TRA HILFERDING E MARX,

LE VIE DIVERSE PER L’USCITA DALLA CRISI DEL CAPITALE


Luciano Vasapollo1


Introduzione

Nato a Vienna nel 1887 esercitò per alcuni anni come pediatra e dal 1902 cominciò a lavorare per la rivista socialdemocratica tedesca Neue Zeit; dall’anno 1907 iniziò la sua carriera come consulente del Partito socialdemocratico tedesco. La sua posizione fu sempre considerata moderata e di “destra” e nel 1920 al congresso di Halle si espresse contro l’adesione all’internazionale comunista, tenendo sempre ben evidente nella sua concezione la distinzione fra marxismo e socialismo.
[...]

Nel 1910 pubblicò la sua opera più importante Il capitale finanziario; fu per due volte Ministro delle Finanze (nel 1923 e nel 1928); la sua rivista Die Gesellschaft fu sempre ad indirizzo decisamente anticomunista. Con l’avvento del nazismo cominciò la sua fuga per tutta l’Europa, ma fu arrestato a Marsiglia nel 1941 e in carcere fu torturato e ucciso, anche se ufficialmente morì suicida.

Il lavoro di Hilferding è caratterizzato da tre fasi: nella prima si è dedicato allo studio del capitale finanziario, nella seconda allo studio del capitale “organizzato” e nella terza ha affrontato il problema delle conseguenze del nazismo sul socialismo democratico.

Il concetto di capitale finanziario e i confronti con i capitalismi contemporanei

[...] Nella sua opera principale Il capitale finanziario Hilferding stima eccessivamente la volontà rivoluzionaria della classe operaia e si dice convinto che il ruolo del capitale finanziario messo a disposizione delle banche affinché possa essere utilizzato dalle industrie rappresenta l’ultimo stadio del capitalismo.

Evidente è la diversa impostazione teorica e politica, soprattutto nel metodo, con Marx.

La nozione di capitale è centrale nell'opera di Marx, fino al punto che dà nome alla sua opera maggiore. Proprio per questa importanza, o magari per questa ragione, risulta abbastanza complicato riassumere in alcuni linee il suo obiettivo e significato. Inoltre, l'onnipresenza della scienza economica dominante tradizionale e convenzionale nei mass media e nella produzione di ricerca e di egemonia imposta nell’accademia contribuisce ad oscurare più che a chiarire la questione. Di fronte alle semplificazioni puramente propagandistiche, anche da sinistra, per il mantenimento della società del capitale e alle sue leggi del modo di produzione capitalista, l'analisi di Marx e poi quella marxista, approfondisce la natura stessa del sistema economico dentro il quale ha senso l'esistenza e il funzionamento del capitale, proponendo una vera spiegazione dei processi sociali implicati.

E, in parte, su tale impostazione si associa lo stesso Hilferding assumendo che :

"Il denaro serve in questo processo unicamente come mezzo di prova del fatto che le condizioni individuali di produzione della merce corrispondono alle condizioni sociali di produzione." (Hilferding (85), p. 21, Nos trad.), ma contraddicendosi pienamente nelle conseguenze da trarne sul piano politico e sulle possibilità e modalità di trasformazione e superamento del modo di produzione capitalista.

Lo scambio di una merce per denaro conferma la natura sociale della produzione privata, la definisce come parte dello sforzo produttivo sociale totale, per un ammontante dado dalle unità. In questo tipo di transazioni, il denaro è l'unità di conto e il mezzo di scambio. Questa è la nozione più semplice del denaro ed è soggetta alla contraddizione di dover essere una merce, un valore d’uso, concreto ed allo stesso tempo rappresentare quello che hanno tutte le merci in comune, il valore di scambio.

Primi approcci per una teoria compiuta sul denaro

Di fronte alle definizioni convenzionali del denaro, semplici descrizioni delle sue diverse caratteristiche apparenti (unità di conto, mezzo di scambio e deposito di valore), la teoria marxista iscrive queste descrizioni nella natura contraddittoria del valore di scambio ed in quella della sua rappresentazione ideale, il denaro. Il valore di scambio, la produzione e le economie basate su di esso, racchiudono la contraddizione che appare tra il bisogno di produrre valori in uso disponibili per il consumo (sotto la forma di valori di scambio) e le conseguenze di dare priorità al valore di scambio, alla sua crescita, alla gestione dei mezzi produttivi.

La funzione di mezzo di pagamento del denaro è molto vincolata alla sua funzione come mezzo di scambio:

"nel processo di circolazione M, D, M la stessa grandezza di valore esisteva duplicata, una volta come merce ed un altra come denaro. Ma la merce può anche essere venduta e pagata in un secondo momento. La trasformazione della merce si è consumato prima che il suo valore sia stato sostituito dal denaro. Il venditore si converte in creditore e il compratore in debitore. Il denaro riceve una nuova funzione mediante la separazione di vendita e pagamento, si converte in mezzo di pagamento. È cessato il fenomeno simultaneo dell'equivalente in merce e denaro in ambedue i poli del processo di vendita. Il mezzo di pagamento entra in circolazione, ma dopo che la merce è uscita dalla stessa. Il denaro ora non media nel processo, ma lo conclude indipendentemente." Hilferding (85), p. 48 (Nos. Trad.).

