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Umanista (Roma 1407 - ivi 1457). Di famiglia piacentina,
studiò a Roma, dove il padre era avvocato concistoriale. Nel
1429 lasciò Roma per Pavia: qui insegnò eloquenza sino
al 1431; due anni dopo, lo scandalo destato tra i giuristi dello
Studio dalla sua Epistola de insigniis et armis lo costrinse ad
abbandonare la città. Peregrinò allora per diversi
luoghi, finché nel 1437 si stabilì a Napoli,
segretario di re Alfonso di Aragona, che costantemente lo protesse.
Deferito all'Inquisitore in seguito a una sua polemica con frate
Antonio di Bitonto sull'origine del Credo, fu salvato appunto
dall'intervento del re. Da varie accuse si difese presso il papa con
l'Apologia adversus calumniatores (1444); tuttavia solo nel 1448
poté stabilirsi definitivamente nell'amata Roma, scrittore e,
sotto Callisto III, segretario apostolico e insegnante di eloquenza
a titolo privato e all'università.
Complessa e significativa figura del Quattrocento italiano, V.
esprime la più matura cultura umanistica per la connessione
posta tra le humanae litterae e la vita civile, per la polemica
contro i barbarismi della cultura scolastica, per l'impegno
filologico e storico. Nel suo De voluptate (titolo della prima
redazione, 1431, nuova redazione col titolo De vero bono) egli
svolge una vivace polemica contro l'etica stoica e l'ascetismo
cristiano, in difesa della natura, ministra di Dio; di qui la
celebrazione di una morale che è impegno e gioia di vivere,
ricerca di piaceri giustamente equilibrati secondo il loro minore o
maggiore valore. Ma dove più forte appare l'influenza
dell'etica epicurea (V. rifiuta però l'atomismo e la fisica
di Epicuro) si inserisce senza contrasto l'insegnamento etico
cristiano: anche questo indirizza al conseguimento del piacere, del
più alto e più puro che si realizza nella vita futura
presso Dio, ma che non è necessariamente in contrasto con il
godimento di beni terreni; questa posizione ispira l'assidua
polemica antiascetica e la celebrazione del piacere sino alla divina
voluptas. Nello scritto posteriore De libero arbitrio (1439),
è in primo piano la polemica contro la ragione dialettica e
sofistica, per celebrare il primato della fede, sulla scorta
dell'insegnamento di s. Paolo. Il bersaglio è Aristotele e la
teologia scolastica aristotelica, soprattutto il tomismo. Sulla
linea della polemica antiaristotelica si svolgono anche le
Dialecticae disputationes (1439), dove si ribadisce la condanna di
Aristotele per la sua astrattezza, per l'incapacità di
offrire insegnamenti validi nella vita associata, nelle scienze
pratiche; ma la polemica si allarga contro il dogmatismo, contro le
futilità della logica, contro un sistema che sostituisce le
parole alle cose. Sullo sfondo della polemica antiscolastica si
comprendono meglio la difesa della lingua come strumento di
comunicazione e di conoscenza, la difesa della grammatica e della
retorica come scienza del pensiero e del linguaggio.
Le Elegantiae linguae latinae (1435-44) sono da questo punto di
vista un testo esemplare: la lingua latina offre, nella sua purezza,
lo strumento per conoscere quello che è il patrimonio di
cultura più elevato della storia umana e un mezzo di
comunicazione e trasmissione dei valori proprî di quella
cultura. Ma soprattutto in V. lo strumento linguistico si presenta
come strumento critico e storico: di qui l'importanza delle sue
Annotazioni sul testo del Nuovo Testamento (1444; pubbl. da Erasmo
nel 1505) e del De falso credita et ementita Constantini donatione
in cui V. dimostra, con ragioni filologiche e storiche, la non
autenticità (del resto già sostenuta da Niccolò
da Cusa) del documento che avrebbe comprovato la donazione di
territorio fatta da Costantino alla Chiesa, e quindi il diritto dei
pontefici al potere temporale. Polemico contro gli ecclesiastici
è il De professione religiosorum (1442; pubbl. 1869). Acuto
critico della tradizione anche storiografica, non fu però
egli stesso storiografo eccelso: i tre libri Historiarum Ferdinandi
regis Aragoniae (1444-45; pubbl. 1521) sono, più che una
storia del regno, una biografia aneddotica del re, padre di Alfonso.
Tutta l'attività di V. e le sue aspre polemiche (con Antonio
da Rho, con B. Fazio, col Panormita e soprattutto quella con Poggio
Bracciolini) significarono l'affermazione d'un metodo filologico e
storico, in stretta connessione con le esigenze di una nuova
comprensione del mondo latino e della elaborazione di strumenti
idonei a una vita nella città terrena.