Cesare Borgia (Valentino)
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Cesare Borgia, detto il Valentino (Roma, 13 settembre 1475[3] –
Viana, 12 marzo 1507), è stato un condottiero, cardinale e
arcivescovo cattolico italiano, famoso per aver ispirato a
Machiavelli la figura del Principe.
Biografia
Cesare Borgia nacque a Roma il 13 settembre 1475, primogenito di
Roderic Llançol de Borja (1431 - 1503), cardinale valenciano
nipote di Papa Callisto III che, all'età di 25 anni,
italianizzò il proprio nome in Rodrigo Borgia e, nel 1492,
divenne pontefice con il nome di Alessandro VI, e di Giovanna de
Candia dei Cattanei, soprannominata Vannozza (1442 - 1518), una
contessa mantovana amante di Alessandro dal quale, oltre al
già citato Cesare, avrà Giovanni, Lucrezia e Goffredo.
Cesare, fu spinto verso la carriera ecclesiastica dal padre.
Ancora giovanissimo scrisse "il Prezzo da pagare", insieme a
Giovanni de Medici, futuro Papa Leone X, e senza che avesse mai
ricevuto gli ordini sacerdotali, il padre, nel 1491 lo fece nominare
Vescovo di Pamplona e nel 1492 arcivescovo di Valencia, arcidiocesi
che era già stata sua e prima ancora dello zio Callisto III.
Dell'arcivescovado però Cesare non prese mai possesso, anche
a causa della quasi immediata nomina a cardinale il 20 settembre
1493, e nel 1495 a governatore generale e legato di Orvieto.
Poco attratto dalla vita clericale e molto più incline a
quella militare, il 17 agosto 1498 (l'anno prima, si dice, uccise il
fratello Giovanni, duca di Gandia e carissimo al padre, spinto dalla
gelosia e dal desiderio di intraprendere la vita politica al posto
del fratello) chiese ed ottenne dal padre-papa la dispensa dalla
vita ecclesiastica, deponendo la porpora cardinalizia lo stesso
anno. Il 1º ottobre partì per la Francia per sposare
Carlotta d'Aragona, all'epoca sotto la custodia del re di Francia,
matrimonio che l'avrebbe messo in grado di rivendicare per sé
il regno di Napoli. Il sottile movimento politico veniva gestito tra
lo stesso Luigi XII e il Papa, il quale, desideroso di regalare un
regno al figlio, trattò con il re uno scambio di favori "alla
pari":
* il re concedeva la mano della principessa
Charlotte d'Albret a suo figlio Cesare;
* il papa concedeva l'annullamento del precedente
matrimonio del re. Luigi XII era infatti sposato con Giovanna di
Valois, donna che non amava. Era innamorato, invece, della vedova di
Carlo VIII, suo predecessore, la regina Anna, ma non poteva
sposarla.
Per Alessandro VI non fu difficile far approvare il divorzio in un
concistoro. Non solo, il pontefice riuscì ad assegnare un
ulteriore omaggio al re, pur di muovere passi a favore del figlio:
concesse la porpora cardinalizia al suo ministro Georges d'Amboise.
Non fu facile invece la trattativa per Cesare Borgia, giunto in
Francia in pompa magna. Le sue bardature d'oro e i cavalli ferrati
d'argento non impressionarono Carlotta d'Aragona, che si
rifiutò di sposarlo e negò ogni tipo di trattativa. Di
fronte a questo rifiuto, Cesare non consegnò la bolla papale
contenente l'annullamento del matrimonio del re.
Solo dopo alcuni mesi, durante i quali il Borgia fu trattenuto nella
residenza del re senza essere costretto a cedere ma senza la
possibilità di uscire, la difficile trattativa fu risolta con
un compromesso: a Cesare Borgia fu data la mano della nipote del re,
Charlotte d'Albret, originaria della regione spagnola della Navarra.
Come pattuito, il Borgia consegnò la bolla di divorzio al re.
Il matrimonio di Cesare con Carlotta fu celebrato il 12 maggio 1499;
in seguito a ciò il Borgia ottenne il titolo di Duca del
Valentinois. Da qui l'appellativo di "Duca di Valentino".
