Austromarxismo

 

da Fornero, Tassinari - Le filosofie del Novecento (Bruno Mondadori, Milano 2002)

15. Il marxismo dopo Marx

7. L'austromarxismo

a) Origini e caratteri generali

Abbiamo già detto dell'influenza che il neokantismo, a partire dall'ultimo decen nio dell'Ottocento, esercita in modo crescente tra le file della socialdemocrazia tedesca. Quando i revisionisti sostengono che il socialismo è sostanzialmente un ideale etico, essi si trovano sotto la suggestione dei filosofi neokantiani della Scuola di Marburgo (vedi cap. 4), i cui maggiori esponenti, Cohen e Natorp, avevano riconosciuto nell'etica kantiana un'introduzione al socialismo, là dove essa comanda di trattare l'umanità, nella persona degli altri come nella propria, sempre e prima di tutto come fine e mai come mezzo. Il socialismo, per il fatto stesso di mettere in discussione la riduzione del lavoro umano a semplice merce che si vende e si compra sul mercato, non farebbe altro che rivendicare la libertà e la dignità della persona che Kant aveva posto a fondamento dell'etica universale.

Un altro esempio di contaminazione tra marxismo e neokantismo lo troviamo in un gruppo di intellettuali e uomini politici appartenenti alla socialdemocrazia austriaca, che nei primi anni del Novecento danno vita alla cosiddetta "giovane Scuola marxiana di Vienna" e a un indirizzo di pensiero, a partire dal primo dopoguerra, conosciuto sotto il nome di "austromarxismo". I suoi esponenti, tra i quali Max Adler (1873-1937), Otto Bauer (1881-1938), Rudolf Hilferding (1877-1941), Friedrich Adler (1879-1960) e Karl Renner (1870-1950), provenivano dalle file del movimento studentesco socialista viennese e si erano formati nel confronto con le moderne correnti filosofiche e scientifiche, dal neokantismo della Scuola del Baden, che combatteva il marxismo con sottili argomentazioni filosofiche, al fenomenismo di Mach, che a Vienna aveva insegnato negli ultimi anni dell'Ottocento. Questi giovani intellettuali avvertivano l'insufficienza del marxismo ortodosso di Kautsky e Plechanov, ma, insieme, rifiutavano la liquidazione della teoria marxiana della necessità storica della rivoluzione sociale, cui l'analisi revisionista di Bernstein finiva con l'approdare. Otto Bauer, in un articolo-necrologio in memoria di Max Adler, il più autorevole tra gli austromarxisti, scrive che, di fronte agli attacchi al marxismo condotti, in forza degli strumenti "gnoseocritici" offerti dalla filosofia kantiana, dai filosofi borghesi, allo scopo di «derivoluzionare il movimento socialista» e di ridurre il socialismo «a un postulato etico, a mera massima di valutazione e di azione nell'ambito dell'ordinamento sociale esistente», il merito di Adler è stato quello di combattere questo tentativo adottando gli stessi strumenti degli avversari.

La giovane Scuola marxiana di Vienna si avvale di efficaci organi di diffusione delle proprie idee e di dibattito teorico, come i "Marx-Studien", una serie di saggi dedicati, a partire dal 1904, all'indagine filosofica, sociologica e politica, e la rivista teorico-politica "Der Kampf", fondata da Bauer nel 1907 in alternativa al "Die neue Zeit" di Kautsky. La Scuola è attiva fin dai primi anni del secolo attraversando un periodo di grande fermento intellettuale, in un ambiente culturale nel quale l'intellettualità borghese si esprime ad altissimi livelli di creatività. E la grande cultura viennese rappresentata nel settore degli studi filosofici da Mach, e più tardi, da Wittgenstein e dal Circolo di Vienna, in quello del diritto dal positivismo giuridico di Kelsen, nel campo della pittura dalla Secessione di Klimt, Schiele e Kokoschka, in quello della musica da Mahler, Schönberg e Richard Strauss, nella letteratura da Musil, Roth, Schnitzler e Hofmannsthal, nell'ambito della psicologia da Freud. Con questi interlocutori vengono a confrontarsi gli austromarxisti, sollecitati dunque a uno sforzo di rinnovamento della teoria marxista atto a rinvigorire le capacità di lettura della società capitalistica, i cui sviluppi, sempre più complessi anche sul terreno culturale, non tollerano più un uso superficiale e schematico dei metodi interpretativi proposti da Marx.

