava anche il coetaneo Aleksej Skljarenko, che aveva già scontato un anno di carcere a San Pietroburgo. Questi, con l'amico Semёnov, riproduceva e diffondeva manifestini rivoluzionari ispirati alla Narodnaja Volja, ma entrambi passarono ben presto alla socialdemocrazia. Nel maggio del 1890 Vladimir ottenne finalmente l'autorizzazione a sostenere gli esami come studente esterno nella facoltà di giurisprudenza dell'Università di San Pietroburgo. Alla fine di agosto era nella capitale per informarsi dei programmi e in quell'occasione si procurò da un professore una copia dell'Anti-Dühring di Engels. Insieme all'altro scritto di Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, al Capitale e alla Miseria della filosofia di Marx, a Le nostre divergenze di Plechanov e ai testi di diritto, questa lettura lo impegnò per un anno.

In un anno e mezzo riuscì a dare tutti gli esami previsti nei quattro anni del corso di laurea, e il 15 novembre 1891, primo dei 134 studenti promossi, ottenne il diploma di primo grado. Dopo un tirocinio nello studio dell'avvocato Chardin, valente scacchista apprezzato dal famoso Čigorin e radicale in politica, nel luglio del 1892 ottenne l'iscrizione all'Albo degli avvocati: la sua brevissima attività professionale consistette nel patrocinio di sole dieci cause giudiziarie, modesti processi nei quali intervenne per lo più come difensore d'ufficio, perdendoli tutti.

Nell'inverno 1891-1892 la Russia patì una grave carestia. Il giornalista Vodovozov, allora residente a Samara, raccontò poi «la profonda divergenza» che lo divise da Vladimir Ul'janov «riguardo l'atteggiamento da prendersi nei confronti della carestia». I populisti, soccorrendo bisognosi e ammalati, speravano di «trovare una via pacifica e legale per conquistarsi la simpatia del popolo», mentre i marxisti «si pronunciavano non già contro i soccorsi agli affamati, ma contro le illusioni [...] della filantropia». In quell'occasione Vladimir espresse apertamente il suo disprezzo verso i personaggi più autorevoli del populismo. La sua formazione politica era ormai compiuta quando, il 31 agosto 1893, Vladimir Ul'janov si trasferì a San Pietroburgo per cominciare la sua vita di rivoluzionario.

La polemica contro il populismo

Il suo impiego come assistente dell'anziano avvocato liberale Folkenstein fu soprattutto una copertura. In effetti Lenin si occupò prevalentemente di un piccolo circolo socialdemocratico costituito da seguaci di Michail Brusnev, fondatore di un'organizzazione rivoluzionaria soppressa dalla polizia nel 1892. Questo circolo si fuse nel 1895 con un altro gruppo socialdemocratico guidato da Julij Martov, formando l'Unione di lotta per l'emancipazione della classe operaia, della quale Lenin divenne con Martov la figura preminente. Il circolo fu organizzato costituendo un gruppo centrale formato da intellettuali e operai: questi ultimi, debitamente istruiti, dovevano reclutare nelle loro fabbriche altri operai e costituire così altri gruppi che sarebbero stati a loro volta istruiti, allargando progressivamente il numero dei simpatizzanti.

Il primo scritto di Lenin, terminato nel 1893 ma pubblicato solo nel 1923, Nuovi spostamenti economici nella vita contadina, si occupa dell'obščina (община), la tradizionale comunità rurale, di origine feudale, dei villaggi russi, esaltata dai populisti che la ritengono una società di eguali, contrapponendola alle forme economiche capitalistiche, che invece producono disuguaglianze. Lenin osserva che anche nell'obščina si sono prodotte differenze di classe, in quanto una minoranza di contadini è riuscita ad accumulare progressivamente una maggiore quantità di terra, mentre la maggioranza si è impoverita.

I populisti deducono che in queste condizioni il capitalismo non sia possibile, mancando un mercato adeguato al suo sviluppo. Secondo Lenin, invece, la disgregazione dell'obščina crea le premesse del capitalismo, in quanto i contadini poveri, per sopravvivere, devono lavorare come salariati e acquisiscono così mezzi monetari a loro prima sconosciuti, favorendo il passaggio dall'economia naturale della comunità all'economia di mercato.

In una riunione del circolo di Pietroburgo, tenuta nel febbraio del 1894, Ul'janov conobbe Nadežda Krupskaja (1869-1939), un'impiegata delle Ferrovie che la domenica sera insegnava in una scuola per operai. Nell'autunno del 1894 scrisse il breve saggio Che cosa sono 'Gli amici del popolo' e come lottano contro i socialdemocratici, che inizialmente circolò ciclostilato e anonimo, seguito da Il contenuto economico del populismo e la sua critica nel libro del signor Struve.

Lenin vi esalta la superiorità scientifica del marxismo e rimprovera i populisti di soggettivismo sociologico: «I marxisti» - scrive - «prendono senza riserve dalla teoria di Marx soltanto i metodi preziosi senza i quali non è possibile mettere in chiaro i rapporti sociali», senza precostituire «schemi astratti e altre assurdità», commisurando la giustezza della teoria con la sua corrispondenza con la realtà, e compito dei socialdemocratici è indagare «concretamente tutte le forme della lotta di classe e dello sfruttamento, che in Russia sono particolarmente intricate e camuffate».

I populisti costruiscono invece teorie astratte e consolatorie: «Le condizioni storiche che avevano dato ai nostri soggettivisti il materiale per la loro "teoria" consistevano (come consistono tuttora) in rapporti antagonistici e hanno generato l'espropriazione del produttore. Non riuscendo a capire questi rapporti antagonistici, non riuscendo a trovare in essi elementi sociali che possano riscuotere l'adesione degli "individui isolati", i soggettivisti si sono limitati a costruire teorie che consolassero questi individui "isolati", affermando che la storia l'hanno fatta questi individui vivi».

L'organizzazione del partito rivoluzionario

Nel maggio del 1895 l'Unione di lotta lo inviò in Svizzera per prendere contatto con il maggior teorico marxista russo del tempo, Georgij Plechanov, fondatore del gruppo Emancipazione del lavoro. Rimase deluso dall'aria professorale del famoso Plechanov, ma si accordarono per collaborare a una rivista non periodica da pubblicare a Ginevra, il «Rabotnik» (Il Lavoratore), di concerto con l'Unione dei socialdemocratici russi all'estero. Dopo un mese Lenin passò a Parigi, dove conobbe il genero di Marx, Paul Lafargue, uno dei dirigenti, con Jules Guesde, del Partito operaio francese. Ai primi di agosto era a Berlino e il 7 settembre rientrò in Russia, con il doppio fondo della sua valigia carico di pubblicazioni illegali.

La notte del 21 dicembre 1895, Lenin e altri componenti del gruppo vennero arrestati. Durante la detenzione scrsse un opuscolo, Sugli scioperi, e abbozzò Lo sviluppo del capitalismo in Russia. Gli arresti impedirono l'uscita, prevista in quei giorni, del giornale «Rabočee Delo» (La causa operaia), ma non fermarono l'attività dell'Unione di lotta, che nell'estate del 1896, proprio in occasione dell'incoronazione di Nicola II, organizzò scioperi a Pietroburgo per ottenere la riduzione dell'orario di lavoro.

Condannato a tre anni di deportazione in Siberia, vi terminò Lo sviluppo del capitalismo in Russia, pubblicato nel 1899; nel luglio del 1898 sposò Nadežda Krupskaja, anch'ella detenuta per aver partecipato a uno sciopero. Nel 1900, scontata la pena, per evitare l'assillo della sorveglianza poliziesca, scelse volontariamente l'esilio, trasferendosi prima a Monaco di Baviera (1900-1902), poi a Londra (1902-1903) e poi a Zurigo, dove si unì a Plechanov e a Martov con i quali fondò il periodico «Iskra» (La scintilla) che usciva a Monaco di Baviera e a Lipsia per essere poi diffuso clandestinamente in Russia.

Nel marzo 1901 fondò un'altra rivista da diffondere clandestinamente in Russia, «Zarjà» (L'alba). Dall'aprile cominciò a firmare i suoi articoli con lo pseudonimo di Lenin. Nello stesso periodo fu raggiunto dalla moglie che aveva finito di scontare la detenzione in Siberia.

