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Lev Nikolàevič Tolstòj,
(Jàsnaja Poljana, 9 settembre 1828 – Astàpovo, 20
novembre 1910), è stato uno scrittore, drammaturgo,
filosofo, pedagogista, esegeta ed attivista sociale russo.
Divenuto celebre in patria grazie ad una serie di racconti giovanili
sulla realtà della guerra, il nome di Tolstoj acquisì
presto risonanza mondiale per il successo dei romanzi Guerra e pace
e Anna Karenina, a cui seguirono altre sue opere narrative sempre
più rivolte all'introspezione dei personaggi ed alla
riflessione morale. La fama di Tolstoj è legata anche al suo
pensiero pedagogico, filosofico e religioso, da lui espresso in
numerosi saggi e lettere che ispirarono, in particolare, la condotta
non-violenta dei tolstoiani e del Mahatma Gandhi.
Biografia
La vita di Tolstoj fu lunga e tragica, nell'accezione più
vera del termine, ossia nel senso che essa fu dominata da una
profonda, segreta tensione: la si potrebbe definire una tragedia
dell'anima.
Tolstoj ebbe un'incessante, tormentosa evoluzione interiore,
lottò con se stesso e con il mondo, e questa lotta, talora
impetuosa, alimentò senza sosta l'impulso creativo.
Perciò lo studio della sua vita, come ha scritto Igor
Sibaldi, richiede impegno e fatica:
« Lo sforzo lo richiede, e notevole, la
biografia tolstoiana: per non smarrirsi tra le sue fasi, tanto
radicalmente diverse l'una dall'altra, contraddittorie, e tanto
intense tutte, mai «minori» – giacché in ciascuna
di esse Tolstoj metteva immancabilmente tutto sé stesso [...]
»
Una traccia per accostarsi alla sua vita la offrì Tolstoj
stesso, quando scrisse, negli ultimi anni, che essa poteva essere
divisa in quattro periodi fondamentali:
« [...] quel primo tempo poetico,
meraviglioso, innocente, radioso dell'infanzia fino ai quattordici
anni. Poi quei venti anni orribili di grossolana depravazione al
servizio dell'orgoglio, della vanità e soprattutto del vizio.
Il terzo periodo, di diciotto anni, va dal matrimonio fino alla mia
rinascita spirituale: il mondo potrebbe anche qualificarlo come
morale, perché in quei diciotto anni ho condotto una vita
familiare onesta e regolata, senza cedere a nessuno dei vizi che
l'opinione pubblica condanna. Tutti i miei interessi però
erano limitati alle preoccupazioni egoistiche per la mia famiglia,
il benessere, il successo letterario e tutte le soddisfazioni
personali. Infine il quarto periodo è quello che sto vivendo
adesso, dopo la mia rigenerazione morale [...] »
Infanzia
Lev Nikolaevič Tolstoj nasce il 28 agosto 1828 nella tenuta Jasnaja
Poljana nel distretto di Ščëkino (governatorato di Tula). I
genitori sono d'antica nobiltà: la madre, di cinque anni
maggiore del marito, è la principessa Marja Nikolàevna
Volkonskaja (Jasnaja Poljana era la sua dote di matrimonio), mentre
il padre Nikolàj Il'ìč è discendente di
Pëtr Andreevič Tolstoj, che aveva ottenuto il titolo di conte
da Pietro il Grande.
La madre, di cui Lev non conserverà alcun ricordo, muore
quando egli ha appena due anni. Dopo qualche anno gli muore anche il
padre (corse voce che l'avessero avvelenato i suoi due servi
prediletti; Lev lo ricorderà come mite e indulgente)
lasciandolo precocemente orfano. Fu così allevato da alcune
zie molto religiose e da due precettori, un francese e un tedesco,
che diventeranno poi personaggi del racconto Infanzia.
Scriverà di sé:
« Chi sono io? Uno dei quattro figli di un
tenente colonnello in pensione, rimasto orfano a sette anni,
allevato da donne e da estranei e che, senza aver ricevuto alcuna
educazione mondana né intellettuale, a diciassette anni
è entrato nel mondo. »
Giovinezza e prime opere
Nel 1844 si iscrive all'università di Kazan' (nell'attuale
Tatarstan), prima alla facoltà di filosofia (sezione di studi
orientali, dove supera gli esami di arabo e turco), poi, l'anno
dopo, a quella di giurisprudenza, ma per via dello scarso profitto
non riuscirà mai ad ottenere la laurea; provvede quindi da
solo alla propria istruzione, ma questa formazione da autodidatta
gli provocherà spesso un senso di disagio in società.
La giovinezza dello scrittore è disordinata, tempestosa: a
Kazan passa le serate tra feste e spettacoli, perdendo grosse somme
al gioco d'azzardo (circa dieci anni dopo, a Baden-Baden,
perderà ancora rovinosamente al gioco e lo salverà
l'amico Turgenev concedendogli un prestito) ma intanto legge molto,
soprattutto filosofi e moralisti. Particolare influenza ha su di lui
Jean-Jacques Rousseau:
« Rousseau e il Vangelo hanno avuto un
grande e benefico influsso sulla mia vita. Rousseau non invecchia.
»
Non a caso, l'opera della conversione di Tolstoj, scritta trent'anni
dopo, si intitolerà appunto – similmente all'autobiografia
roussoniana – La confessione (1882). Autori come Rousseau, Sterne,
Puskin, Gogol insegnano allo scrittore in erba un principio
fondamentale: in letteratura sono importanti soprattutto la
sincerità e la verità.
Proprio sotto questi influssi nascono le opere letterarie di
Tolstoj: nel 1851 avviene la prima redazione del racconto Infanzia
(che uscirà sulla rivista di Nekrasov Sovremennik nel 1852,
firmato con le sole iniziali) e la stesura di un altro racconto,
incompiuto, Storia della giornata di ieri. Lo scopo di quest'ultimo,
secondo le parole dell'autore, era estremamente semplice ed insieme
complicatissimo, quasi irrealizzabile: «descrivere una
giornata, con tutte le impressioni e i pensieri che la
riempiono». Da questo germe si può già
intravedere lo sviluppo della possente pianta: tendenza
all'introspezione e alla vita reale. Tolstoj resterà fino
alla fine un incrollabile realista. L'immaginazione slegata dalla
realtà è quasi inesistente nei suoi libri. L'unica
possibilità di utilizzare la fantasia consiste
nell'elaborazione di qualche particolare, di qualche sfumatura che
appartiene però ad un oggetto assolutamente reale. Anche il
successivo racconto, pubblicato sempre su Sovremennik, è
ispirato a criteri di verità quasi naturalistici:
L'incursione (1853), che nasce dal ricordo di un'autentica
scorribanda compiuta da un battaglione russo in un villaggio
caucasico.
L'esperienza della guerra
Tra il 1851 e il 1853 Tolstoj, seguendo il fratello maggiore
Nikolaj, partecipa alla guerra nel Caucaso, prima come volontario,
poi come ufficiale d'artiglieria. Nel 1853 scoppia la guerra
russo-turca e – dietro sua richiesta – Tolstoj viene trasferito in
Crimea, a Sebastopoli, dove si combatte sul famoso quarto bastione.
Qui conduce la vita del soldato, combatte coraggiosamente, affronta
rischi d'ogni sorta, osserva tutto con attenzione, guarda in faccia
il pericolo, e tuttavia gli avvenimenti più tragici avvengono
dentro di lui: si sente inquieto, costantemente in bilico tra la
vita e la morte, ma col desiderio di dedicare la propria esistenza a
nobili ideali. Nel Diario del 1854 – anno in cui pubblica
Adolescenza (Отрочество [Otročestvo]) – annota: «La cosa
più importante per me è liberarmi dai miei difetti: la
pigrizia, la mancanza di carattere, l'irascibilità».
Nel marzo del 1855 decide finalmente riguardo al proprio destino:
«La carriera militare non fa per me, e prima me ne
tirerò fuori, per dedicarmi totalmente alla letteratura,
tanto meglio sarà».
La guerra di Crimea – cruenta e rovinosa per l'esercito russo –
lascia un solco profondo nel giovane Tolstoj e gli offre, d'altra
parte, abbondante materiale per una serie di racconti: il ciclo dei
tre Racconti di Sebastopoli (Севастопольские рассказы
[Sevastolpol'skie Rasskazi], 1855) e poi Il taglio del bosco (1855),
La tempesta di neve (1856) e I due ussari (1856). Ispirate alle
violenze della guerra, queste opere sconvolgono la società
russa per la spietata verità e l'assenza di qualsiasi forma
di romanticismo guerriero o di patriottismo sentimentale. Nessuno
prima di lui ha descritto la guerra in quel modo: è una voce
nuova nell'epoca d'oro della letteratura russa. Nel gennaio del
1856, Fëdor Dostoevskij scrive dalla Siberia ad un
corrispondente, parlando di Tolstoj: «mi piace molto, ma
secondo me non scriverà molto (ma del resto, chissà,
forse mi sbaglio)».
La censura esita ad autorizzare la pubblicazione dei tre Racconti di
Sebastopoli: cerca di vietare il secondo «per l'atteggiamento
derisorio nei confronti dei nostri coraggiosi ufficiali», ma
alla fine lascia correre, pur imponendo tagli e modifiche. Nel 1856
vengono raccolti in un unico volume con il titolo Racconti di
Guerra.
La sensibilità verso le miserie sociali
Nel 1856 Tolstoj assiste il fratello Dmitrij, che muore di tisi. Si
interessa poi per migliorare le condizioni dei contadini di Jasnaja
Poljana, ma questi sono diffidenti e rifiutano le sue proposte, come
accade al protagonista de La mattinata di un proprietario terriero,
racconto che Tolstoj pubblica in quell'anno, e come accadrà
anche al protagonista di Resurrezione, romanzo di molti anni
più tardi, di ispirazione parzialmente autobiografica.
Si apre per Tolstoj un periodo ricco di riflessioni, con ricerche,
viaggi, un crescente interesse per l'istruzione popolare e
l'attività di giudice di pace nelle contese tra proprietari e
contadini – proprio a cavallo dell'abolizione della servitù
della gleba (1861) – che stimolano in lui lo svilupparsi di una
particolare sensibilità verso le ingiustizie sociali.
Sul versante della produzione letteraria, nei nove anni che vanno
dai Racconti di guerra alla prima parte della grandiosa epopea
Guerra e pace (1865), lo scrittore pubblica diversi altri racconti:
Giovinezza (Юность [Junost'], 1857, ultimo della trilogia
comprendente Infanzia e Adolescenza), Tre morti (1858),
Al'bèrt (1858), Felicità familiare (1859), Idillio
(1861) e Polikuška (Поликушка, 1863).
Il 1863 è anche l'anno di pubblicazione de I cosacchi (Казаки
[Kazaki]) – opera ispirata ai ricordi del Caucaso e lungamente
rielaborata nel corso di un decennio – in cui sono evidenti gli echi
della lettura rousseauiana ed in cui si esprime, con entusiasmo, la
nostalgia per la vita a contatto con la natura, semplice e felice.
Intanto, lo scrittore viaggia per l'Europa, dove ha modo di
conoscere Proudhon, Herzen, Dickens. A sconvolgerlo sono gli abusi
del potere, la miseria dei poveri, la pena di morte, contro la quale
– dopo aver assistito a una condanna – prende posizione:
« [...] ho visto a Parigi decapitare un
uomo con la ghigliottina, in presenza di migliaia di spettatori.
Sapevo che si trattava di un pericoloso malfattore; conoscevo tutti
i ragionamenti che gli uomini hanno messo per iscritto nel corso di
tanti secoli per giustificare azioni di questo genere; sapevo che
tutto veniva compiuto consapevolmente, razionalmente; ma nel momento
in cui la testa e il corpo si separarono e caddero diedi un grido e
compresi, non con la mente, non con il cuore, ma con tutto il mio
essere, che quelle razionalizzazioni che avevo sentito a proposito
della pena di morte erano solo funesti spropositi e che, per quanto
grande possa essere il numero delle persone riunite per commettere
un assassinio e qualsiasi nome esse si diano, l'assassinio è
il peccato più grave del mondo, e che davanti ai miei occhi
veniva compiuto proprio questo peccato. »
Ma, non di meno, lo angoscia la vita russa, specialmente quella dei
contadini. In questi anni comincia così a manifestarsi, in
maniera sempre più evidente, una caratteristica fondamentale
della personalità tolstoiana: l'insoddisfazione di sé
stesso, della propria esistenza, della propria opera.
Come Olenin – l'eroe dei Cosacchi, che rifiuta la società
falsa ed ipocrita per rifugiarsi nel Caucaso – anche Tolstoj,
all'inizio degli anni sessanta, decide di abbandonare gli impegni
mondani, compresi quelli letterari, per rifugiarsi nella propria
tenuta, con l'intento di dedicarsi – nella scuola da lui stesso
fondata – all'istruzione dei bambini del villaggio.
Matrimonio e figli
Il 23 settembre 1862, dopo appena una settimana di fidanzamento,
sposa la diciottenne Sof'ja Andrèevna, seconda delle tre
figlie del medico di corte Bers. Lo scrittore, non volendole
nascondere nulla, le fa leggere, alla vigilia delle nozze, i suoi
diari intimi. La madre di Sof'ja, Ljubòv' Islàvina,
era stata amica d'infanzia di Tolstoj.
Avranno tredici figli, cinque dei quali morti in età precoce.
Guerra e pace
Il destino di Tolstoj, dopo il matrimonio, non poteva essere quello
di un tranquillo proprietario di campagna, tanto più che la
vita familiare, all'inizio felice, stimolava persino i suoi istinti
creativi: in sette anni portò a termine Guerra e pace (Война
и мир [Vojna i mir], 1863-1869). La scelta di un tema storico, di
fatti avvenuti cinquant'anni prima, non era un rifiuto a partecipare
ai dibattiti sulle "grandi riforme", sullo scontro tra liberali e
conservatori, sui primi attentati terroristici (o anarchici come
allora venivano chiamati), anzi era una risposta proprio a quei
dibattiti, agli attacchi dei democratici contro la struttura
nobiliare, alla campagna per l'emancipazione della donna.
Molte delle nuove idee furono accolte da Tolstoj con scetticismo. Il
suo ideale era una società "buona" e patriarcale, era la
purezza della vita secondo natura. In Guerra e pace Tolstoj
affrontò questioni fondamentali di carattere
storico-filosofico, come il ruolo del popolo e dell'individuo nei
grandi avvenimenti storici. Contrapponendo Napoleone a M.I. Kutuzov,
l'autore volle polemicamente dimostrare la superiorità di
Kutuzov, che aveva capito lo spirito delle masse e aveva afferrato
l'andamento degli eventi che vanno assecondati e non contrastati.
