Valdismo

 

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Valdese: agg. e sm. e f. [da Valdo, fondatore del movimento religioso]. Denominazione degli aderenti a uno dei principali movimenti religiosi medievali, successivamente confluito nella Riforma protestante. Ne fu fondatore il mercante Valdo, che nel decennio 1170-80 scelse la povertà evangelica, costituendo il primo nucleo del movimento, detto dei “poveri di Lione”.

Sino dagli inizi, il movimento si scontrò con l'opposizione della Chiesa: al rifiuto del programma dei valdesi da parte del III Concilio Lateranense (1179) seguì la scomunica del Concilio di Verona (1184). Emarginati dall'istituzione ecclesiastica, i valdesi conobbero tuttavia una progressiva larghissima diffusione tra il sec. XIII e il XIV in Lombardia, in Linguadoca e in Provenza (fine sec. XII): elementi di predicazione valdese vennero recepiti da ambienti già legati all'eterodossia, dando luogo a un movimento religioso caratterizzato da una tendenza antiistituzionale particolarmente radicale e da una notevole capacità di espansione missionaria, che portò i valdesi, attraverso la Svizzera, l'Austria e la Germania, sino nell'Ungheria e nella Boemia (dove considerevole fu poi l'apporto valdese alla rivoluzione hussita del sec. XV).

Altre aree di diffusione valdese furono le vallate alpine del Piemonte occidentale, del Delfinato e, nell'Italia meridionale, la Calabria e le Puglie. La strategia dell'autorità ecclesiastica non escluse tentativi, parzialmente riusciti, d'istituzionalizzazione monastica dei valdesi (i poveri cattolici in Francia nel 1208, i poveri riconciliati in Lombardia nel 1210), tesa a neutralizzarne la carica contestativa, ma rimase essenzialmente repressiva. I motivi fondamentali del valdismo medievale risiedevano in una prassi che univa la predicazione itinerante del Vangelo al popolo con la povertà di vita. Di qui derivò la divisione tra ministri itineranti (distinti poi secondo i tre ordini dell'episcopato, del presbiteriato e del diaconato) e semplici fedeli, nonché la costituzione di strumenti di collegamento (rettori, capitoli annuali). La predicazione dei valdesi, sostenuta da un'estesa attività di volgarizzazione della Scrittura, si arricchì di motivi esplicitamente antitradizionali (negazione del purgatorio e delle messe per i defunti, della validità dei sacramenti amministrati da sacerdoti indegni; riduzione del numero stesso dei sacramenti al battesimo, all'eucarestia e alla penitenza; rifiuto della gerarchia ecclesiastica e dei tradizionali ruoli di culto). Verso l'ordinamento civile (nonché ecclesiastico) del tempo i valdesi erano apertamente contestatori rifiutando il giuramento e la violenza.

Nel sec. XV i valdesi di Boemia si unirono con gli hussiti e confluirono nella Unitas Fratrum, quelli di lingua neolatina aderirono nel sec. XVI alla Riforma protestante, adottando le Ordonnances ecclesiastiche ginevrine. Dalla metà del sec. XVI in poi, la storia dei valdesi è un alternarsi di persecuzioni e di effimere tregue, ottenute grazie alla resistenza armata e alla coesione sociale dei valdesi delle valli come alla solidità della loro nuova organizzazione calvinista. Nel 1551 i valdesi delle valli ottennero da Emanuele Filiberto di Savoia il riconoscimento di una relativa libertà di culto. Nel secolo successivo, la persecuzione antivaldese ebbe i suoi momenti culminanti nel 1655, allorché furono compiute le stragi note come le Pasque piemontesi, e nel 1683-85 quando i valdesi vennero espulsi dalle valli e costretti a un esilio che li portò nella Svizzera e nella Germania meridionale: ritornarono nel 1689 e furono reintegrati nei loro territori. Furono loro riconosciute la libertà di culto e la pienezza dei diritti civili durante l'età napoleonica. Poterono così dedicarsi a un'attività di evangelizzazione, che ne estese la presenza nel corso della seconda metà del sec. XIX in numerose città e centri minori della penisola italiana. I valdesi in Italia sono circa 25.000.