La guerra mondiale prima, la Rivoluzione bolscevica e la nascita della repubblica austriaca postbellica poi, producono nella "comunità spirituale" degli austro- marxisti divisioni politiche tra orientamenti moderati e tendenze di sinistra. Queste ultime prevalgono nel Partito socialdemocratico austriaco del dopoguerra, orientandolo verso la formulazione di una "terza via", alternativa sia al riformismo socialdemocratico sia al bolscevismo. Da questo momento le vicende dell'austro- marxismo si intrecciano con quelle del partito. Osteggiato dagli opposti versanti della socialdemocrazia tedesca e dell'Internazionale comunista, oscillante tra riforme e rivoluzione, esso sarebbe andato fatalmente incontro a un tragico scioglimento delle proprie ambiguità e incertezze, di fronte al profilarsi dell'offensiva antisocialista e reazionaria che anche in Austria, come in Germania, assume caratteri drammatici in seguito alla grande crisi del 1929. Dopo l'affermazione al potere, nel 1932-33, del regime clerico-fascista di Engelbert Dollfuss, un tentativo insurrezionale della "Vienna rossa", organizzato dai socialdemocratici, viene soffocato nel sangue e il partito messo fuori legge dal governo.

b) Adler: una lettura idealistica del marxismo

Non c'è dubbio che la più significativa rielaborazione filosofica del pensiero di Marx proposta nell'ambito dell'austromarxismo sia quella di Max Adler, consegnata al suo saggio più importante, Causalità e teleologia nella disputa sulla scienza (1904), e ad altri scritti come il Manuale della concezione materialistica della storia (1930) e L'enigma della società (1936).

In nome di una teoria critica della coscienza discendente dalla filosofia kantiana, Adler avanza un'interpretazione del marxismo che mira a separarlo dai suoi fondamenti filosofici, costituiti dal materialismo dialettico. Questo, non diversamente dalle opposte filosofie spiritualistiche, pretende di risalire alla conoscenza dell'essenza del mondo, rivelandosi in tal modo una filosofia metafisica, dimentica del fatto che le nostre capacità conoscitive non possono trascendere i confini dell'esperienza.

Scrive Adler:

In realtà, nella filosofia odierna non esistono soltanto le due correnti fondamentali del materialismo e dello spiritualismo, ma ne esiste anche una terza, quella del criticismo gnoseologico. Di contro a essa materialismo e spiritualismo vengono a confluire in una sola corrente in cui risultano simili, nonostante le altre loro differenze: ossia la corrente che accoglie in modo acritico e dogmatico l'esistenza di una sostanza delle cose in sé, la corrente metafisica.

Non dobbiamo, pertanto, farci ingannare dal fatto che Marx ed Engels abbiano chiamato la loro concezione della società con il nome di materialismo storico, piuttosto che con quello, che sarebbe stato più appropriato, di "realismo sociologico" o "positivismo". Ciò è dipeso dal fatto che essi dovettero opporsi alle interpretazioni spiritualistiche dominanti nella filosofia e nella sociologia del loro tempo. Il materialismo storico, in effetti, non è altro, sentenzia Adler, che una «scienza eco nomica della società, secondo esperienza».

In realtà, la revisione cui Adler sottopone il pensiero dei padri del marxismo non avrebbe potuto essere più radicale e tendenziosa. Non solo egli avanza una concezione d'impronta idealistica del soggetto umano, identificandolo con la coscienza, ma, addirittura, intende quest'ultima come unica realtà, cui dev'essere ricondotta l'intera esperienza umana, con l'esclusione radicale di ogni esistenza presupposta come "fuori di noi". Alla domanda che Lenin considerava decisiva a favore del materialismo - «esisteva o no la Terra prima dell'uomo?» -, così Adler risponde:

Certo la Terra è esistita prima dell'uomo, ma non prima della coscienza. La Terra in fatti, e il sorgere e l'evolversi della Terra, e l'intero periodo dell'evoluzione che precede la comparsa dell'uomo sono non soltanto contenuti della coscienza, ma determinazioni della coscienza, possibili solo attraverso le forme della coscienza. È soltanto in virtù dell'intuizione del tempo nella coscienza che viene tracciata la linea entro cui "noi" inscriviamo l'esistenza della Terra prima della comparsa dell'uomo.