Le due linee centrali del romanzo sono indicate dal titolo stesso:
la "guerra" e la "pace". Attraverso l'intrecciarsi dei due motivi
nasce un'unità, una sintesi dell'estetico e dell'etico, una
summa della vita russa dell'inizio del XIX secolo, vista
dall'interno. Due sono le date entro cui scorrono gli avvenimenti:
il 1805, anno della prima, sfortunata campagna contro Napoleone che
si chiude con la sconfitta di Austerlitz, e il 1812, anno della
gloriosa guerra in patria che vede insorgere tutto il popolo russo
in difesa del territorio nazionale. E se l'ambiente sociale in cui
si muovono i protagonisti è l'alta nobiltà moscovita e
pietroburghese, il sostrato autentico verso cui tendono è il
popolo, la nazione contadina, per lo più passiva, ma che nei
momenti cruciali riesce a imporre la propria volontà.
Nel ritrarre la nobiltà, Tolstoj non nasconde il proprio
rifiuto, la propria intransigenza: pone da un lato il clan dei
depravati Kuragin, malvagi portatori di male, di corruzione, e
dall'altro i Rostov, serena immagine di una classe in declino,
incapace di gestirsi economicamente ma portatrice di valori ancora
accettabili. Su questo sfondo si stagliano i tre protagonisti, il
cui cammino spirituale sovrasta quelli di tutti gli altri
personaggi: il principe Andrej Bolkonskij, fin dalle prime pagine in
polemica con la società salottiera pietroburghese, è
attratto dal sogno di gloria di un atto eroico (battaglia di
Austerlitz), passa poi attraverso stadi di scetticismo e di
indifferenza per rinascere alla vita attraverso l'amore per Natasha.
La sua morte è un doloroso processo di illuminazione ed
elevazione spirituale, simile a quello di Ivan Il'ic.
Anche Pierre Bezuchov entra nel romanzo contestando le idee dei
nobili vicini alla corte: ma, personaggio più sensuale di
Andrej, viene inizialmente attratto dai falsi valori impersonati dai
Kuragin, che lo spingono a stravizi e a un matrimonio senza amore
con la bellissima Hélène, sorella del fatuo e corrotto
Anatole. Il desiderio di autoperfezionamento lo spinge verso la
massoneria, ma la maturazione profonda avviene a contatto con il
popolo di soldati-contadini durante la prigionia e soprattutto
attraverso l'incontro con Karataev, l'uomo giusto per eccellenza.
Pierre incarna il vero, profondo tema universale del romanzo (affine
in questo a Levin di Anna Karenina e a Nechljudov di Resurrezione):
il tema dell'eterna ricerca, del continuo conflitto tra la
realtà esterna, storica, e l'individuo che tende alla
purificazione interiore.
Nataša Rostova è una forza della natura, simbolo vivente di
una inafferrabile realtà politica, dell'"armonia del mondo"
secondo Tolstoj, e in questo senso estranea ai tormenti
intellettuali di Andrej. La sua spontaneità, la sua grazia, i
suoi impeti infantili si maturano faticosamente attraverso l'amore e
la morte di Andrej, la volgare seduzione di Anatole Kuragin, il
portatore del male che tenta anche lei, e infine l'incontro amoroso
con Pierre.
Anna Karenina
Il romanzo successivo, Anna Karenina (Анна Каренина, 1873-1877),
è un'opera aggressiva e polemica, che affronta gran parte dei
problemi sociali di quegli anni. L'azione del romanzo si svolge in
un ambiente che Tolstoj conosceva perfettamente: l'alta
società della capitale. Tolstoj denuncia tutte le segrete
motivazioni dei comportamenti dei personaggi, le loro ipocrisie e le
loro convenzioni, e forse, quasi senza volerlo, mette sotto accusa
non Anna, colpevole di aver tradito il marito, ma la società,
colpevole di averla spinta al suicidio.
La forza di Tolstoj artista si identificava con la potenza di
Tolstoj moralista, il quale toglieva a chiunque l'arbitrio di
giudicare, perché solo Dio può giudicare, come
è detto nelle bibliche parole dell'epigrafe: «A me la
vendetta, io farò ragione». Anna Karenina è
l'antecedente di tutta una serie di romanzi del XX secolo, costruiti
secondo i principi della psicoanalisi.
In molti punti il romanzo è autobiografico: nel personaggio
di Levin, dedito alla conduzione delle proprie terre e alla
famiglia, Tolstoj rappresenta se stesso, mentre in alcuni splendidi
personaggi femminili (non in Anna) sono riconoscibili certi tratti
della moglie, che peraltro aiutò Tolstoj nella stesura
dell'opera, consigliandolo su come far procedere la trama.
La conversione all'etica del Discorso della Montagna
Già in Anna Karenina Tolstoj si era accostato ad alcuni
tormentosi problemi connessi con la sua crisi di scrittore e con il
crollo dei valori dell'alta società che fino a poco tempo
prima gli erano sembrati indistruttibili. Tra la fine degli anni
settanta e l'inizio degli anni ottanta si sviluppò via via in
lui una profonda crisi spirituale ed una conseguente conversione
morale ai Vangeli e al Cristianesimo, dapprima in obbedienza alla
Chiesa ortodossa russa e successivamente (dal 1881, considerato da
Tolstoj l'anno d'inizio della sua autentica rigenerazione interiore)
in contrasto con essa: alla base del suo pensiero religioso
rimarrà il Vangelo, ma epurato di ogni elemento
soprannaturale, ponendo attenzione in particolare al Discorso della
Montagna, che diventerà il cardine del suo modo di intendere
la religione cristiana.
Accanto alle Sacre Scritture cristiane, Tolstoj meditava testi
orientali (ad esempio buddhisti e taoisti), oltre che filosofici
(tra cui Il mondo come volontà e rappresentazione), nella
affannosa ricerca di risposte ai propri dubbi esistenziali.
Abbracciò gradualmente una dieta vegetariana (per compassione
verso gli animali) e cercò di praticare uno stile di vita di
sobrietà e povertà. Il desiderio di non vivere nel
lusso, di non possedere alcunché, di non mangiare più
carne, tutte idee nient'affatto condivise dalla moglie di Tolstoj,
furono alla base di un lacerante ed interminabile conflitto
casalingo. La famiglia, pur continuando a stare insieme, si
"divise", per così dire, con le figlie – simpatizzanti per le
idee del padre – da una parte, e dall'altra i figli maschi, in
difesa della madre, la quale sempre più spesso si abbandonava
a crisi di isteria contro le nuove visioni etiche – per lei folli e
incomprensibili – del marito. Ad opporsi alle idee radicali di
Tolstoj fu anche Dostoevskij, che aveva elogiato Anna Karenina ma
non condivideva le concezioni non-violente del suo maggior rivale in
ambito letterario; i due narratori si scambiarono pubbliche critiche
e preferirono, per reciproca diffidenza, non incontrarsi mai di
persona.
Il 1880 è un anno che Tolstoj dedica pienamente allo studio
critico-filologico dei Vangeli. Nel 1881 Alessandro II viene
assassinato e Tolstoj scrive al successore, Alessandro III, per
esortarlo ad essere clemente con gli attentatori del padre. Ma la
richiesta non ha seguito: i colpevoli vengono impiccati e il nuovo
zar instaura un regime repressivo con deportazioni e massacri,
avvalendosi dell'okhrana, la polizia politica.
A partire dalla sua cosiddetta conversione, Tolstoj lavora
instancabilmente, sino alla morte, a numerose opere saggistiche ed
autobiografiche – oltre che narrative e drammaturgiche – di
carattere morale e religioso.
Trasferitosi con la famiglia a Mosca (dove rimarrà per
diversi anni), nel gennaio del 1882 decide di partecipare al
censimento della popolazione: è l'occasione per scoprire i
mille volti della miseria di città, non meno drammatica di
quella delle campagne. Queste esperienze tra i poveri saranno la
base per il saggio Che fare? (o Che cosa dobbiamo fare?) del
1886.[12]
Nella Confessione (1882) egli riferisce di aver attraversato, in
concomitanza con la crisi spirituale, una profonda depressione, che
stava per indurlo al suicidio, e di esserne uscito grazie all'idea
di una religione vissuta con umiltà e semplicità
insieme al popolo (da qui la critica alle filosofie elitarie e
pessimiste di Buddha, del Qoelet e di Schopenhauer, che in un primo
momento lo avevano attratto). Tolstoj descrive, in quest'opera che
ha la forma di un diario, le fasi della propria conversione morale,
avvenuta dapprima in linea con la Chiesa ortodossa e successivamente
evolutasi in quello che oggi definiremmo un cristianesimo anarchico,
cioè una fede dai forti tratti etici ma vissuta al di fuori
delle Chiese ufficiali ed anzi in contrasto con il clero e con i
tradizionali dettami dogmatici.
Pavel Aleksandrovič Florenskij scriverà a Tolstoj una lettera
appassionata, che probabilmente non gli verrà mai recapitata:
ha appena letto la Confessione e – in preda anch'egli ad una crisi
spirituale – ne raccoglie la provocazione.
Nell'opera teatrale La potenza delle tenebre (1886) Tolstoj descrive
la forza con cui l'egoismo ed il vizio possono avviluppare l'anima
umana, alla quale resta però sempre possibile il riscatto
morale.
In Della vita (o Sulla vita, 1887-1888) egli cerca di sintetizzare,
capitolo dopo capitolo, le riflessioni che sta raccogliendo in
questi anni sul senso della vita e della morte.
Lo scrittore, col maturare della "conversione" e lo svilupparsi
delle proprie riflessioni religiose, abbraccia con fervore ideali
radicalmente pacifisti, nella convinzione che solo l'amore e il
perdono, come insegnato dal Discorso della Montagna, possano unire
le genti e dar loro la felicità; queste idee vengono da lui
espresse, ad esempio, nella già citata Lettera allo zar
(1881) e nella Lettera a Enghelgardt (1882-1883), e sviluppate
ampiamente nei saggi In che consiste la mia fede (1884) e Il regno
di Dio è in voi (1893), culmine della conversione morale di
Tolstoj e fra gli antesignani della filosofia non-violenta
contemporanea.
Un impegno a tutto campo
«Improvvisamente, sotto la barba del mužik, sotto il
democratico camiciotto spiegazzato, apparì il vecchio signore
russo, il magnifico aristocratico» osservò Gor'kij, a
proposito di Tolstoj. Gor'kij definì Tolstoj «l'uomo
più complesso del XIX secolo».
Anton Čechov, a partire dal 1887, nutre un vivo interesse per le
idee di Tolstoj (nella foto i due siedono accanto). Lo va a trovare
nel 1895 a Jasnaja Poljana e scriverà che Tolstoj gli aveva
fatto «un'impressione meravigliosa. Mi sentivo a mio agio,
come a casa; le conversazioni con Lev Nikolaevič erano
liberissime».
Stimolata dall'impegno sociale, l'energia creativa dello scrittore
è più che mai fervida: nella seconda metà degli
anni ottanta essa produce alcuni tra i migliori racconti: Iljas
(1885), La morte di Ivan Il'ič (Смерть Ивана Ильича [Smert' Ivana
Il'iča], 1886), Il diavolo (1889-1890), la Sonata a Kreutzer
(1889-1890), e i drammi La potenza delle tenebre (Власть тьмы
[Vlast' t'my], 1886) e I frutti dell'istruzione (1886-1889). Degli
anni novanta sono Padrone e servo (1894-1895), Alioscia Gorsciok
(1896) e Padre Sergij (Отец Сергий, 1890-1898, pubblicato nel 1912).
Tolstoj si fa editore e – oltre alle proprie opere – inizia a
diffondere decine di milioni di copie di testi formativi (come ad
esempio la Didaché, i pensieri di Laozi e i Colloqui con se
stesso di Marco Aurelio) venduti per poche copeche al popolo russo.
La casa editrice è chiamata Posrednik (L'intermediario) e si
propone di «istruire il popolo russo».
Nell'estate del 1891 una grande carestia si abbatte sulle provincie
centrali e sud-occidentali della Russia, per via di una
siccità prolungata. In tale circostanza, Sof'ja è
molto vicina al marito nell'aiutarlo a mobilitare una catena
internazionale di soccorsi per i contadini che stanno morendo
letteralmente di fame[26], ma il conflitto fra i coniugi torna ad
inasprirsi subito dopo, quando Tolstoj trasmette ai giornali la sua
decisione di rinunciare ai diritti d'autore per le opere scritte
dopo la conversione.[12] Nello stesso anno, lo scrittore si reca a
Firenze per partecipare ad un convegno ecumenico dal titolo
Conferenze sulla fusione di tutte le Chiese cristiane, dove si
dichiara favorevole alla «proposta di fondere le Chiese
cristiane in una sola che abbia per capo il Papa di Roma e per base
la sua organizzazione esteriore nella formula cavouriana e per
fondamento del suo pensiero le massime di Cristo e
dell’Evangelo».
Intanto diventano sempre più tesi i rapporti con la censura e
con la Chiesa ortodossa: la Sonata a Kreutzer (in cui Tolstoj
intende, con la cronaca di un adulterio, esaltare indirettamente la
castità evangelica) supera il veto solo per intervento
personale di Alessandro III, dopo un incontro con la moglie dello
scrittore. La crescente irritazione dei circoli governativi ed
ecclesiastici è dovuta alle sue accese proteste contro le
persecuzioni delle minoranze religiose in Russia – come i doukhobors
(per la cui migrazione egli devolverà gli introiti di
Resurrezione) e i molokany –, alle sue roventi accuse contro la
nobiltà, contro le istituzioni statali, contro la falsa
morale dei potenti.
Del 1895 è Contro la caccia, a cui seguirà, qualche
anno dopo, Il primo gradino (1902). Entrambi gli scritti sono degli
accalorati manifesti in favore dei diritti degli animali e del
vegetarismo.
Nel 1896 scrive una Lettera agli italiani (che verrà
pubblicata solo molti anni dopo) contro la guerra italo-abissina e
nel 1899 una Lettera agli svedesi sulla renitenza alla leva.