Secondo la concezione marxista del denaro, bisogna distinguere le diverse funzioni del suddetto, cosa che ammettono anche gli economisti tradizionali. In questa maniera, il denaro può agire principalmente come unità di conto, misura dei valori; come mezzo di scambio e di pagamento; ed, alla fine come riserva di valore o capitale accumulato. Ma la prospettiva marxista si distanzia dalla visione dominante, ai tempi di Marx come attualmente, nella misura in cui stabilisce chiaramente le contraddizioni in cui incorre il denaro nelle sue diverse funzioni, ed in cui la sua analisi si iscrive nel processo generale di circolazione delle merci attraverso i cosiddetti circuiti o processi ciclici del capitale.

Avendo riferimento anche alle categorie marxiste, la nozione di capitale di Hilferding e che anche a tutt’oggi abitualmente si utilizza, non solo non coincide con il concetto marxista di capitale ma crea confusioni gravi, incluso per gli economisti che l'utilizzano nei loro ragionamenti teorici.

Come ha denunciato Marx ai suoi tempi, oggi continua ad essere abituale nei circoli convenzionali, dominanti sul piano economico e politico, confondere denaro e capitale. Allora come adesso era facile confonderli, ma la logica di Marx non lascia spazio a dubbi: una cosa è il denaro come unità di conto, mezzo di scambio e di pagamento, ed altra cosa il denaro come riserva di valore; una cosa è il denaro nello scambio di merci tra loro ed altra cosa è il denaro nel capitalismo, nell'accumulazione ampliata.

Ai tempi di Marx, ed anche in quelli di Hilferding, i bassi livelli salariali e il relativo ritardo dei sistemi bancari nazionali rese impensabile il fatto che questo tipo di credito potesse generalizzarsi nei pagamenti dei salari perciò si considerò che la maggior parte di questi dovesse pagarsi in denaro "contante e sonante".

D'altra parte, allora come adesso, i pagamenti corrispondenti all’acquisto di materie prime per la produzione, operazioni realizzate tra capitalisti, rispondevano chiaramente al tipo di operazioni in cui il denaro utilizzato non era tale ma era denaro creditizio.2

Perciò, in circostanze normali, questo credito tra capitalisti si sostiene da solo finché si estingue, sulla base del capitale produttivo creato per l'investimento finanziato ed il prodotto della vendita futura delle nuove merci. Ciò di cui ha bisogno il capitalista industriale che investe è il denaro per comprare merci e lavoro, capitale monetario.

Nel passare ad essere il denaro un mezzo di pagamento, si apre la possibilità di gestire ed organizzare i pagamenti monetari con l'obiettivo di ridurre al massimo il denaro in contanti necessario per effettuarli. Questo desiderio di economizzare denaro contante induce a sostituirlo con un altro tipo di denaro, che permetta di evitare lo sfasamento tra ricavi e costi

In questo caso si parla di denaro di credito:

"Il credito appare, in primo luogo, come semplice risultato della funzione del denaro come mezzo di pagamento". Hilferding (85), p. 72 (Nos. Trad.)

Mentre nella riproduzione semplice sono le merci, quelle acquistate o vendute, ad essere l'obiettivo finale delle transazioni, cosa caratteristica delle economie non capitaliste, e, dunque, il denaro non diventa un mezzo di scambio, come descrivono le teorie monetarie classiche, nella riproduzione ampliata c'è un cambio qualitativo della funzione esercitata dallo stesso. Indipendentemente dal grado di sviluppo del sistema bancario e di credito, il capitalista che interviene sui mercati delle merci e del lavoro lo fa per conseguire più denaro con la futura vendita delle nuove merci prodotto. Così, parte del suo denaro (D) comprerà materie prime (Mp) ed altra parte lavoro (L) per conseguire, dietro la produzione, più denaro rispetto a quello l'investito.

"Ciò che è stato reso possibile qui, in primo luogo, attraverso il denaro è la separazione e l’indipendenza della circolazione del valore del capitale fisso di fronte alla continuità della sua funzione tecnica nel processo di produzione." Hilferding (85), p. 63 (Nos. Trad.);

e continua spiegando che il denaro proveniente dell'ammortamento del capitale fisso si converte così in una delle principali fonti di capitale monetario "congelato" per i suoi detentori-proprietari, che lo vanno accumulando, periodo dopo periodo, fino ad utilizzare la somma totale in sostituzione dell'elemento del capitale fisso ammortizzato. Ebbene, il “congelamento” del capitale monetario durante un certo tempo nel corso del processo di circolazione del capitale individuale tende ad essere eliminato dal credito per il capitale sociale."

Logicamente, il sistema bancario non va a distinguere alcuni fondi da altri nel momento di conseguire gli utili, cosicché nonostante i suoi detentori -proprietari cerchino di mantenere i "liquidi", i fondi dell'ammortamento alimentano crediti di capitale addizionale.

"questo credito... che prevale tra gli stessi capitalisti-produttori, lo chiamiamo credito di circolazione." Hilferding (85), p. 73 (Nos. Trad.)

Al contrario, nella riproduzione ampliata, il denaro compie una funzione più complessa:
"Il denaro-capitale costituisce la forma in cui appare in scena tutto il capitale individuale ed inizia il processo come capitale. Perciò, appare come il primus motor, prestando il suo impulso all’intero processo." Marx (81), p. 336 (Nos. Trad.)

Avendo riferimento anche alle categorie marxiste, la nozione di capitale di Hilferding e che anche a tutt’oggi abitualmente si utilizza, non solo non coincide con il concetto marxista di capitale ma crea confusioni gravi, incluso per gli economisti che l'utilizzano nei loro ragionamenti teorici.