Anche la società, nel suo oggettivo dispiegarsi come serie causale di eventi collettivi, rinvia a un a priori sociale costitutivo della coscienza quale proprio fondamento, nel quale l'io non è pensabile - lo aveva già detto Feuerbach - se non come un noi, principio della coesistenza plurima di soggetti diversi. Come dire che l'uomo non è sociale perché vive nella società, ma, al contrario, può vivere nella società perché è sociale nella sua coscienza originaria.

Una siffatta interpretazione del marxismo, che tornava a "porre sulla testa" quello che Marx ed Engels avevano inteso "rimettere sui piedi" e piegava i princìpi del materialismo storico a un'interpretazione coscienzialistica e idealistica, nasceva dall'esigenza di respingere le tendenze naturalistiche e dogmatico-materialistiche del marxismo ortodosso. A esso Adler rimproverava di voler trasferire nel «vivente regno del mondo umano [...] il cieco gioco di forze della materia inanimata», quasi che

lo sviluppo economico, riconosciuto come l'elemento determinante di tutto il processo storico, fosse semplicemente un movimento della materia senza vita, della materia sociale, di fronte alla quale il pensare e il volere degli uomini risulta un prodotto superfluo [...].

Una professione di fede materialistica, questa, secondo cui «lo spirito e il volere umani non hanno propriamente nessuna realtà nella storia e soltanto in apparenza sarebbero attivi in essa». Richiamandosi alle Tesi su Feuerbach e alla teoria del Capitale sul feticismo delle merci, Adler afferma, viceversa, che dietro le cose nella loro esteriorità materiale si nasconde l'attività umana, la soggettività, e parla della

grandiosa elaborazione, da parte di Marx, del concetto dei rapporti economici, nei quali egli, ben lungi dal contrapporli come materia sociale agli uomini, dimostrò all'opposto esserci dovunque nel punto centrale questi stessi uomini e che egli rappresentò così esplicitamente come umani. [...] Forze produttive, modo di produzio ne, rapporti economici, sviluppo economico e simili, tutte queste espressioni hanno in Marx sempre un significato immediatamente sociale, che non si potrebbe concepire senza il concetto dell'uomo associato, attivo, come il loro portatore. [•••] I rapporti economici non sono rapporti di cose, bensì rapporti di uomini. Nel terreno dei rapporti economici, anche se spesso sono definiti rapporti materiali, non si tratta mai di una "materia" sociale, ma sempre e ovunque dell'"uomo" sociale.

Questa rivendicazione del carattere umano dei rapporti economici e sociali, di per sé giusta, finisce però con il risolvere tali rapporti in una dimensione di natura spirituale. Fino a esaurirli in mere determinazioni della coscienza, in una sorta di contraffazione idealistica dei princìpi del materialismo storico. «Se [...] i rapporti economici non sono che rapporti umani, essi sono insieme ed essenzialmente rapporti "spirituali", ossia comportano sempre un'attività finalistica di uomini.»

Il revisionismo adleriano, peraltro, non potrebbe essere in alcun modo confuso con quello di Bernstein. Adler rifiuta di risolvere il socialismo in un mero postulato morale e nell'esercizio della libera volontà dell'uomo, non determinata da alcuna forma di necessità; egli rivendica, al contrario, il fondamento scientifico del so cialismo e una lettura dello sviluppo sociale secondo rapporti causali oggettivi. La realtà storico-umana deve poter esser ricondotta a un insieme di leggi causali necessarie, sulle quali costruire la scienza sociale. L'irriducibilità dei processi sociali al meccanicismo delle leggi naturali, contrariamente a quanto sostenuto dal materialismo dialettico, non significa che essi riposino esclusivamente sulla teleologia di una libertà arbitraria e soggettiva.