Gli scritti saggistici e pubblicistici appaiono spesso meno concisi
e lineari rispetto alle opere del Tolstoj narratore, ma ciò
è dovuto al fatto che – desiderando egli dare maggiore
importanza al contenuto che alla forma, alla comunicazione piuttosto
che ai suoi modi – si proponeva di risultare il più chiaro
possibile, a rischio di ripetersi mille volte e di apparire
didascalico.
In Che cosa è l'arte? (1897) Tolstoj affida proprio all'arte
– intesa, nella sua forma più pura, come un'attività
di esortazione, attraverso i sentimenti, al bene ed ai valori di
fraternità – il compito di diffondere tra il popolo l'etica
dell'amore.
Nell'agosto del 1897 riceve una visita di più giorni da parte
di Cesare Lombroso, che desiderava incontrarlo. I due nuotano
insieme nella tenuta di Jasnaja Poljana, ma quando l'italiano inizia
a parlare delle proprie convinzioni sui criminali di nascita e sulla
pena come difesa sociale, Tolstoj esplode esclamando: «Tutto
ciò è delirio! Ogni punizione è
criminale!».
Nel luglio del 1898 chiede ad alcuni amici russi e finlandesi di
aiutarlo a fuggire in Finlandia, lontano dalla moglie e dalla
famiglia, ma il tentativo viene poi abbandonato.
Resurrezione
In Resurrezione (Воскресение [Voskresenie], 1889-1899) Tolstoj
descrive l'angoscia profonda dell'uomo di coscienza (e in primo
luogo dell'autore) stretto nel meccanismo della burocrazia statale,
nel ferreo "ordine delle cose". Il romanzo denuncia in particolare
la disumanità delle condizioni carcerarie e l'insensatezza
delle vigenti istituzioni giudiziarie. Qual è la via di
scampo? Un approccio radicale alla morale cristiana, intesa, quale
buona novella rivolta agli ultimi della società, come
iniziativa etica atta a migliorare concretamente la vita degli
uomini oppressi su questa terra, nello spirito del Discorso della
montagna ripetutamente citato da Tolstoj in quest'ultima sua grande
fatica narrativa. Nechljudov, il protagonista del romanzo, vive le
medesime rivoluzioni interiori dell'autore: l'iniziativa di donare
(o meglio, "restituire") i propri possedimenti terrieri ai
contadini, la volontà di rinunciare alla vita sfarzosa e
mondana e di dedicare la propria esistenza al servizio dei
dimenticati ed alla liberazione degli sfruttati e degli oppressi.
Anche Katiuša, la figura femminile con la quale e attraverso la
quale Nechljudov cerca un riscatto, compie un cammino di redenzione
morale, da prostituta a sposa. La "resurrezione" dei protagonisti
avviene quindi nell'accezione metaforica di una rinascita etica,
simile a quella vissuta (o perlomeno disperatamente cercata,
nonostante le contrapposizioni con la moglie e i familiari) dallo
stesso Tolstoj.
La nascita di un movimento
Tolstoj ricevette lettere e visite da persone di ogni età ed
estrazione sociale (tra cui Victor Lebrun) che avevano letto i suoi
scritti (molti dei quali proibiti dalla censura) e ne ammiravano il
pensiero morale e sociale.[12] Sulla spinta di Vladimir
Čertkòv (e non per iniziativa dello stesso Tolstoj, che era
scettico verso tutto ciò che assomigliasse ad una setta)
nacque la corrente del tolstoismo, ispirata all'etica
filosofico-religiosa di Tolstoj, ed i cui seguaci saranno poi
violentemente perseguitati sotto il regime comunista.
La scomunica
Il 20-22 febbraio 1901 il Santo Sinodo scomunicò Tolstoj per
le sue idee anarchico-cristiane e anarco-pacifiste. Konstantin
Pobedonostsev, procuratore del Sinodo, aveva chiesto anni prima di
rinchiudere con la forza Tolstoj in un monastero. Ma ormai lo
scrittore aveva raggiunto una fama enorme e le persecuzioni non
facevano che aumentarne la popolarità, tanto che la sua
eliminazione fisica era ritenuta imprudente dagli stessi vertici
politici, i quali si rendevano conto che in tal modo lo avrebbe reso
un martire scatenando grandi rivolgimenti sociali. Scrisse Suvorin:
« Che qualcuno provi solo a toccare
Tolstoj, il mondo intero urlerà e la nostra amministrazione
sarà costretta ad abbassare la cresta! »
Furono organizzati cortei di solidarietà in favore di Tolstoj
e la sua casa fu circondata da una folla osannante.[26] Lo scrittore
ribatté punto per punto alle accuse rivoltegli nel testo
della scomunica scrivendo una Risposta alla deliberazione del sinodo
(1902), in cui rivendicava il suo essere un onesto seguace di Cristo
e della verità.
Gli inizi del Novecento
L'ultimo decennio vede allinearsi una serie di piccoli capolavori
letterari, tra cui Chadži-Murat (Хаджи-Мурат, 1896-1904, pubblicato
nel 1912), La cedola falsa (1902-1904, pubblicato nel 1911), Dopo il
ballo (1903, pubblicato nel 1911), Appunti postumi dello starec
Fedor Kuz'mič (1905, pubblicato nel 1912), Il divino e l'umano[33]
(1905) e il dramma Il cadavere vivente (1900, pubblicato nel 1911).
In queste opere si avverte una continua oscillazione interiore: da
una parte la fede nell'amore universale, nell'avvento del regno
dell'armonia (il «Regno di Dio» in terra) attraverso
mezzi pacifici, dall'altra la constatazione dell'estrema distanza
tra tale avvento e la realtà. Così – se da un lato
c'è l'ideale del contadino che tutto perdona e tutto sopporta
e del perfezionamento morale come unica possibile salvezza –
dall'altro ci sono le contraddizioni della realtà concreta in
cui Tolstoj vive.
Nel 1900, dopo l'assassinio del re d'Italia Umberto I per mano
dell'anarchico Gaetano Bresci, Tolstoj scrive l'articolo Non
uccidere.
Nel 1901 lo scrittore è candidato al Premio Nobel per la
letteratura e gli osservatori lo danno per favorito, tanto che
Tolstoj si affretta a scrivere ad un giornale svedese perché
l'importo della vincita sia devoluto ai doukhobors (ai quali egli
aveva già donato gli introiti di Resurrezione), ma il premio
viene poi assegnato a Sully Prudhomme.
Allo scoppio della guerra russo-giapponese, lo scrittore invoca con
forza la pace (Contro la guerra russo-giapponese, 1904), ma proprio
suo figlio Andrej, ventiseienne, si arruola come volontario per
combattere al fronte, suscitando lo sdegno del padre; tuttavia
Andrej verrà congedato dall'esercito, dopo qualche mese, per
disturbi nervosi.
L'anno successivo, davanti alla Rivoluzione russa del 1905 Tolstoj
implora:
« C'è una sola cosa da fare: placare
l'ostilità, senza parteggiare per nessuno, distogliere la
gente dalla lotta e dall'odio perché tutto questo sa di
sangue. »
Egli profonde le sue ultime energie nel cercare di comprendere i
drammatici avvenimenti d'inizio secolo e nell'insistere a chiedere –
come una voce che grida nel deserto – delle soluzioni di pace ad un
mondo che scivola verso l'abisso del conflitto globale (Divino e
Umano, 1905; Perché?, 1906; Sull'annessione della Bosnia e
dell'Erzegovina all'Austria, 1908; Chi sono gli assassini,
1908-1909).
Del 1908 è la Lettera a un indù, che viene apprezzata
e diffusa da Gandhi, il quale inizierà, l'anno successivo,
uno scambio epistolare con Tolstoj.
Nel 1909 lo scrittore tenta – con appelli alla Duma di Stato e a
Stolypin – di convincere il governo ad abolire la proprietà
privata della terra, onde scongiurare una grande rivoluzione, che
egli reputa imminente.[ Nel luglio dello stesso anno, riceve un
invito al congresso della pace a Stoccolma ed inizia a preparare una
conferenza; ma la moglie si oppone alla sua partenza, minacciando –
come altre volte – il suicidio e costringendo Tolstoj a restare a
casa.
La fuga e la morte
Desideroso di compiere il tanto vagheggiato "salto" decisivo col
quale avrebbe lasciato tutto per Cristo, Tolstoj mise finalmente in
pratica il progetto di andarsene di casa. Il crescendo di liti con
la moglie e con i figli (da parte dei quali aveva il terrore di
subire violenze atte a fargli redigere in loro favore un testamento)
gli causava del resto enormi sofferenze. Così, nella notte
del 28 ottobre 1910, dopo essersi accorto che la moglie frugava di
nascosto fra le sue carte, lo scrittore, sentendosi più che
mai oppresso, si allontanò di soppiatto da Jasnaja Poljana,
dirigendosi verso la Crimea su treni di terza classe, accompagnato
dal medico personale Dušàn Makovitskij, il quale gli era
anche amico fidato.
Sulla sua scrivania – a testimoniare le paure degli ultimi giorni –
era rimasta aperta una copia dei Fratelli Karamàzov di
Dostoevskij al punto in cui il figlio si abbandona alle vie di fatto
con il padre. Lasciò scritte queste parole per la moglie:
« Ti ringrazio per i quarantotto anni di
vita onesta che hai passato con me e ti prego di perdonarmi tutti i
torti che ho avuto verso di te, come io ti perdono, con tutta
l'anima, quelli che tu hai avuto nei miei riguardi. »
Durante il viaggio, a causa del freddo e della vecchiaia, lo
scrittore ben presto si ammalò gravemente di polmonite e non
poté andar oltre alla stazione ferroviaria di Astapovo.
Accorsero parenti, amici (tra cui il suo segretario Valentin
Bulgakov) e giornalisti ad attorniare il morente.[5] Febbricitante,
Tolstoj dettò alla figlia Aleksandra (la prima tra i
familiari ad averlo raggiunto) questi pensieri per il Diario:
« Dio è quell'infinito Tutto, di cui
l'uomo diviene consapevole d'essere una parte finita. Esiste
veramente soltanto Dio. L'uomo è una Sua manifestazione nella
materia, nel tempo e nello spazio. Quanto più il manifestarsi
di Dio nell'uomo (la vita) si unisce alle manifestazioni (alle vite)
di altri esseri, tanto più egli esiste. L'unione di questa
sua vita con le vite di altri esseri si attua mediante l'amore. Dio
non è amore, ma quanto più grande è l'amore,
tanto più l'uomo manifesta Dio, e tanto più esiste
veramente. »
Le sue ultime parole furono: «Svignarsela! Bisogna
Svignarsela!» E: «La verità... Io amo tanto...
come loro...»
Fu impedito alla moglie di avvicinarsi al capezzale se non poco
prima che egli spirasse e quand'era ormai già privo di
conoscenza, la mattina del 7 novembre 1910.
In riferimento a Tolstoj sul letto di morte, Boris Pasternak
scrisse:
« In un angolo non giaceva una montagna, ma
un vecchietto raggrinzito, uno di quei vecchi creati da Tolstoj, da
lui descritti e fatti conoscere a decine nelle sue pagine.
Tutt'intorno crescevano giovani abeti. Il sole al tramonto segnava
la camera con quattro fasci di luce obliqui... »
La sepoltura
Fu sepolto nei pressi della sua casa. La tomba è
semplicissima, con il cumulo di terra e la sola erba, senza croce,
senza nome, sull'orlo di un piccolo burrone. Aveva indicato lui il
luogo, lo stesso nel quale era sepolto – ricordo dell'amato fratello
maggiore Nikolaj – un "bastoncino verde" simbolo delle speranze
dell'umanità, come raccontato da Tatiana:
« Sapete perché mio padre è
seppellito ai piedi di un poggio, all'ombra di vecchie querce, nella
foresta di Jasnaja Poljana? Perché quel luogo era legato a un
ricordo [...] Il maggiore dei figli Tolstoj, Nikolaj [...] aveva
confidato di avere interrato in un angolo della foresta un
bastoncino verde sul quale c'era scritta una formula magica. Chi
avesse scoperto il bastone e se ne fosse impossessato, avrebbe avuto
il potere di rendere felici tutti gli uomini. L'odio, la guerra, le
malattie, i dolori, sarebbero scomparsi dalla faccia della terra
[...]. »
Opere
* I Cosacchi (in russo Казаки) è un racconto lungo scritto da
Lev Tolstoj e pubblicato nel 1863 sulla rivista russa “Il
Messaggero”.
Stesura dell'opera
Dal 1851 al 1854, Tolstoj soggiornò nei territori del Caucaso
come allievo ufficiale. Dobbiamo verosimilmente alla forte influenza
che il nuovo stile di vita suscitò in lui il concepimento
primigenio de I Cosacchi e, conseguentemente, la prima redazione del
racconto, risalente al 1852, come l'autore stesso ci indica nel
sottotitolo (“Racconto caucasico del 1852”). È certo che in
un primo momento la trama e la forma stilistica non soddisfecero i
desideri di Tolstoj, che negli appunti del 18 agosto 1857 – uno
degli anni in cui si interessò maggiormente a I Cosacchi –
scriveva: «Non sono per niente contento del Racconto del
Caucaso. Non posso scrivere senza idee. E l'idea che il bene
è il bene in ogni sfera, che le passioni sono uguali
dappertutto, che lo stato selvaggio è buono, è
insufficiente. Sarebbe anche bene se facessi mio quest'ultimo punto.
È l'unica via d'uscita.» La stesura dell'opera fu
quindi tormentata e lenta, di certo contrassegnata da frequenti
blocchi dello scrittore. Riferiva Tolstoj all'amico Pavel Annekov di
aver tentato di scrivere il racconto con quattro stili differenti
(utilizzando addirittura i versi, segno che l'opera era inizialmente
concepita come un poemetto). Molteplici sono i titoli che Tolstoj
intendeva affibbiare alla sua opera (da Diario di un ufficiale del
Caucaso a Il fuggiasco). Sappiamo che l'autore concluse
definitivamente l'ultima stesura nel 1862, precisamente il 23
settembre, in seguito, cioè, al matrimonio con Sonja Bers.
L'opera venne pubblicata da Il Messaggero Russo l'anno successivo.