Come ha denunciato Marx ai suoi tempi, oggi continua ad essere abituale nei circoli convenzionali, dominanti sul piano economico e politico, confondere denaro e capitale. Allora come adesso era facile confonderli, ma la logica di Marx non lascia spazio a dubbi: una cosa è il denaro come unità di conto, mezzo di scambio e di pagamento, ed altra cosa il denaro come riserva di valore; una cosa è il denaro nello scambio di merci tra loro ed altra cosa è il denaro nel capitalismo, nell'accumulazione ampliata.

Ai tempi di Marx, ed anche in quelli di Hilferding, i bassi livelli salariali e il relativo ritardo dei sistemi bancari nazionali rese impensabile il fatto che questo tipo di credito potesse generalizzarsi nei pagamenti dei salari perciò si considerò che la maggior parte di questi dovesse pagarsi in denaro "contante e sonante".

La questione bancaria, il capitale finanziario e la natura della crisi attuale del capitale

Nei primi anni del 1900 si sviluppa la cosiddetta banca mista (banca tedesca) che  si differenzia dalla precedente banca di deposito (la banca inglese)3. Hilferding sostiene che la caratteristica della banca tedesca risiede proprio nella diversa destinazione del capitale che si presta e si ha quindi una sostanziale differenza tra il credito per la circolazione, ossia il denaro che si presta all’impresa per i suoi pagamenti, e il capitale di credito ossia il denaro utilizzato per finanziare gli investimenti produttivi.

Si ha quindi che la banca inglese in sostanza è specializzata nel cosiddetto capitale circolante mentre la banca tedesca, o banca mista, può accordare un prestito «sia per trasformarlo in capitale circolante che per trasformarlo in capitale fisso»4.

La differenza tra i due tipi di banca è dovuta anche ai diversi tempi di rientro dei prestiti,e ai rischi dei finanziatori. In sostanza, infatti, mentre la banca inglese investe in capitale circolante e questo "riaffluisce nella stessa forma, il che significa che il suo valore a ciclo ultimato è stato completamente riprodotto e ritrasformato in forma di denari" (ibid. p. 99), e quindi i rischi che la banca corre sono legati a un breve periodo , nel caso della banca mista (tedesca) il prestito è legato all’investimento e quindi alle prospettive di profitto dell’impresa. Questo fa si che le banche tedesche siano molto più legate alla vita delle imprese finanziate, alla riuscita del progetto finanziato e all’incertezza che inevitabilmente lo accompagna.

Alla base del sistema di credito, composto dal credito di circolazione (che, grazie all'intervento del denaro come mezzo di pagamento, trasforma il capitale- merci in capitale monetario attivo) si aggiunge altro capitale monetario, "libero", dal momento in cui i capitalisti non desiderano sperperarlo e dal momento in cui il capitale fisso in via di ammortamento continua ad essere utilizzato nel processo di produzione.

Come un grande imbuto che raccoglie tutto il capitale monetario che non è in circolazione, la banca dell’oggi cosiddetto postfordista, così come ai tempi di Hilferding, dispone di tutta una rete di imprese produttrici e finanziarie allo stesso tempo, quindi, perfettamente comunicanti tra loro, che le permettono anche di cercare e trovare mutuatari disposti ad utilizzare il capitale monetario congelato, inserito nella circolazione da altri capitalisti.

Tra le operazioni che ritirano capitale monetario dalla circolazione Hilferding, d'accordo con Marx, ne segnala una in modo speciale:

"... vediamo che una parte dei capitalisti ritira continuamente denaro dalla circolazione come compensazione del capitale fisso logoro. La forma del denaro è qui essenziale: il valore del capitale fisso può essere solo sostituito in denaro perché il capitale fisso, continua agendo nel processo di produzione e perciò non ha bisogno di essere sostituito in natura. Pertanto, è la forma tipica del modo di produzione del capitale fisso ciò che rende necessario qui il denaro. Ciò che è reso possibile qui, in primo luogo, attraverso il denaro è la separazione e indipendentizzazione della circolazione del valore del capitale fisso di fronte alla continuità della sua funzione tecnica nel processo di produzione.

La forma del riflusso del capitale fisso determina un'accumulazione periodica di liquidità, ma, con ciò, anche un congelamento periodico di capitale monetario." Hilferding (85), p.63 (Nos. Trad)

Mentre il capitalista non riunisce il capitale monetario necessario per portare a termine un rinnovamento  della  parte fissa del suo capitale costante (installazioni, macchinari, tecnologia...) dovrà conservare in forma di denaro le quantità annuali previste per poter procedere all'acquisto nel tempo previsto. In questa maniera, è inerente al regime capitalista di produzione la generazione di una quantità di capitale congelato corrispondente all'ammortamento del capitale fisso, liquidità che si aggiunge a quella citata.

La quantità di capitale monetario congelato dipende da vari fattori:

"Tutti questi momenti citati: la composizione organica del capitale, specialmente la relazione del componente del capitale fisso con il circolante; lo sviluppo della tecnica commerciale, che riduce il tempo di circolazione; l'evoluzione attuante nello stesso senso dei mezzi di trasporto, ma contro ciò cresce una tendenza opposta alla continua ricerca di mercati lontani; la diversità nel ritmo dei riflussi come conseguenza delle oscillazioni periodiche di congiuntura, e, alla fine, la rapida o ritardata accumulazione produttiva: tutte queste circostanze agiscono nella massa di capitale congelato e nella durata del congelamento.

Si deve aggiungere, inoltre, come fattore importante l'influenza delle variazioni di prezzo delle merci." Hilferding (85), p. 67

Nonostante ciò, l'organizzazione e i tecnici bancari, al servizio della ricerca del maggiore beneficio, riducono al massima la quantità di capitale monetario “congelato” su scala sociale, ciò aumenta l'effetto negativo generale di un'ipotetica crisi di insoluti.