Il governo della Chiesa, dalla struttura presbiteriale-sinodale, è affidato a un organo collegiale, la Tavola; ogni anno, poi, il Sinodo si riunisce a Torre Pellice (Torino), dove pure ha sede la Società di studi valdesi. Numerose sono le iniziative di carattere culturale (la facoltà di teologia in Roma, la libreria editrice Claudiana di Torino, la stampa periodica) e sociale (scuole, ospedali, centri per minori o anziani): la sua struttura organizzativa è di tipo presbiteriale-sinodale. È stata inoltre attuata l'integrazione tra la Chiesa valdese e la Chiesa evangelica metodista d'Italia. Centri di cospicua presenza valdese fuori dell'Italia sono in Francia e in Svizzera (Losanna, Ginevra, Basilea, Zurigo), negli Stati Uniti d'America (chiesa di New York; chiese di Valdese, città dello Stato della Carolina) e soprattutto in Uruguay e in Argentina, dove una ventina di comunità direttamente legate alla Chiesa italiana raccolgono diverse migliaia di persone.

 

Wikipedia

Il Valdismo, i cui fedeli sono chiamati Valdesi, è una confessione protestante. I valdesi presenti in Italia e in Svizzera sono riuniti nella Chiesa Evangelica Valdese, quelli in Uruguay e Argentina appartengono alla Iglesia Evangélica Valdense del Río de la Plata.

Storia e dottrina

Origini

La corrente valdese del cristianesimo nasce nel Medioevo, precisamente nel XII secolo, come movimento religioso, costituito da contadini e in genere da poveri, che precede di poco quello promosso da Francesco d'Assisi. Tradizionalmente si fa risalire la fondazione del movimento a Valdo di Lione (o Pietro Valdo o Valdesio, dalla latinizzazione Valdesius). In realtà, l'origine dei Valdesi si confonde con il grande fermento di movimenti pauperistici di riforma del Cristianesimo sviluppatisi nel corso del XII secolo. Oggi, esiste una via a Lione che porta il suo nome, nel 5ème arrondissement (rue Pierre-Valdo).

Valdo, si dice in seguito all'ascolto da un menestrello della vita di sant'Alessio, decise di approfondire lo studio della Bibbia: egli però non conosceva il latino, così si fece tradurre i Vangeli e altri scritti biblici in francese. Fu colpito in particolar modo dalle parole rivolte da Gesù al giovane ricco: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi" (Matteo XIX, 21). Decise allora, nel 1173, di abbandonare la moglie, far accogliere le figlie nel monastero di Fontevrault e offrire tutta la sua ricchezza ai poveri. In seguito si circondò di un gruppo di seguaci con i quali, fatto voto di castità e vestiti solo di stracci, andava in giro a predicare il messaggio evangelico; ben presto il gruppo fu identificato con l'espressione Poveri di Lione. La loro predicazione si svolse all'interno dell'"ortodossia" romana, rivolgendosi principalmente contro il dualismo cataro.

La fedeltà al papa di Roma da parte del movimento valdese in questi anni è testimoniata dalla ricerca di approvazione ecclesiastica nel 1179, in occasione del terzo concilio Laterano: essi si recarono a Roma incontrandosi anche con il pontefice Alessandro III, il quale dimostrò apprezzamento per il loro proposito di vivere in maniera povera e conforme al dettato evangelico, ma non fu disposto a riconoscere la loro richiesta di essere predicatori della Parola.

In quel periodo l'annuncio del Vangelo infatti era riservato solo ai chierici e agli ecclesiastici, ai laici non era permesso predicare ed era persino sconsigliata la lettura diretta e personale della Bibbia.

