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La lotta politica fino a Dogali
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Scrittore e poeta italiano (Faenza 1852 - presso Casola Valsenio 1909).
Autore di romanzi, opere di polemica politico-sociale e scritti d'arte
e di storia, O. elaborò una concezione etica dello Stato e della
storia, ispirata al nazionalismo. In tutta la sua opera, da Memorie
inutili a Rivolta ideale, esiste continuità ideale: l'artista e il
pensatore, il filosofo e il sociologo si fondono e si esprimono in
indivisibile unità.
Vita e opere.
O. ebbe una fanciullezza vuota d'affetti. Studiò a Bologna nel collegio
di San Luigi, condotto dai barnabiti, dove trascorse gli anni
dell'adolescenza taciturno, altero, solo. Passato poi all'università di
Roma e laureatosi nel 1872 in giurisprudenza, non esercitò
l'avvocatura.
Esordì giovanissimo a 21 anni col romanzo Memorie
inutili, pubblicato (1876) sotto lo pseudonimo di Ottone di Bànzole, al
quale tennero dietro, rapidamente scritti, altri romanzi: Al di là
(1877), Monotonie (1878), Gramigne (1879), No (1881), opere non prive
di un'aspra veemenza, ma nel complesso torbide, informi e caotiche,
rappresentanti un mondo di passioni oscure che non riesce mai a
decantarsi in racconto chiaro e armonioso.
Dal 1883 la sua vena
narrativa e polemica tende a effigiare il travaglio dell'umanità
moderna, l'opera dei popoli e delle nazioni, lo sforzo dell'uomo che si
dà una patria e una missione; e nascono, accanto a romanzi, opere di
polemica politico-sociale, prose d'arte, scritti storici, nei quali
peraltro fa quasi costantemente difetto una problematica storica sicura
e serena: Quartetto (1883); Matrimonio e divorzio (1886), vigorosa
difesa della famiglia, concepita come nucleo fondamentale della
nazione; Fino a Dogali (1889), in cui sono prospettate le cause della
duplice crisi dell'Italia risorta - crisi religiosa e crisi di sviluppo
- con le pagine su don Giovanni Verità, che nitidamente e su nuove basi
lumeggiano il problema dei rapporti tra fede cattolica e sentimento
patriottico, e con la lirica rievocazione dei primi eroi d'Africa, che
addita alla patria unificata le vie di Roma imperiale; La lotta
politica in Italia (1892), dove vengono additate le ragioni storiche
della formazione unitaria italiana; Il nemico (1894), tumulto di
passioni crudeli e di ostentati cinismi, ma anche fatidico preannuncio
del dissolvimento del mondo russo; Gelosia (1894); La disfatta (1896);
Vortice (1899); Olocausto (1902), che esprimono l'essenza stessa della
gretta vita di provincia, quell'impossibilità di viverci «grande» che
fu il perenne tormento dell'O.
Dal 1892 al 1902 trascorre per O. un decennio di formidabile attività
che non valse a rallentare né dissensi familiari, né il dissesto
finanziario in parte dovuto ai sacrifici fatti per pubblicare Lotta
politica, né lo straziante dolore per l'ostinato silenzio che avvolgeva
la sua opera.
Meglio egli riuscì nelle ultime opere, dove la stanchezza
di una polemica condotta con indiscriminato fervore dà luogo a pagine
di più intima spiritualità, però troppo spesso compromesse da un
velleitario «titanismo» spirituale: La rivolta ideale (1908); Punte
secche (post., 1921); Sì (post., 1923). Scrisse anche per il teatro,
componendo dieci fra tragedie e drammi.
O. fu indicato da Mussolini fra
gli ispiratori del fascismo, e in effetti egli espresse il fermento
attivistico diffuso presso vari settori della società italiana al
principio del secolo, individuando chiaramente la crisi di una certa
borghesia di fine sec. 19º. Scrittore non privo di una personale
sensibilità postromantica e di energia rappresentativa, riprese miti
politici (il nazionalismo, l'imperialismo) già affermati in Europa,
inserendoli in una cultura d'impronta hegeliana.
Al Cardello, presso Casola Valsenio, che il governo fascista dichiarò monumento nazionale nel 1924 e volle degnamente restaurato, esiste un'importante raccolta bibliografica, che contiene la collezione dei manoscritti autografi di O., le sue opere nelle successive edizioni, i libri e gli opuscoli che lo riguardano, un'ampia raccolta di riviste e giornali che parlano di lui, e inoltre l'epistolario, oggi ancora inedito, dello scrittore.
da http://www.fondazionecasadioriani.it/
Biografia
Nasce a Faenza il 22 agosto 1852 da Luigi e da Clementina Bertoni. Gli
Oriani erano originari di Oriano, castello dell’alta valle del Senio, e
si sparsero in tutta la zona nel corso dei secc. XVI-XVII. Verso la
fine del ‘600 acquistarono le terre e la casa denominate “Le Banzole”
presso Tossignano. Oriani firmerà le sue prime opere con lo pseudonimo
di Ottone di Banzole.
Collocato nel 1862, a dieci anni nel Collegio San Luigi di Bologna
tenuto dai Barnabiti, vi restò fino al 1866. Frattanto il padre,
rimasto vedovo, si era ritirato a vivere stabilmente a Casola Valsenio,
nella tenuta del Cardello acquistata nel 1855.
Fra i sedici e i venti anni Alfredo studiò a Roma presso la Pontificia
Sapienza e si laureò in legge (a Napoli), rifiutandosi tuttavia di
esercitare l’avvocatura come era nei desideri del padre. Dal 1872 visse
al Cardello, dove scrisse tutte le opere e dove morì il 18 ottobre 1909.
Nel 1876 pubblicò il suo primo romanzo Memorie inutili, a cui seguirono
diverse altre opere che non incontrarono il successo sperato. Al tempo
stesso conduceva vita solitaria nella sua villa “Il Cardello”, salvo
recarsi talora a Faenza e a Bologna per incontrarsi con pochi amici.
Il massacro dei soldati italiani a Dogali nel 1887 lo convinse a fare
della riflessione politica l’oggetto principale della sua attività:
pubblicò così la raccolta di scritti Fino a Dogali a cui seguirono le
più impegnative La lotta politica in Italia e La Rivolta Ideale.
Era
stato eletto per la prima volta nel 1885 alla deputazione provinciale
di Ravenna per il collegio di Casola fra le fila dei progressisti e
nell’89 venne eletto anche nel consiglio comunale di Faenza da cui si
dimise subito ormai assorbito totalmente dalla stesura della Lotta
politica, che uscì a sue spese nel 1892. Si presentò alle elezioni
politiche del ’92, senza successo, e ancora alle elezioni comunale del
’95, stavolta nelle file dei moderati, spinto dalla politica coloniale.