La presa di Imola e di Forlì
Nell'estate del 1499 i francesi, alleati con Venezia, scesero in
Italia alla conquista del Ducato di Milano e Ludovico Sforza, vista
l'alleanza fra il Papa, Venezia e la Francia non poté che
fuggire da Milano e lasciare campo libero ai conquistatori. Forte
del facile successo, il cammino dell'esercito francese (con Cesare
Borgia come luogotenente del re) proseguì al di là del
Po sino a giungere in Romagna, territorio a quel tempo sotto il
potere temporale del papato. Alessandro VI, che era stato tenuto
informato sulle manovre dell'esercito, inviò ai signori di
Pesaro, Imola, Forlì, Faenza, Urbino e Camerino, una lettera
in cui li dichiarava decaduti dai loro feudi, spianando così
la strada alla conquista del figlio e regalandogli un intero
principato.
Com'era prevedibile, nessuno obbedì all'ingiunzione del papa.
La lotta si scatenò cruenta. Una prima spedizione in Romagna
ebbe luogo il 21 novembre 1499, con un esercito costituito da fanti
e mercenari di varie province e nazioni. Già l'11 dicembre
Imola veniva espugnata. Nel gennaio successivo il duca di Valentino
sconfisse Caterina Sforza, che per tre settimane si era
asserragliata nella rocca di Forlì, al comando di 2.000
uomini. Nonostante l'ardore e il piglio da guerriera, Caterina fu
fatta prigioniera e Forlì fu presa d'assedio dagli invasori,
che si abbandonarono ad atti di violenza sulla popolazione. Una
volta terminato il saccheggio, il duca si poté insediare in
città, ospitato dal nobiluomo forlivese Luffo Numai,
già consigliere di Caterina stessa.
Le conquiste successive
Quale luogotenente del re di Francia Luigi XII, Cesare si
lanciò poi nella seconda spedizione romagnola, contro Rimini,
Ravenna, Cervia, Faenza e Pesaro, formalmente autorizzato a muoversi
perché il Papa aveva rivolto, tramite una bolla ai signori di
quelle città, l'accusa di essersi sottratti
all'autorità pontificia. Il 2 agosto 1500 Cesena si arrese,
fu poi la volta di Rimini e Faenza, dove vennero rovesciate le
signorie dei Malatesta e dei Manfredi. Nel 1502 Cesare guardava
già oltre. Suoi obiettivi furono i ducati di Camerino e
Urbino, scacciandone i Da Varanoe i Montefeltro.
Gli storici concordano nell'identificare nel periodo di signoria del
Borgia un'esperienza politica importantissima in Romagna: i
tribunali riuscirono a riportare l'ordine. Le signorie avevano
sottratto al papa il potere temporale, ma avevano fatto precipitare
la popolazione in uno stato di caos. L'azione di Borgia aveva
riportato non solo ordine e stabilità, ma anche giustizia e
tribunali.
Il duca di Valentino era ormai diventato potentissimo, inviso
persino ad alcuni dei suoi più valenti condottieri che,
nell'ottobre di quello stesso anno, presso il Castello dei Cavalieri
Templari di Magione, nelle vicinanze di Perugia, ordirono una
congiura contro di lui, al fine di evitare, come dicevano, "d'essere
uno a uno devorati dal dragone". Cesare viene sconfitto nella
battaglia di Calmazzo da una lega di condottieri di ventura e
costretto ad abbandonare il ducato d'Urbino ormai pieno di focolai
di rivolta.
La caduta
Cesare era diventato signore incontrastato della Romagna. Nel 1503
progettava di estendere il suo potere alle città toscane di
Siena, Pisa e Lucca, quando venne meno il suo principale sostegno e
punto di riferimento: il 18 agosto di quell'anno il padre, papa
Alessandro VI morì all'età di 73 anni[6]. Alla morte
di Alessandro VI il duca di Valentino entrò in crisi. Dopo il
breve pontificato di Pio III, nell'ottobre del medesimo anno
uscì eletto dal conclave il cardinale Giuliano Della Rovere,
esponente di un casato acerrimo nemico dei Borgia[7]. Il nuovo
pontefice, che prese il nome di Giulio II, uomo austero, volitivo e
poco avvezzo alle vie diplomatiche, tolse al duca di Valentino il
governo della Romagna e ne ordinò l'arresto e la reclusione
in Castel Sant'Angelo.
La fine
A Cesare Borgia fu inutile, una volta evaso, cercare di rifugiarsi a
Napoli per organizzare da lì la riconquista dei suoi domini:
il Papa lo fece deportare nelle mani di Ferdinando II di Aragona in
Spagna, dove il duca di Valentino fu rinchiuso prima nel castello di
Chinchilla e poi nel forte di La Mota di Medina del Campo.