Il 1902 si aprì con i contrasti fra Lenin e Plechanov sui princìpi che dovevono guidare il partito; alle tesi programmatiche di Plechanov, Lenin risponde che «questo non è il programma di un partito che lotta praticamente, ma una dichiarazione di princìpi, quasi un programma di allievi del primo corso, là dove si parla del capitalismo in genere e non ancora del capitalismo russo». Secondo Lenin, a Plechanov sfuggiva il rapporto del capitalismo russo con l'economia rurale, il fenomeno della disgregazione delle comunità contadine e la relazione fra le vecchie e nuove realtà sociali che emergevano in Russia.

La rivoluzione del 1905 e la dittatura della classe operaia

Le conseguenze di una grave carestia e della sconfitta nella guerra russo-giapponese mostrano l'inefficienza di vasti strati del ceto dirigente zarista. Il 22 gennaio 1905 una dimostrazione popolare a San Pietroburgo viene repressa nel sangue dalla guardia di palazzo e dai cosacchi della guarnigione: guidato dal Pope Gapon, il corteo si era diretto verso il Palazzo d'Inverno (vista simbolicamente come la residenza dello zar) per consegnare al sovrano una serie di richieste politiche e amministrative, non considerando che Nicola II non abitava a San Pietroburgo e non era stato avvisato della petizione. Quest'evento è simbolicamente conosciuto come la Domenica di sangue. Il governo provvisorio varò immediatamente i provvedimenti che avrebbero dovuto transformare la Russia in una repubblica democratica borghese:

   * aboli la censura e la pena di morte;
   * proclamò la fine dei privilegi aristocratici e l'uguaglianza di tutte le religioni;
   * stabili l'elezione di un'Assemblea costituente incaricata di elaborare una Costituzione liberale.

In seguito il discredito del governo aumenta: si ammutina la corazzata Potëmkin nel mar Nero e si estendono scioperi e manifestazioni; si costituiscono per la prima volta i Soviet, consigli di delegati dei lavoratori delle forze produttive del Paese; accanto a essi, si costituiscono migliaia di consigli operai e di quartiere - che differiscono dai Soviet, costituiti invece da delegati. Chi possiede armi organizza brigate di "Guardie rosse", e nella campagne si formano i comitati dei contadini. Sono tutti luoghi di discussione, in cui la popolazione affronta direttamente problemi concreti e prende iniziative per risolverli. Nel novembre Lenin giunge a Pietroburgo clandestinamente, sotto il nome di Karpov: nel dicembre, al congresso del partito in Finlandia, chiede che i bolscevichi agiscano in piena autonomia dalle altre forze di opposizione al regime zarista. In questa occasione, per la prima volta Stalin incontra Lenin: scriverà che, conoscendolo solo di fama, si era aspettato di vedere un gigante e quando vide che Lenin era un uomo perfettamente normale, ne restò deluso. Nel gennaio 1906 Lenin è a Mosca, per contrastare le elezioni del parlamento russo, la Duma, che considera manipolata dalle forze politiche reazionarie. Ai primi del 1907 lo zarismo restaura pienamente l'autocrazia sciogliendo la Duma.

Riflettendo sugli insegnamenti della fallita rivoluzione del 1905, Lenin afferma che il proletariato «deve sostenere qualunque borghesia, anche la peggiore, nella misura in cui lotti concretamente contro lo zarismo». La rivoluzione del 1905 fallisce perché la borghesia russa, troppo debole ancora rispetto allo zarismo, non cerca il potere democratico, ma solo un accordo con l'autocrazia, perché era troppo forte, in essa, il timore di aprire la strada a una rivoluzione proletaria.

Per i menscevichi, invece, il proletariato deve sì appoggiare le rivoluzioni che abbiano un contenuto borghese, perché porterebbero a un regime democratico ove, in condizioni più favorevoli, la classe operaia può svolgere la sua lotta rivoluzionaria per il socialismo, ma non deve mettersi a capo di quella rivoluzione, non deve cercare di esserne protagonista ma deve rimanere all'opposizione.

Per Lenin, al contrario, solo se gli operai (i proletari) e i contadini (i piccolo borghesi) saranno i protagonisti di una rivoluzione democratica, questa sarà vittoriosa: «La lotta del proletariato per la libertà politica democratica è una lotta rivoluzionaria, perché mira alla piena sovranità del popolo. La lotta della borghesia per la libertà è una lotta opportunistica, perché mira alla divisione del potere fra l'autocrazia e le classi abbienti». Il proletariato deve operare, insieme con la borghesia, l'abbattimento del potere reazionario zarista, instaurando una dittatura democratica degli operai e dei contadini; quando fossero realizzate le libertà democratiche, il proletariato e il partito socialdemocratico che lo guida dovranno abbattere le istituzioni democratiche per instaurare il socialismo, attraverso la dittatura della classe operaia. Già nel 1898, del resto, con l'articolo I compiti dei socialdemocratici russi, Lenin aveva affermato che il partito era socialdemocratico - appunto, socialista e democratico insieme - nel senso che era democratico battendosi, in una società assolutista, per la conquista della democrazia «borghese», e socialista perché dovevano battersi per affermare il socialismo rovesciando la società capitalistica. Due erano le rivoluzioni da compiere, almeno in Russia, e se allora egli non si era posto il problema se vi dovesse essere un intervallo fra le due rivoluzioni, certamente il proletariato e il partito socialdemocratico dovevano essere protagonisti di entrambe le rivoluzioni. Sono i temi che si presenteranno, in forme concrete e drammatiche, nel 1917.

La prima guerra mondiale

Allo scoppio della prima guerra mondiale, i partiti socialisti francese e tedesco votarono i crediti di guerra, sostenendo lo sforzo bellico dei rispettivi governi; Lenin denunciò il fallimento della Seconda Internazionale, che avrebbe tradito lo spirito dell'internazionalismo: nelle conferenze di Zimmerwald, nel 1915, e di Kienthal, nel 1916, sostenne la necessità di trasformare la guerra, che definì imperialista, in rivoluzione. Fra le parti in guerra non c'è differenza; il significato di nazionale, che ogni borghesia cerca di attribuire alla propria guerra, nasconde il reale contenuto di rapina: «La Germania si batte non per liberare ma per opprimere le nazioni. Non è compito dei socialisti aiutare il brigante più giovane e forte a depredare i briganti più vecchi e nutriti».

Si può distinguere tra guerra giusta e ingiusta. Indipendentemente da colui che attacca per primo, è aggressore colui che opprime; se l'oppresso lotta contro l'oppressore, conduce una guerra giusta. La parola d'ordine della difesa della patria è legittima e progressista in caso di guerra di liberazione nazionale, ma è reazionaria nel caso di guerra imperialista: «Il periodo dal 1789 al 1871 fu l'epoca di un capitalismo progressivo in cui l'abbattimento del feudalesimo, dell'assolutismo e la liberazione dal giogo straniero erano all'ordine del giorno della storia. Su questa unica base si poteva ammettere la 'difesa della patria', cioè la lotta contro l'oppressione. Oggi si potrebbe ancora applicare questa concezione in una guerra contro le grandi potenze imperialistiche, ma sarebbe assurdo applicarla in una guerra fra queste grandi potenze, in cui si tratta di sapere chi saprà spogliare meglio i paesi balcanici, l'Asia minore ecc. [...] una classe rivoluzionaria non può, durante una guerra reazionaria, che augurarsi la sconfitta del proprio governo [...] la rivoluzione in tempo di guerra è la guerra civile; la trasformazione della guerra dei governi in guerra civile è facilitata dalla sconfitta di questi governi».

La rivoluzione del 1917

Le Tesi di aprile

Quando scoppiò la rivoluzione in Russia nel febbraio del 1917, Lenin era ancora esule in Svizzera. Giunto a Pietrogrado il 3 aprile con il noto viaggio in treno, all'interno di un vagone piombato, attraversando i territori controllati dalla Germania, tracciò per i bolscevichi, nelle Tesi di Aprile, un programma in 10 punti pubblicato il 7 aprile:

    «La guerra rimane incontestabilmente una guerra imperialistica di brigantaggio, in forza del carattere capitalistico di questo governo, non è ammissibile la benché minima concessione al "difensivismo rivoluzionario" [...] Data l'innegabile buona fede di larghi strati dei rappresentanti delle masse favorevoli al difensivismo rivoluzionario, che accettano la guerra come una necessità e non per spirito di conquista, e poiché essi sono ingannati dalla borghesia, bisogna spiegar loro con particolare cura, ostinazione e pazienza, l'errore in cui cadono, svelando il legame indissolubile esistente fra il capitale e la guerra imperialistica, dimostrando che è impossibile metter fine alla guerra con una pace veramente democratica, e non imposta con la forza, senza abbattere il capitale. Organizzare la propaganda più ampia di questa posizione nell'esercito combattente. Fraternizzare».