Valdo tuttavia, insieme ai suoi seguaci, continuò a diffondere l'insegnamento cristiano nonostante il divieto papale, in piena disobbedienza; quindi, nel 1180, fu convocato dal cardinale Enrico di Marcy, vescovo di Albano, in un sinodo a Lione, nel quale Valdo e i suoi seguaci dichiararono la loro completa "ortodossia" e al contempo esposero quelli che consideravano gli "errori" dei catari. Nonostante ciò, la predicazione da parte dei laici e delle donne e la lettura individuale della Bibbia erano aspetti considerati inaccettabili dalla Chiesa romana, consapevole del fatto che ammettere tale innovazione avrebbe significato dare il via ad un processo di trasformazione dagli esiti imprevedibili qualora la lettura e interpretazione dei testi sacri fosse permessa anche a fedeli non appartenenti al clero. Tutto questo era stato ben compreso da Walter Map, rappresentante di re Enrico II Plantageneto al concilio lateranense del 1179, che a proposito dei valdesi aveva scritto:
   
«Costoro mai hanno dimore stabili, se ne vanno due a due a piedi nudi, vestiti di lana, nulla possedendo, ma mettendo tutto in comune come gli apostoli, seguendo nudi il Cristo nudo. Iniziano ora in modo umilissimo, perché stentano a muovere il piede; ma qualora li ammettessimo, ne saremmo cacciati »
(Walter Map, De Nugis Curialium)

Nel 1184 a Verona, con la bolla Ad abolendam, papa Lucio III scomunicò una serie di movimenti ritenuti ereticali anche molto diversi tra loro, tra cui i poveri di Lione, i valdesi. La motivazione per tale scomunica rimase la "presunzione" dei valdesi a voler predicare in pubblico. Nonostante la condanna papale, comunque, il movimento valdese continuò la sua espansione verso il Mezzogiorno di Francia e l'Italia (Piemonte, Lombardia, Puglia e Calabria), giungendo anche in alcune regioni della Germania, in Svizzera, e persino in Austria, Spagna, Ungheria, Polonia e Boemia.

Le comunità valdesi erano organizzate su due livelli: vi erano i "perfetti" o "barba" (che significa "zio", in contrapposizione al "padre" cattolico) che seguivano i tre voti monastici di povertà, castità, e obbedienza ed erano predicatori itineranti, e i semplici fedeli, che erano detti "amici" o "noti". La comunità aveva tre gradi gerarchici: diaconi, presbiteri e vescovi e preparava i futuri predicatori in apposite scuole, gli "ospizi". Osservavano la liturgia delle Ore e i digiuni, celebravano la Cena del Signore (nella Linguadoca con pane, vino e pesce) e la sera del Giovedì Santo praticavano la lavanda dei piedi. Studiavano a memoria interi Vangeli e altre parti della Bibbia che Valdo aveva fatto tradurre nelle varie lingue popolari.

Dopo la scomunica, però, il movimento valdese perse la sua compattezza originaria e iniziò a sfaldarsi in gruppi locali differenziati tra di loro. La prima grande spaccatura avvenne nel 1205 circa, quando una parte consistente di valdesi di Lombardia dette vita ad un gruppo autonomo detto appunto Poveri Lombardi (pauperes Lombardi). Entrando in Lombardia i predicatori e le predicatrici valdesi poveri (fratres et sorores) miravano, come altrove, a costituire gruppi di amici o credentes che vivessero nel mondo, lavorassero e li sostenessero con le loro elemosine. Vennero però qui a trovarsi in una situazione politica e sociale radicalmente diversa da quella d'oltralpe. Trovarono infatti una miriade di Comuni in lotta perenne per la loro piena indipendenza dall'Impero e dal papato e, all'interno, lacerati dalle lotte tra partito guelfo e partito ghibellino.

I valdesi non ebbero problemi a inserirsi nelle strutture comunali, riuscendo anche a farsi eleggere alle cariche più importanti, ma la maggior parte di loro preferì restare ai margini della vita politica a causa del severo divieto del giuramento, dell'insistenza sulla povertà assoluta e per una certa sfiducia verso le autorità umane. Il partito ghibellino sembrava spesso appoggiare questi movimenti ereticali, non però per un reale interesse per le questioni religiose, ma per sfruttare ai suoi fini l'anticlericalismo della loro predicazione. E così, ad alcuni podestà che li difendevano e li appoggiavano, ne seguirono spesso altri che li condannavano e li bruciavano sul rogo.

