Vespri siciliani
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Insurrezione scoppiata (1282) a Palermo all'ora del vespro del
lunedì di Pasqua contro il malgoverno di Carlo I
d'Angiò. La rivolta diede inizio all'omonima guerra che,
conclusa dalla Pace di Caltabellotta (1302), sancì la
cacciata degli Angiò e l'attribuzione della corona a Pietro
III d'Aragona (1239-1285), che in quanto marito di Costanza, figlia
di Manfredi, rivendicava i diritti dell'estinta dinastia sveva.
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Vespri siciliani sono un evento storico avvenuto nella Sicilia
del XIII secolo.
Quadro storico
Dopo la morte di Corrado, la sconfitta di Manfredi a Benevento e la
decapitazione a Napoli il 29 ottobre 1268 dell'ultimo e pericoloso
pretendente svevo Corradino, il Regno di Sicilia era stato
definitivamente assoggettato al sovrano francese Carlo I
d'Angiò. Papa Clemente IV, che nel 1263 aveva già
incoronato Carlo re di Sicilia, e sperava così di poter
estendere la propria influenza all'Italia meridionale senza dover
subire i veti precedentemente imposti dagli svevi, dovrà
rendersi ben presto conto che gli angioini, disattesi i patti
convenuti, prenderanno subito a perseguire una politica
aggressivamente espansionistica: conquistato il meridione d'Italia,
le mire di Carlo volgevano infatti già ad Oriente ed a quel
che restava dell'impero bizantino.
In Sicilia la situazione si era fatta particolarmente critica per
una generalizzata riduzione delle libertà baronali ed una
opprimente politica fiscale. L'isola, da sempre fedelissima
roccaforte sveva, che dopo la morte di Corradino aveva resistito
ancora per alcuni anni era ora il bersaglio della rappresaglia
angioina. Gli Angiò si mostrarono insensibili a qualunque
richiesta di ammorbidimento ed applicarono un esoso fiscalismo
praticando usurpazioni, soprusi e violenze. Tanto che Dante, che nel
1282 aveva solo 17 anni, nell'VIII canto del Paradiso
indicherà come Mala Segnoria il regno angioino di Sicilia. I
nobili siciliani e in particolare il diplomatico Giovanni da Procida
riponevano le proprie speranze in Michele VIII Palaeologo,
imperatore bizantino già in contrasto con Carlo I
d'Angiò, in Papa Niccolò III, che si era dimostrato
disponibile ad una mediazione, ed in Pietro III d'Aragona. Il re
d'Aragona, in particolare, era guardato con favore perché sua
moglie Costanza, in quanto figlia di Manfredi e nipote di Federico
II, risultava l'unica pretendente legittima della casa di Svevia;
tuttavia egli era impegnato nella riconquista di quella parte della
penisola iberica ancora in mano agli arabi.
Alla fine del 1280, in concomitanza della morte di papa
Niccolò III e della guerra che impegnava il Paleologo contro
una coalizione di cui facevano parte veneziani ed angioini, i baroni
siciliani ruppero gli indugi organizzando una sollevazione popolare
che desse un segno tangibile della loro determinazione convincendo
l'unico interlocutore rimasto, Pietro d'Aragona, ad accorrere
finalmente in loro aiuto. In quel mentre avveniva l'elezione del
papa di origini francesi Martino IV su cui i siciliani riposero le
loro ultime speranze, ma questi, eletto proprio grazie al sostegno
degli Angiò, si mostrò fin dall'inizio insensibile
alla loro causa.
Nell'instabile panorama politico della fine del XIII secolo, la
rivolta siciliana, intrecciando l'opposizione al potere temporale
dei papi al contenimento dell'inarrestabile ascesa dei loro vassalli
angioini, innescherà nel Mediterraneo un vero e proprio
conflitto internazionale: da una parte Carlo I d'Angiò,
sostenuto da Filippo III di Francia e dai guelfi fiorentini,
oltreché dal papato; dall'altra Pietro III d'Aragona,
appoggiato da Rodolfo d'Asburgo, da Edoardo I d'Inghilterra, dalla
fazione ghibellina genovese, dal Conte Guido da Montefeltro e da
Pietro I di Castiglia, oltreché più tiepidamente dalle
Repubbliche marinare di Venezia e di Pisa.