Trama
Il protagonista Olenin – riflesso letterario di Tolstoj –,
lasciatosi alle spalle gli sfarzosi modi di vivere moscoviti, decide
di partire per il Caucaso e di soggiornarvi in qualità di
allievo ufficiale. A contatto con la popolazione dei cosacchi,
insediata in un villaggio poco discosto dal fiume Terek, Olenin si
abitua in maniera graduale al nuovo ambiente umile e selvaggio, al
punto che lo sconvolgimento delle attività consuetudinarie si
ripercuote sulla sua filosofia di vita. Egli sente di essere
improvvisamente attratto dalla natura, in cui riconosce l'unico
mezzo di sublimazione spirituale, e invidia in una certa misura i
temperamenti semplici e genuini del cacciatore Eroška e del giovane
Lukaška. Innamoratosi della bella Mar'janka, promessa sposa a
Lukaška, Olenin prova in ogni maniera a catturare le sue attenzioni.
Armatosi di coraggio, dopo l'omicidio di Lukaška per mano di un
abrek, chiede la mano di Mar'janka, la quale rifiuta sdegnosamente
il suo amore. Olenin, perdutamente innamorato della ragazza, decide
di lasciare il Caucaso e comprende che la sua vita è
inscindibilmente legata alla Russia. Eroška sarà l'unico a
salutarlo con calore.
Tematica principale
Come in diversi altri saggi ed opere, Tolstoj rimarca il bisogno
umano di nobilitare lo spirito, stavolta proponendo la natura quale
possibile via soteriologica. Il finale quasi tragico dell'opera
mette a nudo, infine, l'impossibilità di realizzare tale
proposito. Scrive Gianlorenzo Pacini, docente di letteratura russa
all'Università di Siena, nell'Introduzione a “I Cosacchi”
(edita da Arnoldo Mondadori Editore): «Come cercatore
appassionato di Dio e della verità, insofferente
dell'angoscia e della scissione, della contraddizione e del dubbio,
Tolstoj accarezzò sempre il sogno panteista di placare
nell'abbraccio della gran madre natura le inquietudini della sua
coscienza tormentata. L'incontro con il mondo cosacco dovette
costituire per lui una chiara quanto tempestiva presa di coscienza
del fatto che da quella parte la strada era chiusa, che non si
poteva placare il dubbio semplicemente ignorandolo, che non si
poteva scavalcare la coscienza per tornare all'immediatezza
dell'essere.»
* Guerra e pace (in russo: Война и мир, Vojna i mir; nell'ortografia
originale: Война и миръ, Vojna i mir) è un romanzo storico di
Lev Tolstoj.
Pubblicato per la prima volta tra il 1865 ed il 1869 sulla rivista
Russkij Vestnik, riguarda la storia di due famiglie, i Bolkonskij e
i Rostov, durante la campagna napoleonica in Russia (1812). Tolstoj
paragonava la sua opera alle grandi creazioni omeriche, e nella sua
immensità Guerra e pace si potrebbe dire un romanzo infinito,
nel senso che l'autore sembra essere riuscito a trovare la forma
perfetta con cui descrivere in letteratura l'uomo nel tempo. Denso
di riferimenti filosofici, scientifici e storici, il racconto sembra
unire la forza della storicità, e la precisione drammaturgica
(persino di Napoleone si fa un ritratto indimenticabile) ad un
potente e lucido sguardo metafisico che domina il grande flusso
degli eventi, da quelli colossali (come la battaglia di Borodino) a
quelli più intimi.
Per la precisione con cui i diversissimi piani del racconto si
innestano all'interno del grande disegno monologico e filosofico
dell'autore, Guerra e pace potrebbe definirsi la più grande
prova di epica moderna, e un vero e proprio "miracolo" espressivo e
tecnico. "Guerra e pace" è considerato da molti critici un
romanzo storico (tra i più importanti di tutte le
letterature), in quanto offre un ampio affresco della nobiltà
russa nel periodo napoleonico; Tolstoj stesso amava paragonarlo
all'"Iliade" di Omero.
Rapportato al suo tempo, Guerra e pace proponeva un nuovo tipo di
narrativa, in cui un gran numero di personaggi costituivano una
trama in cui si dipanavano niente meno che i due capitali soggetti
ricordati nel titolo, combinati con argomenti altrettanto vasti,
quali gioventù, vecchiaia e matrimonio. Benché oggi
sia senz'altro giudicato un romanzo, esso infrangeva così
tante convenzioni di tale genere, che molti critici coevi non
ritenevano di potervelo annoverare. Tolstoj stesso indicava nel
successivo Anna Karenina (1878), il suo primo tentativo di dar vita
ad un romanzo nel senso europeo.
Controversie sul significato del titolo
Le parole russe per "pace" (pre-1918: "миръ" ) e "mondo" (pre-1918:
"міръ", che include il significato di "mondo" nell'accezione di
"società secolare") sono omonime, e fin dalla riforma
dell'ortografia russa del 1918 si scrivono allo stesso modo, il che
ha dato origine alla leggenda metropolitana diffusasi in Unione
Sovietica che il manoscritto in principio si chiamasse "Война и
міръ" (e quindi il titolo del romanzo dovesse essere correttamente
tradotto come "Guerra e mondo", oppure "Guerra e società").
A far giustizia di un tale equivoco, il fatto che Tolstoj stesso
ebbe a tradurre il titolo della sua opera in lingua francese con
l'eloquente espressione "La guerre et la paix". Una parte di
responsabilità di questa confusione va fatta ricadere sulla
popolare trasmissione televisiva a "quiz" sovietica Čto? Gde? Kogda?
(Что? Где? Когда? – Cosa? Dove? Quando?), che nel 1982
presentò come "risposta esatta" la variante semantica
"società", fondandosi su un'edizione del 1913 che conteneva
un refuso in una pagina isolata. L'episodio si replicò nel
2000, alimentando ulteriormente la diceria.
Per converso, esiste una poesia di Vladimir Majakovskij, composta
nel 1913, denominata "Война и міръ" (cioè "міръ" quale
"società"), che peraltro non ha alcuna relazione con il testo
di Tolstoj.
Origine
Tolstoj intendeva inizialmente scrivere un romanzo sulla rivolta
decabrista. La sua investigazione sulle cause di quei moti lo
condusse a riesaminare l'invasione napoleonica della Russia del 1812
(già rammentata) e – più in generale – la complessiva
storia di detta guerra.
Lingua
Sebbene la maggior parte del libro sia scritta in russo,
significativi brani di dialogo – compreso l'incipit del romanzo –
sono scritti in francese. Questa scelta rifletteva la realtà
d'uso dell'aristocrazia russa nell'Ottocento, che usava la lingua
franca delle classi colte europee, secondo i dettami della "buona
società". Lo stesso Tolstoj fa riferimento a un gentiluomo
russo costretto, da adulto, a prendere lezioni della sua lingua
madre nazionale. Meno realisticamente, ma seguendo un consolidato
uso letterario, i francesi descritti nel romanzo (Napoleone
compreso) talora si esprimono in francese, talaltra in russo.
Introduzione alla trama
Il libro racconta la storia di alcune famiglie aristocratiche russe,
e la loro reciproca interazione. Più procedono gli eventi,
più Tolstoj nega ai protagonisti ogni facoltà di
scelta: tragedia e felicità vengono rigidamente determinati
da una sorta di fato, o – se si vuole – necessità immanente.
Il testo russo standard è diviso in quattro libri (quindici
parti) e due epiloghi. Mentre approssimativamente i primi due terzi
del romanzo hanno ad oggetto personaggi rigorosamente di fantasia,
le ultime parti – ed anche uno dei due epiloghi – si cimentano
sempre più spesso in saggi molto controversi sulla natura
della guerra, del potere politico, della storia e della
storiografia. Tolstoj interpolò questi saggi con il racconto
in un modo che sfida la fiction convenzionalmente intesa. Alcune
versioni ridotte tolsero del tutto questi saggi, mentre altre
(pubblicate quando l'autore era ancora in vita) si limitarono a
trasferirli in un'appendice.
Trama
Guerra e pace mescola personaggi di fantasia e storici; essi vengono
introdotti nel romanzo nel corso di una soirée presso Anna
Pavlovna Scherer nel luglio 1805. Pierre Bezuchov è il figlio
illegittimo di un conte benestante che sta morendo di ictus: egli
rimane inaspettatamente invischiato in una contesa per
l'eredità del padre. L'intelligente e sardonico principe
Andrej Bolkonskij, marito dell'affascinante Lise, trova scarso
appagamento nella vita di uomo sposato, cui preferisce il ruolo di
aiutante di campo (aide-de-camp) del generale Michail Illarionovič
Kutuzov nell'imminente guerra contro Napoleone. Apprendiamo pure
dell'esistenza della famiglia moscovita dei Rostov, di cui fanno
parte quattro adolescenti. Fra loro, s'imprimono soprattutto nella
memoria le figure di Natalija Rostova ("Nataša") – la vivace figlia
più giovane – e di Nikolaj Rostov– il più anziano ed
impetuoso. Alle Colline Bald, il principe Andrej affida al proprio
eccentrico padre, ed alla mistica sorella Marja Bolkonskaja, sua
moglie incinta e parte per la guerra.
Situazione strategica dell'Europa all'inizio del romanzo
Uno dei personaggi centrali di Guerra e pace è senz'altro
Pierre Bezuchov. Ricevuta un'eredità inattesa, è
improvvisamente oberato dalle responsabilità e dai conflitti
propri di un nobile russo. Il suo precedente comportamento
spensierato svanisce, rimpiazzato da un dilemma tipico della poetica
di Tolstoj: come si dovrebbe vivere, in armonia con la morale, in un
mondo imperfetto? Si sposa con Hélène, la bella ed
immorale figlia del principe Kuragin, andando contro il suo stesso
miglior giudizio. Preso dalla gelosia affronta in un duello il suo
presunto rivale e malgrado non abbia mai impugnato una pistola lo
vince. Si separa dalla moglie lasciandole metà del patrimonio
quando in preda a riflessioni e sommerso da dubbi sulla vita
incontra i massoni e ne diventa confratello. Pieno di buone
intenzioni tenta di liberare i suoi contadini o servi della gleba ma
viene imbrogliato dai suoi amministratori e non ottiene niente per
migliorare le loro condizioni di vita, tenta anche di migliorare i
suoi fondi agrari, ma in definitiva non ottiene risultati.
L'inizio della campagna di Russia
Il principe Andreij, la cui moglie Lise è nel frattempo morta
di parto, rimane gravemente ferito durante la sua prima esperienza
guerresca. Decide, in seguito a profonde riflessioni, di dedicarsi
all'amministrazione delle sue proprietà; è in questo
periodo che inizia a frequentare la casa dei Rostov e si innamora,
ricambiato, della giovane Nataša. Amore osteggiato dal vecchio padre
di lui, la cui reticenza fa decidere al principe Andrej di separarsi
per un anno da Nataša, in attesa che il loro amore si consolidi.
Durante quest'intervallo Hélène e suo fratello Anatole
tramano per far sì che quest'ultimo seduca e disonori la
giovane e bella Nataša Rostova. Il piano fallisce in extremis; ma
Andrej, venutone a conoscenza, ripudia Nataša, che cade in una
profonda depressione; tuttavia, per Pierre, è causa di un
importante incontro con la giovane Rostova.
Quando Napoleone invade la Russia, Pierre osserva la Battaglia di
Borodino da distanza particolarmente ravvicinata, sistemandosi
dietro agli addetti di una batteria di artiglieria russa, ed
apprende quanto la guerra sia realmente sanguinosa ed orrida. Quando
la Grande Armata occupa Mosca – in fiamme ed abbandonata – Pierre
intraprende una missione donchisciottesca per assassinare Napoleone,
e viene fatto prigioniero di guerra. Dopo essere stato testimone del
saccheggio perpetrato dai francesi su Mosca, con relative
fucilazioni di civili, Pierre è costretto a marciare con le
truppe nemiche nella loro disastrosa ritirata. Successivamente viene
liberato da una banda russa che sta conducendo un'incursione. Sua
moglie muore durante gli ultimi penosi sussulti dell'invasione
napoleonica e Pierre si riavvicina a Nataša mentre i russi vincitori
ricostruiscono Mosca. Pierre conosce finalmente l'amore e sposa
Nataša, mentre Nikolai sposa Maria Bolkonskaja. Andrej, innamorato
anch'egli di Nataša, rimane ferito nel corso dell'invasione
napoleonica ed alla fine muore dopo essersi ricongiunto a Nataša
prima della fine della guerra.
Tolstoj ritrae con efficacia il contrasto tra Napoleone ed il
(già ricordato) generale russo Kutuzov, sia in termini di
personalità, sia sul piano dello scontro armato. Napoleone
fece la scelta sbagliata, preferendo marciare su Mosca ed occuparla
per cinque fatali settimane, quando meglio avrebbe fatto a
distruggere l'esercito russo in una battaglia decisiva. Kutuzov
rifiutò di sacrificare il proprio esercito per salvare Mosca:
al contrario, dispose la ritirata e permise ai francesi
l'occupazione della città. Una volta dentro a Mosca, la
Grande Armée si disperse, occupando abitazioni più o
meno a casaccio; la catena di comando collassò, e
(ineluttabilmente, a giudizio di Tolstoj) ne derivò la
distruzione di Mosca a causa di un incendio.
Ritirata francese nel 1812
Tolstoj spiega che ciò era inevitabile, perché quando
una città costruita in buona parte in legno è lasciata
in mano a stranieri, che naturalmente cuociono cibi, fumano pipe e
tentano di scaldarsi, necessariamente si attizzano dei focolai. In
assenza di un qualche servizio antincendio organizzato, questi roghi
avrebbero arso buona parte della città. Dopo gli incendi,
l'esercito francese, prossimo allo sbando, tenterà di
guadagnare la via di casa, subendo però la durezza
dell'inverno russo e le imboscate dei partigiani locali.
Napoleone prese la sua carrozza, con una muta di cavalli veloci, e
partì alla testa dell'esercito, ma la maggior parte dei suoi
non avrebbe più rivisto la patria. Il generale Kutuzov
è convinto che il tempo sia il suo più valido alleato:
continua a procrastinare la battaglia campale, mentre in effetti i
francesi sono decimati dalla loro penosa marcia verso casa. Sono poi
pressoché annientati quando i cosacchi sferrano l'attacco
finale, proprio mentre i francesi si trascinano verso Parigi.
* Anna Karenina (in russo Анна Каренина) è un romanzo di Lev
Tolstoj che fu pubblicato per la prima volta nel 1877. Il romanzo
apparve inizialmente a puntate nel periodico Il messaggero russo
(Ruskii Vestnik) a partire dal 1875, ma nel 1877 gli viene
pubblicato solo un sunto di poche righe della fine del romanzo, e
Tolstoj, che lì aveva preso delle posizioni antinazionaliste,
è costretto a far pubblicare a proprie spese e separatamente
l'ottava parte.
