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Filosofo (Chiari, Brescia, 1850 - ivi 1933), prof. di filosofia
teoretica nell'univ. di Roma (1905-25), socio nazionale dei Lincei
(1926). Di formazione prevalentemente matematico-scientifica,
andò tuttavia elaborando lentamente una critica della
mentalità positivistica, in parte sotto la suggestione del
contemporaneo idealismo italiano. Accettata la risoluzione della
realtà oggettiva nella coscienza, il problema fu per lui
quello di spiegare da un lato la molteplicità delle coscienze
singole e il loro accordarsi nell'apparente oggettività delle
loro nozioni, dall'altro il sussistere del conosciuto come
subconscio; e per questo egli giunse all'idea di Dio come Soggetto
Universale, immanente insieme e trascendente i soggetti singoli.
Opere principali: Scienza e opinioni (1900); I massimi problemi
(1910); Conosci te stesso (1912); Linee di filosofia critica (1925);
Sommario di filosofia (1927); Dall'uomo a Dio (post., 1939).
*
Enciclopedia Italiana (1937)
di Pantaleo Carabellese
VARISCO, Bernardino. - Filosofo. Nato a Chiari (Brescia), il 20
aprile 1850, ivi morto il 21 ottobre 1933. La famiglia, "molto
religiosa e aliena da ogni setta, era italianamente patriottica".
Laureatosi in ingegneria, insegnò prima matematica in
istituti tecnici, poi filosofia nell'università di Roma dal
1905 al 1925. Di filosofia si era "dilettato" fin da giovanissimo,
come di matematica continuò a "dilettarsi" (è parola
da lui adoperata), anche quando interesse principale della sua vita
divenne la soluzione filosofica del "massimo problema", di fronte al
quale la sua fede religiosa l'aveva portato. Con l'esemplare sua
vita, spesa in intensa continua opera di apprendimento scientifico
umanistico filosofico e di fecondo insegnamento orale e scritto, fu,
per la rigorosa autocritica, nobile esempio di probità
intellettuale.
Ebbe due pubblici riconoscimenti del suo valore di studioso e di
uomo: il premio reale dei Lincei per la filosofia nel 1900, la
nomina a senatore, per aver illustrata la patria, nel 1928.
Il V. s'impose come pensatore con Scienza e Opinioni (1901), volume
che gli valse il premio reale, la notorietà, la cattedra
romana. E si rivelò, si dice, positivista, in quanto traeva
dal fatto, naturalisticamente inteso, la legge che lo regola. In
verità il volume fu forse la prima autocritica del
positivismo italiano: dimostrò l'astrattezza della
spiegazione positivistica della realtà. Il V. infatti in esso
sostiene che entro l'uomo, che sa ciò che gli consta come
scienza e la cui verità è quindi inoppugnabile, al di
là della pur esauriente spiegazione scientifica della sua
essenza di uomo, rimane l'uomo che opina, e opinando crede, e che,
in questo suo opinare, non è né spiegato dalla
scienza, perché l'opinione non è ridotta a
incontrastabile verità, né soppresso, perché
l'opinione rimane, come opinione che si eleva a fede, ineliminabile.
L'uomo, quindi, che, come la rimanente realtà, è
spiegato dalla scienza positiva, della quale il V. dà, nel
detto volume, una specie di enciclopedia filosofica, è un
uomo astratto; non è l'uomo vivo concreto. Questo ha in
sé qualcosa che la scienza deve dichiararsi impotente a
giustificare o sopprimere, e che pur investe il principio stesso di
ogni legge scientifica, perché riguarda il principio stesso
di ogni realtà di fatto, Dio. Così il puro fatto viene
ad essere scosso nella sua validità di principio della
realtà e del suo sapere. Questo il primo valore
dell'affermarsi del pensiero del V.: un richiamarsi alla
realtà concreta dell'uomo come tale, oltre la realtà
astratta che sola di lui può darci la scienza.
E questo riassume il motivo fondamentale di tutto il pensiero del V.
motivo che, in questa prima fase del suo pensiero (alcuni scritti
che precedono Scienza e Opinioni, ci dànno ragione del
successivo pronto sviluppo idealistico del pensiero varischiano, pur
senza costituirne forse una fase organica), affida dunque la
giustificazione dell'insopprimibile religiosità umana e di
Dio al sentimento, irriducibile a ragione, anzi in contrasto con
questa. Ora però, quando il V. faceva quell'autocritica del
positivismo, ancora non si era affermato il neohegelismo: non c'era
ancora stata in Italia l'aperta e piena ribellione idealistica
contro il positivismo. Tale ribellione idealistica dà al
pensiero del V. coscienza esplicita dell'astrattezza positivistica.
Così l'autocritica positivistica del V. ritrova la sua
giustificazione. La ragione stessa può render conto di quello
che il sentimento richiede. Giacché in verità non
consta il fatto, ma la conoscenza del fatto; e quindi il concreto
accadere è la conoscenza dell'accadere, e perciò
richiede il concetto che è la legge non caduca (estemporanea)
dell'accadere (temporaneo). Il fatto, quindi, di là dalla
conoscenza non è principio di realtà e tanto meno di
conoscenza: principio è l'idea immanente alla conoscenza
stessa: idea, che è lo stesso Essere, che condiziona
l'esistenza. Il qualcosa, che la scienza positiva non poteva
né espugnare né rinnegare, si rivela e si giustifica
nella filosofia idealistica, che è più comprensiva e
più concreta di ogni scienza particolare, giacché "a
rigore, la scienza, di cui tanti parlano con enfasi, non esiste". Il
V. è fuori del positivismo, per il quale esiste la scienza, a
cui si riduce la filosofia. Siamo ai Massimi Problemi (1910): l'uomo
astratto della filosofia come scienza positiva è tolto di
mezzo, per l'uomo concreto che ha in sé quell'opinabile,
divenuto gnoseologicamente vero, razionalmente costante.