La rivolta del lunedì di Pasqua
Tutto ebbe inizio mentre si era in attesa della funzione del Vespro
del 30 marzo 1282, Lunedì di Pasqua, sul sagrato della Chiesa
dello Spirito Santo, a Palermo. A generare l'episodio fu - secondo
la ricostruzione storica - la reazione al gesto di un soldato
dell'esercito francese, tale Drouet, che si era rivolto in maniera
irriguardosa ad una giovane nobildonna accompagnata dal consorte,
mettendole le mani addosso con il pretesto di doverla perquisire. A
difesa di sua moglie, lo sposo riuscì a sottrarre la spada al
soldato francese e a ucciderlo. Tale gesto costituì la
scintilla che dette inizio alla rivolta. Nel corso della serata e
della notte che ne seguì i palermitani - al grido di "Mora,
mora!" - si abbandonarono ad una vera e propria "caccia ai francesi"
che dilagò in breve tempo in tutta l'isola, trasformandosi in
una carneficina. I pochi francesi che sopravvissero al massacro vi
riuscirono rifugiandosi nelle loro navi, attraccate lungo la costa.
Si racconta che i siciliani, per individuare i francesi che si
camuffavano fra i popolani, facessero ricorso ad uno shibboleth,
mostrando loro dei ceci («cìciri», nella lingua
siciliana) e chiedendo di pronunziarne il nome; quelli che
venivano traditi dalla loro pronuncia francese (sciscirì),
venivano immediatamente uccisi.
Gli organizzatori
Secondo la tradizione, la rivoluzione del Vespro fu organizzata in
gran segreto dai principali esponenti della nobiltà
siciliana. Quattro furono i principali organizzatori:
- Giovanni da Procida, della famosa Scuola medica salernitana,
medico di Federico II;
- Alaimo di Lentini, Signore di Lentini;
- Gualtiero di Caltagirone, Barone, Signore di Caltagirone;
- Palmiero Abate, Signore di Trapani e Conte di Butera.
Secondo I Raguagli Historici del Vespro Siciliano di Filadelfo
Mugnos, nell'organizzazione della rivolta questa fu la ripartizione:
Ad Alaimo di Lentini fu assegnato il Val Demone con la città
di Messina. A sua volta questi affidò:
Milazzo e le terre vicine a Natale Anzalone e Bartolomeo Collura;
Castroreale a Bartolomeo Graffeo; il territorio da Patti a
Cefalù a Tommaso Crisafi e Cefaldo Camuglia; il territorio da
Taormina a Catania a Pandolfo Falcone; San Filippo a Girolamo
Papaleo; Nicosia a Pietro Saglinpepe e Lorenzo Baglione; Troina a
Iacopino Arduino.
A Palmiero Abate fu assegnato il Val di Mazara e a sua volta questi
affidò:
Trapani ed Erice ai fratelli; Marsala e le terre vicine a Berardo
Ferro; Termini a Giovanni Campo; Enna, Calascibetta e altre terre ad
Arrigo Barresi; Salemi, Polizzi e Corleone a Guido Filangeri; Licata
a Rosso Rossi e Berardo Passaneto; Agrigento a Giovanni Calvelli;
Naro a Niccolò Lentini e Lucio Putti.
A Gualtiero di Caltagirone fu assegnato il Val di Noto, il quale si
riservò di organizzare la rivolta in prima persona a
Caltagirone, Piazza e Aidone. Affidò invece:
Mineo e alcune terre vicine al figlio Perotto; Catania a Pietro
Cutelli e Cau Tedeschi; Lentini a Giovanni Balsamo e Lanfranco
Lentini; Siracusa a Perrello Modica e Pietro Manuele; Modica, Ragusa
e altri luoghi a Manfredi Mosca; Vizzini ad Arnaldo Callari e Luigi
Passaneto; Noto a Luigi Landolina e Giorgio Cappello.
La prima fase del Vespro
All'alba dell'indomani, la città di Palermo si
proclamò indipendente. La rivolta si estese subito a tutta la
Sicilia.