    «L'originalità dell'attuale momento in Russia consiste nel passaggio dalla prima fase della rivoluzione, che ha dato il potere alla borghesia a causa dell'insufficiente grado di coscienza e di organizzazione del proletariato, alla sua seconda fase, che deve dare il potere al proletariato e agli strati poveri dei contadini [...]».

    «Non appoggiare in alcun modo il Governo provvisorio, dimostrare la completa falsità di tutte le sue promesse, soprattutto di quelle concernenti la rinuncia alle annessioni. Smascherare questo governo, invece di "rivendicare" - ciò che è inammissibile e semina illusioni - che esso, governo di capitalisti, cessi di essere imperialistico».

    «Riconoscere che il nostro partito è in minoranza [...] nella maggior parte dei Soviet dei deputati operai, di fronte al blocco di tutti gli elementi opportunistici piccolo-borghesi [...] Spiegare alle masse che i Soviet dei deputati operai sono l'unica forma possibile di governo rivoluzionario [...] svolgeremo un'opera di critica e di spiegazione degli errori, sostenendo in pari tempo la necessità del passaggio di tutto il potere statale ai Soviet dei deputati operai [...]».

    «Niente repubblica parlamentare - ritornare ad essa dopo i Soviet dei deputati operai sarebbe un passo indietro - ma Repubblica dei Soviet di deputati degli operai, dei salariati agricoli e dei contadini in tutto il paese, dal basso in alto. Sopprimere la polizia, l'esercito e il corpo dei funzionari. Lo stipendio dei funzionari - tutti eleggibili e revocabili in qualsiasi momento - non deve superare il salario medio di un buon operaio [...]».

    «Nel programma agrario spostare il centro di gravità sui Soviet dei deputati dei salariati agricoli. Confiscare tutte le grandi proprietà fondiarie. Nazionalizzare tutte le terre del paese e metterle a disposizione di Soviet locali di deputati dei salariati agricoli e dei contadini. Costituire i Soviet dei deputati dei contadini poveri [...]».

    «Fusione immediata di tutte le banche del paese in un'unica banca nazionale, posta sotto il controllo dei Soviet dei deputati operai».

    «Il nostro compito immediato non è l'"instaurazione" del socialismo, ma, per ora, soltanto il passaggio al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti da parte dei Soviet dei deputati operai».

    «Compiti del partito: convocare immediatamente il congresso del partito; modificare il programma del partito, principalmente: sull'imperialismo e sulla guerra imperialistica; sull'atteggiamento verso lo Stato e sulla nostra rivendicazione dello "Stato-Comune"; emendare il programma minimo, ormai invecchiato; cambiare il nome del partito».

    «Rinnovare l'Internazionale [...]».

Le tesi di Lenin disorientarono i suoi compagni di partito che, nella prima riunione del comitato di partito di Pietrogrado, l'8 aprile, le respinsero a larghissima maggioranza: essi non riuscivano a concepire, nell'attuale momento, la possibilità di una trasformazione in rivoluzione socialista della rivoluzione borghese, che essi ritenevano appena iniziata e bisognosa di un lungo tempo per dare alla Russia le strutture democratiche. Come i menscevichi, essi ritenevano che i Soviet dovessero limitarsi a esercitare un controllo sull'attività del Governo provvisorio, espressione della borghesia imprenditoriale. Ma già alla conferenza del partito della capitale, tenuta il 14 aprile, e in quella panrussa del 24 aprile, le tesi di Lenin guadagnarono l'approvazione della grande maggioranza dei delegati: in essa si condannava il Governo per la sua collaborazione con «la controrivoluzione dei borghesi e dei latifondisti» e impegnava il partito a realizzare «il rapido passaggio di tutti i poteri statali ai Soviet dei deputati degli operai e dei soldati» e alle altre forme di potere, quale l'Assemblea costituente.

Con la caduta del primo Governo provvisorio e la costituzione, in maggio, di un nuovo governo costituito da una coalizione di cadetti - il partito della grande borghesia - e di socialisti moderati, espressione dei Soviet, si era cercato di risolvere il dualismo dei poteri esistente tra Governo e Soviet: in realtà, il Governo era intenzionato a proseguire, a fianco degli inglesi e dei francesi che avevano largamente investito capitali nelle industrie russe, una guerra da cui si ripromettevano grandi conquiste territoriali, senza risolversi ad attuare una riforma agraria, dati i contrasti esistenti in proposito fra cadetti e socialisti.

Il 3 luglio si svolse a Vyborg, sobborgo operaio di Pietrogrado, una manifestazione spontanea di centinaia di migliaia di operai e di soldati della guarnigione della capitale. La presenza dei militari rischia di trasformare la manifestazione, indetta ancora per il giorno successivo, in una rivolta che i bolscevichi intendono scongiurare, giudicandola del tutto prematura; a questo scopo, il giorno dopo, vi aderiscono ufficialmente con l'intenzione di controllarla, limitandone gli slogan alla richiesta della pace e del passaggio del potere ai Soviet. Il 4 luglio si accesero sparatorie fra cosacchi e allievi ufficiali, fedeli al governo, e soldati manifestanti, con decine di morti: i manifestanti sono dispersi, le sedi del partito e dei giornali bolscevichi chiuse, diversi dirigenti arrestati. Non Lenin che, accusato di aver organizzato una sommossa e persino di essere una spia tedesca, si nascose prima nella stessa Pietrogrado, poi, dal 12 luglio, in una capanna presso Razliv e, dal 22 agosto, a Helsinki, in Finlandia, allora regione dell'Impero russo.

L'ottobre

Il tentativo controrivoluzionario del generale Kornilov, che tentò di ripristinare il vecchio regime con la connivenza dei grandi industriali e del partito dei cadetti, per quanto sventato, compromise definitivamente la credibilità del Governo provvisorio di Kerenskij a favore dei Soviet e degli stessi bolscevichi, che avevano sempre appoggiato il passaggio del potere agli organismi popolari e risultavano ora il primo partito nei Soviet di Pietrogrado e di Mosca. Tutti i dirigenti bolscevichi arrestati vennero rilasciati mentre Lenin, dalla clandestinità, fece pubblicare il 6 settembre l'articolo Sui compromessi, proponendo la formazione di un governo di menscevichi e socialisti rivoluzionari che goda della fiducia dei Soviet e che abbia un programma democratico avanzato. La proposta viene accettata il 13 settembre dal Comitato centrale del partito. Il 14 si apriva a Pietrogrado la Conferenza democratica, che avrebbe dovuto discutere della formazione di un nuovo governo e degli assetti istituzionali della Repubblica russa ma non riuscì a prendere nessuna decisione; intanto, attraverso due nuove lettere, I bolscevichi devono prendere il potere e Il marxismo e l'insurrezione, Lenin, paventando che reazionari e moderati intendessero abbandonare la capitale nelle mani dei tedeschi per soffocare la rivoluzione, e giudicando ormai mature le condizioni, proponeva improvvisamente ai compagni di partito di preparare segretamente e in tempi brevi l'insurrezione armata, rifiutando ogni compromesso, definito «cretinismo parlamentare», con la Conferenza democratica. Il Comitato centrale bolscevico respinse tuttavia la sua proposta.

Lenin rientrò allora clandestinamente a Pietrogrado il 9 ottobre: nella riunione del 10 la maggioranza si rovescia a suo favore, e il partito decide di preparare l'insurrezione armata: una grave difficoltà viene creata il 18 ottobre con la pubblicazione sulla rivista «Novaja Žizn'» di una lettera inviata da Kamenev che, in disaccordo con la maggioranza, rende di dominio pubblico la preparazione dell'insurrezione; il dissidio tuttavia rientra e il partito organizza, per la prima volta nella sua storia, un Politburo incaricato di sovrintendere all'insurrezione, mentre il Soviet di Pietrogrado, a maggioranza bolscevica, costituisce un Comitato militare rivoluzionario. All'alba del 25 ottobre 1917, le guardie rosse, milizie operaie bolsceviche, e i reggimenti della guarnigione della capitale, occupano i punti strategici della città e il Palazzo d'Inverno, sede del governo, arrestando alcuni ministri: altri, fra cui Kerenskij, riescono a fuggire. La «Rivoluzione d'ottobre» ha vinto senza quasi incontrare resistenza.