Chiamato a Roma dal Crispi per la campagna elettorale del 1894, al
primo colloquio in stazione, si urtò immediatamente con lo statista
siciliano e ritornò definitivamente in Romagna.
In quegli anni si susseguirono anche una serie di disavventure
familiari: la morte del padre, la nascita del figlio Ugo da un
relazione con la cameriera, la cacciata della madre del figlio per
dicerie più o meno infondate, l’allontanamento della sorella,
esasperata, dal Cardello che lo lasciò solo con Ugo. Sono il segno di
un fallimento personale e familiare che segue l’altro fallimento di
natura politica e storiografica. Sola novità soddisfacente in quegli
anni il commento alle vicende politiche e sociali, a partire dal 1898,
quando cominciò ad avere collaborazioni regolari, anche se tutt’altro
che facili, con diversi giornali. Qualche anno dopo, nel 1902, la sua
perenne passione per l’allora incipiente ciclismo, gl’ispirò il volume
Bicicletta.
Aveva ripreso il filone letterario, ma la passione politica non lo
abbandonò. Scrisse così la Rivolta ideale, che, dopo il rifiuto di
molti editori, fu pubblicata nel 1908 a Napoli.
L’anno successivo in un
saggio di pieno riconoscimento dell’opera di Oriani Croce pose il
fondamento a quella larga fama a cui Oriani aveva morbosamente
aspirato, ma che non comincerà a sorridergli se non negli ultimi suoi
mesi, ormai malato di cuore, precocemente invecchiato e più che mai
disgustato dalla vita.
Muore il 18 ottobre 1909.
Vittima di un volgare strumentalizzazione durante il periodo fascista,
quando conobbe un successo straordinario dal momento che Mussolini lo
individuò come precursore del fascismo, fu poi nuovamente dimenticato.
Solo in questi ultimi anni la sua opera è stata riscoperta e studiata
con nuova lena, come figura straordinariamente rappresentativa del suo
tempo, della crisi politica e culturale vissuta dal nostro Paese fra la
fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento.
Opere di Alfredo Oriani
Le poesie
Monotonie (1878). Pubblicate dallo Zanichelli nel 1878, l’anno
successivo a quello delle Odi barbare e degli stecchettiani Postuma. Le
poesie non presentano alcun tratto di originalità tematica o
stilistica, e parvero brutte ai pochi contemporanei che le lessero,
compreso l’autore stesso, almeno vent’anni dopo, quando scriveva: «Non
sono e non fui poeta, e la più sconsolante delle prove sta appunto in
un mio libro, meritatamente dimenticato, di versi». Compreso il
Carducci, cui è dedicata la più lunga e impegnativa delle diciassette
liriche di cui consta la raccolta, A Giosuè Carducci (Odi barbare)
risposta di un Barbaro, appunto, ed al quale Ottone di Banzole aveva
inviato, il 27 ottobre, un esemplare del libretto, accompagnandolo con
una breve lettera a cui non ebbe mai risposta Quel silenzio scortese
dovette ferire l’orgoglio di Oriani, che non era solito dimenticare gli
affronti subiti.
L’opera narrativa
La prima stagione della produzione narrativa di Oriani copre poco meno
di un decennio, dal 1873 al 1881, e si articola su tre romanzi e due
volumi di racconti.
Memorie inutili (1876), edite da Sonzogno nel 1876 ma scritte tre anni
prima, sono l’opera prima, il romanzo-autobiografia di un ventenne
d’ingegno che ha la testa piena di letture affastellate (Hugo, Balzac,
Leopardi, Foscolo, Proudhon, ma sopra tutti Byron e Guerrazzi); che ha
subito un bruciante scacco sentimentale («ella mi aveva rifiutato
perché povero»); che presume di aver già percorso un lungo e definitivo
itinerario filosofico; che riempie seicento pagine di una prosa
liricheggiante e sentenziosa, in cui c’è sfoggio di analisi
psicologiche e di citazioni letterarie e filosofiche; e che si aspetta,
pubblicandole, di mettere a rumore il mondo delle patrie lettere. Il
quale invece ignorò del tutto il libro.
Al di là (1877) Il secondo romanzo, scritto nel 1875-‘76 e pubblicato
nel ‘77 a Milano (nel manoscritto il titolo è Uomo o donna?). La
storia, un amore passionale tra due donne, la virile Elisa e la dolce
Mimy, che si chiude con la fuga delle donne dai rispettivi amante e
marito. Ma meno banale di quanto possa apparire dalla nuda enunciazione
del tema, e qualcuno, che pure non condivideva l’audacia di Ottone di
Banzole, se ne accorse fin d’allora, se scrisse: «Malgrado la
biasimevole apologia delle voluttà lesbiche, Al di là desta sorpresa
colle gran difficoltà del soggetto». Meno banale perché, oltre a pagine
non trascurabili sulla città in cui l’azione è immaginata (Bologna), il
personaggio della marchesa Elisa presenta caratteri di elevata novità
ed originalità, in certa misura anticipando l’Ida del terzo romanzo,
No, che Oriani inizia a scrivere nel ‘77 e che pubblica a Milano nel
1881. Il manoscritto autografo del romanzo fu trovato nella borsa che
Mussolini portava con sè nella sua fuga dall’Italia.
No (1881) è, per ritmo, struttura, coerenza, il migliore dei romanzi di
questa prima maniera. Si sviluppa con rigorosa sequenzialità attorno
alla protagonista, una donna anticonformista e ribelle, cinica ed
arrivista; che rifiuta la società e le sue ipocrite convenzioni; che
calpesta chiunque le attraversi la strada; che finirà mantenuta del
duca di Rivola, da cui si farà alfine sposare. Una donna intellettuale,
comunque, che non legge versi d’amore e prose di romanzetti come troppi
personaggi femminili della letteratura ottocentesca, ma Machiavelli e
Ferrari, Spencer e Sofocle, Sant’Ambrogio e Tertulliano. Una donna che
crede solo in se stessa, come l’autore del romanzo, e che pronuncia sul
resto il suo superbo no, assumendo una dimensione ed una profondità che
vanno oltre la pagina.
Gramigne (1878). È il primo volume di racconti, (ristampato nel 1889
col titolo Sullo scoglio e altri racconti), tutti inscrivibili entro la
cornice di un naturalismo a tinte forti, con una risentita attenzione
alle miserie umane e sociali, particolarmente dell’ambiente casolano, e
con una scoperta predilezione per i soggetti non propriamente consueti,
come del resto gli capitava negli stessi anni con Al di là (lì il
tribadismo, qui l’incesto). Questo consolidò l’immagine corrente di
Oriani come scrittore scandaloso e dalla fama ambigua. Si va dalla
rievocazione della vita primordiale alla violenta requisitoria contro
la donna, alla descrizione di fiori animati e della morte ripugnante di
una vecchia, al rapporto incestuoso tra un figlio e la madre.