Ma in Lombardia i valdesi vennero ben presto a contatto e furono influenzati da altri movimenti popolari di carattere sociale e religioso, da tempo presenti in loco o di nuova istituzione, come i Patarini, gli Arnaldisti e gli Umiliati. I valdesi lombardi ne furono influenzati al punto da adottare dei provvedimenti che provocarono la reazione di Valdo fino alla scissione che ebbe luogo nel 1205, essenzialmente a causa di tre motivi:

   1. I predicatori in Lombardia entrarono a far parte di comunità di lavoratori e ne crearono delle proprie. Secondo Valdo i predicatori non dovevano lavorare ma vivere in povertà delle offerte degli amici per non essere corrotti dalla brama di ricchezze.
   2. I lombardi si scelsero un capo a vita nella persona del piacentino Giovanni da Ronco detto il Buono. Valdo obiettava che l'unico preposto del loro movimento doveva rimanere Gesù Cristo.
   3. I lombardi elessero dei ministri ai quali affidarono compiti sacerdotali, come la consacrazione dell'eucaristia. Valdo temeva che questo fosse il primo passo per costituirsi come contro-chiesa: egli infatti aveva voluto creare una fraternità religiosa di predicatori che si impegnavano a supplire alle carenze del clero nella predicazione e nella cura d'anime, ma non dovevano sostituirsi ad esso. Valdo voleva rimanere nella Chiesa romana e lavorarvi, anche se scomunicato.

Da questa prima divisione nacque una crisi del movimento che ebbe importanti evoluzioni nel giro di pochi anni.

Dal XIII secolo al XVI

Tra il 1205 e il 1207 Valdo morì senza essere riuscito a ricomporre lo scisma interno al suo movimento e la frattura con Roma. Da allora molti gruppi iniziarono ad allontanarsi dall'ortodossia cattolica, rifiutando le gerarchie ecclesiastiche, giudicate peccatrici e malvagie. Quando il Concilio Lateranense IV nel 1215 definisce formalmente la dottrina della transustanziazione (cioè l'idea della presenza reale e sostanziale di Cristo nell'Eucarestia), questa non trova consensi tra i valdesi.

A causa di queste tendenze il principale interprete del valdismo originario, Durando d'Osca, insieme ad un gruppo di discepoli, tentò di mettere fine al dissidio con le gerarchie ecclesiastiche facendo riconoscere dalla Chiesa romana i punti essenziali della primitiva ispirazione di Valdo. La speranza però si rivelò illusoria: il papa, nel 1208, approvò il loro proposito di vita religiosa ma non colse i motivi centrali della loro ispirazione e il nuovo ordine, con il nome di Poveri Cattolici (pauperes catholici), fu orientato in funzione antiereticale.

Una sorte leggermente migliore toccò a Bernardo Primo e ai suoi seguaci, riconosciuti nel 1210 dalla Chiesa con il nome di Poveri Riconciliati, che riuscirono a inserire nel loro proposito il supremo magistero di Cristo e il mandato apostolico di predicare per la salvezza del popolo di Dio.

Entrambi i gruppi, comunque, non riuscirono nel loro intento di rifondare dall'interno la Chiesa né a sottrarre dalla presunta "eresia" gli altri movimenti valdesi. Inoltre le gerarchie ecclesiastiche li guardavano con sospetto e furono spesso accusati di aver accettato l'"ortodossia" romana solo formalmente; nel giro di pochi anni, perciò, i Poveri Cattolici e i Poveri Riconciliati si esaurirono o furono costretti a fondersi con altri ordini religiosi.

I restanti membri del movimento valdese si erano organizzati in due gruppi, quello ultramontano e quello italico. Nel 1218 la Società dei Fratelli Ultramontani (societas fratrum Ultramontanorum) e la Società dei Fratelli Italici (societas fratrum Italicorum) si incontrarono a Bergamo con l'intento di trovare una nuova unità, ma non riuscirono a ricomporre le loro fratture.