Dopo Palermo fu la volta di Corleone, Taormina, Messina, Siracusa,
Augusta, Catania, Caltagirone e, via via, tutte le altre
città. Successivamente, gli insorti richiesero il sostegno
del Papa Martino IV, affinché appoggiasse l'indipendenza
dell'isola e la patrocinasse; tuttavia, il pontefice era stato
eletto al soglio papale grazie all'appoggio dei suoi connazionali
francesi e pertanto non accolse le richieste degli isolani,
bensì appoggiò l'azione repressiva degli angioini.
Carlo I d'Angiò tentò invano di sedare la rivolta con
la promessa di numerose riforme; alla fine decise di intervenire
militarmente.
Antudo e la bandiera
Famoso simbolo di quella lotta divenne il termine
«Antudo!», una parola d’ordine usata dagli esponenti
della rivolta. Il 3 aprile 1282 veniva adottata la bandiera
giallo-rossa, con al centro la Trinacria e che diverrà il
vessillo di Sicilia. La bandiera venne formata dal rosso di Corleone
e dal giallo di Palermo a seguito di un atto di confederazione
stipulato da 29 rappresentanti delle due città. Antudo fu
scritto anche nel vessillo.
La Guerra del Vespro
Secondo un cronista siciliano, Carlo I inviò in Sicilia una
flotta con 24.000 cavalieri e 90.000 fanti. In realtà, tali
numeri erano per l'epoca effettivamente esagerati: più
accreditata è la stima del Villani, che parla di un totale di
5.000 uomini, di cui 500 provenienti da Firenze. A fine maggio
1282, l'esercito sbarcò tra Catona e Gallico (a nord di
Reggio) iniziando l'assedio di Messina e bloccando di fatto
l'intervento di Reggio a sostegno della città siciliana. La
città dello Stretto era allora comandata da Alaimo di Lentini
che, nominato Capitano del Popolo, organizzò la resistenza
nella città. Il primo assalto navale fu il 2 giugno, respinto
dai siciliani; indi sbarcò sulle coste di Messina il 25
luglio 1282, ben sapendo che non avrebbe mai potuto avanzare
all'interno della Sicilia se non dopo aver espugnato la città
sullo stretto. Il 6 e l'8 agosto si ebbe un assalto guelfo
italo-francese alle spalle della città, dai colli, respinto
dai siciliani. Alla guerra parteciparono tutti i centri dell'isola,
tranne Sperlinga (EN), che divenne l'unico caposaldo angioino e dove
i soldati si asserragliarono per circa un anno. Nel castello della
cittadina infatti, si può ancora leggere di questa
fedeltà: Quod Siculis placuit, sola Sperlinga negavit
("Ciò che piacque ai Siciliani, solo Sperlinga lo
negò").
L'assedio di Messina durò fino a tutto il mese di settembre,
ma la città non fu espugnata. Al periodo storico sono legate
due leggende: il Vascelluzzo e Dina e Clarenza.
L'intervento aragonese e la reazione pontificia
Nel frattempo i nobili siciliani avevano offerto la corona di
Sicilia a Pietro III d'Aragona, marito di Costanza, figlia del
defunto Re Manfredi di Svevia. L'aver fatto cadere su Pietro III la
scelta quale nuovo Re di Sicilia significava per gli isolani la
volontà di ritornare, in certo qual modo, alla dinastia
sveva, incarnata da Costanza. La flotta di re Pietro, comandata da
Ruggero di Lauria sbarcò il 30 agosto 1282 a Trapani accolto
da Palmiero Abate. L’insurrezione divenne così un vero
conflitto politico fra Siciliani ed Aragonesi da un lato e gli
Angioini, il Papato, il Regno di Francia e le varie fazioni guelfe
dall'altra.
Appena insediatosi Pietro nominò Alaimo di Lentini Gran
Giustiziere, Giovanni da Procida Gran Cancelliere e Ruggero di
Lauria Grande Ammiraglio. Inoltre assegnò incarichi di primo
piano ai suoi fidati Berengario Pietrallada, Corrado Lancia e Blasco
I Alagona.
Il 26 settembre 1282 Re Carlo, sconfitto, fece ritorno a Napoli,
lasciando la Sicilia nelle mani di Pietro III. Ebbe inizio
così un lungo periodo di guerre tra gli angioini e gli
aragonesi per il possesso dell'isola.
Nel novembre 1282 il Papa Martino IV, schierato apertamente con
Carlo I d'Angiò, lanciò la scomunica su Pietro ed i
siciliani.