Quartetto (1883), scritto nell’81 e stampato due anni più tardi, chiude
il decennio della prima stagione di Oriani narratore. Quattro racconti,
preceduti da un veloce panorama della letteratura italiana di quegli
anni, Diapason, che provocò una stroncatura memorabile di Scarfoglio,
sul «Capitan Fracassa». Comunque sia, il panorama di Oriani contiene
giudizi non superficiali, come quello su Verga (a pochi mesi dalla
pubblicazione de I Malavoglia); e spunti precisi, ad esempio sulla
poesia. I racconti (Violino, Viola, Violoncello, Contrabbasso)sono
uniti dal proposito dell’autore di mostrare i caratteri e i limiti
della musica. Per Oriani la musica esprime l’ineffabile, l’infinito,
ciò che è al di là di ogni espressione materiale e appunto per questo
non può interpretare alcuna idea, e specialmente il dramma. Di qui la
critica a tutto il melodramma ottocentesco e all’opera di Wagner.
Poi venne, sul fronte della narrativa, la seconda battaglia, dieci anni
dopo. E se non fu vinta, non fu nemmeno perduta, malgrado le delusioni
dell’autore, se è vero che un’inchiesta milanese del 1905 sulle
preferenze dei lettori, colloca Oriani subito dopo Manzoni, con sole
due letture in meno. Se è vero, soprattutto, che alla seconda stagione
appartengono romanzi come Gelosia, La disfatta e Vortice.
Il nemico (1894), scritto tra il ‘91 e il ‘93, romanzo dall’intreccio
macchinoso, ambientato nella Russia dell'autocrazia e del nichilismo,
apre la seconda fase dell’Oriani romanziere e fu scritto forse con
l’inverosimile presunzione di emulare i grandi russi che l’Europa
veniva scoprendo in quegli anni. Col risultato che di russo nel libro
c’è solo quel poco che Oriani aveva trovato nella Guide du voyageur en
Russie, comprata nello stesso 1891 per scrivere il romanzo. Loris, il
protagonista, è un ribelle ai margini del movimento rivoluzionario e
nichilista, in lotta contro la società, che proclama la distruzione e
l’assassinio e per abbattere un regime di violenza e di prepotenza,
ordina la lotta ad oltranza contro ogni autorità ed anche contro ogni
generosità. L’odio e il disprezzo si rivolgono così anche contro
l’amore e la donna.
Gelosia (1894) è il dramma dello squallido amore provinciale di un
giovane e un po' inetto (come Alfonso Nitti, il protagonista della
sveviana Una vita, degli stessi anni) avvocato per la bella e alquanto
frivola moglie del suo maturo principale. Della quale diviene l’amante,
ma senza gioia vera, perché la giovane gli getterà in faccia i successi
e la ricchezza del marito, rendendolo geloso e abbandonandolo infine
alla solitudine della provincia. Un saggio magistrale di psicologia, ma
anche un quadro rigoroso, convincente, potente a tratti, della vita
borghese di una cittadina, Faenza, per la quale Oriani non aveva
bisogno di documentarsi su di una guida turistica.
La disfatta (1896), «forse il più ricco d’idee che abbia la
contemporanea letteratura italiana», secondo la nota definizione del
Croce, «il più nobile fra quanti ho scritto», secondo l'autore. Il
titolo designa la sorte drammatica del protagonista, l’anziano
professore De Nittis, che ha accettato, dopo un’inutile difesa, l’amore
della sua giovane allieva, Bice, da cui ha un figlio nato malaticcio e
presto morto, quasi che la natura avesse voluto vendicarsi contro due
spiriti eletti che avevano sfidato le sue leggi. Gli sposi si separano
per sempre, nella coscienza dell’inutilità del loro amore. E il
filosofo resta solo, sconfitto.
Vortice (1899), racconto lungo che descrive l’ultima giornata di un
disperato votato al suicidio, in una cittadina romagnola. Capolavoro di
Oriani, secondo molti critici, e giudicato favorevolmente anche dal
severo Serra che scrisse: «Vien fatto di pensare a certe pagine dei
grandi romanzieri tristi; ai russi, a Tolstoi, a Zola, dov’è più puro».
«Essenziale e lineare, anzi spietato e «terribile», lo giudicò De
Amicis. Milani, al ritorno a Faenza da Bologna, rientrando in casa di
notte, trova la lettera di un amico cancelliere, che gli annuncia che è
stata depositata in tribunale una sua cambiale falsa. Dinanzi a tale
rivelazione, egli esamina tutte le soluzioni possibili, ma in fondo non
vede che la morte. L’autore lo segue nelle angosce e nei sogni paurosi
della notte, nelle attività quotidiane del giorno successivo fra
l’indifferenza tranquilla di tutti, fino all’alba quando si fa
travolgere da un treno. La profonda concezione del dramma che domina
l’opera di Oriani trova l’apice in questo romanzo.
Ombre di occaso (1901), scritto nel 1901, è suddiviso in lettere
scritte ad una immaginaria signora a cui Oriani si apre con confidente
abbandono, I temi sono i più vari: l’amore, la religione, la scienza,
la vita politica, il paesaggio della sua terra romagnola. «Se qualcuno
mi domandasse di leggere un solo libro di Oriani, non esiterei a
suggerirgli le Ombre -scrisse Mario Missiroli-. Vario e bizzarro,
meglio di ogni altro ci mostra lo scrittore e l’uomo».
Con Olocausto (1902), romanzo scritto nel 1900, storia concentrata in
tre giornate di una povera ragazza, Tina, costretta a far mercato del
proprio corpo dalla madre, debole e miserabile, e dalla signora
Veronica, triste figura di mezzana e sfruttatrice, dalla vicina
Cesarina, fredda e impassibile. Tina, ammalata, si spegne dolcemente,
senza urli di protesta, come aveva dolorosamente accettato, curvando il
capo, tutte le amarezze, tutte le vergogne.
La bicicletta (1902). L’opera è divisa in tre parti. Nella prima Oriani
sui abbandona ad una dissertazione sulla bicicletta: ne esamina la
costruzione, i difetti, le qualità, i vantaggi che può recare al
progresso. Passa i rassegna i diversi messi di locomozione [...] per
concludere che nessuno dà all’uomo quel senso di assoluta libertà, che
gli dà la bicicletta. La seconda parte comprende quattro novelle [...]
dove il velocipede, la bicicletta, il tandem e il triciclo
costituiscono pretesti esteriori. La terza parte, Sul pedale, orma il
nucleo forte e originale del volume. È il racconto del suo solitario
viaggio nell’estate del 1897 per la Romagna e la Toscana (mille
chilometri, scrive con qualche esagerazione), attraverso campi
assolati, borghi, città, luoghi della memoria e della storia, come la
Verna, Siena, Montaperti, Pisa. È il libro più importante e più bello
dedicato in Italia al ciclismo e alla bicicletta.