L'incapacità di trovare un accordo derivò probabilmente dalle diverse concezioni dei due schieramenti sulla natura del movimento. Per gli Ultramontani si trattava ancora di una libera fraternità di predicatori e predicatrici, poveri e itineranti, che si dedicavano alla missione e alla cura d'anime all'interno della Chiesa romana, di cui riconoscevano la validità dei sacramenti nonostante la scomunica e la persecuzione; gli italici, invece, erano ormai sulla via di un distacco totale dalla Chiesa romana di cui contestavano la legittimità a causa della sua immoralità, procedendo infatti ben presto ad organizzarsi come chiesa alternativa.

La separazione tra le due tendenze del Valdismo continuerà ancora per gran parte del Duecento, soprattutto in Italia, ma finirà per perdere progressivamente di significato e, alla fine del secolo XIII, si noterà una convergenza delle due posizioni.

Gli Ultramontani dovranno rendersi ben presto conto che non era più possibile trovare sacerdoti cattolici disposti ad ammetterli alla celebrazione dei sacramenti e dovettero organizzarsi anch'essi in proprio.

I valdesi furono duramente perseguitati anche nei secoli successivi ma, a differenza dei catari, l'Inquisizione non riuscirà mai a spegnere il focolaio valdese nonostante la durissima repressione. Vivendo nella clandestinità, e spesso riuscendo a nascondersi in zone eccentriche, il movimento valdese riuscirà ad arrivare al XVI secolo e ad aderire alla Riforma protestante calvinista nel 1532 col sinodo di Chanforan, segnando una svolta decisiva per il futuro della comunità.

Nel Trattato sulla tolleranza Voltaire , passato alla storia come pensatore anticristiano per antonomasia, tanto da arrivare a sostenere che «ogni uomo sensato, ogni uomo dabbene, deve avere orrore per la setta cristiana», descrive una persecuzione di cui i valdesi furono vittime nell'aprile del 1545:
   
«Poco tempo prima della morte di Francesco I alcuni membri del Parlamento di Provenza, sobillati da alcuni ecclesiastici contro gli abitanti di Mérindol e di Cabrières, chiesero al re dei soldati per appoggiare l'esecuzione di diciannove persone di questi paesi, da loro condannate: invece ne fecero sgozzare 6000, senza risparmiare né donne, né vecchi, né bambini; ridussero in cenere trenta villaggi. Queste popolazioni, fino allora sconosciute, avevano il torto, senza dubbio, di essere valdesi: era questa la loro unica malvagità. Da trecento anni vivevano in deserti e montagne che avevano reso fertili con un lavoro incredibile. La loro vita pastorale e tranquilla ricordava l'innocenza attribuita alle prime età del mondo. Le città vicine non erano conosciute da loro che per i prodotti che vi andavano a vendere; ignoravano i processi e la guerra. Non si difesero: furono sgozzati come degli animali in fuga, che si spingono in un recinto e si uccidono.»

Nel 1561 venne firmata la Pace di Cavour, primo esempio di libertà religiosa nell'Europa moderna. In realtà il valdismo poteva essere confessato solo nelle zone di montagna, al di sopra dei 700 m. Persecuzioni vengono scatenate in Puglia e soprattutto in Calabria, dove dalla fine di maggio al giugno 1561 un migliaio di Valdesi sono massacrati dalle truppe del Regno di Napoli con l'appoggio dell'Inquisizione di Roma.

Dal XVII secolo a oggi

Nel 1655 si perpetrano i massacri delle Pasque piemontesi. Nel 1685, in seguito alla revoca dell'editto di Nantes, il duca di Savoia Vittorio Amedeo II sostiene la persecuzione dei valdesi e la repressione si trasforma in una vera "caccia al valdese" fin nelle valli interne del Pinerolese e della Val Pellice a sud di Torino. 2700 profughi riparano a Ginevra. Nel 1689 mille valdesi, finanziati dal re d'Inghilterra Guglielmo III d'Orange, guidati da Enrico Arnaud, rientrano nella patria piemontese: è il famoso Glorioso rimpatrio. Nel 1700 si instaura il ghetto alpino.

Nel 1848 con le Lettere Patenti di Carlo Alberto vengono riconosciuti i diritti civili e politici dei valdesi.