Gli Aragonesi presero l'impegno di tenere distinti i Regni di
Sicilia e di Aragona: il Re nominava un luogotenente che in sua
assenza avrebbe regnato in Sicilia. Così quando Pietro fu
richiamato in Spagna lasciò la luogotenenza ad Alfonso III
d'Aragona e dopo questo verrà investito dell'incarico Giacomo
II d'Aragona. Gli aragonesi però frustrarono quasi subito le
aspirazioni dei siciliani, quando Pietro, finita l'occupazione
dell'isola, sbarcò a Reggio Calabria e puntò a
risalire la Calabria in direzione di Napoli. I malumori dei baroni
siciliani sfociarono in ostilità aperta e a farne le spese
furono alcuni dei capi dei Vespri, come Gualtiero di Caltagirone,
che il 22 maggio del 1283 venne condannato al patibolo da Giacomo,
figlio di Pietro e luogotenente di Sicilia. La condanna fu eseguita
nel "piano di S. Giuliano" a Caltagirone.
Davanti a Malta, l'8 giugno 1283 si affrontarono per la prima volta
la flotta catalano-siciliana di Ruggero di Lauria e quella angioina
nella cosiddetta Battaglia navale di Malta. L'ammiraglio Ruggero
inflisse un duro colpo agli angioini, che furono costretti alla
fuga.
Il Papa Martino IV reiterò la scomunica a Pietro nel gennaio,
e quindi nel febbraio 1283. Il 2 giugno 1284, da Orvieto, indisse
una vera e propria crociata contro il sovrano aragonese, avendo
convinto Filippo III di Francia, dopo lunga trattativa, a prenderne
il comando. La crociata contro gli Aragonesi si concluderà
tuttavia con un disastro, in cui lo stesso Filippo III
troverà la morte a Perpignan, il 5 ottobre 1285.
Il 5 giugno 1284, e poi nel 1287, nelle due Battaglie navali di
Castellammare, combattute nel Golfo di Napoli, la flotta aragonese
con al comando l'ammiraglio Ruggero di Lauria vinse nuovamente
quella angioina, comandata da Carlo lo Zoppo, che in occasione del
primo scontro venne catturato e tenuto in prigionia nel castello di
Cefalù rischiando la pena capitale. Giacomo, infatti, premeva
per la condanna a morte, mentre il padre Pietro, tramite Alaimo di
Lentini, spinse per cercare un trattato di pace; tale situazione
costò la fiducia ad Alaimo. Quest'ultimo avrebbe pagato di
persona con la deposizione da Giustiziere e l'esilio sino al 1287
quando Alaimo fu giustiziato per mazzeratura durante il viaggio in
nave di rientro in Sicilia.
Il Papa Onorio IV, successore di Martino IV, pur mostrandosi
più diplomatico del predecessore, non accettò la
sollevazione del Vespro e l'11 aprile 1286 confermò la
scomunica per il Re Giacomo di Sicilia e i vescovi che avevano preso
parte alla sua incoronazione a Palermo il 2 febbraio 1286; tuttavia,
né il Re né i vescovi se ne preoccuparono. Il re
inviò addirittura una flotta ostile sulla costa romana e
distrusse col fuoco la città di Astura.
Nel 1288 Roberto d'Angiò venne catturato e tenuto in ostaggio
dal Re Giacomo per costringere gli angioini a firmare un armistizio
nel 1295.
Nel 1291 Alfonso III d'Aragona firmò a Tarascona un trattato
con Papa Niccolò IV e Carlo II d'Angiò che prevedeva
l'espulsione del fratello Giacomo dalla Sicilia, ma l'accordo non
ebbe alcun effetto nella guerra.