Tolstoj vedeva in questo libro, considerato un capolavoro del
realismo, il suo primo vero romanzo. Per la stesura di Anna Karenina
egli trasse ispirazione da I racconti di Belkin dello scrittore e
poeta russo Aleksandr Sergeevič Puškin.[2] Nel 1887 lo stesso
Tolstoj circa l'inizio di Anna Karenina affermò di avere
immaginato, mentre era sdraiato sul divano, un «nudo gomito
femminile di un elegante braccio aristocratico», e che da
lì fu così perseguitato da quell'immagine da doverne
creare un'incarnazione.[3]
Sebbene la maggior parte della critica russa stroncasse il romanzo
fin dalla prima pubblicazione, definendolo «un romanzo frivolo
dell'alta società[4]», secondo lo scrittore russo
Fëdor Michajlovič Dostoevskij «Anna Karenina in quanto
opera d'arte è la perfezione... e niente della letteratura
europea della nostra epoca può esserle paragonato[5]».
La sua opinione fu condivisa da Vladimir Vladimirovič Nabokov, che
lo definì «il capolavoro assoluto della letteratura del
XIX secolo[6]».
Trama
Il romanzo è suddiviso in otto parti.
Prima parte
La prima parte introduce la figura di Stepan Arkad'ič Oblonskij
("Stiva"), un ufficiale civile che ha tradito la moglie Dar'ja
Aleksandrovna ("Dolly"). La vicenda di Stiva mostra la sua
personalità passionale che sembra non poter essere repressa.
Per questa ragione, Anna Karenina, la sorella sposata di Stiva,
viene chiamata da San Pietroburgo da Stiva per persuadere Dolly a
non lasciarlo. Appena giunta a Mosca, un operaio della ferrovia
muore accidentalmente investito da un treno, e ciò fa
presagire la morte di Anna stessa. Nel frattempo, un amico di
infanzia di Stiva, Konstantin Dmitrič Levin, arriva a Mosca per
chiedere la mano della sorella minore di Dolly, Katerina
Aleksandrovna Ščerbackaja ("Kitty"). Il giovane, serio
aristocratico, vive in una tenuta che gestisce lui stesso. Kitty
rifiuta, aspettando una proposta di matrimonio dall'ufficiale
dell'esercito Aleksej Kirillovič Vronskij. Nonostante la sua
infatuazione per Kitty, Vronskij non ha intenzione di sposarsi,
finché non incontra Anna in stazione, dove aspettava l'arrivo
della madre. Anna, scossa dalla propria reazione alle attenzioni di
Vronskij, ritorna immediatamente a San Pietroburgo. Vronskij la
segue sullo stesso treno. Levin ritorna al suo podere, abbandonando
ogni speranza di matrimonio e Anna ritorna a San Pietroburgo da suo
marito Aleksei Aleksandrovič Karenin, un ufficiale governativo, e da
suo figlio Serëža.
Seconda parte
Nella seconda parte, Karenin rimprovera Anna per le sue lunghe
conversazioni con Vronskij, ma ciononostante dopo poco lei asseconda
l'affetto che Vronskij le dimostra, rimanendo incinta. Quando
Vronskij cade da cavallo durante una gara, l'angoscia provata da
Anna rende palesi i suoi sentimenti al marito, per cui si vede
costretta a confessargli la relazione. Quando Kitty apprende di non
avere più possibilità con Vronskij, decide di partire
per la Germania, in una località termale, per riprendersi
dallo choc. Qui conosce la giovane Varen'ka, che diventa per lei un
modello spirituale.
Terza parte
La terza parte narra la vita rurale di Levin nella sua tenuta,
un'ambientazione legata intimamente ai suoi pensieri e alle sue
lotte interiori. Dolly, incontrando Levin, cerca di far rivivere i
suoi sentimenti per Kitty, apparentemente senza risultati,
finché Levin, rivedendola di sfuggita, capisce di essere
ancora innamorato di lei. Tornato a San Pietroburgo, Karenin,
rifiutando di separarsi da Anna, la mette in una situazione molto
frustrante, minacciandola di non lasciarle più vedere
Serëža, nel caso se ne vada con Vronskij o commetta dei passi
falsi.
Quarta parte
Nella quarta parte, Karenin inizia a trovare la situazione
intollerabile e comincia a valutare la possibilità di
divorziare. Il fratello di Anna, Stiva, cerca di dissuaderlo,
invitandolo a parlarne con Dolly. Quest'ultima iniziativa sembra di
nuovo non sortire alcun effetto, ma Karenin cambia idea dopo aver
saputo che Anna sta morendo per complicazioni dovute al parto. Al
suo capezzale, Karenin perdona Vronskij, che cerca di suicidarsi per
il rimorso. Anna comunque migliora, e chiama sua figlia Anna
("Annie"). Stiva ora cerca di far divorziare Karenin. Vronskij in un
primo tempo decide di fuggire a Tashkent, ma cambia idea dopo aver
visto Anna e insieme decidono di partire per l'Europa, senza aver
ottenuto il divorzio. Molto più immediato è il
risultato degli sforzi di Stiva per combinare un incontro con Levin
e Kitty: i due si riconciliano e si fidanzano.
Quinta parte
Nella quinta parte, Levin e Kitty si sposano. Pochi mesi dopo, Levin
scopre che suo fratello Nikolaj sta morendo. La coppia si reca dal
moribondo, di cui Kitty si occupa fino alla morte, scoprendo nel
frattempo di essere incinta. In Europa, Vronskij e Anna fanno molta
fatica a trovare degli amici che li accettino, continuando a
dedicarsi a passatempi, finché non tornano in Russia. Karenin
è consolato e influenzato dalla contessa Lidija Ivanovna, di
lui innamorata, entusiasta della religione e delle credenze mistiche
di moda nelle classi sociali più elevate, che gli consiglia
di tenere Serëža lontano dalla madre. Anna riesce lo stesso a
fargli visita il giorno del suo compleanno, ma è scoperta da
Karenin, che aveva detto a Serëža che Anna era morta. Poco
dopo, lei e Vronskij partono per la campagna.
Sesta parte
Nella sesta parte, Dolly si reca da Anna e, su richiesta di
Vronskij, le chiede di cercare di divorziare da Karenin. Ancora una
volta, le parole di Dolly sembrano non sortire alcun effetto, ma
quando Vronskij parte per alcuni giorni, la noia e il sospetto
convincono Anna della necessità di un matrimonio con lui:
scrive a Karenin e parte con Vronskij per Mosca.
Settima parte
Nella settima parte, i Levin sono a Mosca per il parto di Kitty, che
dà alla luce un bambino. Stiva, mentre cerca l'appoggio di
Karenin per un nuovo lavoro, gli chiede nuovamente di divorziare da
Anna. Oramai le decisioni di Karenin sono guidate da una sorta di
chiaroveggente, raccomandato da Lidija Ivanovna, che gli consiglia
di rifiutare il suggerimento di Stiva. La relazione tra Anna e
Vronskij inizia ad essere sempre più tesa, dominata dal
risentimento provocato da un'ingiustificata ed esasperata gelosia da
parte della donna. I due decidono di tornare in campagna, ma Anna,
mentre Vronskij si trova fuori, in uno stato di forte confusione e
di avversione verso tutto ciò che la circonda, va prima a
trovare Dolly e Kitty, quindi, secondo una struttura circolare che
riconduce alla prima parte, si suicida lanciandosi sotto un treno.
Per l'idea del violento suicidio di Anna, Tolstoj si ispirò
ad un fatto di cronaca accaduto il 4 gennaio 1872 nei pressi della
sua abitazione, quando una donna di nome Anna Stepanovna Pirogova si
suicidò alla stessa maniera nella stazione di Jasenki della
ferrovia Mosca-Kursk.
Ottava parte
L'ottava parte narra le vicende successive alla morte di Anna: Stiva
ottiene il lavoro che voleva; Karenin ottiene in custodia Annie;
alcuni volontari russi, tra cui Vronskij, che non ha intenzione di
tornare, partono per aiutare la rivolta serba contro i turchi,
scoppiata nel 1877; infine nelle gioie e nei timori della
paternità, Levin scopre la fede in Dio.
Critica
Tematiche
Il romanzo, ambientato nelle più alte classi sociali russe,
approfondisce i temi dell'ipocrisia, della gelosia, della fede,
della fedeltà, della famiglia, del matrimonio, della
società, del progresso, del desiderio carnale e della
passione, nonché il conflitto tra lo stile di vita agrario e
quello urbano.
Anna è la perla dell'alta società di San Pietroburgo
finché non lascia suo marito per l'affascinante conte
Vronskij, ufficiale dell'esercito. Innamorandosi l'uno dell'altra,
oltrepassano il limite dei banali adulteri passatempo comuni
all'epoca. Anche quando Vronskij inizia a diventare sempre
più distante, Anna non riesce a tornare da un marito che
detesta, e che non le permette di vedere il figlio. Incapace di
accettare di essere stata lasciata da Vronskij e di ritornare ad una
vita che odia, si uccide.
Il romanzo contiene anche la storia d'amore di Konstantin Levin e
Kitty, solida e onesta, che si pone continuamente in contrasto con
quella di Anna e Vronskij, che è macchiata dall'incertezza
della situazione, che crea scompiglio, ritorsioni e sospetti.
Così, per tutto il corso del romanzo, Tolstoj non vuole che
il lettore commiseri i maltrattamenti di Anna, ma che riconosca la
sua incapacità di impegnarsi davvero nella ricerca della
felicità e della comprensione dei propri sentimenti,
incapacità che la porta al suicidio.
Il personaggio di Levin è spesso considerato un ritratto
semi-autobiografico di Tolstoj, delle sue credenze, delle sue lotte
e dei suoi eventi di vita. Inoltre, il primo nome di Tolstoy
è "Lev", ed il cognome russo "Levin" significa "di Lev".
Un altro tema ricorrente in Anna Karenina è l'abitudine
aristocratica di parlare in francese anziché in russo,
considerata dall'autore un'altra forma di falsità. Quando
Dolly insiste sulla lingua francese per la sua giovane figlia,
Tanya, ciò comincia a sembrare falso e noioso a Levin, che si
scopre incapace di sentirsi a proprio agio nella sua casa.
Resurrezione (Воскресение, Voskresenie) è un romanzo di Lev
Tolstoj scritto a Jasnaja Poljana tra il 1889 e il 1899.
Il romanzo ha avuto numerosi adattamenti sia musicali che per lo
schermo e per la televisione.
Contesto
L'ispirazione da un fatto di cronaca
Il tema fu suggerito a Lev dall'amico e giurista A. F. Koni il quale
gli raccontò un fatto reale ovvero la storia di una ragazza
di 16 anni che, rimasta orfana, venne ospitata in casa di parenti.
Qui, sedotta da un giovane appartenente a quel ramo familiare, una
volta scoperta la gravidanza, venne scacciata dalla benefattrice ed
abbandonata dall'uomo.
Rimasta senza mezzi e dopo alcuni infruttuosi tentativi di
guadagnare onestamente, la ragazza iniziò a prostituirsi e fu
successivamente arrestata per furto. Nella corte penale che doveva
giudicarla, sedeva tra i giurati questo stesso giovane. La
coincidenza lo mise in estrema angoscia, cercò un modo per
riparare al fatto, portandolo alla decisione di sposarla e
così fece, nonostante la condanna a quattro mesi di
reclusione. La ragazza purtroppo morì di tifo, dopo poco,
ancora incarcerata.
L'ispirazione autobiografica
« In quell'estate presso le zie, Nechljudov
aveva vissuto quello stato d'animo d'entusiasmo e di giubilo, di
quando per la prima volta, non per sentito dire, ma per intima
esperienza, un giovane viene a conoscere a fondo la bellezza e
l'importanza della vita e tutto il significato dell'opera che in
essa spetta all'uomo, vede la possibilità d'un infinito
perfezionamento sia di se stesso sia del mondo intero, e si
dà tutto a questo perfezionamento, non solo con la speranza,
ma con la piena certezza di ottenere quella perfezione, che gli si
dipinge nella mente »
(da Resurrezione)
Resurrezione ha anche connotati autobiografici. Come Nechljudov, lo
scrittore si era interessato, da giovane, per migliorare le
condizioni dei contadini della sua tenuta, ma questi si erano
mostrati diffidenti e avevano rifiutato le sue proposte.Inoltre,
prima del matrimonio, Tolstoj aveva sedotto una cameriera che viveva
in casa di una sua zia; la ragazza era poi stata scacciata e
«si era persa».
In quello stesso periodo giovanile, Tolstoj aveva avuto un figlio
(che non aveva accettato di riconoscere) da una contadina sposata.
Il riscatto interiore vissuto da Nechljudov è ovviamente lo
stesso che Tolstoj aveva ricercato nella propria vita con la sua
conversione morale.
La sovvenzione dei doukhobors
Tolstoj iniziò a scrivere questo libro nel tentativo di
raccogliere la maggior quantità possibile di denaro per
aiutare la migrazione dei doukhobors in Canada in quanto in rotta
con il potere zarista e la chiesa ortodossa. Lo stesso Tolstoj
cercò di trovare fondi per il loro trasferimento (circa 8000
anime) e successivamente optò per creare un romanzo le cui
vendite potessero sovvenzionare tale opera. La scelta cadde su
questo progetto che Tolstoj fino ad allora aveva tenuto in un
cassetto. L'uscita del suo terzo grande romanzo creò una
grandissima aspettativa in tutto il mondo. Pare che Tolstoj avesse
ottenuto, in anteprima sulla pubblicazione dell'opera da parte della
rivista Niva, la cifra di 12000 rubli. È da notare come, dopo
la pubblicazione di Anna Karenina, Tolstoj avesse deciso, in seguito
alla propria conversione morale, di pubblicare tutto senza ricevere
diritti d'autore (attualmente si direbbe in copyleft). In seguito
alla scelta di farsi pagare (per sovvenzionare la migrazione dei
Doukhobors), in contrasto con la rinuncia precedente (espressa sul
quotidiano Ruskija vedomosti e Novoe vremja, in cui dichiara di aver
rinunciato ad ogni diritto d'autore sulle opere posteriori al 1881),
si produssero una quantità di copie e traduzioni "piratate"
del romanzo che crearono non pochi imbarazzi a Tolstoj.