La conquista del potere

Il 26 ottobre il II Congresso panrusso dei Soviet degli operai e dei soldati dichiara decaduto il governo provvisorio di Kerenskij, approva i decreti sulla pace e sulla terra: vengono confiscate senza indennizzo le terre dei proprietari fondiari e della Chiesa; ratifica la nomina del nuovo governo – il Consiglio dei commissari del popolo, o Sovnarkom – a capo del quale è Lenin ed è costituito da soli bolscevichi – e nomina il Comitato esecutivo centrale panrusso (VCIK), organo facente funzione di parlamento, che è composto di 101 rappresentanti, dei quali, per il ritiro dei Socialisti rivoluzionari (SR) di destra e della maggioranza dei menscevichi dal Congresso dei Soviet, 62 sono bolscevichi, 29 SR di sinistra e 10 menscevichi internazionalisti; per attività controrivoluzionaria vengono soppressi dal Comitato militare rivoluzionario i quotidiani Birževye Vedomosti (Informazioni della borsa), Den (Il Giorno), giornale menscevico finanziato dalle banche, Novoe Vremja (Il tempo nuovo) e Russkaja Volja (La volontà russa), di estrema destra, Russkie Vedomosti (Informazioni russe) e Reč' (Il discorso), organi dei cadetti.

Superato il primo momento di sorpresa, si organizza la reazione: il 27 ottobre il generale Duchonin, nel suo Quartier generale di Mogilëv, si nomina capo dell'esercito e prende contatto con Kerenskij il quale, con le truppe del generale Krasnov, marcia su Pietrogrado; il generale Kaledin controlla il sud della Russia dove ha costituito una "Repubblica dei cosacchi" mentre una parte dell'Ucraina si costituisce in Repubblica indipendente con capitale Kiev. A Mosca, il colonnello Rjabtsev, comandante del Distretto militare, occupa il Cremlino uccidendo centinaia di soldati disarmati: la guerra civile è di fatto iniziata.

Il generale Duchonin, destituito da Lenin, che pone al suo posto il sottotenente Krylenko, rifiuta di chiedere l'armistizio ai tedeschi e fa liberare i generali golpisti Kornilov, Denikin, Lukomskij e Romanovskij. Prima ancora che Krylenko e le sue truppe giungano a Mogilëv, Duchonin è arrestato e fucilato dai suoi stessi soldati. Intanto, le truppe di Krasnov sono battute e si sbandano: Kerenskij fugge, mentre il generale Krasnov, catturato e rilasciato sulla parola di non combattere più contro la Rivoluzione, va nel bacino del Don dove riorganizza un nuovo esercito controrivoluzionario.

Mentre si costituiscono, dal 28 ottobre, milizie operaie alle dirette dipendenze del Soviet, un decreto del 10 novembre stabilisce, per eliminare ogni formale distinzione di classe sociale, l'abrogazione di ogni privilegio, dei gradi civili, dei titoli nobiliari e onorifici, e si afferma l'eguaglianza dei diritti fra uomini e donne.

Il 12 novembre si tengono le elezioni, che si svolgono suffragio universale, per l'elezione dei membri dell'Assemblea costituente, avente lo scopo di redigere la nuova costituzione della Russia: su 707 seggi, i SR ne ottengono 410, il 58%, i bolscevichi 175, il 25%, i partiti nazionalisti 86, il 9%, i cadetti 17 e i menscevichi 16, il 4% ciascuno. Se per i bolscevichi le elezioni sono una sconfitta, in parte prevista, il clamoroso successo dei SR è in realtà solo apparente: già solo due giorni dopo, al Congresso panrusso dei Soviet dei contadini, i SR si scindono in due frazioni, delle quali l'ala sinistra ottiene la maggioranza. Il VCIK viene allargato da 108 membri a 350 (poi ridotti a 200) divenendo il Comitato esecutivo centrale panrusso degli operai, dei soldati e dei contadini e tre esponenti della sinistra SR entrano a far parte del governo.

Il 22 novembre vengono aboliti i precedenti organismi giudiziari e tutte le leggi incompatibili con il nuovo regime; al loro posto si costituiscono tribunali popolari locali, eletti dai Soviet cittadini. Il 6 dicembre vengono requisite le grandi abitazioni, il 7 dicembre viene costituita la Čeka (Commissione straordinaria), diretta da Dzeržinskij, incaricata di condurre la lotta contro la controrivoluzione e il boicottaggio e il 27 dicembre vengono nazionalizzate le banche.

L'Assemblea costituente

La convocazione dell'Assemblea costituente, così come si era costituita in base al risultato elettorale, avrebbe legittimato un'opposizione al regime dei Soviet e del governo bolscevico e infatti tutti i partiti antibolscevichi richiesero l'apertura dei suoi lavori. Lenin affrontò il problema con le sue Tesi sull'Assemblea costituente, apparse sulla Pravda del 13 dicembre 1917. Se è vero che «in una Repubblica borghese l'Assemblea costituente è la forma più alta di democrazia» è anche vero, secondo Lenin, che tutte le forze socialdemocratiche le avevano opposto la Repubblica fondata sui Soviet come «una forma di democrazia più elevata» e «l'unica forma capace di assicurare il passaggio al socialismo nel modo meno doloroso». pertanto, richiedere la convocazione dell'Assemblea significava rifiutare il passaggio al socialismo, rimanendo «nell'ambito della democrazia borghese», proprio ora che la rivoluzione d'ottobre aveva «strappato il dominio politico dalle mani della borghesia per darlo al proletariato e ai contadini poveri». Secondo Lenin, «la guerra civile, cominciata con l'insurrezione controrivoluzionaria dei cadetti e dei seguaci di Kaledin [...] ha inasprito la lotta di classe e ha eliminato ogni possibilità di risolvere, per una via formalmente democratica», i problemi della Russia.

Già dal febbraio 1917 la Rivoluzione antizarista aveva vissuto il dualismo dei poteri del Governo provvisorio borghese e del Soviet socialista: ora il governo bolscevico era deciso a risolverlo. Il sovnarchom convocò l'Assemblea costituente per il 5 gennaio 1918, mentre il VCIK, convocando il III Congresso panrusso dei Soviet per l'8 gennaio, preparò un progetto di Dichiarazione dei Diritti del Popolo Oppresso e Sfruttato, che l'Assemblea costituente avrebbe dovuto approvare, che all'articolo 1º del I paragrafo recitava: «La Russia è una Repubblica di Soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini. Tutti i poteri, centrali e locali, appartengono a questi Soviet», e al IV paragrafo affermava che «L'Assemblea costituente, appoggiando il potere sovietico e i decreti del Sovnarchom, ritiene di esaurire i propri compiti, stabilendo le basi fondamentali della trasformazione socialista della società».

L'Assemblea respinse a grande maggioranza la Dichiarazione e continuò i suoi lavori per tutta la notte finché, all'alba del 6 gennaio, la minoranza bolscevica e SR di sinistra abbandonarono la seduta. A quel punto, il comandante della guardia, il marinaio Železnjakov, fa presente al presidente dell'Assemblea, Černov, che «la guardia è stanca» e l'Assemblea va chiusa. Così fu e la Costituente non si riunì più.

Il 20 gennaio 1918 il governo emise il decreto con il quale viene riconosciuta a tutti i cittadini la libertà di coscienza - in particolare la libertà di professare qualunque religione - e, avendo stabilito il principio della separazione fra Stato e Chiesa, si abrogano, oltre i privilegi di cui al decreto del 10 novembre, anche i sussidi statali di cui la Chiesa godeva. L'insegnamento della religione ortodossa, già obbligatorio nelle scuole statali, è abolito.