Federico III d'Aragona
Alfonso morì nel 1291 e Giacomo, suo successore salì
quindi sul trono di Aragona lasciando la luogotenenza in Sicilia al
fratello Federico che subito si mostrò molto attento alle
istanze dei siciliani. Il Trattato di Tarascona rimase inapplicato e
Papa Nicola IV colse l'occasione per lanciare una crociata contro il
regno d'Aragona comandata da Carlo di Valois. Nello stesso momento
erano in difficoltà anche gli angioini così Giacomo II
di Aragona e con Carlo II d'Angiò cercarono con il Trattato
di Anagni firmato il 12 giugno del 1295 una via d'uscita dal
conflitto del Vespro. Il trattato avrebbe previsto la ritirata degli
aragonesi dall'isola e la riconsegna agli Angiò. Così
i siciliani si sentirono abbandonati ed in questo contesto il
Parlamento siciliano, riunito al Castello Ursino di Catania, elesse
a Re di Sicilia Federico disconoscendo Giacomo. Il piano di alleanze
fu stravolto: da questo momento i Siciliani continuarono la lotta
sotto la reggenza di Federico, contro sia gli Angioini che gli
Aragonesi di Spagna del Re Giacomo.
La reggenza di Federico acuì però il malcontento di
alcuni grossi feudatari fra i quali l'ammiraglio Ruggero di Lauria
che si asserragliò prima nel castello di Aci e
successivamente entro le mura di Castiglione di Sicilia, suo feudo
impegnando gli aragonesi in un logorante assedio (1297).
L'ammiraglio Ruggero passò quindi dalla parte
angioina-aragonese di Spagna e vinse Federico il 4 luglio del 1299
nella Battaglia di Capo d'Orlando.
Il 31 dicembre del 1299 durante la «Battaglia di
Falconara», tentativo dei francesi di riconquistare la Sicilia
e che venne combattuta fra Mazara del Vallo e Marsala, il generale
aragonese Martino Perez de Roisviene vincitore fece prigioniero
Filippo I d'Angiò figlio di Carlo II. Il 4 luglio del 1300
nella «Battaglia navale di Ponza» Ruggero di Lauria
batteva nuovamente gli aragonesi facendo prigioniero Federico III e
Palmiero Abate. Il re riuscì poi a fuggire, mentre Palmiero
morì di stenti in prigionia pochi mesi dopo.
Con la fine di Palmiero, scompariva l'ultimo dei promotori del
Vespro, dopo Gualtiero e Alaimo che vennero giustiziati e Giovanni
da Procida, l'unico, quest'ultimo a morire di morte naturale.
Le fazioni «latine» e «catalane»
Alla conclusione del XIII secolo il regno di Trinacria iniziava ad
essere logorato da fazioni che facevano capo alle principali
famiglie nobiliari:
alla «fazione latina», legata al partito
svevo-ghibellino appartenevano principalmente i Ventimiglia, i
Chiaramonte, i Palizzi, i Lanza, gli Uberti;
alla «fazione catalana», legata agli aragonesi
appartenevano gli Alagona questi specialmente alla corte di Sicilia
ed i Moncada maggiormente vicini alla corte di Barcellona, e
Matteo Sclafani i Rosso ed inoltre si possono menzionare i Lentini
anche se spesso vennero accostati alla casata angioina (nel corso
dei successivi anni '30 del 1300 si aggiungeranno a questa fazione i
Peralta).
La guerra civile proseguirà ben oltre il Vespro, in questo
periodo e con alcuni trattati si tentò invano di ricomporre
la pace fra le fazioni. Il maggior trattato è del 4 ottobre
1362 che venne firmato tra le fazioni latina e catalana.
La Pace di Caltabellotta
La pace di Caltabellotta fu il primo accordo ufficiale di pace
firmato il 31 agosto 1302 nel castello della cittadina siciliana fra
Carlo di Valois, come capitano generale di Carlo II d'Angiò,
e Federico III d'Aragona; tale trattato concluse quella che viene
indicata come la prima fase dei Vespri.
L'accordo limitava il regno di Carlo II al meridione peninsulare
d'Italia ed il titolo di Re di Sicilia, mentre stabiliva che
Federico continuasse a regnare in Sicilia, con il titolo di Re di
Trinacria. Inoltre, prevedeva che Federico sposasse Eleonora,
sorella del duca di Calabria Roberto d'Angiò e figlia di
Carlo I. Infine, la pace prometteva che, alla morte di Federico il
regno sarebbe tornato agli angioini.
Grazie a questo accordo si avviò anche una ricongiunzione fra
la corte aragonese e diversi signori ribelli come Ruggero di Lauria.