Trama
Il principe Nechljudov, chiamato a decidere come membro di una
giuria popolare della condanna di una prostituta, riconosce in lei
la ragazza che aveva sedotto molti anni prima e, dopo aver assistito
alla sua ingiusta condanna, matura la volontà di salvarla e
di sposarla. Katjuša pare però rifiutare la proposta e le
attenzioni del principe, il quale, divorato dal rimorso, decide di
seguirla comunque ai lavori forzati in Siberia con l'immutato
proposito di redimerla. Egli assisterà infine al riscatto
della ragazza (ma in maniera diversa da come si proponeva) e
troverà lui stesso, attraverso la lettura del Discorso della
montagna, la via per riscattare la propria anima.
Interpretazioni
L'opera è stata scritta dall'autore quando era all'apice
della fama e tormentato dai problemi dell'ingiustizia sociale, in
special modo l'iniquità dei tribunali ed i tormenti inflitti
ai carcerati.
Nel romanzo Tolstoj descrive l'angoscia profonda dell'uomo di
coscienza (e in primo luogo dell'autore) stretto nel meccanismo
della burocrazia statale, nel ferreo "ordine delle cose". Qual
è la via di scampo? Un approccio radicale alla morale
cristiana, intesa, quale buona novella rivolta agli ultimi della
società, come iniziativa etica atta a migliorare
concretamente la vita degli uomini oppressi su questa terra, nello
spirito del Discorso della montagna ripetutamente citato da Tolstoj
in quest'ultima sua grande fatica narrativa. Nechljudov, il
protagonista del romanzo, vive le medesime rivoluzioni interiori
dell'autore: l'iniziativa di donare (o meglio, "restituire") i
propri possedimenti terrieri ai contadini, la volontà di
rinunciare alla vita sfarzosa e mondana e di dedicare la propria
esistenza al servizio dei dimenticati ed alla liberazione degli
sfruttati e degli oppressi. Anche Katiuša, la figura femminile con
la quale e attraverso la quale Nechljudov cerca un riscatto, compie
un cammino di redenzione morale, da prostituta a sposa.
La "resurrezione" dei protagonisti avviene quindi nell'accezione
metaforica di una rinascita etica, simile a quella vissuta (o
perlomeno disperatamente cercata, nonostante le contrapposizioni con
la moglie e i familiari) dallo stesso Tolstoj.
Il pensiero
Come riportato nella biografia della voce Lev Tolstoj, la sua vita
fu lunga e tragica, nell'accezione più vera del termine,
ossia nel senso che essa fu dominata da una profonda, segreta
tensione: una vera tragedia dell'anima.
Tolstoj stesso riteneva che il 1878 fosse lo spartiacque tra due
fasi della sua esistenza, nella prima il grande scrittore
(famosissimo e tronfio della fama letteraria), nella seconda la
rinascita spirituale.
Questa grande frattura sarà fonte di difficoltà,
contraddizioni e spesso incomprensioni nello studio della persona,
difficoltà che ancor oggi, sono presenti.
Svariate sono quindi le tracce per potersi avvicinare all'animo di
Tolstoj:
* La incessante ricerca della verità.
« La verità... Io amo tanto... come
loro... »
(ultime parole pronunciate da Tolstoj prima di morire)
* La tensione al miglioramento continuo.
« Ci sono in me tutti i vizi... e ad un
grado ben più grande che presso la maggior parte degli
uomini. La mia salvezza risiede nel fatto che io lo so e lotto,
tutta la mia vita ho lottato »
(Diari, 21 settembre 1905)
* "La non organicità: Tolstoj non seppe o
non volle essere un pensatore sistematico, ma affidò le sue
idee a decine e decine di lettere, opuscoli e saggi più o
meno lunghi, fra cui non è facile orientarsi". Nei suoi Diari
scrisse:
« [...] la verità è scostante
perché è frammentaria, incomprensibile, mentre
l'errore è coerente e conseguente »
(Diari, 3 febbraio 1870)
* La tensione e lo scontro tra il primo Tolstoj
scrittore e lo stesso successivamente moralista.
« Il motto degli uomini veramente civili
non sarà:
"fiat cultura, pereat justitia", ma "fiat justitia, pereat cultura"
»
(, cap VII)
* La tensione e lo scontro tra Tolstoj erudito e
l'umile ricercatore della verità.
« I semplici spesso conoscono la
verità meglio dei dotti, non perché essi siano
strumenti ispirati dal divino afflato, ma perché la loro
osservazione degli uomini e della natura è meno annebbiata da
varie teorie »
(, pag. 62)
* La tensione e lo scontro tra il Tolstoj ricco
possidente terriero e l'umile Lev che tentava di vivere con e come i
muzik.
Documentata nei fatti dagli ultimi anni di vita
dello scrittore e dalla famosa fuga terminata con la morte alla
stazione di Astopovo.
* La tensione e lo scontro (negli ultimi anni
della sua vita) tra Tolstoj religioso senza metafisica ed il mistico
« Cercavo una risposta al problema della
vita e non al problema storico e teologico. Per me era del tutto
indifferente se Gesù Cristo fosse o non fosse Dio e da chi
fosse proceduto lo spirito Santo. [...] Per me era importante quella
luce che da 1800 anni illuminava l'umanità e che aveva
illuminato ed illuminava anche me; ma come denominare la fonte di
questa luce, di che cosa fosse fatta e da chi fosse stata accesa,
per me era indifferente. »
« ...Basta solo che non pecchi. E che non
ci sia in me cattiveria. Ora non ce n'è. »
* L'incessante sforzo a descrivere e vivere i
dettami del Cristianesimo per lui esemplificati al massimo nel
Discorso della Montagna del Vangelo secondo Matteo.
È bene aggiungere che il Tolstoj etico suscitò un
grande entusiasmo a partire dalla metà degli anni ottanta del
XIX secolo. In Russia venne proibita l'edizione delle opere
politiche e religiose e cominciarono i controlli di stato su Tolstoj
e qualunque seguace dello scrittore. Secondo Max Nordau l'interesse
dei contemporanei, per lo meno negli ultimi vent'anni di vita dello
scrittore, si concentrò soprattutto sui contenuti morali
piuttosto che sui grandi romanzi (Guerra e Pace ed Anna Karenina).
In aggiunta si può fare una considerazione: le opere dello
scrittore, eccetto quelle sotto copyright (ovvero le prime opere
fino a Guerra e Pace ed Anna Karenina, con le successive eccezioni
di Resurrezione e Padre Sergej), girarono in tutto il mondo con
traduzioni spesso non fedeli, ed anche come antologie di scritti;
non si tradusse né integralmente né esattamente.
Però chiunque scruti minutamente i lavori di lui,
scorgerà che il germe della crisi e della conversione sociale
e religiosa svoltasi nella coscienza di Tolstoi si contiene anche
nelle sue opere anteriori. Analogo commento farà Edmondo De
Amicis.
Filosofia della storia
L'interesse per la storia fu uno dei problemi cardine di Tolstoj e
per tutta la vita egli cercherà di fornirne una risposta.
Al contempo la sua visione è una cartina al tornasole del
proprio travaglio interiore.
Nel 1846 – secondo una testimonianza – Tolstoj affermò che
«la storia non è altro che una raccolta di fiabe e
futili inezie, infarcite con un mucchio di cifre superflue e di nomi
propri».
In Guerra e pace espresse la convinzione dell'esistenza di una
«legge naturale» che determina la vita degli uomini, ma
che essi – incapaci di comprenderla – rappresentino la storia come
una successione di libere scelte di cui attribuiscono le
responsabilità a «grandi uomini» dotati di
eroiche virtù o terribili vizi. Secondo Tolstoj, non sono i
Napoleone o gli zar – così sicuri di sé – a fare la
storia: essi sono solamente dei fantocci, mentre chi ha realmente
parte nella storia ignora la propria importanza: «l'uomo che
sostiene una parte negli avvenimenti storici non ne capisce mai
l'importanza». A questo proposito, ha scritto un commentatore:
«Per Tolstoj non ci sono protagonisti, perché quelli
che sanno o possono sapere – cioè i detentori del potere, i
capi rivoluzionari – non fanno, e invece gli esecutori – cioè
i combattenti, i sicari ecc. – fanno ma non sanno».
Guerra e Pace, nella seconda parte dell'epilogo, si chiude con un
esempio molto forte in cui paragona la rivoluzione copernicana ad
una ipotetica rivoluzione storica per cui:
« Noi non avvertiamo il moto della terra
ma, ammettendone l'immobilità, giungiamo ad un assurdo,
mentre ammettendone il moto, che pur non avvertiamo, giungiamo a
formulare leggi, così per la storia la nuova teoria dice:
"È vero, noi non avvertiamo la nostra dipendenza ma,
ammettendo la nostra libertà, giungiamo ad un assurdo mentre,
riconoscendo la nostra dipendenza dal mondo esterno dallo spazio e
dalla causalità arriviamo a scoprire leggi". Nel primo caso
era necessario rinunziare alla sensazione della immobilità
nello spazio ed accettare l'idea di un movimento che non avvertiamo;
nel caso presente è ugualmente necessario rinunziare al
concetto di libertà ed ammettere una dipendenza di cui non ci
rendiamo conto sensibilmente. »
Tolstoj, in fondo, in questa fase pre-conversione, riconosce che
l'incapacità di capire e determinare gli eventi sia la logica
conclusione della grande ignoranza della trama delle cose, della
sterminata varietà dei rapporti umani. Se avessimo questa
consapevolezza non potremmo considerare gli esseri umani eroi od
esseri spregevoli, ma dovremmo sottometterci alla inevitabile
necessità. Tolstoj riconosce quindi la preminenza
dell'esperienza soggettiva, della vita vissuta con le sue emozioni.
E qui si manifesta metaforicamente lo stesso contrasto che si
evidenzia tra il Tolstoj descrittore della molteplicità della
vita e la sua visione della storia in cui la libertà umana va
disintegrandosi ed anche lo stesso contrasto tra il romanziere ed il
successivo moralista e propugnatore di un sentire unico tratto dal
mondo contadino e dal Vangelo.
Dopo la conversione egli riterrà infatti che la storia mostri
le prove di come guerre e violenze abbiano sempre causato immense
catastrofi e di come, invece, la realizzazione, in linea col
Vangelo, di ideali di pace e di tolleranza vada considerato il vero
indice di progresso – la vera forza e la vera Storia –
dell'umanità:
« La storia dell'umanità è
piena di prove che la violenza fisica non contribuisce al
rialzamento morale e che le cattive inclinazioni dell'uomo non
possono essere corrette che dall'amore; che il male non può
sparire che per mezzo del bene [...] che la vera forza dell'uomo
è nella bontà, la pazienza e la carità; che
solo i pacifici erediteranno la terra. »
Al termine della sua vita, tra settembre e novembre del 1910,
Tolstoj rinuncerà alla possibilità di conoscere le
leggi della storia:
« Voi mi chiedete di scrivere per il vostro
libro un articolo che tratti le questioni sociali ed economice [...]
Il vostro desiderio io non lo posso esaudire, innanzitutto
perché non lo conosco, non lo posso conoscere e penso che
nessuno possa conoscere queste leggi. In secondo luogo [...] anche
se io credessi di conoscere le leggi [...] non mi prenderei la
responsabilità di dirlo. »
Estetica
Come sulla storia, anche sull'arte Tolstoj inizialmente esprime – in
una lettera del 1860 – un giudizio drasticamente negativo, asserendo
che «l'arte è una menzogna, e io non posso amare una
menzogna, foss'anche bellissima»
Nella prima versione del racconto Al'bèrt (1857), Tolstoj
scriveva che il compito della (vera) arte è
«annichilire con il solo fatto d'esistere tutto il ciarpame
delle ideologie degli intellettuali e tutta la vacuità della
vita degli uomini ordinari».
Si delineano così, per Tolstoj, due tipi di arte: la prima –
quella ordinaria, diffusa – è fondata sulla menzogna; la
seconda – l'unica autentica – è specchio di Verità e
manifestazione dell'Assoluto. Sviluppa quindi in sé la fede
che solo la vera arte possa redimere l'umanità e, a questa
tesi, dedica, ormai settantenne, il lungo saggio Che cos'è
l'arte? (1897), in cui afferma:
« L'arte deve sopprimere la violenza. [...]
deve fare in modo che i sentimenti di fraternità e amore per
il prossimo, oggi accessibili solamente agli uomini migliori della
società, diventino sentimenti abituali, istintivi in tutti.
[...] La destinazione dell'arte [...] è di tradurre dalla
sfera della ragione alla sfera del sentimento la verità che
il bene della gente è nell'unione e di instaurare in luogo
della violenza attuale quel regno di Dio, cioè quell'amore
che si presenta a noi tutti come fine supremo della vita
dell'umanità.»
Religione
Esegesi biblica
Nel 1870 Tolstoj si dedica allo studio del greco antico e vi si
appassiona.
Nel 1875, mentre lavora alla stesura di Anna Karenina, elabora
alcuni saggi di carattere religioso (rimasti incompiuti): Sul
significato della religione cristiana, Sulla vita al di fuori del
tempo e dello spazio, Sull'anima e la vita di essa al di fuori della
vita a noi nota e intelligibile
Nel 1877 comincia a scrivere Definizione della religione in quanto
fede e un Catechismo cristiano che rimangono anch'essi incompiuti.
Intanto legge svariate opere di teologia cristiana e di critica
neotestamentaria.
Nel 1879 studia con sistematicità filologica i quattro
Vangeli. Scrive nuovi saggi di carattere religioso, segnati da
elementi polemici verso l'ortodossia: La Chiesa e lo Stato, Di chi
siamo noi: di Dio o del Diavolo?, Cosa può fare e cosa non
può fare un cristiano.
Nel 1880 si dedica interamente al lavoro critico-filologico sui
Vangeli canonici. È divorato da un intenso zelo esegetico:
« Procuratemi o compratemi a qualsiasi
prezzo, o mandatemi dalla biblioteca o addirittura... rubate un
libro o dei libri dai quali si possa sapere qualcosa dei più
antichi testi greci dei quattro Vangeli, su tutte le omissioni, le
aggiunte, le varianti che vi sono state fatte.[ »
Nello stesso anno scrive Disamina della teologia dogmatica – che
segna ormai un netto distacco dall'ortodossia – e intraprende
l'opera di Unificazione, traduzione e analisi dei quattro Vangeli.
Nel 1882, interessato anche all'Antico Testamento, studia l'ebraico
antico con il rabbino S. A. Minor.
Nel 1885 traduce dal greco antico la Didaché per la casa
editrice Posrednik, fondata l'anno prima insieme a Čertkòv.