Oro, incenso, mirra (1904). L’ultimo libro di racconti vari. «Oriani
vuota i cassetti - scrisse Serra - frammenti vecchi e nuovi, pezzi
diversi di ispirazione e di accento, tutti li raccoglie da tutte le
parti, li stringe sotto un titolo buono o cattivo e li avventa sul
pubblico». Infatti nel libro c’è di tutto: novelle, articoli, studi
critici, riuniti insieme senza alcun ordine, senza alcun motivo. C’è
chi vi ha visto, come unico filo conduttore, lo scetticismo, la bravata
, il sarcasmo. Si segnala tuttavia il racconto Incenso, storia di un
povero seminarista che si innamora di una fanciulla pallida e gracile,
condannata ad una morte prematura. Il giovane impazzirà dal dolore e
sarà rinchiuso nel manicomio di Imola.
Sì (1923), Ultimo dei romanzi di Oriani, scritto nel 1902, è rimasto
incompiuto e fu pubblicato nel 1923.
L’opera teatrale
Al teatro Oriani arriva tardi, nel 1899, quando ha ormai alle spalle
entrambe le stagioni dei racconti e dei romanzi. Per tornare al Teatro,
che costituì l’ultimo tentativo di stabilire un contatto diretto col
grande pubblico, va detto subito che quella di Oriani voleva essere una
drammaturgia di idee, non di intrattenimento: il «solitario del
Cardello» non cercava solo il successo, che peraltro non venne: voleva
rianimare la coscienza degli italiani, destarli ad una nuova vita dello
spirito.
I drammi La logica della vita(1899), Ultimo atto (1901), La
figlia di Gianni (1901), L’abisso (1903), le tragedie L’invincibile
(1902), Gli ultimi barbari (1903), Dina (1905), Sul limite (1909),
Incredulità (1909) e la commedia Momo (1903) sono opere più o meno
dipendenti da altre, quanto a soggetto.
Ma il limite più grave di tutta
la drammaturgia di Oriani non è nell’invenzione, bensì, si diceva,
nell’azione e nel linguaggio, nonché, va aggiunto, nella psicologia,
nella definizione di caratteri forniti di sufficiente plausibilità, per
non dire del forte sentore di artificiosità, di arbitrario, di gratuito
che emana anche dalle pièces meno infelici.
Naturalmente Oriani non
ebbe dubbi circa il valore della propria opera teatrale, come non ne
aveva avuti e non ne avrà sul resto. Se insuccesso vi fu, non nella
debolezza dei testi se ne doveva cercare la ragione, ma
nell’inadeguatezza del pubblico, e delle compagnie e della critica.
L’opera storica e politica
Matrimonio è la prima opera storica di Oriani, pubblicato da Barbèra
nel 1886. Il problema del divorzio era d’attualità anche in Italia, per
via di un progetto di legge che sarà poi abbandonato.. In Francia ne
aveva scritto, contro l’indissolubilità del matrimonio, Dumas figlio
(La question du divorce, 1880). “Ottone di Banzole”, antifemminista e
antidivorzista, scrive 450 pagine di storia della famiglia, dagli
albori dell’umanità all’Europa contemporanea, e di requisitoria contro
tutte le forme di divorzio, dalle più antiche a quelle previste dalla
legislazione recente. Punto di riferimento obbligato, nei decenni che
seguirono, delle correnti estreme dell’antifemminismo di casa nostra,
che ha tratto a piene mani, utilizzandole come moneta corrente,
sentenze di questo genere: «L’uomo è incalcolabilmente superiore alla
donna»; «La filosofia non le [alla donna] deve alcun sistema, la
scienza alcuna scoperta decisiva, l’arte nessun momento. Il genio è
maschile»; «Ogni sintesi essendo loro [alle donne] impossibile per
difetto di astrazione, la politica [...] lo è forse più di ogni altra».
Fino a Dogali (1889). Si tratta di sei saggi scritti fra il 1885 ed il
1887, il primo dei quali è lo scritto su don Giovanni Verità,
protagonista del salvataggio di Garibaldi durante la fuga da Roma fra
Romagna e Toscana dopo la sconfitta della Repubblica Romana. Si tratta
del primo abbozzo di una storia del Risorgimento, poi sviluppata nella
Lotta politica in Italia, in aperta polemica con la storia erudita e
con quella apologetica degli storici sabaudisti. Segue La via Emilia,
una lirica fantasticheria sulla storia della via consolare, che si
allarga a riflessioni tutt’altro che banali sul ruolo delle strade nel
cammino dell’umanità. Di notevole, nel volume, c’è anche il saggio sul
Machiavelli, provocato dalla lettura dell’opera di Pasquale Villari,
che l’aveva lasciato sostanzialmente insoddisfatto. Oriani contesta la
tesi di un Machiavelli grande politico e grande storico e riduce
l’importanza dell’opera del segretario fiorentino alla sola dimensione
artistica.
La Lotta politica in Italia. Origini della lotta attuale. 476-1887.
Pubblicata nel 1892 a Torino, da Roux e Frassati, a spese dell'autore,
cui costò l’intero ricavato della vendita dei pini abbattuti sulla
collina dietro il «Cardello», è l’opera storica di maggiore ampiezza e
meglio rappresentativa del pensiero storico-politico di Oriani ma anche
la meno venduta e letta, allora. Si è di fronte ad un vera e propria
storia d’Italia dalla caduta dell’Impero d'Occidente al 1887, ma tutta
sbilanciata verso l’Ottocento, che occupa sette dei nove libri in cui
l’opera è divisa. Il metodo è quello di una storiografia a bassissimo
tasso di ricerca, anzi, senza ricerca e senza documenti. Ma ricca di
spunti critici stimolanti, di giudizi acuti: insomma, il prototipo del
revisionismo storiografico sull'Italia moderna, con i rischi ed i
guasti che esso comportava, ma anche con gli incontestabili meriti, se
è vero che ha sconvolto i piani della storia apologetica e
sabaudistica, ed ha dimostrato che l’erudizione da sola non fa storia.