Insomma, Adler si propone, in nome del suo marxismo neokantiano, di conciliare determinismo e teleologia, necessità e libertà. Una volta chiarito che la teoria della storia e della società richiede un determinismo socio-economico in grado di dare fondamento scientifico al socialismo, è compito ulteriore del marxismo dimo strare che la causalità nel dominio della vita sociale, lungi dall'essere una causalità cieca, simile a quella del mondo naturale, è inserita nella trama delle idee e dei fini della volontà umana. Ed è allora che è giustificato parlare del socialismo anche come di un valore etico, correlato alla libertà del volere quale è consentita dallo sviluppo oggettivo, scientificamente controllabile, dei processi economici e sociali.

Del resto, sostiene Adler, Marx, nel momento in cui affermava che sono gli uomini a fare la loro storia, ma soltanto entro i limiti di circostanze oggettive che non sono loro a scegliere, aveva per primo avviato quella combinazione di determinismo e teleologia, di esigenze scientifiche e proposizioni di valori pratico-morali che è merito dell'austromarxismo di Adler aver riproposto.


Wikipedia

Con austromarxismo si designa l'ideologia sviluppata dai teorici del Partito socialdemocratico austriaco - Max Adler, Viktor Adler, Otto Bauer e Karl Renner - dall'inizio del Novecento fino alla II Guerra Mondiale. Il gruppo austromarxista si formò dal 1904 intorno alle riviste Blätter zur Theorie und Politik des wissenschaftlichen Sozialismus (Fogli sulla teoria del socialismo scientifico) e le Marx-Studien. Senza costituire un movimento omogeneo, fu il luogo di incontro di pensatori e di politici diversi tra loro, come il neokantiano Max Adler e il marxista ortodosso Rudolf Hilferding.

Più strettamente, l'austromarxismo evoca il principio di autonomia nazionale-culturale sviluppato dal socialista austriaco Otto Bauer nel 1907 ne La questione delle nazionalità e la socialdemocrazia, adottato anche da altri movimenti di ispirazione socialista, come il Bund russo o Unione generale dei lavoratori ebrei, i sionisti di sinistra quali Hachomer Hatzaïr e. altri, i sostenitori di uno Stato nazionale palestinese come Martin Buber o l'Unione democratica dei magiari di Romania.

Max Adler (Vienna, 15 gennaio 1873 – Vienna, 28 giugno 1937).

Diresse con Rudolf Hilferding i Marxstudien.

Di impostazione neokantiana, fu uno dei fondatori e teorici dell'austromarxismo. Il motivo essenziale della sua riflessione è quello del possibile raccordo tra la filosofia di Kant e il materialismo storico di Karl Marx, del quale accetta l'impostazione dialettica. Sensibile ai profondi motivi etici ispiratori della problematica del cosiddetto "socialismo neokantiano" di Eduard Bernstein, Franz Staudinger e Karl Vorländer, ritenne necessario utilizzare i temi metodologici della filosofia di Immanuel Kant per far fronte agli aspetti troppo rigidamente deterministici presenti nella concezione della storia del marxismo della Seconda Internazionale e più vicini alle concezioni del positivismo ottocentesco.

Viktor Adler (Praga, 24 giugno 1852 – Vienna, 11 novembre 1918).

Figlio di un commerciante ebreo, divenne presto uno dei leader più in vista del Partito Socialdemocratico Austriaco. Nel 1886 fondò il giornale socialista Gleichheit, che venne soppresso nel 1889 e al quale succedette l'Arbeiter Zeitung, che lo ebbe direttore fino alla morte. Con Kautsky preparò il programma del congresso socialista di Hainfeld (1888-1889) in cui si sosteneva l'unità dei movimenti socialisti delle diverse nazionalità dell'Impero asburgico. Nel 1902 divenne deputato della dieta della Bassa Austria e nel 1905 al Reichsrat. Dopo la Prima guerra mondiale fu anche ministro degli esteri della nuova Repubblica dell'Austria tedesca, anche se per breve tempo.

Otto Bauer (Vienna, 5 settembre 1881 – Parigi, 4 luglio 1938).