Riuscì a evadere nel 1506 con una rocambolesca fuga, dove si
fratturò diverse ossa perché si calò da una
finestra posizionata a 20 metri circa d'altezza (ma qualcuno
tagliò la fune ed egli precipitò nel fossato
sottostante), rifugiandosi quindi nel piccolo regno di Navarra. Il
Valentino morì combattendo per suo cognato Giovanni III
d'Albret, re di Navarra nell'assedio di Viana contro il conte di
Lerin, Signore della città, che s'era ribellato, nella notte
tra l'11 e il 12 marzo 1507. Le truppe del Borgia avevano assediato
il castello di Viana nel quale s'erano asserragliati i ribelli;
questi tentarono una sortita notturna. Ingaggiata la lotta Cesare
rimase isolato dai suoi soldati e soccombette dopo strenua e impari
lotta sotto il soverchiante numero dei nemici. Gli avversari, che ne
ignoravano l'identità, gli tolsero l'armatura e i vestiti
lasciandone il corpo nudo, che fu rinvenuto l'indomani mattina, si
riferisce, trafitto con ventitré colpi di picca. Dopo solenni
funerali, il corpo venne composto in un grande sepolcro di marmo
voluto dal re nella chiesa di Santa Maria di Viana, alla destra
dell'altar maggiore. Sulla tomba era stato scritto: «Qui in
poca terra giace / colui che tutta lo temeva / questo poco spazio
serra / quel che la pace e la guerra / gestiva in tutto il mondo. /
O tu che vai cercando / imprese degne di lode / se il migliore
è più degno / qui arresta il tuo cammino / Non ti
curar d'andare oltre». Ma il Valentino non trovò pace
neppure da morto: non molto tempo dopo l'Inquisizione dispose che i
resti, ritenuti cosa indegna e sacrilega, venissero sepolti nel
patio della medesima chiesa, in terra non consacrata, in vicinanza
di una discarica di rifiuti,onde fossero «calpestati da uomini
e animali». Ma nel 1953 le autorità di Viana
recuperarono quei resti, li collocarono in un'urna di pietra e li
tumularono sulla piazza, davanti alla porta principale della chiesa
di S. Maria, sotto una lapide marmorea, su cui è scritto:
«Cesare Borgia, Generalissimo degli eserciti di Navarra e
Pontifici, morto sui Campi di Viana l'11 Marzo 1507». Nel 1965
in quella città gli venne eretto un busto. Poi nel 2007 le
autorità civiche di Viana ne celebrarono la ricorrenza del
500º anniversario della morte e in tale occasione chiesero che
i suoi resti mortali tornassero a riposare dentro la chiesa.
Ottennero il diniego del competente Vescovo dell'arcidiocesi di
Pamplona, della quale il Valentino fu Vescovo eletto (1491).
Comunque la sua tomba è diventata luogo di numerose e
crescenti visite.
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Cesare Borgia, detto il Valentino (Roma, 13 settembre 1475 - Viana,
12 marzo 1507), fu un avventuriero e condottiero rinascimentale
famoso per aver ispirato a Machiavelli la figura de Il Principe.
Secondo dei quattro figli dell'allora cardinale Rodrigo Borgia,
futuro papa Alessandro VI (1492-1503) e di Vannozza Cattanei (Joan,
Cesare, Lucrezia e Jofrè), era stato destinato dal padre alla
carriera ecclesiastica, grazie alla quale la famiglia aveva preso
saldamente piede. I Borgia infatti, valenciani di origine, erano
arrivati a Roma una trentina di anni prima al seguito del cardinale
Alfons, papa col nome di Callisto III dal 1455 al 1458, a caccia di
cariche e di fortuna.
Ancora giovanissimo e senza che avesse mai ricevuto gli ordini
sacerdotali, il padre, appena eletto papa, lo fece nominare
arcivescovo di Valencia, diocesi che era già stata sua e
prima ancora dello zio Callisto III. Dell'arcivescovado però
Cesare non andò mai a prendere possesso, anche perché
fu nominato cardinale l'anno dopo, il 20 settembre del 1493, e nel
1495 governatore generale e legato di Orvieto.
Poco attratto dalla vita clericale e molto più incline a
quella militare, nel 1497 (anno in cui, si dice, uccise il fratello
Joan, Duca di Gandia e carissimo al padre) chiese ed ottenne dal
padre-papa la dispensa dalla vita ecclesiastica, depose la porpora
cardinalizia, e l'anno dopo si recò in Francia a portare al
nuovo re Luigi XII l'annullamento papale del precedente matrimonio e
la porpora cardinalizia per il suo ministro D'Amboise.
Ne ebbe in cambio la mano della nipote navarrese del re, Carlotta
d'Albret, e in seguito a ciò il titolo di Duca del
Valentinois. Da qui l'appellativo di "Duca Valentino".