Il libro non è facilmente, né utilmente, riassumibile, neppure per la
parte più vivace e originale, che è quella relativa al Risorgimento ed
all’Italia unita. Antonio Anzilotti vi vide un’idea centrale, che
sarebbe la lotta fra le tradizioni federalistiche e la tendenza
unitaria, vittoriosa alla fine, seppure non nella versione mazziniana,
alla quale vanno le simpatie di Oriani. Anche Croce, che ben si avvide,
prima delle polemiche sui «plagi», della dipendenza di Oriani da
Giuseppe Ferrari, individuò un disegno di fondo. Di cui invece non era
convinto Serra.
L’opera ha avuto, in cento anni, una storia critica ed
una fortuna complesse e tormentate, dalle liquidazioni di Crivellucci e
Ambrosini a quelle di Omodeo e Bobbio («è l’ultimo ramo di un albero
che non avrebbe dato più frutti: la storiografia della "missione
d'Italia"»); dalle esaltazioni di Gentile e in parte di Volpe alle più
equilibrate valutazioni di Anzilotti, Maturi, Ghisalberti, Spadolini,
Cervelli. Attraverso di essa è passata la generazione dei «vociani» e
di Gramsci, sono passati Gobetti e Missiroli.
La rivolta ideale, scritta nel 1906 e pubblicata dal Ricciardi nel
1908, il prolungamento dell'opera storica. «È rivolta contro le
miserie, le bassezze, le viltà dei tempi mediocri, contro
l’indifferenza, l’assenteismo, la rinuncia di cui si alimenta lo
scetticismo degli Italiani; “ideale”, perché i grandi mutamenti della
storia, prima che nei fatti, debbono essere maturati nel pensiero. La
stessa varietà degli argomenti trattati dà un’idea dell’importanza
dell’opera: il secolo decimonono, l’aristocrazia, l’industrialismo, la
nostra composizione unitaria, la libertà, l’individualità. lo Stato, lo
spirito nazionale, le classi, i partiti, il problema dell’autorità, la
Patria, la proprietà [...]. Capitoli - scrisse Gentile - stupendi per
nettezza di pensiero e rigore di ragionamento, in cui una intuizione
fondamentale, felicemente appresa, si enuclea in dimostrazioni e
osservazioni evidenti, suggestive, perentorie”. [...] L’Oriani indica
la missione dell’Italia nel mondo. “Essere forti per diventare grandi,
ecco il dovere. Ritirarsi dalla gara è impossibile: bisogna dunque
trionfarvi”. Questo espansionismo era in funzione del progresso
generale dell’umanità» (M. Missiroli).
L’attività giornalistica
Fuochi di bivacco (1913), Punte secche (1921), Sotto il fuoco (1931),
Ultima carica (1931). Dal 1898 Oriani iniziò una regolare attività
giornalistica, un’attività non appieno apprezzata dallo stesso
scrittore, ma necessaria a causa delle pressanti esigenze economiche.
Suoi articoli apparvero nel “Giorno”, “L’Alba”, il “Corriere della
Sera”, “La Stampa”, il “Giornale d’Italia”, “La grande Italia”, ma, per
quanto ricercato e ben retribuito, la collaborazione non fu facile dato
Oriani non accettava il minimo cambiamento nei testi che inviava alle
redazioni. I suoi articoli sono stati raccolti in quattro volumi editi
dopo la sua scomparsa.
«Negli articoli di giornale - scrisse Giovanni Papini - fu grandissimo. Quella sua potenza di risalire dal fatto piccolo all’idea grande, dal momento effimero al più remoto passato, al più fantastico futuro, dall’individuale all’universale, dalla materialità dell’apparenza alla purezza di un’idea maturata a sorpassarla vi rifulge incredibilmente, come se volesse dare, negli ultimi anni, le sue prove più eroiche».
Grande Dizionario Enciclopedico (GDE) UTET
Romanziere, drammaturgo, storico e saggista (Faenza 1852-Càsola Valsenio, Ravenna, 1909). Il padre, Luigi, di famiglia campagnola, si era stabilito a Faenza, contraendo matrimonio con una giovane dell'alta aristocrazia cittadina: nozze che si rivelarono poco felici, per una sostan- ziale disparità dei caratteri. Alfredo fu il terzogenito e crebbe chiuso, scontroso; a 10 anni fu posto nel collegio S. Luigi di Bologna, in un ambiente che contribuì a esacerbarne l’ostinata scontrosità.
Dopo la morte improvvisa della madre, nel 1865, la famiglia si trasferì nella cascina-villa detta Il Cardello presso Càsola Valsenio, a poco più di una ventina di chilometri da Faenza. Il Cardello sarà l'eremo-dimora dell'O. scrittore, da cui egli si allontanerà di rado, e nel cui ritiro verrà meditando e componendo tutti i suoi scritti. Nel 1868 O., che aveva seguito gli studi liceali privatamente, si recò a Roma per studiarvi giurisprudenza. Nel 1872 consegue a Napoli la «patente» che lo autorizzava alla professione di avvocato, che egli mai esercitò, pur avendo fatto per qualche tempo pratica presso uno studio legale a Bologna.
Nel 1876 veniva edito nella «Biblioteca Romantica» di Sonzogno il suo primo libro iniziato circa tre anni prima Memorie inutili (1875), romanzo in due volumi. L’accoglienza della critica fu decisamente aspra, né l’Oriani riuscì più a ristamparlo, nonostante l'avesse sfoltito e snellito, riducendo il manoscritto di circa la metà. I viaggi a Firenze e a Bologna e gli incontri con filosofi e letterati si diradarono a causa della morte tragica dell'amico Baratelli e dell'indifferenza o l'ostilità dichiarata che accoglieva solitamente le sue opere e che si accentuò dopo la pubblicazione, avvenuta nel 1889, di Fino a Dogali. La lotta politica in Italia, che è uno dei suoi libri più meditati e balenanti di intuizioni e proposte; stampata a sue spese nel 1892, rimase pressoché invenduta.
La coscienza del proprio valore, della dignità intransigente della sua arte incapace di compromessi da un lato, e l'ansia continuamente frustrata di gloria dall'altro, ribadivano in lui sfiducia e rancore, approfondivano quelle antinomie insanabili tra ideale e reale, tra slanci generosi e meschinità di situazioni sociali e morali, che sembrano dare alla sua opera, pur così complessa e ricca di sfumature, una sostanziale apparenza di estremistica unilateralità.
Nel 1896 gli moriva il padre; tre anni dopo, per certe voci calunniose, allontanava la sua compagna Mina (Casimina Cavallari), che non aveva legalmente sposata, e dalla quale aveva avuto un figlio, Ugo, sempre teneramente amato; nel 1902 si separò anche dalla sorella Enrichetta, che era vissuta all'ombra del fratello, sognandone la gloria e l’affermazione clamorosa, specie nella vita politica (ma l'accettazione a candidato al parlamento, nelle elezioni del 1892, si era risolta in un «fiasco» quasi completo. L'unica carica che accettò, e che tenne dal 1885 fino alla morte, fu quella di consigliere provinciale).