Impegnato politicamente nel Partito socialdemocratico austriaco, studiò nell'Universita di Vienna, laureandosi in legge nel 1906, e pubblicò nel 1907 il suo primo scritto, Die Sozialdemokratie und die Nationalitätenfrage (La socialdemocrazia e la questione nazionale). Quello stesso anno divenne segretario del Partito e fondò la sua rivista teorica, Der Kampf (La battaglia). Lasciò la carica nel 1914 perché arruolato allo scoppio della I Guerra Mondiale. Fatto prigioniero dai russi, ritornò in Austria nel 1917 e, alla morte di Viktor Adler nel 1918, Bauer fu il leader indiscusso della socialdemocrazia austriaca. Oppositore della Rivoluzione bolscevica, dal novembre 1918 al luglio 1919 partecipò alla coalizione con il Partito cristiano sociale, reggendo il dicastero degli Affari Esteri. Alla svolta autoritaria e alla persecuzione dei partiti socialisti e comunisti seguita all'ascesa al potere di Engelbert Dollfuss, nel 1934 lasciò il Paese, stabilendosi prima in Cecoslovacchia, a Brno, e poi a Parigi, dove morì nel 1938.

Karl Renner (Dolní Dunajovice, 14 dicembre 1870 – Vienna, 31 dicembre 1950). Socialdemocratico, fu cancelliere dal 1918 al 1920 e nel 1945. Fu Presidente dell'Austria dal 20 dicembre 1945 al 31 dicembre 1950.

Laureato in Giurisprudenza, lavorò come impiegato del Parlamento austriaco e aderì al movimento socialdemocratico, venendo eletto deputato nel 1907. Capo dell'ala destra del Partito Socialista (SPÖ), dopo il crollo dell'Impero Austro-Ungarico fu nominato capo della Cancelleria di Stato (ottobre 1918-giugno 1920) della prima repubblica austriaca e come tale fu di fatto capo di un governo di coalizione tra socialdemocratici e cristiano-sociali. Guidò la delegazione della Repubblica Austrogermanica ai colloqui di pace conclusi dal trattato di Saint-Germain-en-Laye (1919), e fu favorevole all'unione con una Germania democratica. Presidente del Nationalrat dal 1930 al 1933, fu incarcerato brevemente nel 1934 dopo il colpo di Stato del cancelliere Engelbert Dollfuss.

Nel 1938 sostenne l'annessione dell'Austria alla Germania nazista. Nell'aprile 1945, dopo la Liberazione dell'Austria (spartita dagli Alleati in quattro zone di occupazione: americana, britannica, francese e sovietica), i sovietici gli chiesero di guidare il primo governo provvisorio e il 20 dicembre dello stesso anno, dopo aver riportato in vigore la Costituzione del 1920, fu eletto presidente della (Seconda) Repubblica Federale Austriaca. Rimase in carica fino alla morte, sopraggiunta il 31 dicembre 1950.


da http://www.filosofico.net/austromarxismo.htm

A cura di Lara Malavasi

Nella lettura degli scritti degli autori “austro-marxisti” si rimane fortemente sorpresi a motivo di alcune singolari affinità tra le situazioni dei primi decenni del XX secolo, da essi descritte, e quelle della nostra epoca.

Per questo, al di là della loro particolare prospettiva socialista, alcuni dei criteri di analisi e giudizio di Adler, Bauer e Renner circa il mondo sociale, politico e religioso del tempo non appaiono per niente sorpassati.

Basti pensare, ad esempio, alla ricerca tuttora in corso nelle società europee sia dell’Est che dell’Ovest – ma anche in quelle sudamericane e africane più o meno sviluppate o in via di sviluppo – della cosiddetta “terza via” tra socialismo e capitalismo, e all’interno del socialismo, tra posizioni radicali rivoluzionarie e quelle moderate della socialdemocrazia, che questi pensatori austromarxisti avevano già intrapreso all’inizio del secolo.

Sorprendentemente attuale anche la denuncia, fatta da Bauer, del rapporto distorto e inquietante tra politica e affari di fine secolo in Austria - di cui era responsabile principalmente il partito liberale, e in parte, anche il giovane partito cristiano-sociale -  per far fronte alla quale egli invoca la creazione e formazione di una nuova classe politica, che già nel 1907 egli chiamava “Partito delle mani pulite”.
Non minore validità conserva il discorso di Adler, Bauer e Renner  circa la Religion Privatsache e la prassi di potere della Chiesa.