Per poter controllare al meglio l’impresa finanziata la stessa banca in ogni sua configurazione, procede all’acquisto di capitale azionario per avere una situazione di controllo stabile della impresa stessa.

Hilferding di conseguenza evidenzia che le diverse classi sociali affrontano il rischio in maniera diversa: la cosiddetta classe “improduttiva “, nel momento in cui deposita suo denaro in banca, sarà più portata ad effettuare depositi e quindi sarà più interessata alla stabilità della banca. E’ quindi necessario che la banca non sia coinvolta solo in un tipo di investimento ma riesca a diversificarli al fine di rendere comunque abbastanza stabili le oscillazioni degli utili non rischiando di generare  sfiducia nei clienti (la classe improduttiva che deposita).

Per poter rendere stabili gli utili bancari sia nel breve che nel lungo periodo si deve, quindi, arrivare a creare monopoli in interi settori industriali commerciali; si avrà quindi “l’impegno delle banche nel favorire la formazione di monopoli; e quindi il coincidere delle tendenze del capitale bancario e del capitale industriale verso l’eliminazione della concorrenza”.5

Hilferding sostiene che con lo sviluppo industriale le banche sono portate a effettuare operazioni di concentrazioni per raggiungere il livello massimo di profittabilità  attraverso i trust e i cartelli; ecco perché diventa più determinante l’intervento di una banca in grado di sostenere l’investimento produttivo per finalizzarlo al raggiungimento della massima potenza del capitale finanziario.

Negli anni che precedono la Prima Guerra Mondiale, quindi, Hilferding elabora la sua teoria classica del’imperialismo basata sull’accordo esistente tra il sistema bancario e il sistema industriale, per far ciò è determinante il sostegno dei governi, o meglio è lo Stato che cerca di provvedere all’immenso bisogno di capitale di investimento necessario all’economia; questo significa in sostanza attuazione di politiche protezionistiche  sui propri prodotti nazionali .

La fusione tra i monopoli bancari ed industriali finisce per generare la loro interconnessione con lo Stato. Questo intreccio tra Stato e monopolio genera a sua volta il fenomeno di un’unione speciale tra lo Stato ed i monopoli produttori di armamenti, e quei monopoli che, in generale, producono a carico del cosiddetto bilancio della difesa o che da tale bilancio traggono vantaggi.

Ormai, nella realtà dei capitalismi di oggi, almeno dai primi anni ’70 in particolare anche gli organismi finanziari internazionali cominciano a sostenere più o meno esplicitamente che i processi della globalizzazione non sono più sotto il controllo delle autorità monetarie ma soprattutto delle autorità politico-governative legate agli interessi delle multinazionali del complesso industriale militare dei diversi poli imperialisti.

L’analisi di Hilferding sottolinea che si vada verso un dominio sempre più marcato delle banche sull’industria6 e la sua definizione delle relazioni economiche e politiche basate sul capitale finanziario è ripresa anche da Lenin  nel suo maggior  testo sull’imperialismo:

«Una parte sempre crescente del capitale industriale – scrive Hilferding - non appartiene agli industriali che lo impiegano. Il capitale è messo a loro disposizione soltanto per mezzo della banca, che ne rappresenta di fronte ad essi il proprietario. Reciprocamente la banca deve impiegare nell’industria una parte sempre maggiore dei suoi capitali; in tal guisa essa diventa, in proporzioni sempre maggiori, capitalista industriale. Il capitale bancario – e quindi il capitale in forma di denari – che nella realtà si trasforma così in capitale industriale viene da me  chiamato capitale finanziario. Il capitale finanziario è il capitale di cui dispongono le banche, ma che è impiegato dagli industriali”7.

Lenin ha nel tempo apportato delle correzioni a questa definizione, perché non si evidenziava il ruolo del di monopolio e scrive quindi:

“il capitale finanziario è il capitale bancario delle poche banche monopolistiche fuso col capitale delle unioni monopolistiche industriali8”; “concentrazione della produzione ; conseguenti monopoli, fusione e simbiosi delle banche con l’industria; in ciò si compendia la storia della formazione del capitale finanziario e il contenuto  del relativo concetto”9.

Lenin comprende che il capitale finanziario non può prescindere dal processo produttivo, anche se il capitalista sarebbe molto contento di creare profitto, meglio dire in questo caso rendita finanziaria, senza la presenza del processo produttivo, anche se sempre più già al tempo si delineava una forte dipendenza del capitalista imprenditore dalle banche e al contempo si realizza una sorta di connubio tra dirigenti bancari e capitalisti.

Lenin nella sua maggiore opera sull’imperialismo scrive:

“Diamo uno  fra  i  tantissimi esempi addotti da Hilferding dello "spadroneggiare" dei trust americani.10

Nel 1887 Havermeyer fondò il trust zuccheriero mediante la fusione di 15 società di tale specie, il cui capitale complessivo era di 6 milioni e mezzo di dollari. Il capitale del trust venne, invece, "annacquato", secondo l'espressione americana, ed elevato a 50 milioni. Tale "sovracapitalizzazione" contava sui futuri profitti del monopolio alla stessa guisa che sui futuri profitti monopolistici fa assegnamento -sempre in America- il "trust dell'acciaio", quando compra sempre nuovi territori con giacimenti di ferro. Infatti il "trust zuccheriero", imponendo prezzi di monopolio, conseguì profitti tali da poter pagare dividendi dei 10 % al capitale sette volte "annacquato", che è quanto dire circa il 70 % al capitale effettivamente versato al momento della fondazione! Nel 1909 il trust aveva un capitale di 90 milioni di dollari. Sicché in 22 anni il capitale era stato moltiplicato più di dieci volte!”11

Hilferding pensava  che la forza degli organismi finanziari avrebbe necessariamente dato vita a conflitti tra i grandi gruppi finanziari, mentre Lenin la interpretava come la fonte delle lotte imperialistiche per la divisione del mondo e delle sue ricchezze.