Nel 1850 si sviluppa il sistema delle scuole alpine di borgata a opera del colonnello inglese Charles Beckwith. Gli antropologi chiamano "paradosso alpino" il fenomeno secondo il quale il livello di istruzione e di apertura culturale di una comunità aumenta proporzionalmente alla quota. Lo stereotipo della comunità alpina come una realtà chiusa e impermeabile è contraddetta da realtà come quella valdese, che alla fine del XIX secolo presentava una percentuale di analfabeti trascurabile e vantava contatti con le élite culturali di mezza Europa.

Nel 1979 si sigla il patto di integrazione tra metodisti e valdesi in un'unica comunità confessionale.

Persecuzione e tortura

Durante le persecuzioni nei confronti dei valdesi, le cronache hanno registrato eventi particolarmente drammatici. Nel 1487 papa Innocenzo VIII bandiva una crociata contro i valdesi con una bolla con la quale incitava: “tutti i fedeli insorgano contro i valdesi e li calpestino come vipere velenose, senza tralasciare alcuno sforzo per lo sterminio e la distruzione di questi eretici: opera santa e assolutamente necessaria”.

Nel 1545 pochi mesi prima che si inaugurasse il Concilio di Trento, il re di Francia, Francesco I, bandì una crociata contro i valdesi delle Alpi franco-piemontesi, a proposito della quale nella sua Istoria del concilio tridentino, Paolo Sarpi parlò di ben quattromila persone trucidate e seicento cacciate in prigione, tra cui donne, ragazzi di 13-14 anni, vecchi di ottant'anni, con la distruzione di 22 paesi; gli abitanti di 17 villaggi valdesi, nei pressi di Avignone, furono passati a fil di spada, compresi donne e bambini.

Nel 1561, per ordine del cardinale e prefetto del tribunale dell'Inquisizione Ghisleri (futuro papa Pio V), si organizzò in Calabria il massacro dei valdesi che si erano là rifugiati. San Sisto, paese di 6000 abitanti, fu totalmente distrutto dalle fiamme, Guardia Piemontese ebbe 2000 vittime arse sul rogo, 1300 messe in prigione, e alcune centinaia rincorse e ammazzate per le campagne, mentre tentavano di fuggire.
  
 « … Li quali [i valdesi, ndr] erano tutti serrati in una casa, e veniva il boia e li pigliava a uno a uno, e gli legava una benda davanti agli occhi, poi lo menava in un luogo spazioso poco distante da quella casa, e lo faceva inginocchiare, e con un coltello gli tagliava la gola, e lo lasciava così. Dipoi pigliava quella benda insanguinata e col coltello insanguinato ritornava a pigliar l’altro e faceva il simile. Ha seguito quest’ordine fino al numero 88; il quale spettacolo quanto sia stato compassionevole lo lascio pensare e considerare a voi. I vecchi vanno a morire allegri, e i giovani vanno più impauriti. Si è dato ordine, e già sono qua le carra, e tutti si squarteranno e si metteranno di mano in mano per tutta la strada che fa il procaccio fino ai confini della Calabria; se il Papa et il signor Viceré non comanderà al signor marchese che levi mano. Tuttavia fa dar della corda agli altri. Si è dato ordine far venire oggi cento donne delle più vecchie, e quelle far tormentare, e poi farle giustiziare ancor loro, per poter far la misura perfetta. Ve ne sono sette che non vogliono vedere il crocifisso, né si vogliono confessare, i quali si abbruceranno vivi. Di Mont’Alto, alli 11 giugno 1561. »

Per quanto riguarda le persecuzioni, di cui furono vittime i valdesi delle valli dell'Italia nord-occidentale nel 1655, conosciute come “Pasque piemontesi”, un testimone oculare, Samuel Morland, afferma che:

 «La moltitudine armata si gettò sui valdesi nella maniera più furiosa. Non si vedeva altro che il volto dell’orrore e della disperazione. I pavimenti delle case erano macchiati di sangue, le strade erano disseminate di cadaveri si udivano gemiti e grida da ogni parte. Alcuni si armarono e fecero delle scaramucce con le milizie; e molti, con le loro famiglie, scapparono sulle montagne. In un villaggio torturarono crudelmente 150 donne e bambini, dopo che gli uomini erano fuggiti; decapitarono le donne e fecero schizzare fuori i cervelli ai bambini. Nelle città di Villaro e Bobio, la maggior parte di quelli che si rifiutavano di andare a messa e che avevano più di 15 anni, fu crocifissa a capo all’ingiù; e quasi tutti quelli che erano di età inferiore furono strangolati. […] Una delle torture preferite consisteva nel mettere dei sacchetti di polvere da sparo in bocca alle vittime e, poi, di dar loro fuoco. A Daniel Rambaut furono amputate, una al giorno, le falangi delle dita delle mani e dei piedi nel tentativo di convincerlo ad abbracciare la fede cattolica romana. A Sara Rastignole des Vignes, per essersi rifiutata di ripetere Gesù Maria, fu conficcata una falce nel basso addome. Un’altra giovane donna, Martha Constantine, fu violentata e uccisa con la recisione dei seni. […] Cipriano Bastia, a cui era stato ordinato di rinnegare la sua religione e di accettare la fede papale, rispose “piuttosto rinuncerei alla mia stessa vita, o vorrei essere trasformato in un cane”, al che un prete aggiunse: “per ciò che hai detto rinuncerai proprio alla vita e sarai dato ai cani”. Bastia fu gettato in prigione e quando La privazione del cibo lo ebbe portato sull’orlo della morte, fu gettato in strada alla mercé dei cani randagi.»
   
I bambini furono fatti a pezzi, decapitati e uccisi in vari modi sotto gli occhi dei genitori. Aggiunge Samuel Morland che:
  
 «Un servo di Jacopo Michelino da Bobbio ricevette diverse stilettate alle piante dei piedi e alle orecchie per mano di un certo Guglielmo Roche, un famoso massacratore di Lucerna, e di un altro chiamato Mandolino che poi gli tagliò i genitali e gli mise una candela accesa sulla ferita, arrostendogliela con la fiamma per fermare il sangue e per procurargli il tormento. Fatto questo, gli strapparono le unghie con tenaglie roventi, per vedere se riuscivano in qualche modo a costringerlo ad abiurare. Ma non riuscendovi in alcun modo, gli legarono una delle gambe al mulo del marchese di Lucerna e lo trascinarono per le strade, fino a quando fu quasi sul punto di terminare la sua dolorosa vita; e allora, dopo avergli legato la testa con una corda, la strinsero e la torsero con un bastone fino a che gliela staccarono dal corpo.»
   
A causa delle continue persecuzioni e degli omicidi, le città e i villaggi delle valli del Piemonte si spopolarono quasi completamente. La maggior parte di quelli che non furono uccisi sul posto, dopo essere fuggiti sui monti, morirono di fame o di malattie.

Laicità dello stato, temi etici e progressismo sociale

I valdesi si sono sempre impegnati per favorire la piena laicità dello stato.

La chiesa valdese si è pronunciata come fortemente contraria all'esposizione del crocefisso, e più in generale di ogni simbolo religioso, in luoghi pubblici.

Per quanto riguarda i "temi etici", i valdesi hanno sempre favorito il dibattito su temi quali omosessualità, aborto, testamento biologico ed eutanasia, ponendosi di fatto in contrasto con la Chiesa, con le Sacre Scritture, e con la speculazione di illustri e venerati patriarchi cattolici quali San Paolo, Sant'Agostino e Santa Caterina da Siena.

La Commissione Bioetica della Tavola Valdese si è espressa in maniera articolata sia sull'aborto sia sull'eutanasia, con posizioni che sostanzialmente si possono riassumere nell'affermazione della centralità della responsabilità personale in queste delicate decisioni. La Chiesa Valdese è anche impegnata nella diffusione del testamento biologico, i cui registri in molte città sono gestiti dalle comunità valdesi.

La Chiesa Evangelica Valdese, durante il sinodo del 2010, si è espressa a favore della ricerca sulle cellule staminali.