Negli anni seguenti si impegnò in una cruenta lotta
nell'Italia centrale, regioni al tempo sotto il potere temporale del
papato, al fine di destituire a volte con la diplomazia a volte con
la violenza, i vari signorotti locali e creare uno stato forte ed
unitario. Una prima spedizione per la Romagna ebbe luogo il 21
novembre 1499, con un esercito zeppo di fanti e mercenari di varie
province e nazioni e già l'11 dicembre Imola veniva
espugnata. Nel gennaio successivo Cesare sconfisse Caterina
Sforza-Riario, signora di quelle terre, che per tre settimane si era
asserragliata nella rocca di Forlì, al comando di 2000
uomini. Nonostante l'ardore ed il piglio da guerriera, Caterina fu
fatta prigioniera e Forlì presa d'assedio dagli invasori che
si abbandonarono ad atti di inaudita ferocia.
Quale luogotenente del re di Francia Luigi XII, Cesare si
lanciò poi nella seconda spedizione romagnola, contro Rimini,
Ravenna, Cervia, Faenza e Pesaro, formalmente autorizzato a muoversi
perché il papa aveva rivolto, tramite una bolla ai signori di
quelle città, l'accusa di essersi sottratte
all'autorità pontificia. Il 2 agosto 1500 Cesena si arrese,
fu poi la volta di Rimini e Faenza, dove vennero rovesciate le
signorie dei Malatesta e dei Manfredi. Nel 1502 Cesare guardava
già oltre. Suoi obiettivi furono i ducati di Camerino e
Urbino, scacciandone i Varano e i Montefeltro.
Il Valentino era ormai diventato potentissimo, inviso persino ad
alcuni dei suoi più valenti condottieri che, nell'ottobre di
quello stesso anno, presso il castello della Magione, nelle
vicinanze di Perugia, ordirono una congiura contro di lui, al fine
di evitare, come dicevano, "d'essere uno a uno devorati dal
dragone". Scoperti, Cesare agì d'astuzia: lasciando la
piazzaforte di Camerino, finse di perdonare i congiurati con
accomondanti parole, in realtà tramando vendetta. Espugnata
nel frattempo Sinigaglia, retta dai duchi della Rovere, la sera del
31 dicembre ebbe luogo la "cena di Senigallia": fra abbracci e
cortesie il Borgia invitò a cena i ribelli nel palazzo della
città appena conquistata. All'alba del 1 gennaio 1503,
Vitellozzo Vitelli ed Oliverotto da Fermo furono assaliti ed uccisi.
Cesare era ormai signore incontrastato della Romagna e già
meditava di estendere il suo potere alle città toscane di
Siena, Pisa e Lucca, quando il padre-papa Alessandro VI fece mancare
involontariamente il sostegno al figlio, morendo il 18 agosto 1503
per un colpo apoplettico, all'età di 73 anni.
La morte di Alessandro VI segnò l'inizio della fine della sua
carriera: dopo il breve pontificato di Pio III, al secolo Cardinale
Francesco Piccolomini nipote di papa Pio II, dagli intrighi del
conclave uscì vincitore il cardinale Giuliano Della Rovere,
acerrimo nemico dei Borgia, che ottenne la tiara e fu eletto
pontefice nell'ottobre del medesimo anno, col nome di Giulio II.
Machiavelli, ne Il Principe, sostiene che il Borgia avrebbe dovuto
evitare, avendone il potere, che fosse eletto un suo nemico. Ma la
storia non si fa con i "se", e il nuovo pontefice, austero, volitivo
e poco avvezzo alle vie diplomatiche, tolse al duca Valentino lo
Stato romagnolo e ne ordinò l'arresto.
Gli fu inutile cercar di rifugiarsi a Napoli per organizzare da
lì la riconquista dei suoi domini: il papa lo fece deportare
nelle mani di Ferdinando II di Aragona in Spagna, dove il Valentino
fu rinchiuso prima nel castello di Cinciglia e poi nel forte di La
Mota di Medina del Campo. Riuscì ad evadere nel 1506 con una
rocambolesca fuga, rifugiandosi nel piccolo regno di Navarra.
Morì combattendo per il cognato Giovanni III d'Albret, re di
Navarra all'assedio di Viana, nella notte fra l'11 e il 12 marzo
1507.
La salma del Valentino fu tumulata nella chiesa di Viana, alla
destra dell'altare maggiore, ma non a lungo i resti mortali
riposarono in quel luogo, perché il vescovo di Pamplona volle
traslarli in zona sconsacrata e le ossa finirono col disperdersi.