Limitandoci alle situazioni delle società europee, che hanno conosciuto una lunga stagione di liberalismo e laicismo, in queste, nonostante i precetti laicisti, permangono tuttora evidenti tratti confessionali religiosi negli Stati e  camuffati interessi di statalismo clericale nelle Chiese. Residui “confessionali” e “statalistici” di clericalismo secolare, che impediscono ancora oggi, da un lato, una complessiva emancipazione democratica allo Stato, e dall’altro, la piena libertà, alla Chiesa, di esercizio della propria religione.

Sul movimento austromarxista si è parlato e si parla veramente poco, e si è scritto ancor meno.

L’obiettivo che ci proponiamo in questa sede non è quello di esaurire la spiegazione del pensiero austromarxista in poche righe, ma solo di darne una panoramica generale, nel modo più chiaro possibile.

Approfondire singolarmente il pensiero di ognuno dei tre autori citati, oltre ad essere un’impresa ardua, credo non possa, sostanzialmente,  interessare granché. Trovare, però, un leit-motiv comune, forse può destare maggiore interesse in relazione all’ampia panoramica di intrecci politici/religiosi di cui siamo sempre più spettatori; privati, spesso, del tempo per una sana e razionale riflessione.

CONTESTO

Agli inizi del XX secolo l’Austria appare già avviata sulla inevitabile via del tramonto della dinastia asburgica. Un tempo caratterizzato da una serie di fenomeni sociali, politici e culturali di grande inquietudine e insieme di grande interesse.

Si assiste all’emergere prepotente della nuova classe lavoratrice, che va crescendo nelle grandi città, soprattutto a Vienna, ponendo nuovi problemi sociali (scuole, case, assistenza sanitaria…) e si assiste, al tempo stesso, al riesplodere dello scontento delle classi tradizionali (contadini, artigiani, commercianti…) e dei nuovi ceti medi (liberi professionisti, funzionari e impiegati pubblici).

Di queste forze, esigenze e rivendicazioni si fanno interpreti i nuovi protagonisti politici: i due grandi partiti di massa, quello socialista e quello cristiano-sociale, all’inizio ostacolato, ma poi accettato, ispirato e sostenuto anche dal clero.

A questo contesto politico e sociale fa da sfondo una vivacità culturale della capitale austriaca senza precedenti, espressione di energie intellettuali liberate proprio dalla medesima crisi dell’Impero e dalla nuova situazione politica e sociale conflittuale. È proprio questo il fulcro del movimento austromarxista.

L’austromarxismo nasce a Vienna, attorno alle riviste “Marx Studien” (1904) e “Der Kampf” (1907), presentandosi inizialmente come corrente di pensiero marxista e, più tardi, a partire dalla Prima Guerra Mondiale ma soprattutto in occasione della caduta dell’impero austroungurico e sull’onda della vittoria della Rivoluzione Russa, assumerà connotati sempre più marcatamente politici, fino ad identificarsi con la componente interna di sinistra del partito socialista austriaco.

I suoi esponenti, tra i quali principalmente Karl Renner (1870-1950), Otto Bauer (1881-1938), Max Adler (1873-1937), critici verso la socialdemocrazia tedesca e, nello stesso tempo, nei confronti del bolscevismo, si misero alla ricerca di una “terza via”, che evitasse i difetti del revisionismo bernsteniano e insieme l’atteggiamento profondamente radicale del leninismo. Il primo, rischiava, per così dire, di irretire il socialismo tra le maglie del capitalismo, senza farlo mai decollare, il secondo invece appariva loro inadeguato ed estraneo alla situazione e alla società austriaca di allora.

Il problema non era solo quello di dare risposte politiche concrete agli scottanti e urgenti problemi sociale e politici del momento, ma anche quello di giustificarle nella coerenza della propria ideologia marxista. D’altra parte, non era molto chiaro a quell’ epoca di crisi anche del marxismo quale fosse o dovesse essere il vero marxismo. Gli austromarxisti, pur richiamandosi inequivocabilmente a Marx, e quindi presentandosi come “ortodossi” non intesero però dogmatizzare il pensiero di Marx chiudendolo in un “sistema rigido”; ma vi si ispirarono come ad una forma “attivamente operante (…) in sviluppo”.