Nel 1908 pubblica infine Il vangelo spiegato ai giovani.
Teologia
Il sottotitolo dell'opera Il regno di Dio è in voi chiarisce
i punti salienti della sua visione, ove dichiara: «Il regno di
Dio è in voi, ovvero il Cristianesimo dato non come una
dottrina mistica, ma come una morale nuova».
Il risveglio di Tolstoj ha principalmente una connotazione
fortemente etica e di aderenza alle Sacre Scritture, che lui
cercherà di leggere al di là di tutti i
condizionamento di quasi duemila anni di interpretazione. Cercando
quindi i fondamenti nelle Scritture del Cristianesimo,
principalmente si dedicherà alla lettura dei Vangeli,
rifiutando in parte le Scritture del Nuovo Testamento (in
particolare l'Apocalisse e parte degli Atti degli Apostoli)e
dell'Antico testamento[senza fonte]. Contesterà inoltre
aspramente Paolo di Tarso: «Non voglio offrire una
interpretazione della dottrina di Cristo [...] vorrei una sola cosa:
proibire di interpretare». Il cardine lo troverà
quindi nei Vangeli, particolarmente nel Discorso della Montagna, ed
all'interno di questi nelle cosiddette Antitesi.
Con la sua opera: "Unificazione, traduzione e analisi dei quattro
Vangeli", ne scaturisce un evangelismo con alcuni fili conduttori:
* Il senso di missione storica e religiosa che ha
un risveglio evangelico: «La religione di Cristo non vuole
redimere la società con la violenza, il suo ruolo è di
mostrare il fine della nostra vita in questo mondo».
* Per leggere fedelmente il vangelo è
necessario toglierlo dalle mani delle chiese.
* I Vangeli non possono essere considerati libri
sacri, in quanto la loro formazione è un continuum con la
tradizione ebraica e con le chiese cristiane.
* Tolstoj denunzia la necessità di
eliminare ciò che appartiene al soprannaturale, come i
miracoli, la resurrezione, ed in genere il mondo della grazia.
Dio
Tolstoj parla di Dio come di quel bene misterioso, di quel principio
di vita, verso cui tende la parte più vera dell'uomo –
desiderando la felicità di ogni creatura a lui prossima.
«Il desiderio del bene per tutto ciò che esiste
è l'inizio di ogni nuova vita, è l'amore, è
Dio.»Dio è «quell'infinito Tutto, di cui l'uomo
diviene consapevole d'essere una parte finita. Esiste veramente
soltanto Dio. L'uomo è una Sua manifestazione nella materia,
nel tempo e nello spazio.»Dio non è (solo) il Tutto, ma
il Tutto – come ogni creatura che vi fa parte – è una Sua
manifestazione: «Il mondo degli esseri viventi è un
solo organismo. La stessa vita generale di questo organismo non
è Dio, ma è solo una delle Sue
manifestazioni...»Non per contraddire, ma per completare
l'affermazione «Dio è amore» (1Gv 4,16), Tolstoj
sostiene che Dio non è (solo) amore, ma l'amore è
ciò che manifesta l'infinitezza di Dio nella finitezza
dell'uomo: «Dio non è amore, ma quanto più
grande è l'amore, tanto più l'uomo manifesta Dio, e
tanto più esiste veramente.»
Dio è l'esistenza vera, ma Dio non è (solo) la vita,
bensì il principio di ogni vita: «Dio respira per mezzo
delle nostre vite.» Quindi amare Dio significa prima di tutto
rispettare la vita di ogni creatura e desiderarne la
felicità, cioè sviluppare in sé
«l'obbligo morale non solo di non distruggere la vita degli
esseri, ma di servire ad essa.»
In un passo dei Diari (27.9.1894) Tolstoj affermò che,
essendo impossibile definire Dio, tanto valeva liberarsi della
nozione di Lui. Ma qualche giorno dopo si ricredette e scrisse:
« Il diavolo è stato sul punto di
acciuffarmi. Nel mio lavoro sul Catechismo mi ha suggerito che si
può fare a meno della nozione di Dio, di Dio che è
alla base di tutto..., e all'improvviso l'abbattimento e la paura mi
hanno assalito. Mi sono spaventato, mi sono messo a riflettere, a
controllare, e ho ritrovato il Dio che stavo per perdere, ed
è come se L'avessi acquistato e amato di nuovo.»
L'interpretazione di Lebrun
Victor Lebrun, amico e discepolo di Tolstoj, disse una sera al
maestro: «Proprio ieri pensavo a Dio, e pensavo anche che non
si può determinarlo con nozioni positive, poiché
ognuna di esse è una nozione umana. Non ci sono che nozioni
negative che possono essere precise [...] Di modo che non è
preciso dire che Dio è l’Amore e la ragione. Amore e ragione
sono qualità umane».
Tolstoj gli rispose: «Sì, sì. È
esattissimo, solo che l’amore e la ragione ci uniscono a Dio.
[...]».
Commenta Lebrun, nelle sue memorie:
« Dopo questa confessione non restava il
minimo dubbio sull’assenza totale di misticismo nel modo di vedere
del Maestro.
Egli dice verso la fine del suo articolo “Della religione e della
morale”: «La religione è lo stabilirsi di un rapporto
cosciente verso Dio o verso l’Universo».
Il Dio di Tolstoj non è altro che l’Universo, considerato
nella sua distesa sconfinata e nella sua essenza inaccessibile alle
nostre investigazioni.
Però, per Tolstoj, l’Universo ci era superiore e ci imponeva
dei doveri, mentre che per i dotti materialisti questo Universo non
era che il giuoco delle forze cieche nella materia morta, ed eravamo
noi ad avere dei diritti sull’Universo e nessun dovere.
E, come quasi sempre, era Tolstoj ad avere ragione; perché
per la nostra intelligenza umana non esistono che due punti di vista
sull’Universo: il punto di vista egocentrico (come nell’antica
astronomia era esistito per lunghi secoli il punto di vista
geocentrico), o il punto di vista cosmocentrico. Occorre forse
provare che il primo è sprovvisto del minimo senso comune?
Che cosa si può immaginare di più stupido che il
credere che l’Universo esista per placare i nostri desideri? Questa
è stata la prima rivelazione di cui vado debitore a Tolstoj.
»
Rapporti con la fede ortodossa
Per Tolstoj bisogna recuperare l'originaria fede di cui parlava
Gesù: «l'interiore inevitabilità d'un
convincimento, che diviene fondamento della vita».
Invece il clero insegnava a pensare la fede come uno «sforzo
della volontà» che il credente – dando grande
importanza ai miracoli – deve esercitare su di sé per aderire
ad una dottrina dogmatica.
Tolstoj si rifà solo e semplicemente al Vangelo:
« Che cos'è Cristo, Dio o Uomo? Egli
è ciò che ha detto: ha detto di essere il Figlio di
Dio; ha detto di essere il Figlio dell'Uomo. Egli ha detto: "io sono
ciò che vi dico: io sono la via e la verità". Dunque:
Egli è ciò che ha detto di Sé. Ma quando hanno
voluto riassumere tutto in una definizione, allora ne sono scaturiti
sacrilegio, menzogne e stupidità: Se egli fosse stato
ciò che si è detto di Lui, l'avrebbe saputo dire.
[...] Egli ci ha insegnato questo con le Sue parole, con la Sua vita
, con la Sua morte.»
Inoltre Tolstoj si chiede se le religioni non abbiano insito
l'«inganno intenzionale che c'è in ogni religione.
Anzi, vien da chiedersi se questa non sia proprio la caratteristica
esclusiva di ciò che si chiama religione: proprio questo
elemento d'invenzione consapevole, in cui c'è una mezza fede
non fredda, ma poetica, esaltante. Quest'invenzione c'è in
Maometto, in Paolo. In Cristo non c'è. Di questo l'hanno
calunniato. Di lui non si sarebbe potuto fare una religione se non
ci fosse stata l'invenzione della resurrezione e il principale
inventore Paolo.»
Per meglio inquadrare il pensiero religioso di Tolstoj, non è
marginale riferire quanto egli dichiarò al convegno di
Firenze del 1891:
« Come vedete, miei illustri colleghi, i
miei principi hanno la loro base nell'Evangelo e perciò ho
potuto accettare il lusinghiero invito a questa conferenza e ben
volentieri sono venuto qui in mezzo a voi per trattare del modo di
condurre la religione cristiana alle primitive sue fonti, pure e
limpide, e di ricostruire una Chiesa unica che la esplichi e
rappresenti, trasformando e fondendo amorevolmente tutte le chiese
cristiane esistenti... Io applaudo dunque alla proposta di fondere
le chiese cristiane in una sola che abbia per capo il Papa di Roma e
per base la sua organizzazione esteriore nella formula cavouriana e
per fondamento del suo pensiero le massime di Cristo e
dell'Evangelo. »
A questo punto la rottura con la fede ortodossa (a quel tempo molto
compromessa con il potere) non si farà attendere ed il 22
febbraio 1901 Tolstoj verrà scomunicato.
Successivamente egli si pentì di certi suoi estremismi:
«Mi sono accorto che spesso ho avuto torto a calcare la mano,
con troppa poca prudenza contro la fede altrui».
Il "Discorso della montagna", cardine della sua fede
Nel cercare il cardine dell'insegnamento di Cristo egli
scorgerà l'insegnamento del come vivere in particolare nel
"Discorso della montagna". All'interno di tale "Sermone"
sottolineerà, in modo particolare, le cosiddette Antitesi,
ovvero (raccolte secondo il pensiero di Tolstoj):
* Primo precetto (Matteo, V, 21-26). L'uomo non
solo non deve uccidere l'uomo, ma nemmeno adirarsi contro di lui,
suo fratello; non deve disprezzarlo né considerarlo
"stupido". Se avrà questionato con qualcuno dovrà
riconciliarsi con lui prima di offrire i suoi doni al Signore, vale
a dire prima di accostarsi a Dio con la preghiera.
* Secondo precetto (Matteo, V, 27-32). L'uomo non
solo non deve commettere adulterio, ma neppure servirsi della
bellezza della donna per il proprio piacere; e se sposa una donna,
deve restarle fedele per tutta la vita (nella tradizione cattolica
corrente sono qui unificate la seconda e terza antitesi).
* Terzo precetto (Matteo, V, 33-37). L'uomo non
deve impegnarsi in niente, sotto giuramento.
* Quarto precetto (Matteo, V, 38-42). L'uomo non
solo non deve rendere occhio per occhio, ma quando qualcuno lo
percuote su una guancia, deve porgergli l'altra; deve perdonare le
offese, sopportarle con rassegnazione e non rifiutare nulla di
ciò che gli venga chiesto.
Ma fulcro di tutto:
* Quinto precetto (Matteo, quinto, 43-48). L'uomo
non solo non deve odiare i suoi nemici e combatterli, ma deve
amarli, aiutarli e servirli.
Questi precetti tratti da Matteo, unificando i due relativi alla
vita sessuale (ovvero la seconda e terza antitesi sono "contratte"
nel secondo precetto), sono presenti anche in testi narrativi come
Resurrezione o nel racconto Il divino e l'umano.
È quindi soprattutto nella dimensione etica che si superano
le divisioni tra le varie fedi cristiane, che invece nei contenuti
di fede rimangono separate.
Per Tolstoj, la fede, nel Vangelo, è da intendersi come
aderenza nel profondo: Gesù suscitava nelle persone, con la
saggezza e la bontà dei suoi discorsi, una conversione etica
razionale e spontanea, e non un'adesione timorosa a delle norme
puramente formali come quelle dei farisei; la fede autentica
è quella che rigenera l'esistenza dell'individuo
trasformandola in un gioioso servizio d'amore verso Dio e il
prossimo.
Tensione esistenziale
Tolstoj credeva fermamente che la rinascita morale potesse inverarsi
solo a partire dall'animo dell'uomo – non attraverso le rivoluzioni
sociali – e che l'autentica vita interiore fosse quella vissuta
dalle masse popolari, dal mužik.
« Se ascoltavo i discorsi di un
pellegrino-muzik su Dio, sulla fede, sulla vita, sulla salvezza,
sentivo che mi si rivelava la conoscenza della fede.
...Ed io cominciai ad avvicinarmi ai credenti che v'erano tra le
persone povere, semplici, ignoranti, ad avvicinarmi ai pellegrini,
ai monaci, agli scismatici, ai muziki. La dottrina religiosa di
questa gente del popolo era anch'essa cristiana [...] Alle
verità cristiane era mescolata anche molta superstizione, ma
[...] le superstizioni dei credenti che appartenevano al popolo
lavoratore erano fino a tal punto collegate con la loro vita che non
si poteva assolutamente immaginarsi la loro vita senza quelle
superstizioni: esse costituivano una condizione imprescindibile di
quella vita. [...] Ed io cominciai a guardare attentamente la vita e
le credenze di quegli uomini, e più le studiavo, tanto
più mi convincevo che essi possedevano la vera fede e che la
fede era per loro indispensabile [...] .
Quante volte invidiavo i muziki per la loro ignoranza e
perché non sapevano né leggere né scrivere.
»
Nell'opera di Tolstoj il massimo esempio di religiosità
popolare è Platon Karataev (Guerra e Pace, libro IV, parte
prima):
« ... e cominciò a farsi il segno
della croce ed insieme a parlare: "Signore Gesù Cristo, santi
Nicola, Floro e Lauro! [...]. abbi misericordia di noi e salvaci!
[...]. Ecco fammi giacerere, O Dio, come un sasso e risvegliarmi
come una focaccetta" - disse e si svegliò coprendosi con un
mantello.
"Che preghiera hai recitato?" - domandò Pierre? "Eh? [...]
Che cosa ho recitato? Ho pregato Dio! Forse tu non preghi?" "Si
anch'io prego" - rispose Pierre - "Ma ho sentito dire Floro e Lauro.
Che cosa significa?" Ma come sono i protettori dei cavalli. Bisogna
aver pietà delle bestie!"
Pierre rimase a lungo con gli occhi spalancati, [...] ascoltando il
respiro regolare di Platon, coricato accanto a lui, e sentiva che il
mondo, poco prima distrutto, risorgeva ora nella sua anima con una
bellezza nuova, su nuove incrollabili basi. »
Per quanto concerne la tensione etica ed esistenziale, si può
stilare una somiglianza ed un parallelo tra Tolstoj e Kierkegaard.