Il trattato di pace
   
« Abbiamo alzato ora la bandiera bianca della resa; innalzeremo più tardi, su tutto il mondo, la bandiera rossa della nostra rivoluzione »
    (Lenin commentando la firma del trattato di pace di Brest-Litovsk del 1918; citato in Antonio Pugliese, Alta marea, Editrice Sud, Napoli, 1955)

Dopo lunghi e duri contrasti in seno al partito, nel quale Lenin, che chiedeva di raggiungere la pace al più presto, è posto più volte in minoranza, il 3 marzo il governo russo stipula, con il Trattato di Brest-Litovsk, la pace con gli Imperi Centrali a condizioni durissime: la Russia deve cedere la Polonia, la Lituania, la Lettonia, l'Estonia, la Finlandia, parte della Bielorussia, alcuni territori alla Turchia, riconoscere la Rada ucraina, pagare 6 miliardi di marchi e smobilitare l'esercito e la marina. I SR di sinistra non solo lasciano il governo ma si avviano a una politica di netta opposizione.

Il 14 giugno 1918 il VCIK espulse i menscevichi e i SR di destra e chiede ai soviet locali di fare altrettanto. Il 6 luglio l'ambasciatore tedesco a Mosca, Wilhelm von Mirbach-Harff, è assassinato da due SR, membri della Čeka, allo scopo di provocare l'intervento dell'esercito tedesco in appoggio al contemporaneo tentativo insurrezionale della capitale: l'operazione è finanziata dalla Francia. La maggior parte dei delegati SR al V Congresso panrusso dei Soviet, compresa la dirigente SR Marija Spiridonova, vengono arrestati e 13 SR, membri della Čeka, sono fucilati. La Spiridonova confessa di essere la mandante dell'omicidio ma, riconosciuta inferma di mente, viene liberata qualche mese dopo.

Con l'aperto intervento straniero in appoggio alla rivolta zarista, la posizione politica dei menscevichi e dei SR diviene delicata: essi non potevano sperare nulla da una vittoria dei "Bianchi" né rimanere indifferenti di fronte all'invasione straniera. Il congresso menscevico tenuto a Mosca alla fine dell'ottobre 1918 riconosce la «necessità storica» della Rivoluzione d'ottobre, rifiuta ogni collaborazione con la controrivoluzione, promette di appoggiare le operazioni militari contro gli stranieri e chiede la fine della repressione poliziesca e del «terrore politico ed economico». Analogamente stabiliva il congresso SR tenuto a Pietrogrado nel febbraio 1919, cosicché il VCIK riammise, rispettivamente il 30 novembre 1918 e il 25 febbraio 1919 le due formazioni politiche. Ciò non toglie che la Čeka continuasse a rendere difficile, con arresti e perquisizioni, la vita dei dirigenti dei due partiti, Dan, Martov, Cernov, che infatti finirono per emigrare.

La Costituzione della RSFSR

Il 10 luglio 1918 entra in vigore la nuova Costituzione: i primi due articoli stabiliscono che la Russia è «una Repubblica di Soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini», i quali appartengono i poteri centrali e locali, «istituita sulla base di una libera unione di nazioni libere, come federazione di repubbliche nazionali sovietiche». L'articolo 3 delibera che, proponendosi la soppressione di «ogni sfruttamento dell'uomo sull'uomo, l'annullamento completo della divisione della società in classi, lo sterminio completo degli sfruttatori» e l'edificazione del socialismo, «la proprietà privata della terra è abolita»; riafferma il «controllo operaio» sulle fabbriche «per assicurare il potere dei lavoratori sugli sfruttatori»; annulla tutti i prestiti contratti dal governo zarista, «primo colpo portato al capitale finanziario internazionale delle banche», che sono nazionalizzate; stabilisce il lavoro obbligatorio «per annientare le classi parassite della società»; decreta «l'armamento degli operai e dei contadini, la formazione dell'Armata rossa socialista degli operai e dei contadini e il disarmo completo delle classi possidenti».

L'articolo 65 stabilisce che non possono essere né elettori né eleggibili «a) le persone che impiegano salariati con lo scopo di aumentare il loro profitto; b) le persone che vivono di redditi non derivanti dal loro lavoro, come: rendite utili su fabbricati, profitti su immobili, ecc.; c) i commercianti privati e i mediatori di commercio; d) i frati, i cappellani di culto e delle chiese; e) gli impiegati e gli agenti della vecchia polizia, del corpo scelto dei gendarmi, delle sezioni della polizia segreta e i membri delle ex-famiglie regnanti; f) gli alienati, i deboli di mente e le persone sotto tutela; g) i condannati per furto e delitti infamanti».

Il Terrore rosso

Nell'estate 1918 le truppe controrivoluzionarie cecoslovacche avanzano rapidamente verso Ekaterinburg, dove il deposto Nicola II si trova agli arresti con la sua famiglia. Il 16 luglio, Sverdlov con il beneplacito di Lenin[49] ordina al commissario Jurovskij l'eliminazione di Nicola II, della moglie Aleksandra Fëdorovna, e dei figli Ol'ga, Tat'jana, Marija, Anastasija e Aleksej, unitamente a membri del loro seguito anch'essi detenuti. La notizia dell'esecuzione a Mosca viene data mentre Lenin ascolta la discussione sui provvedimenti sanitari proposta dal commissario per la sanità Semaško; c'è "silenzio generale" fino a quando Lenin non propone di continuare la lettura della relazione. Il comunicato ufficiale diramato dall'"Izvéstija" del 19 luglio proclama l'avvenuta fucilazione dello zar, ma non menziona la famiglia, che anzi dichiara "trasferita in un luogo sicuro". La Chiesa ortodossa russa ha canonizzato nel 2000 Nicola II e la sua famiglia come martiri.

Ai primi di agosto lasciano la Russia gli ambasciatori delle potenze dell'Intesa, che decide di appoggiare direttamente la controrivoluzione: il 15 agosto 1918 truppe inglesi e americane sbarcano ad Arcangelo e a Murmansk, mentre il 30, a Mosca, la socialista rivoluzionaria Fanny Kaplan, con due colpi di rivoltella, ferisce gravemente Lenin e a Pietrogrado è ucciso il dirigente della Čeka Uritskij. Il Governo concede alla Čeka un'autorità illimitata, autorizzando la fucilazione senza processo di tutti i criminali politici e degli speculatori, l'arresto dei socialisti rivoluzionari di destra, la presa di ostaggi fra i borghesi e gli ufficiali: il 7 settembre vengono rese note 512 fucilazioni a Pietrogrado, un centinaio a Kronštadt, 60 a Mosca, 86 a Perm, 41 a Novgorod.

Il VCIK, il 25 ottobre, dichiara che «vista la situazione, il terrore, come mezzo di sicurezza, s'impone. È indispensabile, se si vuole salvare la repubblica sovietica contro i suoi nemici, isolare questi ultimi in campi di concentramento e fucilare tutti coloro che saranno sorpresi nelle organizzazioni, nei complotti e nelle sommosse delle guardie bianche»; è la chiara, speculare risposta a dichiarazioni come quella del generale bianco Denisov, il quale afferma che «è necessario sterminare senza pietà le persone che fossero scoperte a collaborare con i bolscevichi».

Il comunismo di guerra

Nel corso del 1918 era scoppiata la guerra civile tra le "armate bianche", che lottavano per la restaurazione dell'impero zarista (esse trovarono in alcune zone l'iniziale appoggio delle masse rurali contrarie alle requisizioni effettuate dal governo sovietico, ma poi lo persero per la volontà dei "bianchi" di restaurare sistematicamente nei territori conquistati tutti gli antichi privilegi della nobiltà e del clero), e le "armate rosse" comuniste.

Le armate bianche erano finanziate e appoggiate militarmente dalle potenze dell'Intesa (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Giappone e Italia), contrarie alla nascita di uno stato anticapitalista. Le armate rosse dovevano anche affrontare una guerra contro la Polonia per il possesso di ampie zone di confine (che si concluderà col trattato di Riga del 1921) e le numerose sommosse anti-comuniste promosse da contadini, menscevichi e populisti.
Truppe bolsceviche impegnate nella guerra civile

In conseguenza della situazione precaria, Lenin (con l'appoggio degli altri dirigenti del partito bolscevico), al fine di poter vincere la guerra e poter quindi realizzare la rivoluzione socialista e l'eliminazione della "classe borghese", autorizzò la promulgazione e l'attuazione di una serie di provvedimenti (in vigore tra il 1918 ed il 1921), che vanno complessivamente sotto il nome di "comunismo di guerra".