Tentarono, per un verso, di liberare il marxismo dall’impostazione materialistico-economicistica della Seconda Internazionale e, per altro verso, di conferirgli una visione teorica più ampia, che gli consentisse di aprirsi a orizzonti più vasti. Capirono che ciò sarebbe stato possibile solo mediante una traduzione ed elaborazione dei presupposti filosofici del marxismo nella direzione dell’etica, della filosofia della storia e della scienza. E su questi terreni Kant e Hegel si presentavano loro come interessanti e inevitabili punti di riferimento e confronto.

Questa revisione in senso neohegeliano e neokantiano doveva servire loro anche come efficace credenziale presso i circoli culturali dei pensatori liberali viennesi del tempo. Questi, infatti, ancora persistevano nell’ignorare e snobbare il marxismo, ritenendolo non degno di attenzione, perché estraneo alla tradizione della cultura europea. Innestare Marx sul filone del pensiero classico tedesco, tramite il collegamento con i suoi maggiori rappresentanti, Kant e Hegel, poteva sortire come effetto collaterale anche quello di creare un terreno di confronto tra intellettuali liberali e pensatori marxisti del tempo.

E’ in questo contesto che va quindi collocata e spiegata la revisione del marxismo e del socialismo operata dagli esponenti dell’austromarxismo, sia sul piano dei principi dottrinali, sia su quello delle strategie politiche. E se Max Adler può ritenersi a giusto motivo il revisore più radicale della critica filosofica marxista della religione, Otto Bauer e Karl Renner possono essere considerati i revisori più aperti delle strategie socialiste sul terreno delle politiche religiose.

Renner e Bauer si dimostrano, infatti, gli osservatori più interessati, i critici più attenti all’evoluzione storico-culturale, sociale e politica, allora in corso nel mondo cattolico, e si rivelano gli strateghi più accorti nell’ideare, suggerire e praticare una nuova linea politica nei suoi confronti.

Fin dai loro primi scritti sulla questione religiosa, tutti e tre avvertono l’esigenza di cercare e realizzare una via democratica al socialismo. Si formano la convinzione che, in un paese a grande maggioranza cattolica come l’Austria, questa via non sia percorribile senza l’aggregazione di una parte consistente degli strati proletari e piccoli e medi borghesi credenti. Si propongono, allora di capire fondamentalmente due cose:

-   quali di questi strati sia possibile avvicinare e guadagnare alla causa del socialismo

-   su che cosa far leva e a quali mezzi ricorrere per aggregarli.

A questo scopo essi compiono una triplice indagine: da una parte, operano una sorta di vivisezione sociale e politica del cattolicesimo austriaco, dall’altra tentano un’analisi e insieme una valutazione della dottrina sociale del cristianesimo e, contemporaneamente, quasi a presupposto di queste loro analisi storico-sociali, avviano – Max Adler in particolare – una revisione del rapporto teorico tra marxismo e religione in generale.

In conclusione, si può evidenziare il punto focale che accomuna Renner, Bauer ed Adler, ovvero l’assunzione della religione come affare privato.

Religion Privatsache diviene, presto, la bandiera politica di tutti i  partiti e movimenti socialisti.
Una formula , appunto, e niente più, con la quale essi riproponevano la concezione laica dello Stato, tipica del liberalismo, e suggerivano al movimento operaio un atteggiamento di tolleranza e indifferenza. Soltanto a partire dagli inizi del secolo e ad opera di Adler e Bauer direttamente, e Renner indirettamente, la formula diventa oggetto di un più serio approfondimento e di un più impegnativo dibattito.

Religion Privatsache è il Leit-motiv comune, ricorrente in quasi tutti i loro interventi sul tema religioso, fino a diventare, in Adler, il concetto fondativo della propria filosofia della religione, e in Bauer e Renner la via più adeguata per la soluzione della questione religiosa, vista nei suoi aspetti culturali e social-politici.

Scopo ultimo della loro insistenza su questi motivi della religione come affare privato è il ridimensionamento della chiesa, non tanto come religione, quanto come organizzazione di potere.