La ragione non è soltanto quella della scienza positiva di
natura: il sentimento (dottrina varischiana del valore) e la sua
richiesta (principio spirituale della realtà) sono
traducibili e da tradurre in terminì di ragione: il Dio del
sentimento ci risulta nella ragione almeno come assoluto Pensiero
che è assoluto Essere.
Il V. così è fuori del positivismo, ma non per questo
è senz'altro in quell'idealismo neohegeliano che ha
dichiarata la ribellione e mossa la lotta e che ha dato al V. la
consapevolezza della sua critica al positivismo. In esso il V. sente
un astrattismo, per quanto di diversa natura, pure non meno grave di
quello positivistico (Conosci te stesso, 1912).
E questa denunzia di astrattismo nell'idealismo postkantiano in
genere il V. fa fin dai suoi primi passi verso la fase idealistica
(1907), quando si domanda che cosa significasse mai in una filosofia
dell'immanenza una coscienza universale, che non si capisce qual
soggetto mai possa essere. Il concreto è invece che io
soggetto particolare, pensando tra soggetti particolari, attuo con
la mia realtà di persona pensante il concetto di essere come
legge. Di qui l'impostazione del problema dei soggetti nella stessa
speculazione idealistica, su terreno critico. Quindi lo speciale
carattere dell'idealismo varischiano che si oppone all'astrattezza
del fatto da una parte e a quella dell'autoconcetto dall'altra. La
stessa esigenza idealistica, appunto perché esclude un
oggetto eterogeneo a sé stante, appunto perché elimina
il dualismo soggetto-oggetto, richiede il rapporto
soggetto-soggetto, cioè la pluralità dei soggetti,
ammessi come "unità primitive di coscienza" "che ci sono
state sempre", "centri di spontaneità", la cui "ragion
d'essere si riduce alla impossibilità che l'Essere non ci
sia", e che perciò hanno tutte come loro costitutivo
l'Essere. Il quale esiste nelle sue determinazioni, cioè nei
detti centri di spontaneità, la cui individualità
è costituita dal sentimento. "Il soggetto non sarebbe
spontaneo, se il suo essere così o così, e il suo
variare così o così, non fossero, dal soggetto
medesimo, vissuti come un bene o come un male. La spontaneità
è inseparabile dal sentimento".
Se però ci fermiamo a questa esigenza per la quale "il mondo
fenomenico è un insieme di soggetti più o meno
sviluppati"... implicante, col suo accadere, "dei fattori alogici
che sono le spontaneità dei soggetti singoli e un fattore
logico... su cui si fonda la necessità del pensiero, e che
è l'Unità suprema dell'universo", noi, secondo il V.,
non superando il panteismo, non rendiamo ancora razionalmente conto
dell'esigenza religiosa.
Il Dio Persona che adoriamo, superando con tale Personalità
quell'assoluta unità, resta ancora affidato soltanto al
sentimento.
Una piena giustificazione razionale di questo invece il V. dà
poi, quando da queste concrete persone nella loro realtà
metafisica e manifesta, sale a Dio come Soggetto assoluto, proprio
attraverso quell'essere ideale unificatore di queste singole persone
pensanti. Con questo soggetto assoluto come Persona (Unità e
molteplicità, 1920; Linee di filosofia critica, 1925;
Sommario di filosofia, 1927) è resa possibile la rivelazione
e, con questa, la religione, in cui si salda esplicito il nesso dei
soggetti particolari con Quello universale ed assoluto, senza che i
primi debbano nulla rinnegare della loro personale autonomia.
Che una vera e propria spiritualità, col suo carattere di
libertà, si attui nell'uomo, che la tesi del Dio personale
non importi nella spiritualità umana nessuna rinunzia ai
caratteri della spiritualità stessa, il V. dimostra con
quella che egli dice trascendenza relativa di Dio, per la quale Dio,
continuando da una parte a costituire la sopra notata
necessità logica del pensiero umano, dall'altra non resta
circoscritto in essa. Quanto ci è dimostrato proprio
dall'esigenza idealistica, la quale richiede che le cose siano
pensieri: l'imprescindibilità della subcoscienza nell'uomo
esige che tali cose siano pensieri espliciti in una Coscienza
assoluta che non è quella umana.
Il V. così ritiene di aver ottenuta la piena giustificazione
razionale di quel sentimento religioso, che egli già
salvaguardava, pur contro la ragione, anche nella prima fase del suo
pensiero. E che questa sia l'unica possibile apologia della
religione cristiana, egli cercò dimostrare in numerosi
articoli e studî composti negli ultimi anni di sua vita, nei
quali veniva anche componendo il volume, che vuol essere la
presentazione piena e totale della sua dottrina, Dall'uomo a Dio, di
cui si attende prossima la pubblicazione.
In conformità a questa dottrina metafisica il V. pose il
problema pedagogico e quello politico (La scuola per la vita, 1922,
1927; Discorsi politici, 1926).
Bibl.: P. Carabellese, L'Essere e il problema religioso (a proposito
del Conosci te stesso, di B. V.), Bari 1914; E. De Negri, La
metafisica di B. V., Firenze 1929; C. Librini, La filosofia di B.
V., parte 1ª, Catania 1936, e molti saggi sulle varie riviste
filosofiche italiane contemporanee, tra i quali notevoli quelli di
G. Alliney.