Vengono decisi il razionamento delle derrate alimentari e la requisizione forzata delle eccedenze cerealicole dei contadini (la popolazione rurale rispose con sollevazioni ai tentativi del governo di sequestrare le derrate agricole, le quali furono duramente represse), il che, in comune con i danni causati dagli scontri della guerra civile e dalla prima guerra mondiale, causò carestie che provocarono (tra il 1918 ed il 1922) la morte di un numero di persone stimato fra i 2 ed i 5 milioni, soprattutto tra le più indigenti.

Il comunismo di guerra consistette principalmente nel controllo statale della produzione (per fini bellici) e della distribuzione di alimenti e prodotti (che dovevano essere razionati per le esigenze legate alla guerra). La politica di razionamenti avrebbe determinato la crisi dell'economia di scambio basata sulla moneta a favore di una forma di economia basata sul baratto (il governo russo ovvierà a tale situazione a partire dal 1921).

Per le esigenze legate alla produzione bellica, viene vietato lo sciopero e viene attuata la militarizzazione del lavoro, con turni di lavoro forzato.

Per impedire la diffusione tra il popolo di idee controrivoluzionarie ritenute "pericolose", viene soppressa la libertà d'opinione, viene reintrodotta (essa era stata abrogata subito dopo la rivoluzione d'ottobre) la pena di morte (per il solo ma vago reato di "controrivoluzione"), viene abolita la libertà di stampa (con conseguente ufficializzazione della censura, già praticata), si inizia la persecuzione di tutti coloro che vengono considerati "non lavoratori" e amplissimi poteri vengono dati alla čeka, la polizia politica che diviene il simbolo della repressione leniniana (il cosiddetto "terrore rosso", che determinò la morte o la detenzione di migliaia di civili; Lenin, basandosi sull'esperienza francese, considerava il terrore indispensabile per la realizzazione di una qualsiasi rivoluzione).[53]

La NEP

Col decimo congresso del Partito comunista nel marzo 1921, Lenin annuncia l'abbandono del "comunismo di guerra" e l'inizio la "Nuova Politica Economica" (NEP), come già preannunciato nel saggio "L'estremismo, malattia infantile del comunismo", scritto nell'aprile 1920.

Egli rinuncia alla realizzazione immediata di un sistema economico pianificato (di cui era possibile ravvisare alcuni elementi come il GOELRO la Commissione di Stato per L'Elettrificazione della Russia istituita nel febbraio del 1920),[54] già durante il periodo del "comunismo di guerra" ed in quello immediatamente precedente, giudicando non pronta la popolazione: si ha la sostituzione delle requisizioni ai contadini con un'imposta in natura, la restaurazione della libertà di commercio e della proprietà privata delle piccole e medie imprese, l'abolizione del controllo operaio, la reintroduzione del cottimo e il ristabilimento dell'azione sindacale. La scelta di abbandonare il comunismo di guerra viene presa dopo una serie di ribellioni operaie e dopo l'ammutinamento della base navale di Kronštadt (tra il 1º e il 17 marzo 1921), i cui soldati erano stati determinanti nella presa di Pietrogrado durante la Rivoluzione d'ottobre.

Gli ultimi anni e la morte

Al X congresso del partito viene decisa la lotta al "frazionismo" e si istituzionalizza il divieto di creare correnti in seno al partito. In tale occasione, il partito viene epurato di circa un terzo dei suoi membri e viene attribuita alla Segreteria di Partito il potere di scegliere i delegati al congresso dei soviet.

Nel 1921 si ha la reintroduzione nelle scuole dei sistemi educativi tradizionali, integrati con la propaganda di partito. Si ha inoltre la creazione di associazioni giovanili a carattere ideologico socialista: i "Pionieri" (cui sono iscritti i bambini sino ai 15 anni) e la "Gioventù Comunista" o "Komsomol" (cui sono iscritti i ragazzi al di sopra dei 15 anni), che seleziona i candidati al partito (nella fase iniziale queste organizzazioni non erano di massa).

Il 6 febbraio 1922 la Čeka viene sciolta e sostituita dalla GPU, una nuova polizia politica che nasce ufficialmente per ripristinare la "legalità rivoluzionaria" e per porre fine alle procedure extragiudiziarie.
   
« Tuttavia, la GPU mantiene gli organici della Čeka ed ottiene la facoltà di poter punire (anche con la morte) senza processo tutti coloro che vengono considerati responsabili di banditismo. »
    (16 ottobre )

Nel marzo viene decisa la requisizione degli oggetti di culto preziosi appartenenti al clero, ufficialmente allo scopo di rimediare agli effetti della carestia che si erano accompagnate durante la guerra. Infatti si ebbero circa un migliaio di episodi di "resistenza", a seguito dei quali i Tribunali rivoluzionari comminarono la pena di morte a 28 vescovi e 1215 preti e la pena detentiva a circa 100 vescovi e diecimila preti.[53] In dicembre viene organizzata una campagna pubblica per irridere il Natale; simili manifestazioni si avranno l'anno seguente anche in occasione della pasqua e della festa ebraica del Yom Kippur.

Nel medesimo anno viene creata la carica di segretario generale del partito (che viene ricoperta da Stalin).

Il 30 dicembre la Russia si trasforma in Unione Sovietica (il Partito Comunista Russo diventerà Partito Comunista dell'Unione Sovietica).

Lenin spese gli ultimi anni della propria vita, una volta conclusa la guerra e resosi conto delle proprie precarie condizioni di salute, principalmente nel cercare di designare il suo "successore" alla guida del partito.

Subisce il primo attacco della sua malattia il 25 maggio 1922 (un ictus che comporta un parziale deficit del lato destro del corpo, tanto che è costretto a imparare a scrivere con la sinistra); solo il 2 ottobre comincia a tornare all'attività ma il 16 dicembre subirà un secondo attacco, il 23 dicembre riprende forze e lucidità ma le sue condizioni si aggravarono progressivamente, dal 6 marzo 1923 non è più in grado di comunicare, fino alla completa paralisi ed alla morte il 21 gennaio 1924.

Data la giovane età di Lenin (aveva solo 53 anni alla data della morte), si sono diffuse nel tempo diverse teorie riguardanti la morte di Lenin: vi fu e vi è chi sostiene che la causa della prematura morte di questi sia da rintracciare in una forma di sifilide. A seguito di un'autopsia compiuta sul cadavere (poco tempo dopo dal decesso) per conto del governo russo, la causa ufficiale della morte venne identificata in un'aterosclerosi cerebrale. Tuttavia solo 8 dei 27 medici curanti concordarono che l'aterosclerosi fosse la vera causa della morte e perciò solo costoro firmarono il referto autoptico.

Il "testamento" di Lenin

« Il compagno Stalin, divenuto segretario generale, ha concentrato nelle sue mani un immenso potere, e io non sono sicuro che egli sappia servirsene sempre con sufficiente prudenza. D'altro canto, il compagno Trotsky come ha già dimostrato la sua lotta contro il CC nella questione del commissariato del popolo per i trasporti, si distingue non solo per le sue eminenti capacità. Personalmente egli è forse il più capace tra i membri dell'attuale CC. »
    (Lenin)

    « Stalin è troppo grossolano, e questo difetto, del tutto tollerabile nell'ambiente e nei rapporti tra noi comunisti, diventa intollerabile nella funzione di segretario generale. Perciò propongo ai compagni di pensare alla maniera di togliere Stalin da questo incarico e di designare a questo posto un altro uomo che, a parte tutti gli altri aspetti, si distingua dal compagno Stalin solo per una migliore qualità, quella cioè di essere più tollerante, più leale, più cortese e più riguardoso verso i compagni, meno capriccioso, ecc. Questa circostanza può apparire una piccolezza insignificante. Ma io penso che, dal punto di vista dell'impedimento di una scissione e di quanto ho scritto sopra sui rapporti tra Stalin e Trotsky, non sia una piccolezza, ovvero sia una piccolezza che può avere un'importanza decisiva. »
    (Lenin)

La lettera al Congresso, meglio conosciuta come "testamento", è un insieme di documenti dettati da Lenin a sua moglie e alla sua stenografa Maria Volodicheva tra il dicembre del 1922 e il gennaio del 1923, durante il suo soggiorno nella casa di cura di Gorky. Nella prima parte della lettera Lenin avanzò la necessità di aumentare l'effettivo del Comitato Centrale facendovi entrare operai e contadini (50-100 membri) e delineò i ritratti dei maggiori esponenti del partito candidati alla sua successione. Nella seconda parte del testo, Lenin propose esplicitamente al Congresso la rimozione di Stalin (giudicato "troppo grossolano") dalla carica di segretario generale del partito. Egli riteneva indispensabile rendere noto il contenuto dopo la sua morte ma il XIII Congresso del PCUS decise all'unanimità di non rendere il testamento di dominio pubblico. Soltanto nel 1956, durante il XX Congresso del PCUS, Nikita Chruščëv svelò l'esistenza di questo documento che successivamente fu pubblicato integralmente da alcune Organizzazioni Comuniste Internazionaliste.