Dai primi anni del Novecento inizia la sua attività di collaboratore - angolos, esigentissimo collaboratore - a quotidiani e periodici quali: «Il Fanfulla», «il Giorno», «Resto del Carlino», «La Stampa», «La Tribuna», «il Giornale d'Italia», «il Mattino» e altri.
L'ultimo decennio della sua vita è occupato anche da un'intensa produzione teatrale. Aveva incominciato nel 1898 con il monologo Il marito che uccide. Se non si può parlare di totale insuccesso (qualche dramma piacque; L'invincibile, rappresentato per la prima volta a Genova il 9-XI-1902, fu un «trionfo» di pubblico e di critica), tuttavia anche dalla sua opera di drammaturgo non ebbe che in minima parte le soddisfazioni sperate e che egli perseguì ostinatamente, componendo ancora nell'ultimo anno di vita il dramma Sul limite e la tragedia in un atto Incredulità, quest'ultima scritta in tre giorni, dal 5 all'8-VI-1909.
Nel gennaio di quello stesso anno un articolo di Benedetto Croce, apparso su «La Critica», sembrava segnare un positivo risveglio della critica nei riguardi della sua opera; risveglio che, infatti, venne confermandosi, senza che egli potesse, però, constatarlo, perché la morte lo colse per collasso cardiaco il 18-X-1909, a 57 anni di età.
Intorno alla figura di O. finì per crearsi, lui vivo, il mito dello scrittore solitario, volutamente chiuso in una sua ristretta cerchia di rapporti, sdegnoso della superficiale compiacenza e insieme assetato di gloria, quale l'impegno tumultuoso, la complessa vastità di interessi e l'ingegno vigoroso e profondo parevano dovergli assicurare. Mito cui contribuirono, in parte, gli amici e gli estimatori stessi, che non mancarono, dall'Abba al Fogazzaro, dal Verga al De Amicis. Ma era amicizia e stima che non nascondeva un certo timore e un certo disagio.
L'opera sua di narratore sembra svolgersi, inizialmente, in un clima di esaltata negazione, tanto turgido e incomposto stilisticamente, quanto scabro e povero nello sguardo esclusivo, privo di sfumature. È un mondo di vizio e di corruzione, una negazione ostinata e fittizia di valori, che pare culminare nel romanzo No (1881) nel quale, peraltro, già si illimpidiscono in tratti di alta efficacia le qualità espressive venendo a chiarire un torbido e urgente fondo lessicale e immaginativo che cerca traduzione intensa e dominata insieme, dando vita a quella sua personalissima eccitazione «barocca».
Del 1886 è Matrimonio (il titolo iniziale era Matrimonio e Divorzio), scritto in risposta a La question du divorce di Alexandre Dumas figlio, pubblicato nel 1880. L'O. si fa paladino deciso dell’indossulubilità matrimoniale, che egli considera garanzia indispensabile per la conservazione dell'istituto familiare e del suo scopo precipuo, «la vita dei figli». È una difesa che non poggia su argomenti religiosi, ma sociali e umani, con impostazione «laica», e per ciò tanto più inattesa. Matrimonio, pur nella sua disorganica farragine, vuole essere ed è un libro di storia, accettando della storia di stampo idealistico il metodo di ricerca e di animazione del pensiero nello sviluppo concreto degli eventi e delle civiltà; ma è anche libro centrale per l'indagine critica dell'opera di O., rivelando esigenze fondamentali, ancoraggi saldamente conservatori nel «ribelle» della parola sovvertitrice, quale si era rivelato nei primi romanzi di sapore «proibito», e nell'imminente storico e politico «avveniristico».
Il decennio 1892-1902 appare come il più fecondo nella vita artistica dell'O. (una decina di volumi) e anche quello che approda ad autentici risultati d'arte. Sono gli anni della Lotta politica in Italia, scritto storico di grande impegno; di Bicicletta, e di romanzi quali La Disfatta, (1896), Vortice (1899), Olocausto (1902), certo i capolavori della sua arte di romanziere.
Bicicletta vive per le 89 pagine finali, che vanno sotto il titolo di «Sul pedale», diario di un migliaio di chilometri percorsi in una decina di giorni, in bicicletta, per le strade dell’Emilia e della Toscana; divagazioni ariose, perfette di misura, forse le pagine più precise sul piano stilistico-descrittivo. Ne La disfatta (così ricca di pagine intensissime di meditazioni luminose; così raccolta in una pensosità che riscatta il pessimismo di fondo per un'aristocratica protesta dello spirito, rimasto vittorioso nella sua umana sconfitta; così espressivamente composta senza asprezze, ma anzi con un certo turgore solenne di forme; così decantata di ogni crudezza sensuale in un'eletta atmosfera di nobiltà sentimentale) si raduna il «meglio» e il «caratteristico» dell' O., anche se nella struttura narrativa troppe soste, troppi indugi, rivelano intenzioni che superano il genere romanzo, lo arricchiscono e, in un certo modo, anche lo intorbidano.
In questo senso le prove più definitive appaiono Olocausto (il «sacrificio» di una fanciulla spinta al vizio e rimasta stupendamente incorrotta nel cuore di vergine) e, soprattutto, Vortice, in cui l'ultima giornata di vita di un suicida è resa con incalzante e pur variata scansione di momenti, senza sbavature, in una successione rigorosa di eventi, di fatti, di parole, di gesti, di visioni usuali, cariche tutte di un allucinato trasfigurante significato.
L'O. storico è rappresentato essenzialmente dalle opere Fino a Dogali, La lotta politica in Italia, La rivolta ideale (scritto di meditazione e di pensiero più che dichiaratamente storico) e Fuochi di bivacco (raccolta di articoli apparsi su vari giornali). Tali opere suscitarono echi e polemiche più degli stessi romanzi, per quel loro tono di denuncia di un'Italia immiserita da una politica meschina e rinunciataria, traditrice della grande fiammata risorgimentale di ideali e di entusiasmi. L'O. non è storico di professione (si vuole vedere preponderante nelle sue tesi l'influenza dello storico Giuseppe Ferrari ), ma la caratteristica è un'indubbia capacità di visione sintetica, scaldata dall'esigenza di scorgere l'attuarsi delle grandi idee «necessarie» nell'indifferente collocarsi dei fatti. La voce dell'O. ricerca d'istinto l'eloquenza, il tono tribunizio, peraltro sincero e vibrante (è soprattutto a questo O. che si rivolse il nazionalismo e in seguito anche il fascismo per farne un antesignano della profetica grandezza dell'Italia avvenire).