Attualmente si potrebbe dire che si è tornati al prevalere del momento monetario su quello produttivo.

E’ con il neoliberismo in particolare da fine degli anni ’70 che nella politica economica assume un peso determinante il settore finanziario e i processi speculativi attraverso la deregolamentazione finanziaria, voluta dia governi Reagan e Tatcher ,che ha eliminato ogni restrizione ai movimenti del capitale, in particolare di quello fittizio, realizzando in questo caso si la globalizzazione ma non la globalizzazione delle economie in generale ma semplicemente la globalizzazione finanziaria. Sono state così abbattute le riserve bancarie di garanzia , si sono moltiplicati i paradisi fiscali, si è permessa la proliferazione della finanza creativa e della possibilità di scommettere in Borsa non solo sui flussi degli strumenti finanziari ma anche sulle materie prime, sui tassi di cambio, sugli alimenti generando speculazioni per permettere il guadagno facile , cioè la rendita speculativa, e quindi la determinazione dei prezzi con superprofitti su petrolio, grano, mais,disinteressandosi completamente del fatto che tali guadagni significassero poi fame, miseria e distruzione per interi continenti.

In tal modo si trasferisce, inoltre, possibilità di investimento nell’economia reale in facile e apparentemente più redditizio collocamento speculativo finanziario, distruggendo volutamente in tal modo il capitale in eccesso a fini produttivi.

Nel tentativo, impossibile, vista la sua natura strutturale, di uscire dalla crisi che si protrae ormai da oltre 35 anni, più concretamente di non voler prendere atto e fare i conti con le vere cause sistemiche, i capitalismi internazionali hanno usato la finanza in maniera sovrastrutturale ma anche sostitutiva in chiave speculativa per supplire alle forti difficoltà dei processi di accumulazione del capitale. In questo senso si è giunti ad una prevalenza e autonomizzazione, fino ad un vero dominio dei processi della finanza speculativa proprio per tentare di recuperare l’insufficiente produzione di plusvalore in relazione alla sovrapproduzione di merci e di capitali, o meglio alle loro relazioni di valorizzazione con una significativa crisi di accumulazione del capitale internazionale.

Da quando Marx parlò per la prima volta di crisi economiche del sistema capitalista forse se ne sono realizzate oltre cento, ma con caratteristiche diverse, con più o meno grandi decelerazioni della crescita quantitativa, con più o meno grandi distruzioni di forza lavoro con disoccupazione e precarietà, con più o meno grandi distruzioni del capitale, in particolare da quando la finanziarizzazione ha assunto una importanza sempre più centrale. E’ proprio con tale ruolo centrale della finanza le crisi di sovrapproduzione e di sottoconsumo esplodono in una forma non prevista ai tempi di Marx ,poiché lo scoppio delle bolle finanziarie nel danneggiare le possibilità di credito all’investimento e al consumo provocano maggiormente significativi crolli della domanda reale che possono sfociare, come nella crisi attuale, in determinanti strutturali e sistemiche.

L’economia reale considerata efficiente e in equilibrio non può essere separata dall’economia finanziaria poiché il capitale finanziario e il capitale cosiddetto produttivo trovano unità nelle multinazionali, nelle holding, nelle interconnessioni fra sistemi industriali, e delle imprese di produzione di beni e servizi in generale, e sistema bancario, società finanziarie e assicurative. L’imperialismo è il frutto della “combinazione”, della “simbiosi” (è un’idea di Bucharin) del capitale bancario e di quello industriale.

La centralizzazione del capitale monetario è una delle caratteristiche del funzionamento del sistema bancario e creditizio in generale. Come lo avevano predetto autori come Marx o Lenin, il fenomenale sviluppo capitalista non sarebbe stato possibile senza una banca ed un sistema di credito alla sua altezza. Di fronte agli usurai di alcuni anni fa, il banchiere capitalista del XIX secolo si trova nella stessa situazione dell'agricoltore capitalista di fronte al possidente agrario tradizionale. Così come nei lavori agricoli che sono divenuti attività capitaliste, il commercio del denaro è divenuto attività lucrativa più organizzata d’accordo ai bisogni imposti dal regime capitalista di produzione, fino ad arrivare alle attuali banche internazionali.

Tali processi di globalizzazione a connotati finanziari perseguono semplicemente la loro logica interna, tendente alla massimizzazione delle rendite finanziarie senza avere effetti propulsivi sull’economia reale; rendite finanziarie che si assommano a profitti industriali sempre più alti, dovuti a immensi incrementi non redistribuiti della produttività del lavoro. Si tratta di incrementi che in quanto non redistribuiti socialmente hanno accresciuto le quote di ricchezza destinate al fattore capitale sotto forma per lo più di rendita, assumendo sempre meno la forma di investimenti capaci di creare occupazione, a vantaggio sempre più di dividendi, interessi e capital gain da destinare a speculazione finanziaria o ad investimenti esteri in paesi a basso costo di manodopera e a basso contenuto di diritti.

Ciò conferma che la nuova fase cosiddetta postfordista e neoliberista a connotati finanziari porta al predominio di un ciclo fortemente speculativo, in cui il denaro investito si accresce senza passare attraverso alcun intermediario produttivo; in pratica non c’è trasformazione del capitale in mezzi di produzione, in produzione effettiva, prevalendo sempre più l’investimento finanziario rispetto a quello produttivo di gestione caratteristica, realizzando contesti di “bolla finanziaria” speculativa.