La rottura con Stalin però, si percepì anche prima della stesura del testamento. Durante la malattia di Lenin infatti, Stalin costrinse i medici a imporre misure molto restrittive al malato, impedendogli di fatto qualsiasi attività, addirittura non poteva ricevere documenti o notizie dai suoi assistiti, né scrivere sotto dettatura. Il 21 dicembre 1922 Lenin dettò alla moglie una breve lettera per Trotsky ma quando Stalin ne fu informato, reagì con brutalità, rimproverando e aggredendo verbalmente la Krupskaja. Quando Lenin fu informato dell'accaduto il 5 marzo 1923, dopo averlo definito "insolente", minacciò Stalin di interrompere qualsiasi rapporto con lui se non avesse chiesto scusa a sua moglie.

Il culto della salma

Subito dopo la morte, il 23 gennaio, la salma fu trasferita da Gorkij a Mosca, dove ricevette l'ultimo saluto dalla folla che sfidò il gelido inverno russo per l'ultimo omaggio al capo della rivoluzione. Il 26 gennaio fu celebrata una cerimonia nel grande teatro di Mosca e all'uscita, mentre il feretro percorreva la Piazza Rossa, l'enorme folla accorsa intonò l'Internazionale. In tutta la Russia le attività cessarono, la città natale di Lenin, Simbirsk, fu chiamata in sua memoria Uljanovsk, e Pietrogrado (l'antica Pietroburgo) prese il nome di Leningrado. Stalin e soprattutto Feliks Dzeržinskij, capo della Čeka, vollero fare del corpo di Lenin un simbolo da esporre e da venerare in un apposito mausoleo ai piedi delle mura del Cremlino, nonostante egli avesse espressamente dichiarato di voler essere seppellito accanto ai suoi compagni. All'inizio si pensò di congelare il corpo, ma il rapido deteriorarsi nell'attesa che venisse costruita un'apposita camera refrigerata ne rese necessaria l'imbalsamazione. Neppure i ripetuti appelli della vedova di rispettare le ultime volontà del marito, servirono a far cambiare idea a Stalin.

L'anatomista ucraino Vladimir Vorobiov e il dottor Boris Zbarsky, a capo di un gruppo di medici, utilizzarono una tecnica che non è stata ancora completamente svelata. Da più di ottant'anni la salma viene fatta oggetto di trattamenti periodici e attenzioni costanti affinché conservi sempre un aspetto "da vivente": oltre ad essere ispezionata settimanalmente per rivelare eventuali tracce di muffa o fenomeni degenerativi, ogni anno e mezzo viene immersa per trenta giorni in un bagno di glicerolo e acetato di potassio.

Pensiero e opere di Lenin

La concezione del partito come avanguardia rivoluzionaria e la coscienza di classe

Nel marzo 1902, Lenin pubblicò presso l'editore Dietz di Stoccarda il saggio Che fare?, composto dal maggio 1901 al febbraio 1902. Riprendendo il titolo di un noto romanzo dello scrittore russo Nikolaj Gavrilovič Černyševskij, che aveva affascinato più di una generazione di rivoluzionari russi, Lenin polemizza contro gli economicisti, per i quali «gli operai devono condurre una lotta economica [...] che abbracci anche la politica specificamente operaia, gli intellettuali marxisti devono fondersi con i liberali per la lotta politica»; in questo modo, secondo Lenin, essi finiscono per negare ogni funzione rivoluzionaria del partito. Negli anni novanta ci fu una notevole estensione di scioperi spontanei: «Presi per sé, questi scioperi costituivano una lotta tradunionistica, ma non ancora socialdemocratica; annunciavano il risveglio dell'antagonismo tra operai e padroni, ma gli operai non avevano e non potevano avere ancora la coscienza dell'irriducibile antagonismo fra i loro interessi e tutto l'ordinamento politico e sociale contemporaneo, cioè la coscienza socialdemocratica. Gli scioperi della fine del secolo…restavano un movimento puramente spontaneo». La classe operaia, lasciata sola di fronte alle proprie condizioni, non supera i limiti dell'economicismo, del sindacalismo, non mette in discussione il sistema economico e sociale e resta succube della borghesia.

La coscienza politica socialista, secondo Lenin, è la comprensione del rapporto che lega il capitalista all'ordinamento economico, alle istituzioni politiche e allo Stato. È illusorio credere di poter combattere il proprio avversario di classe senza combattere l'ordinamento che lo difende e di cui è espressione. Per questo non bastano i sindacati ma è necessario un partito: «La socialdemocrazia rivoluzionaria ha sempre compreso nella propria azione la lotta per le riforme [...] ma anche e innanzi tutto la soppressione del regime autocratico». Il pensiero politico socialista non è nato in conseguenza delle lotte economiche operaie, ma fu lo sviluppo del pensiero di intellettuali rivoluzionari: «La coscienza politica di classe può essere portata all'operaio solo dall'esterno, cioè dall'esterno delle lotte economiche, della sfera dei rapporti fra operai e padroni. Il solo campo dal quale è possibile raggiungere questa coscienza è il campo dei rapporti di tutte le classi, di tutti gli strati della popolazione con lo Stato e con il governo, il campo dei rapporti reciproci di tutte le classi».

Nel luglio 1903, nel corso del II Congresso del Partito socialdemocratico russo tenuto a Bruxelles e poi a Londra, emersero contrasti tra i socialisti russi: da un lato i bolscevichi (maggioritari), guidati da Lenin e Plechanov, sostengono la necessità di un partito fortemente centralizzato, diretto da rivoluzionari di professione, dall'altro i menscevichi (minoritari), Aksel'rod, Vera Zasulic e Martov, sostenevano la concezione di un partito più aperto alla società civile.

In Un passo avanti, due indietro (1904) Lenin commenta l'esito del II Congresso del Partito socialdemocratico russo e completa la sua teoria del partito, che per lui è un'organizzazione costruita dall'alto verso il basso: considerare autoritaria e burocratica questa concezione, come sostengono i menscevichi, ma anche la socialdemocratica (poi comunista) tedesca Rosa Luxemburg, «con la loro tendenza ad andare dal basso in alto, dando a qualsiasi professore, a qualsiasi studente di ginnasio, a ogni scioperante la possibilità di annoverarsi tra i membri del partito», significa privilegiare il movimento e la spontaneità contro la coscienza critica, significa diminuire il valore dell'iniziativa politica, avere una concezione deterministica dello sviluppo sociale - illudendosi di un presunto inevitabile crollo del capitalismo - e abbandonarsi alla politica del contingente, del caso per caso.

Pur essendo il partito della classe operaia, il partito non può identificarsi con essa, perché il partito rivoluzionario è la coscienza politica e teorica dell'avanguardia della classe, e questa avanguardia non può coincidere con coscienza politica di tutta la classe operaia: «Sarebbe codismo pensare che, con il capitalismo, tutta la classe operaia sia capace di elevarsi alla coscienza e all'attività dell'avanguardia [...]: dimenticare la differenza che esiste tra l'avanguardia e le masse che gravitano su di essa, dimenticare il dovere dell'avanguardia di elevare strati sempre più vasti al suo livello, vorrebbe dire ingannare se stessi»

Materialismo ed empiriocriticismo

Nel 1909 Lenin pubblicò Materialismo ed empiriocriticismo, in polemica con il compagno di partito Aleksandr Bogdanov, uno dei fondatori del bolscevismo e dirigente della corrente di sinistra, con un ruolo preminente nel 1905), il quale sosteneva che l'unica realtà è costituita dall'esperienza e che il marxismo vada aggiornato sulla base delle conclusioni degli scienziati positivisti (Bogdanov stesso era uno scienziato). La posizione filosofica di Bogdanov venne valutata da Lenin una variante dell'empiriocriticismo di Richard Avenarius e di Ernst Mach, sebbene Bogdanov proponesse una visione parzialmente diversa, basata sull'unificazione delle esperienze psichiche e fisiche, da lui denominata empiriomonismo.
Ernst Mach

Restando sul solco di Plechanov, Lenin afferma che «l'unica proprietà della materia [...] è la proprietà di essere una realtà obiettiva, di esistere fuori della nostra coscienza [...]. Le nostre sensazioni, la nostra coscienza, sono solo l'immagine del mondo esterno». Pertanto, secondo Lenin, seguendo Engels, la realtà non è, come sostengono gli empiriocriticisti, «una forma organizzatrice dell'esperienza», ma è il modo di essere dell'oggetto a cui il pensiero umano si avvicina secondo una dialettica fra verità assoluta e relativa: il soggetto è il cervello umano, «materia organizzata in un certo modo», che segue le stesse leggi della materia.