Né grandi prove fece l'O. nel teatro, a prescindere dal successo o dall'insuccesso immediato, fors'anche per una certa rigidità di tesi che lo schema del dialogo, nel quale egli mostra di muoversi con insofferente disagio, accentua e rende poco artisticamente credibile.
Restano di lui, rintracciabili in ogni sua opera, ma in particolare nei romanzi della maturità, le doti di uno scrittore di vocazione, attento e umano nella ricerca e nella comunicazione psicologica, portato ai grandi affreschi di vita, trascinato spesso ad accordare sensazioni e immagini a uno stile che sembra di per sé evocarle nel suo stesso fluire: uno stile scarsamente inventivo, ma vigoroso e alto di scansione, impegnato, sempre con forza nelle sue direzioni.
L'Opera omnia dell'O. è stata pubblicata a Bologna, tra il 1923 e il 1933, in 30 volumi con prefazioni di vari autori, a cura di Benito Mussolini.
L'Epistolario è stato pubblicato a cura di P. Zama (a Bologna) nel 1958.
Enciclopedia Italiana (1935)
di Giovanni Cenni
Nacque a Faenza il 22 agosto 1852; morì nella sua villa "Il Cardello" presso Casola Valsenio il 18 ottobre 1909. L'O. ebbe una fanciullezza vuota d'affetti. A Bologna, nel collegio di San Luigi, condotto dai barnabiti, egli trascorse gli anni dell'adolescenza taciturno, altero, solo. Passato poi all'università di Roma e laureatosi nel 1872 in giurisprudenza, non esercitò l'avvocatura: scrisse invece a 21 anni, sotto lo pseudonimo Ottone di Banzole, il suo primo romanzo, Memorie inutili, piuttosto un'autobiografia, che ci rappresenta un Oriani in luce falsa e che fu non ultima causa della falsa opinione che molti ebbero di lui.
Poi, a brevi intervalli, l'O. scrisse Al di là, Monotonie, Gramigne, No: ardore, foga, veemenza, possente vitalità, ma anche - in una prosa non sempre limpida, in versi spesso faticosi - un mondo innaturale d'idee e d'immagini, un tumulto di passioni oscure. Pure in questo verismo informe già si sente il fremere di un'anima che si sforza di liberarsi da ciò che il cuore contiene di frivolo, la mente d'inorganico, lo stile di aggrovigliato e di pesante.
Nel 1883 appare Quartetto: ancora pagine tumultuarie, fantasia romantica e talora strana; nulla però in esso di malsano o di mostruoso, bensì spontaneità e ricchezza: baleni annunciatori del grande scrittore che sta per rivelarsi.
Ora l'O. si racchiude nel suo solitario Cardello. L'azione sociale dell'uomo moderno - dell'italiano in particolare - e, conseguentemente, l'opera dei popoli e delle nazioni, ecco il tema costante delle sue lunghe meditazioni. E mentre la scienza si basava sull'indagine sperimentale e sull'osservazione diretta, egli proclamava ammirazione e fede nella filosofia di Hegel; mentre la storia si smarriva nella ricerca e nell'analisi del documento spicciolo - che, necessaria per fare la storia, non è evidentemente la storia - egli contemplava dall'alto l'ininterrotta millenaria ascensione dell'umanità.
Un elemento costitutivo della grandezza dell'O. è appunto non solo l'aver visto il grande problema della vita italiana contemporanea, ma anche l'averlo profondamente sentito e sofferto ed espresso con grande sincerità ed efficacia. La sua opera diventa ora disperata battaglia, che non avrà tregua sino all'ultimo respiro: impetuosamente lottando contro principî, sentimenti, idee del tempo, egli getta i germi per le generazioni venture: ed ecco Matrimonio, vigorosa difesa della famiglia, concepita come nucleo fondamentale della nazione; ecco in Fino a Dogali prospettate le cause della duplice crisi dell'Italia risorta - crisi religiosa e crisi di sviluppo - con le pagine su don Giovanni Verità, che nitidamente e su nuove basi lumeggiano il problema dei rapporti tra fede cattolica e sentimento patriottico, e con la lirica rievocazione dei primi eroi d'Africa, che addita alla patria unificata le vie di Roma imperiale; ecco finalmente (1892) additate in La lotta politica in Italia le ragioni storiche della formazione unitaria italiana.
Il tono sale continuamente: uno spirito nuovo anima ora la produzione dell'O.; v'è in essa una corrente ideale che avvolge la vita degl'individui come quella delle nazioni; v'è soprattutto una fede incrollabile nei destini della patria, creatrice di verità. Anche il romanzo, a cui l'O. torna dopo la pubblicazione di Lotta politica, conferma la piena maturità finalmente raggiunta. Nel loro implacabile naturalismo, nella forza nuda e fredda che li anima, Gelosia, Vortice, Disfatta e Olocausto esprimono l'essenza stessa della gretta vita di provincia, quell'impossibilità di viverci "grande" che fu il perenne tormento dell'O.
In Vortice egli raggiunge forse la vetta della sua arte narrativa.
Dello stesso periodo, ma di altro carattere, se pur non meno intenso e vigoroso, è - ultimo sfogo dell'amarezza che gl'inacerbiva l'anima nella vana attesa della gloria - Il nemico, tumulto di passioni crudeli e di ostentati cinismi, ma anche fatidico preannuncio del dissolvimento del mondo russo.
Dal 1892 al 1902 trascorre per l'O. un decennio di formidabile attività che non valgono a rallentare né dissensi familiari, né il dissesto finanziario in parte dovuto ai sacrifici fatti per pubblicare Lotta politica, né lo straziante dolore per l'ostinato silenzio che avvolgeva l'opera sua. E pubblica ancora: Ombre di occaso, Bicicletta.
Ma ancora nessuna eco all'intorno. Ora l'O. - che non riesce a scuotere col romanzo, né col libro di storia o di politica l'atonia della folla e il pressoché generale disinteresse della critica - porta la sua polemica nella finzione del teatro, e in breve tempo compone dieci fra tragedie e drammi. Il teatro però non è per lui uno scopo, bensì un mezzo, e le creature della sua fantasia vi dibattono le sue idee, vi parlano la sua parola. Il filosofo vi soverchia l'artista, e ciò è male; tuttavia, anche se non completamente riuscito, quello dell'O. resta pur sempre un nobile tentativo di dar vita a un teatro italiano di pensiero.
Nel 1905 appare l'ultimo volume di prose narrative dell'O., Oro, incenso, mirra. Dopo questo egli non ci darà più che un libro di tempestoso argomento, Rivolta ideale, e numerosi articoli di vario soggetto, i quali, in edizione postuma, verranno raccolti nei volumi: Fuochi di bivacco, Punte secche, Sotto il fuoco, Ultima carica. Nell'aprile del 1908 appare Rivolta ideale.