Il rapporto tra le banche e l‘industria cambia anche il modo di essere della concorrenza capitalistica già ai tempi di Hilferding perché non si era più nella fase del capitalismo  in cui i “forti sconfiggono i deboli” ma si giunge a una fase in cui essendo le piccole imprese eliminate dalla concorrenza si arriva a una sorta di accordo tra concorrenti che grazie alle banche si uniscono in trust, cartelli, monopoli. Le banche infatti non hanno alcun interesse ad uno scontro tra i loro clienti-imprese perché in tal modo potrebbero rischiare perdite e danni economici. Ecco la possibilità di confronto con la realtà economico-produttiva di oggi, anche nelle sue varianti dell’economia di guerra. Il mantenimento delle strutture asimmetriche delle relazioni economiche internazionali, ed in particolare le relazioni imperialiste, richiede un uso centrale della forza. La colonizzazione capitalista, durante il secolo XIX, si impose mediante l’uso della forza militare e l’esistenza di una superiorità chiara su questo terreno si manifestò necessaria per costituirsi come impero.

Ma anche nel capitalismo post-coloniale della seconda metà del secolo XX, il ricorso alla guerra fu imprescindibile per mantenere l’egemonia del capitale nordamericano sul mondo capitalista.

Se ne può dedurre che, indipendentemente dagli effetti sull’economia e,  pertanto, sull’aumento del cosiddetto bilancio della difesa, la spesa militare è strettamente legata all’interesse economico di un gruppo di importanti imprese monopoliste ed al potere di un’estesa burocrazia politico-militare con i suoi gruppi collaterali, ma allo stesso tempo il keynesimo militare diventa una vecchia nuova ricetta per tentare di uscire dalla crisi; ma diciamo tentare perché la storia ha dimostrato che l’uscita vera dalla crisi si è realizzata a partire dagli eventi catastrofici, ma salvifici per il capitale, delle guerre guerreggiate, dalle guerre mondiali.

Per tutto questo e per altri problemi ancora viene facile dire che la maggiore difficoltà dell’economia nordamericana, attualmente, sia quella di trovarsi sotto pressione per il modo inefficiente ed irresponsabile con cui è stata amministrata da Bush, ma tale considerazione è del tutto insufficiente, se non si considera la competizione globale, che insieme ai dissesti economici interni prima enunciati, cominciano a mostrare i segni della decadenza dell’impero USA.

La globalizzazione finanziaria è derivata soprattutto dalla decisione degli USA di trattare i suoi problemi di bilancia dei pagamenti senza un accomodamento reale della sua economia, ed evitando le pressioni delle banche centrali del resto del mondo affinché gli Stati Uniti non proseguissero con il pagamento dei loro debiti correnti con dollari di carta non convertibile. Siccome gli USA hanno la capacità di attrarre una gran parte del risparmio mondiale depositato in Fondi pensione e Fondi di investimento, finanziano in questo modo il deficit in materia di transazioni reali con un surplus di capitale che non deriva direttamente da investimento produttivo.

All’origine della crescita della sfera finanziaria vi sono flussi verso questo settore di frazioni di ricchezza che sono nate all’interno dell’ambito di produzione reale e che, prima di essere travasati nelle diverse forme e trasferiti verso l’area finanziaria, avevano assunto la caratterizzazione di ricchezza determinata nella sfera della produzione reale. Tali flussi sono all’origine di meccanismi di accumulazione perversi, che determinano economie nazionali finalizzate al dominio del capitale finanziario come strumenti del rapporto di competizione internazionale tra poli geoeconomici, competizione mediata da compromessi all’interno delle organizzazioni sovranazionali (G8, BM, FMI, OCSE, BEI, BRI, ONU).

Lo sviluppo dell’internazionalizzazione si collega, così, con la crisi del fordismo; infatti, la liberalizzazione nei mercati nazionali ha un effetto molto dirompente nella struttura di potere e di equilibrio del fordismo. Da un lato, infatti, le imprese spinte da una concorrenza internazionale non si distaccano dalla protezione pubblica e dall’assistenzialismo di Stato, mentre dall’altro lato diminuisce il potere regolatore dello Stato.

Tutto ciò instaura una dinamica molto complessa nel processo di formulazione della politica economica, sia a livello interno che internazionale.

Da parte dei diversi organismi istituzionali e legati al mondo imprenditoriale, tale nuovo contesto della competizione globale polarizzata viene assimilato ad un concetto di libertà ed abbattimento di ogni tipo di barriera economico-sociale in quanto, si sostiene, attraverso gli investimenti, le  ristrutturazioni, le alleanze, le acquisizioni e le delocalizzazioni, si possa realizzare un’organizzazione d’impresa in grado di occupare aree geografiche e settori di mercato profondamente legati tra di loro, migliorando le condizioni di vita generali della popolazione.

Ma, come si è visto in precedenza, questa è, nella migliore delle ipotesi, pura illusione, spesso supportata da trucchi contabili della finanza “allegra e creativa”, che sostituisce con i proventi speculativi finanziari i mancati profitti della gestione tipica e caratteristica d’impresa; si tratta, in effetti, di falsità, per far “digerire” meglio i costi sociali dell’accumulazione capitalistica flessibile del cosiddetto ciclo postfordista.