Lenin sostiene questa polemica senza avere potuto conoscere tutta l'elaborazione filosofica di Marx, pubblicata dopo la sua morte. Più tardi tenterà una rifondazione teorica dei presupposti filosofici marxisti nel breve articolo Tre fonti e tre parti integranti del marxismo, dove ripete la spiegazione di Engels secondo cui il marxismo è il prodotto originale del confluire di tre grandi filoni di pensiero rappresentativi dei «punti più elevati» raggiunti dal pensiero europeo nel secolo precedente: il socialismo francese, la filosofia tedesca e l'economia inglese.

Non tutti i seguaci della politica leninista hanno condiviso tutte le riflessioni filosofiche di Lenin, in particolare la teoria del «riflesso». Il problema è il ruolo della prassi, concetto centrale nel pensiero filosofico di Marx. Se la verità è l'adeguamento del soggetto conoscente all'oggetto esistente di per sé, si contraddice forse la centralità del ruolo della prassi enunciata da Marx nelle sue Tesi su Feuerbach. Se la prassi - l'attività del soggetto sull'oggetto - è la mediazione fra conoscente e conosciuto, è il mezzo stesso del conoscere, essa diviene in Lenin una mera derivazione del riflesso.

L'imperialismo

Dal 1912 al 1916 studia il fenomeno dell'imperialismo. Già il socialdemocratico austriaco Rudolf Hilferding nel suo Il capitale finanziario, nel 1909, aveva individuato nella formazione del capitale finanziario - fusione di capitale bancario e industriale - la premessa delle politiche imperialistiche. Lenin gli rimprovera di trascurare la divisione del mercato mondiale operata dai trust internazionali e la formazione di una classe parassitaria di possessori di reddito azionario: «il capitalismo ha la proprietà di staccare il possesso del capitale dal suo impiego nella produzione, il capitale liquido dal capitale industriale e produttivo, di separare il 'rentier', che vive soltanto del profitto tratto dal capitale liquido, dall'imprenditore [...] l'imperialismo, cioè l'egemonia del capitale finanziario, è lo stadio supremo del capitalismo in cui tale separazione assume le maggiori dimensioni».

Ne sono conseguenze i diversi fenomeni speculativi, finanziari, di Borsa, dei terreni, immobiliari. Se la forma dominante del capitale non è più quella industriale, ma è quella finanziaria, se «per il vecchio capitalismo, sotto il pieno dominio della libera concorrenza, era caratteristica l'esportazione di merci, per il nuovo capitalismo, sotto il dominio dei monopoli, è caratteristica l'esportazione del capitale [...] la necessità dell'esportazione di capitale è determinata dal fatto che in alcuni paesi il capitalismo è diventato più che maturo e al capitale [...] non rimane più un campo di investimento redditizio».

In questa fase, secondo la visione leniniana, si mostra più palesemente il carattere antisociale e l'irrazionalità del capitalismo e la conflittualità che esso provoca fra la sua necessità di profitto e i bisogni sociali della popolazione. Si può riassumere la definizione leniniana di imperialismo come «capitalismo giunto alla fase dello sviluppo in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, ha acquisito grande importanza l'esportazione dei capitali, è iniziata la divisione del mondo fra i trust internazionali e i maggiori paesi capitalistici si sono divisi l'intera superficie terrestre».
Stato e rivoluzione

Seguendo Marx ed Engels, Lenin sostiene che lo Stato - qualunque Stato - è l'organo con il quale la classe dominante esercita il suo potere: «la dittatura di una sola classe è necessaria non solo per ogni società classista in generale, non solo per il proletariato dopo aver abbattuto la borghesia, ma per l'intero periodo storico che separa il capitalismo dalla "società senza classi", dal comunismo. Le forme degli Stati borghesi sono straordinariamente varie, ma la loro sostanza è unica: tutti questi Stati sono [...] una dittatura della borghesia. Il passaggio dal capitalismo al comunismo, naturalmente, non può non produrre un'enorme abbondanza e varietà di forme politiche, ma la sostanza sarà inevitabilmente una sola: la dittatura del proletariato».

Come una democrazia borghese resta, secondo Lenin, una forma di dittatura esercitata con i mezzi dello Stato, così anche una democrazia socialista sarà una dittatura del proletariato: «la democrazia non si identifica con la sottomissione delle minoranza alla maggioranza. La democrazia è uno Stato che riconosce la sottomissione della minoranza alla maggioranza, cioè l'organizzazione sistematica della violenza esercitata da una classe contro un'altra, da una parte della popolazione contro l'altra».

A differenza della società borghese, che considera lo Stato una necessità permanente per la sua esistenza, nella società socialista lo Stato è destinato a estinguersi e dovrà essere organizzato in modo che cominci a estinguersi: «Noi ci assegniamo come scopo finale la soppressione dello Stato, cioè di ogni forma organizzata e sistematica di ogni violenza esercitata contro gli uomini in generale. Noi non auspichiamo l'avvento di un ordinamento sociale in cui non venga osservato il principio della sottomissione della minoranza alla maggioranza. Ma, aspirando al socialismo, abbiamo la convinzione che esso si trasformerà in comunismo, e che scomparirà quindi ogni necessità di ricorrere in generale alla violenza contro gli uomini [...] perché gli uomini si abitueranno a osservare le condizioni elementari della convivenza sociale, senza violenza e senza sottomissione».

Risposta alle critiche socialdemocratiche

Alle critiche, di origine socialdemocratica, che considerano la Russia immatura per il socialismo, nel 1923 Lenin risponderà:
   
« ..ma un popolo che era davanti a una situazione rivoluzionaria, quale si era creata nella prima guerra imperialista, sotto l'imminenza di questa situazione senza via di uscita, non poteva forse gettarsi in una lotta che gli apriva almeno qualche speranza di conquistarsi condizioni non del tutto ordinarie per un ulteriore progresso della civiltà?

La Russia non ha raggiunto il livello di sviluppo delle forze produttive sulla base del quale è possibile il socialismo. Tutti gli eroi della II Internazionale... presentano questa tesi come oro colato... la considerano decisiva per l'apprezzamento della nostra rivoluzione.

Ma che cosa fare se l'originalità della situazione ha innanzi tutto condotto la Russia nella guerra imperialista mondiale, nella quale erano coinvolti tutti i paesi dell'Europa occidentale che avevano una qualche influenza, ha creato per il suo sviluppo... condizioni in cui noi potevamo attuare precisamente quella unione della guerra dei contadini con il movimento operaio, di cui parlava, come di una prospettiva possibile, un marxista come Marx, nel 1856, a proposito della Prussia?

Che fare se la situazione, assolutamente senza vie d'uscita, decuplicava le forze degli operai e dei contadini e ci apriva più vaste possibilità di creare le premesse fondamentali della civiltà, su una via diversa da quella percorsa da tutti gli altri Stati dell'Europa occidentale? Forse che per questo la linea generale dello sviluppo della storia mondiale si è modificata? Si sono forse perciò cambiati i rapporti fondamentali tra le classi principali di ogni Stato...?

Se per creare il socialismo occorre un certo grado di cultura (quantunque nessuno possa dire quale sia di preciso questo certo grado di cultura, dato che esso è diverso in ogni Stato dell'Europa occidentale), perché non dovremmo allora cominciare con la conquista, per via rivoluzionaria, delle premesse necessarie per questo certo grado, in modo da potere in seguito - sulla base del potere operaio e contadino e del regime sovietico - metterci in marcia per raggiungere gli altri popoli?... »

Opere di Lenin

    Opere complete, 45 voll., Roma, Rinascita-Editori Riuniti, 1955-1970