Lo scrittore è ormai stanco di lotta: la sua salute declina, pagando l'inevitabile tributo alla lunga fatica e al dolore. Ma lo spirito, liberandosi da ogni ingombro, si purifica e ascende. L'urto fra la sua coscienza e le forme sociali del tempo appare evidente: di fronte alla democrazia che dilaga, egli afferma la necessità dello stato forte, supremo regolatore dell'attività sociale; alle concezioni tumultuose oppone il ritmo fatale della storia; alla libertà senza freni il principio di autorità; all'egoismo e all'edonismo la morale di Cristo. È antisocialista, antidivorzista, nazionalista, espansionista e imperialista nel senso più nobile; e sa che dall'anima della stirpe sta per sorgere una nuova visione ideale. Questa è l'ultima e la più alta parola dello scrittore.
Dal tormento di una solitudine materiale e morale, dal disgusto per la mediocrità dell'ambiente provinciale come per la piccineria di uomini e di partiti dominanti, dalle lunghe meditazioni alimentate da innumerevoli letture, esce l'opera dell'O. C'è in essa - frantumato in singulti e in tristi sorrisi - il dramma intimo della sua vita di uomo e di scrittore; il pianto delle ore tristi, la malinconia dei disinganni, il prepotente insoddisfatto bisogno d'affetto, la forza e la volontà del condottiero che nessuno segue, l'anelito senza speranza a una gloria negata. C'è soprattutto l'ansia incessante dell'ascesa, lo sforzo ininterrotto a scrutare più a fondo, a vedere sempre più lontano e più alto.
Tutta l'opera dell'O., da Memorie inutili a Rivolta ideale, è così, e in essa esiste continuità ideale; d'altra parte nei romanzi e nei drammi come nei maggiori lavori di storia e di politica, l'artista e il pensatore, il filosofo e il sociologo si fondono e si esprimono in indivisibile unità; sicché appare inadeguato ogni giudizio che si basi sulla critica minuta di singoli elementi.
Dell'O. romanziere fu detto che egli ha soggiaciuto all'incubo di un'arte romantico-macabra. Ma se è vero che i suoi primi libri rispecchiano un animo convulso e disorientato, che in essi vi è capovolgimento di valori e atteggiamento di ribelle a vuoto, non mancano pagine, come quelle di Disfatta, ricche di spiritualità; e anche nei tre romanzi di triste argomento, Gelosia, Vortice, Olocausto, libri di un verismo torturante, l'O. non può dirsi pessimista solo perché freddo e neutrale di fronte ai sistemi, rappresenta senza lenocinî le brutture della vita, né può asserirsi immorale se l'emozione volutamente repressa pur trabocca a tratti con la pietà per le vittime dell'umana perfidia o di un oscuro destino.
E quanto all'O. storico, se è vero che talora egli piega la materia a servire le sue idee, senza sottoporla all'indagine paziente, al vaglio scrupoloso delle fonti, donde giudizî superficiali ed errori di fatto, è vero altresì che egli seppe concepire la storia d'Italia con chiara visione del suo millenario svolgimento. Egli guarda avvenimenti e personaggi dall'alto, domina epoche e vicende, discute, investe; rivive lo spirito eroico dei tempi, il tumulto delle passioni e le vicende delle battaglie, i conflitti dei popoli e l'urlo delle rivolte, i vizî e gli eroismi degli uomini e delle nazioni. E sul tumulto dei secoli afferma la funzione mondiale dell'Italia, mentre, con visione profetica di stupefacente esattezza, proclama l'ineluttabilità della guerra mondiale.
Che se l'O. filosofo e politico non crea alcun sistema definitivo e non segue alcun indirizzo preciso, è proprio nel suo pensiero politico che confluisce e sbocca il tormentoso anelito di tutta la vita dell'O. Tutte le scorie sono scomparse nella forma e nel pensiero, e in Rivolta ideale, che egli chiamò suo testamento spirituale, vibra lo spasimo del secolo che muore, appare la coscienza del presente e l'intelligenza del futuro. Fu specialmente ripensando a Rivolta ideale che Benito Mussolini vide nell'O. "un anticipatore del fascismo" e affermò con sintesi scultoria: "Più gli anni passano, più le generazioni si susseguono e più splende questo astro, luminoso anche quando i tempi sembravano oscuri. Nei tempi in cui la politica del "piede di casa" sembrava il capolavoro della saggezza umana, A. O. sognò l'impero; in tempi in cui si credeva alla pace universale perpetua, A. O. avvertì che grandi bufere erano imminenti, le quali avrebbero sconvolto i popoli di tutto il mondo; in tempi in cui i nostri dirigenti esibivano la loro deholezza più o meno congenita, A. O. fu un esaltatore di tutte le energie della razza; in tempi in cui trionfava un sordido anticlericalismo, che non aveva alcuna luce ideale, A. O. volle morire col Crocifisso sul petto a dimostrare che dopo le grandi parole dettate dal Cristianesimo, altre così solenni, così universali non furono più pronunciate sulla faccia della terra".
Al Cardello, che il governo fascista dichiarò monumento nazionale (r. decr. 6 novembre 1924) e volle degnamente restaurato, esiste un'importante raccolta bibliografica, che contiene la collezione dei manoscritti autografi dell'O., le sue opere nelle successive edizioni, i libri e gli opuscoli che lo riguardano, un'ampia raccolta di riviste e giornali che parlano di lui, e inoltre l'epistolario, oggi ancora inedito, dello scrittore.
Prime edizioni: Memorie inutili (Milano 1876); Al di là (ivi 1877); Monotonie (Bologna 1878); Gramigne (Milano 1879); No (ivi 1881); Quartetto (ivi 1883); Matrimonio e divorzio (Firenze 1886); Fino a Dogali (Milano 1889); La lotta politica in Italia (Torino 1892); Il nemico (Milano 1894); Gelosia (ivi 1894); La disfatta (ivi 1896); Vortice (ivi 1899); Ombre d'occaso (Bologna 1901); Bicicletta (ivi 1902); Olocausto (Palermo 1902); Oro, incenso, mirra (Roma 1905); La rivolta ideale (Napoli 1908); Fuochi di bivacco (Bari 1915); Teatro, I (ivi 1920); Punte secche (ivi 1921); Sì (Imola 1923); Gli eroi, gli eventi, le idee, pagine scelte (Bologna 1928). L'edizione completa delle opere dell'O., a cura di Benito Mussolini, fu iniziata in Bologna (ediz. Cappelli) nel 1923 e terminata nel 1933; comprende 30 volumi.