Ma è chiaro che nell’analisi marxiana l’intero sistema del modo di produzione capitalistico entrerà in crisi soltanto se le forze soggettive del movimento operaio e di classe sapranno indirizzarsi nel lungo processo di superamento della crisi economica e politica con gli elementi di costruzione della trasformazione definitiva di un altro modo di produzione con un sistema di relazioni socialiste.

Quale uscita dalla crisi: capitalismo sociale “organizzato” o socialismo?

Rinunciando all’idea del superamento del modo di produzione capitalista, più che nella descrizione delle categorie, l’impostazione tra Hilferding e Marx è completamente differente sul piano del metodo e delle conseguenze politiche.

“Dal momento che il capitale – scrive Hilferding- non può fare altra politica che quella imperialistica, il proletario non deve contrapporre a quella imperialistica una politica eguale a quella dei tempi in cui il capitale industriale dominava incontrastato: il compito del proletariato non consiste nel contrapporre alla politica capitalistica più progredita quella, ormai superata, dell’era del libero scambio e della opposizione allo Stato.

La risposta del proletariato alla politica economica del capitale finanziario, la risposta all’imperialismo, non può essere il liberoscambismo, ma solo il socialismo. Non l’ideale ormai divenuto reazionario del ripristino della libera concorrenza, ma solo il completo superamento della concorrenza mediante il completo superamento del capitalismo può essere l’obiettivo della politica proletaria”.12

E’ il capitalismo “organizzato” che rappresentava in sostanza una fase di transizione per giungere al socialismo; il capitalismo “organizzato” era in sostanza l’unione di capitale commerciale, industriale e bancario. Il concetto di capitale organizzato porterà Hilferding a ritenere che il proletariato dovrà scegliere fra questo e il socialismo democratico arrivando qualche tempo dopo a sostenere che la mancata rivoluzione ha in realtà decretato la vittoria del capitalismo “organizzato”.

Questa situazione di accordi sempre maggiori tra le imprese porta inevitabilmente alla necessità della crescita delle banche che sono chiamate a disporre di sempre maggiori capitali; Hilferding arriva a prevedere la necessità della costituzione di una unica grande banca o di un unico grande gruppo di banche che avrebbero in tal modo gli strumenti per controllare tutta la produzione industriale.

La creazione di un sistema banca centrale porterebbe, sostiene Hilferding ad una naturale formazione di un cartello generale delle imprese che regolerebbe la produzione; tutto ciò inciderebbe necessariamente nel rapporto tra i capitalisti e lo Stato. Si avrà, quindi, che in paesi come l’Inghilterra dove il capitalismo concorrenziale è molto sviluppato i capitalisti richiederebbero una grande libertà di commercio; al contrario negli altri paesi europei e in Nordamerica i capitalisti richiedono dogane protettive per difendersi dalla concorrenza inglese.

Oggi, invece il nuovo processo di internazionalizzazione è ormai affermato nei mercati come processo di competizione globale per l’impresa diffusa nel sociale (generalizzando, cioè di tipo postfordista) nell’epoca dell’accumulazione flessibile. Infatti, escludendo il circuito dei consumi locali e tradizionali, per la stragrande maggioranza dei prodotti ormai non vi è differenza di status o di percezione dei prodotti nazionali e dei prodotti trasnazionali; di solito, i prodotti che provengono da altri paesi, o sono diretti ad altri paesi, vengono trattati allo stesso modo dei prodotti nazionali.

Le imprese, ormai, tendono a considerare il mercato interno come una delle parti di un mercato più ampio, articolato in molte unità nazionali: un mercato transnazionale in cui sviluppare la competizione globale in chiave microeconomica come competizione fra imprese, e in un’ottica macroeconomica come competizione fra poli geoeconomici.

Le imprese, comunque, sono un asse portante dell’internazionalizzazione, in quanto da una parte hanno dettato i tempi e modi della transnazionalità e dall’altra ne hanno tratto il massimo beneficio.

Senza dubbio l’economia capitalista da metà degli anni ‘70 si trova immersa completamente in un nuovo paradigma tecnologico predominante, diverso da quello che era servito da base al ciclo fordista-keynesiano e che l’economia cosiddetta postfordista aveva lasciato definitivamente dietro di sé.

Altri componenti dell’aggiustamento neoliberista sono state la flessibilizzazione salariale e di impiego e la deregolamentazione per via legale (cioè la precarizzazione istituzionale); riduzione dell’insieme di norme che regolano il funzionamento dell’economia e privatizzazione, cioè riduzione della capacità di intervento diretto nell’economia dello Stato e del settore pubblico. Quindi una situazione di competizione globale del tutto diversa da quella ipotizzata da Hilferding per la fase di massimo sviluppo delle relazioni capitalistiche che avrebbero potuto generare un capitalismo “organizzato” sociale.

L’idea del cartello generale di Hilferding si collegava, nel contesto economico-produttivo e politico-sociale del suo tempo, all’ipotesi che questo connubio sistema banca-sistema impresa potrebbe guidare l’economia capitalistica e questo confermerebbe la speranza della realizzazione di un sistema socialista attraverso cambiamenti pacifici, verso un capitalismo sociale o un socialismo di mercato, detta con i termini attuali. Questa teoria è però molto illusoria in quanto non analizza i problemi legati al lavoro salariato, alla produzione, allo scambio, come evidenzia in maniera netta e chiara Marx.