Valdismo e omosessualità

La Chiesa Valdese ritiene che il singolo credente sia guidato dallo Spirito Santo, e mantiene quindi un certo riserbo nell'offrire direttive specifiche dare nel campo dell'etica sessuale come in quello politico-sociale. Ciononostante, i valdesi si sono dimostrati molto aperti sul tema dell'omosessualità; la stragrande maggioranza si è dimostrata favorevole alle benedizione delle coppie omosessuali. La Chiesa Valdese, inoltre, si impegna attivamente nella lotta all'omofobia e nel supporto alla comunità LGBT.

Il dibattito sul tema dell'omosessualità avviene anche tramite la R.E.F.O. (Rete Evangelica Fede e Omosessualità) e l'Associazione Fiumi d'acqua viva - Evangelici su Fede e Omosessualità".

Il 26 agosto 2010 il Sinodo della Chiesa Evangelica Valdese e Metodista italiana ha approvato con un ordine del giorno la benedizione di coppie dello stesso sesso, “laddove la chiesa locale abbia raggiunto un consenso maturo e rispettoso delle diverse posizioni”.

Nell'esegesi biblica, la Chiesa valdese rifiuta l'approccio letteralista o fondamentalista, accostandosi piuttosto ai testi della Bibbia con il metodo storico-critico. Anche i testi vetero- o neotestamentari che condannano gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso, come tutti gli altri passi biblici, vengono contestualizzati nell'ambiente storico e sociale in cui furono scritti, e interpretati alla luce di un messaggio evangelico universale e sempre valido.

Diffusione attuale

Italia

Dopo molti secoli di dure persecuzioni, i valdesi hanno acquistato la libertà legale nel 1848, sotto Carlo Alberto. Da allora la Chiesa Valdese si è sviluppata e diffusa attraverso la penisola italiana. Durante l'occupazione nazista dell'Italia settentrionale nella seconda guerra mondiale, i valdesi italiani erano attivi nel portare la salvezza agli ebrei che sarebbero stati minacciati dallo sterminio imminente, nascondendo molti di loro nella stessa Val Pellice, territorio in cui gli antenati valdesi trovarono rifugio.

L'organo di stampa ufficiale è il settimanale Riforma.

Oggi i valdesi sono diffusi soprattutto in Piemonte, dove contano 41 Chiese (120 in tutta Italia) di cui 18 nelle cosiddette Valli valdesi, ed hanno il loro centro a Torre Pellice, in provincia di Torino. La città di Torino ha quattro Chiese valdesi. Ogni anno nell'ultima settimana di agosto, i deputati delle chiese locali ed i pastori si riuniscono a Torre Pellice, per dare luogo al Sinodo Valdese, massimo momento assembleare e decisionale nella vita delle chiese.

Da ricordare l'isola linguistico-religiosa di Guardia Piemontese in Calabria (CS), che fu fondata nel XII secolo da rifugiati valdesi provenienti da Bobbio Pellice in Piemonte. A Guardia Piemontese, la popolazione, pur non professando ormai la fede riformata valdese a seguito della strage del 1561 ad opera dell'inquisizione romana, parla ancora un dialetto provenzale. Affacciata sulla Piazza della strage, lungo le mura periferiche della città, la Porta del sangue ne testimonia la triste vicenda storica. Presente ed attiva è invece la comunità valdese di Dipignano, sempre in Calabria (CS), concentrata in un antico nucleo abitativo chiamato Doviziosi, dove da pochi anni ha anche acquistato dalla Curia la chiesa intitolata a sant'Ippolito, restaurandola e adibendola a proprio luogo di culto.

Negli ultimi decenni si è sviluppato, nonostante le diffidenze dovute alle vicende storiche, un certo dialogo ecumenico con la Chiesa cattolica, il cui risultato più concreto è stata l'intesa sui matrimoni misti negli anni novanta, mentre permangono ancora alcune distanze dal mondo cattolico riguardo alle questioni etiche e morali, ad esempio riguardo al riconoscimento da parte del Sinodo Valdese della legittimità dell'eutanasia.