Pietro II e la ripresa della guerra
L'accordo di Caltabellotta serviva a Federico per riorganizzare il
proprio regno fortemente indebolito dai duri anni di guerra e
ciò riusci al monarca sino a quando cercando di eludere il
trattato di pace di Caltabellotta assegnò la corona di Re al
figlio Pietro, evitando così di far ereditare la corona agli
angioini come previsto dagli accordi. Pietro regnò
così a partire dal 1321, ben quindici anni prima della morte
di Federico (1336), e ciò provocò la inevitabile
reazione angioina e la ripresa della guerra.
La pace di Catania
Alla morte di Pietro (1342) succedeva il figlio Ludovico sotto
tutela di Giovanni d'Aragona, perché di soli cinque anni. Fu
probabilmente grazie alla diplomazia di Giovanni che si raggiunse un
accordo con gli Angioini siglato nel Castello Ursino di Catania l'8
novembre 1347 e che andava a chiudere quella che viene definita la
seconda fase dei Vespri.
Il trattato Avignonese
Tuttavia Giovanni contagiato dalla epidemia di peste perì ed
il giustiziere Blasco II Alagona mal visto dal Parlamento siciliano
non riuscì a far ratificare l'accordo. Così la guerra
proseguì, con il debole regno di Sicilia nelle mani di
Federico IV d'Aragona incalzato dall'esterno dagli angioini, che
erano riusciti a riconquistare buona parte dell'isola e dall'interno
dall'anarchia causata da vari e potenti signori ribelli. Nel 1349
Eleonora, figlia di Pietro II andava in sposa a Pietro IV d'Aragona
in base ad un importante accordo che prevedeva la rinuncia della
Spagna alle pretese sulla Sicilia. Una ulteriore ed importante
svolta si ebbe nel 1356 quando il governatore di Messina,
Niccolò Cesareo, in seguito a dissidi con Artale I Alagona,
richiese rinforzi a Ludovico d'Angiò, che inviò il
maresciallo Acciaiuoli. Le truppe, assistite dal mare da ben cinque
galee angioine saccheggiarono il territorio di Aci, assediando il
castello. Proseguirono quindi in direzione di Catania cingendola
d'assedio. Artale uscì con la flotta ed affrontò le
galere angioine, affondandone due, requisendone una terza, e
mettendo in fuga le truppe nemiche. La battaglia navale, che si
svolse fra la borgata marinara catanese di Ognina ed il Castello di
Aci, fu detta «Lo scacco di Ognina» e segnò una
svolta definitiva a favore degli aragonesi nella guerra del Vespro.
Dallo Scacco di Ognina gli angioini non si sarebbero più
ripresi tuttavia la guerra fra Sicilia e Napoli si trascinò
sino al 20 agosto 1372 quando si concluse dopo ben novanta anni con
il Trattato di Avignone firmato da Giovanna d'Angiò e
Federico IV d'Aragona e con l'assenso di Papa Gregorio XI.
Conseguenze storiche dei Vespri
I Vespri rappresentano una fondamentale tappa della storia
siciliana: il lungo legame tra Sicilia e Aragona, che poi
diverrà inclusione dell'isola nel regno unificato di fine XV
secolo, nasce in questo contesto. Tale legame realizzò
l'inserimento della Sicilia nel teatro mediterraneo, in cui la
Corona d'Aragona rappresentava l'avversario degli Angioini e del
Papa. L'isola divenne inoltre fulcro di interessi commerciali,
contesi tra le potenze marittime di quel tempo (Barcellona, Genova,
Firenze, Pisa, Venezia). Infine, moltissime famiglie nobili si
trasferirono in Sicilia dalla penisola iberica, integrandosi con la
nobiltà siciliana e finendo per costituire una componente
importante della nobiltà isolana nei secoli successivi.
Un altro elemento degno di considerazione è la natura
particolare del regno così nato. I ceti siciliani dominanti,
attraverso il governo provvisorio, avendo richiesto a Pietro di
assumere la corona, si rapportarono agli Aragonesi sempre come
interlocutori piuttosto che come sudditi, nel segno di una monarchia
"pattista", che avrebbe dovuto tutelare e conservare le tradizioni
del Regno e quindi anche la sua origine. Sotto questo aspetto, la
monarchia sorta nel 1282 differisce profondamente da quella
costituita sull'isola dei Normanni e dagli Svevi.