"Alla fine, senza il minore dubbio, il sistema di credito agirà come una poderosa molla nel periodo di transizione dal regime capitalista di produzione al regime di produzione del lavoro associato,  ma  solamente  come  un  elemento  in  relazione  con  altre  grandi  commozioni organiche dello stesso regime di produzione. Invece, le illusioni che alcuni si fanno riguardo al potere miracoloso del sistema di credito e del sistema bancario in un senso socialista nasce dall'ignoranza totale di ciò che è il regime capitalista di produzione ed il regime di credito come una delle sue forme." Marx (80), p. 620

"Non appena il mezzo di produzione smette di essere capitale (ciò implica anche l'abolizione della proprietà privata sul suolo), il credito come tale non avrà ora [p. 620] nessuno senso, cosa che, del resto, hanno visto anche i sansimoniani. Al contrario, fino a quando durerà il regime capitalista di produzione perdurerà come una delle sue forme il capitale ad interesse e seguirà a formare, in realtà, la base del suo sistema di credito." Marx (80), p. 621

A fine anni ’20 con la crisi economica lo stesso Hilferding comincia a sospettare della correttezza della sua teoria sul “capitalismo organizzato”, realizzando di non aver saputo cogliere l’importanza della guerra e le sue ripercussioni economiche. Ed ancora Hilferding sostiene che i paesi capitalistici avanzati attaccano sempre di più i paesi sottosviluppati anche attraverso l’uso di forme violente; questo porterà ad un risveglio della propria coscienza nazionale:

“A poco a poco […] lo stesso capitalismo finisce col suggerire ai popoli assoggettati i principi e i metodi della loro liberazione… Simili aspirazioni indipendentistiche minacciano il capitale europeo proprio nei territori più ricchi di risorse naturali e di prospettive di sfruttamento, e il capitale per mantenere il suo dominio si vede costretto a rafforzare continuamente i suoi strumenti egemonici”13.Nonostante ciò mantenne comunque la propria posizione continuando a sostenere  che il capitalismo organizzato riesce a risolverei conflitti economici e sociali.14

E’ così che nella fase successiva Hilferding si interessa soprattutto di economia e politica nello stato nazionalsocialista e si dedica soprattutto alla politica estera, tralasciando l’approfondimento di alcuni temi che con gran intuito aveva iniziato ad analizzare e che necessitavano di un più adeguato approfondimento sul piano dei riscontri con una realtà politico-economica in continua evoluzione, nella quale le risposte alla crisi del capitale dovevano assumere fin da allora carattere politico organizzato per la trasformazione radicale dello “stato di cose presenti”.

E pur trattandosi oggi di una crisi strutturale e sistemica non si può certo parlare della prossima fine della società del capitale. Non davvero perché il sistema capitalista troverà ancora delle modalità attuative dei capitalismi per far sopravvivere il modo di produzione capitalista, ma soprattutto perché il passaggio ad un modo di produzione altro, presuppone ovviamente non solo l’esplosione dell’oggettività drammatica in cui si presenta la crisi ma la presenza organizzata della soggettività di classe che può indirizzare verso i percorsi reali di trasformazione economica e sociale con la soluzione della crisi del capitale che potrà assumere solo le vesti della politica in quel processo dinamico che si muove sull’orizzonte della costruzione della società “altra” cioè del socialismo.



Note

1“Sapienza”, Univ. di Roma, Univ. di Pinar del Rio e della Habana (Cuba), Dirett. Centro Studi CESTES- PROTEO. L’Autore ringrazia R.Martufi (CESTES-PROTEO) e Henrike Galarza (Univ. Pamplona, Paesi Baschi) per l’importante collaborazione e le considerazioni critiche.
2 "Gran parte dei processi di circolazione, i maggiori ed i più concentrati, si sviluppano tra gli stessi capitalisti- produttori. In principio, tutte quelle transazioni possono effettuarsi mediante cambiali; gran parte di queste cambiali si compenserà reciprocamente e non sarà necessaria più che certa quantità di denaro in contanti per saldare un debito. Così si concedono reciprocamente credito i capitalisti tra loro." Hilferding (85), pp. 72-3 (Nos. Trad.)
3 Le due classificazioni di banca, anche se presenti nei diversi paesi, caratterizzano in sostanza i sistemi finanziari di Inghilterra e Germania in quanto le espressioni banca inglese e banca tedesca verranno utilizzate come sinonimi di banca di deposito e banca mista.
4 Hilferding R. (1910) , Il capitale finanziario, Feltrinelli, Milano, 1961, pag. 98
5 Hilferding R. (1910) , op.cit., pag. 233-234
6 In Italia però il contributo di Hilferding non è stato mai valutato nella giusta dimensione e il tema dei rapporti banca e industria vengono analizzati per lo più in fase di crisi o contingenze senza mai considerare come evento normale della vita economica la caduta o la crisi di una banca. 
7 V.I.Lenin “Opere complete. L’imperialismo fase suprema del capitalismo”, Roma, Editori Riuniti, 1973, p.603
8 V.I.Lenin, 1973, op.cit, p.683
9 V.I.Lenin, 1973, op.cit,, p.603
10 Kurt Heining, Der Weg des Eektrotrusts, in Neue Zeit, 1912, II, p. 484.
11 Archivio Lenin “L’imperialismo fase suprema del capitalismo III Capitale finanziario e oligarchia finanziaria”, in http://www.marxists.org/italiano/lenin/1916/imperialismo/capitolo3.htm#n*12
12 Hilferding R. (1910), op. cit., 1961, p. 486
13 Hilferding R. (1910) , op.cit,, 1961, pag. 422
14 Cfr. “Annali” , Istituto Feltrinelli, Feltrinelli editore, Milano, 1973



BIBLIOGRAFIA


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Vasapollo  L.,  Trattato  di  Economia  Applicata.  Analisi  Critica  della  Mondializzazione Capitalista; Jaca Book , Milano, marzo 2007