* In entrambi troviamo:
o ansia di
perfezione
o
contestazione aspra della Chiesa ufficiale
o visione
della libertà possibile solo all'interno della
soggettività del singolo
* Li differenzia fondamentalmente:
o la ricerca
del principio:
per Kirkegaard il principio assoluto è l'incarnazione di
Cristo, mentre per Tolstoj il principio non è ben definito,
è impalpabile sino ad identificarsi con una tensione etica
fortissima verso la perfezione.
o l'effetto
della scelta:
per Kierkegaard la scelta dell'Assoluto fa divenire liberi, Tolstoj
invece non riesce in concreto a generare una vera filosofia della
Salvazione, bensì la sua salvezza si dipana su contenuti
prettamente etici fortemente ispirati all'amore universale.
o
l'individuo:
per Kierkegaard l'uomo è creato libero, nasce libero e
soprattutto diventa libero quando sceglie l'Assoluto, mentre, come
scrive Cornelio Fabro: «Tolstoj, affascinato dall'epopea
napoleonica, è impressionato dagli effetti sconvolgenti della
storia ove opera la legge dei grandi numeri e l'individuo si sente
travolto ed impotente: sembra che Tolstoj non sia riuscito alla
concezione di un Dio personale garante della persona umana, ma abbia
concepito l'Io come parte di Dio».
Può essere utile ricordare come Tolstoj sia vissuto circa
cinquant'anni dopo di Kierkegaard, e come quindi lo scrittore russo
abbia visto in prima persona:
-il passaggio dal mondo feudale a quello moderno in Russia
-la nascita dei grandi movimenti anarchico e comunista (ben
evidenziato nel suo noto racconto Il divino e l’umano)
Dalle idee e dalle esperienze di Tolstoj, risulta comprensibile la
sua solidarietà verso alcune comunità cristiane come i
Doukhobors, considerate eretiche dalla chiesa ortodossa in quanto
aderenti ad un'etica di fratellanza e di rifiuto della guerra.
Direttamente ispirata al pensiero di Tolstoj, nacque inoltre la
corrente – anch'essa bollata come eretica – del tolstoismo.
Rapporti con le altre religioni
Tolstoj si accorse che la verità annunciata da Cristo fu
predicata da tutti i grandi maestri spirituali del passato, Buddha,
Lao-tze, Socrate. Fu in particolare attirato dal Taoismo e
Buddhismo, del primo amava il non agire, del secondo lo spirito di
compassione. Si trovò in disaccordo con questi solo per lo
spirito di rinuncia totale.
« Il cristianesimo dice la medesima cosa
dei buddisti... però dà alla vita un senso, e non
annienta i desideri, ma li dirige verso Dio. »
(Diari, 8 settembre 1900)
Conclusione
L'excipit dell'opera Il regno di Dio è in voi, fornisce una
successivo tassello all'inquadramento della sua dottrina
* La fede è ragionevole
* Il senso della vita è servire il mondo
* Il regno di Dio è dentro l'uomo
« ...Questa potenza ci chiede
ciò che solo è ragionevole, certo e possibile; servire
il regno di Dio, cioè concorrere allo stabilimento della
più grande unione tra tutti gli esseri viventi..."Anzi
cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia; e tutte queste
cose vi saranno sopraggiunte (S. Matteo VI, 33). L'unico senso della
vita è di servire l'umanità, concorrendo allo
stabilimento del regno di Dio, cosa che non può farsi se
ciascuno degli uomini non riconosce e non professa la verità.
"Il regno di Dio non verrà in maniera che si possa osservare,
e non dirà: Eccolo qui, od eccolo là, perché
ecco il regno di Dio è in voi" (S. Luca XVII, 21). »
Etica della non-violenza
Non-resistenza al male
Nei saggi In che consiste la mia fede (1884) e Il regno di Dio
è in voi (1893) Tolstoj riattualizza – chiamandola
«non-resistenza al male per mezzo del male [bensì per
mezzo del bene]» – la dottrina enunciata da Gesù nel
Discorso della Montagna (da Mt 5,38-48: «Avete inteso che fu
detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non
opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu
porgigli anche l'altra [...] Avete inteso che fu detto: Amerai il
tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri
nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli
del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi
e sopra i buoni [...]»).
L'etica pacifista di Tolstoj – che si rifà in parte alla
disobbedienza civile teorizzata e praticata da Henry David Thoreau –
influenzò in maniera decisiva la conversione morale alla non
violenza dell'allora giovane avvocato Mohandas Karamchand Gandhi,
che più di quarant'anni dopo – assurto ormai alla fama di
mahatma – scriverà:
« [...] mentre attraversavo una grave crisi
di scetticismo e di dubbio, incappai nel libro di Tolstoj Il Regno
di Dio è dentro di voi, e ne fui profondamente colpito. A
quel tempo credevo nella violenza. La lettura del libro mi
guarì dallo scetticismo e fece di me un fermo credente
nell'ahimsa. »
Egli sostiene che la non resistenza al male possa provocare, se
messa fedelmente in pratica, la caduta ineluttabile dell'attuale
ordinamento umano e la modifica radicale delle forme di convivenza
umana. Tutto ciò senza ricorrere alla violenza. In parole
povere, egli veramente crede che la rivoluzione avverrà con
tale dottrina.
Obiezione di coscienza
Tolstoj esclude la possibilità che le strutture sociali
possano diventare più eque attraverso lo scoppio di
rivoluzioni armate. Nell'articolo Non uccidere! (1900), lo scrittore
condanna l'assassinio del re d'Italia Umberto I da parte
dall'anarchico Gaetano Bresci, sostenendo che, affinché cessi
l'oppressione del popolo, basterebbe che il popolo stesso si
rifiutasse sia di prestare il servizio militare, sia di concorrere,
attraverso il pagamento delle tasse, al finanziamento delle guerre.
Vegetarismo [modifica]
Per Tolstoj un'etica autentica non può limitarsi ai rapporti
infraumani, ma deve rispettare anche la vita degli animali,
perché essi, come l'essere umano, provano gioie e sofferenze.
La riflessione sui diritti degli animali – che ha come esito
l'apologia del vegetarismo, da Tolstoj stesso abbracciato con
fervore – viene sviluppata dallo scrittore nei saggi Contro la
caccia (1895) e Il primo gradino (1902)
Rapporti con i poveri ed il denaro
La descrizione dell'incontro con la povertà avviene durante
la permanenza a Mosca negli autunni e negli inverni dei primi anni
ottanta (la risposta che darà sarà il ritorno al
lavoro manuale).
« Il denaro è un male in sè.
È per questo che chi dà del denaro fa del male. Questo
errore di credere che dare del denaro sia fare del bene, proviene
dal fatto che, nella maggior parte dei casi, quando l'uomo vuol fare
del bene, egli si sbarazza del male, e fra gli altri, del denaro.
»
(da Il Denaro, cap. II)
Rapporti con il potere
Tolstoj manifesterà sempre una intolleranza per il potere,
fino ad avvicinarsi alle idee degli anarchici. Ma, a differenza di
loro, contesterà in toto l'utilizzo della violenza.
Sarà inoltre sempre contrario al comunismo.
« La promessa di soggezione a qualsiasi
governo, quest'atto che si considera come la base della vita sociale
è la negazione assoluta del cristianesimo, perché
promettere anticipatamente di essere sottomesso alle leggi elaborate
dagli uomini, significa tradire il cristianesimo il quale non
riconosce, per tutte le occasioni della vita, che la sola legge
divina dell'amore. »
(Tolstoj, Il regno di Dio è in voi)
La stessa scelta sopradescritta della non resistenza al male lo
porterà, dopo un iniziale interesse, alla rottura da parte
dei grandi movimenti sociali del tempo. Socialisti ed anarchici si
resero conto che la resistenza passiva si scontrava con le esigenze
della lotta rivoluzionaria. Gli appartenenti alla sinistra
democratica, se pur pacifisti, si scontrarono con la tensione di
Tolstoj a scardinare lo stato, loro che volevano mantenerlo. Per
loro il metodo era l'arbitrato internazionale.
Egli svilupperà un pensiero sociale conscio della
drammaticità della modernità e della trasformazione
del mondo, riassumibile in questi punti:
* La nascita della schiavitù moderna, da
lui considerata ancor più drammatica di quella precedente,
ovvero la condizione operaia.[
* L'alienazione del lavoro in fabbrica.[19] (p.
48).
* Il senso di crollo imminente dell'impero russo
e di tutta la civiltà pseudo-cristiana (così definita
dell'autore).[19] p. 84.
* Il rifiuto di poter stabilire una forma
ottimale di governo:
« [...] non conosco, non posso conoscere e
penso nessuno conosca quelle leggi secondo cui si evolve la vita
economica dei popoli... Queste cose credono di saperle i
socialisti... ed anche se io credessi di conoscerre le leggi che
regolano lo sviluppo economico dell'umanità (come pensano
tutti i riformatori... da Saint-Simon, Fourier, Owen, fino a Marx,
Engels, Bernstein...) io non mi prenderei la responsabilità
di dirlo. (p. 98). »
Tolstoj terminerà con la convinzione che solo la legge morale
e religiosa possa portare giovamento al mondo.
Eredità spirituale
Tolstoj, negli ultimi anni, considererà le sue opere
narrative più note, ovvero Guerra e pace ed Anna Karenina,
«solo sciocchezze». Lo avevano reso famoso prima
della sua conversione morale, ma ora dichiara che le opere veramente
importanti, fra quelle da lui scritte, consistessero nei testi a
carattere filosofico e religioso. Riteneva infatti che le opere
narrative dei primi cinquant'anni fossero servite solamente ad
attirare l'attenzione su quanto avrebbe prodotto
successivamente. Perciò, in una sorta di testamento
spirituale scritto nel 1895, chiese agli amici:
« Prego tutti i miei amici, vicini e
lontani... se vogliono occuparsi dei miei scritti, prestino
attenzione a quella parte della mia opera in cui, lo so, parlava
attraverso di me la forza di Dio – e la utilizzino per la loro
vita... Sono stato così impuro, così pieno di passioni
personali che la luce di questa verità veniva oscurata dalla
mia oscurità, ma nonostante questo mi sentivo a volte pervaso
da questa verità e questi sono stati i momenti più
felici della mia vita... Spero che gli uomini, nonostante il
contagio meschino e impuro che ho potuto trasmettere a questa
verità, possano nutrirsi di essa. »
Tragedia dell'anima in Tolstoj
Come scritto nell'introduzione, Tolstoj toccherà tutti gli
aspetti della vita ma, di fatto, non riuscirà o non
vorrà giungere ad una sintesi di pensiero. La sintesi del suo
pensiero non fu razionale, bensì fu lo scegliere la via etica
prescritta dal Vangelo. E ciò risultò di difficile
comprensione per autori di stretta formazione filosofica. Come ad
esempio Cornelio Fabro. "La sua enorme produzione insegna [...]
tutti gli aspetti della vita, ma la sua è più una
tensione dispersiva che non intensiva [...] Così nulla riesce
a prendere senso e tutta la vita [...] non è [...] che un
continuo cadere di foglie morte."Il romanzo russo di fine ottocento
parlava dello scetticismo che si impossessava della società,
che descriveva le vite fatalmente inceppate e paralizzate da
influenze indipendenti dalla volontà, che mostravano l'essere
umano agitarsi invano nell'ambiente. [...] ed imponevano l'idea che
ogni sforzo fosse inutile. Da qui la sua risposta, un tentativo di
rigenerazione: per molti autori visto come una sorta di buddismo
occidentale orientato verso un desiderio di annientamento, ma
con una ottica diversa più "politica". "L'obbedienza al
Vangelo infatti non doveva solo disgregare lo stato dentro di
sé [...], essendo un dispositivo, fondatore di relazioni,
esso estingueva anche nella realtà delle cose lo stato e la
società.Non meravigliano quindi i suoi contatti con
l'anarchia
« Gli anarchici hanno ragione in tutto,
solo non nella violenza. Incredibile offuscamento. »
In quest'ottica il pensiero di Tolstoj si dipanava nei seguenti
aspetti:
* Crisi del positivismo e del determinismo
* Risveglio religioso, per lo più portato
avanti da ceti elevati, nato come risposta al disorientamento della
modernità e del nichilismo
* L'identificazione col nichilismo: Tolstoj
stesso dichiara di essere un nichilista: "Ho vissuto da nichilista
nel significato autentico del termine, vale a dira non da socialista
e rivoluzionario, [...], ma da nichilista nel senso di mancante di
ogni fede (da La mia fede)". Tolstoj non fu nichilista solo per le
sue dottrine teologiche e filosofiche, infatti, con l'eccezione
della violenza che aborriva, sembrava condividere le aspirazioni di
rigenerazione ed emancipazione dei nichilisti rivoluzionari. "In
realtà pochi livellatori sognano tante demolizioni come
questo apostolo della carità. Egli supera spesso i Bakunin ed
i Kropotkin. Nessun suo compatriota è stato più duro
nei confronti del capitale. Nessuno più fermamente
internazionalista."
Il programma nichilista degli anarchici venne
infatti accostato al messaggio nichilista del tolstoismo, fatta
esclusione per il rifiuto della violenza.
« Il cristianesimo è in parte il
socialismo e l'anarchismo, ma senza la violenza e con la
disposizione al sacrificio. »
* Nell'impossibilità di dare uno scopo (in
quanto non accessibile alla limitatezza dell'uomo) alla vita,
occorre darne un senso. Ovvero realizzare quello che sarebbe il
regno di Dio, cioè la sostituzione di una vita egoista,
odiosa, violenta, irragionevole, con una vita di amore, fratellanza,
di libertà e di ragione. L'uomo di Tolstoj è un uomo
che crede in un mondo in cui nessun uomo sia servo di un altro, ed
ove ognuno abbia smesso di vivere secondo la coscienza di un altro.
* Le scelte radicali furono sempre a favore del
muzik, delle persone semplici variamente rappresentate, come nella
famosissima descrizione di Platon Karataev (in Guerra e pace), od il
semplice contadino di Padrone e Servitore od infiniti altri esempi.
« I semplici spesso conoscono la
verità meglio dei dotti, non perché essi siano
strumenti ispirati dal divino afflato, ma perché la loro
osservazione degli uomini e della natura è meno annebbita da
varie teorie. »
* la rinuncia completa alla metafisica
andrà nuovamente e circolarmente a stemperarsi alla fine
della sua vita (come evidenziato nel primo paragrafo "E che non ci
sia in me cattiveria. Ora non ce n'è"). "La verità
è che [...] la sua scrittura comprendeva l'osservazione della
realtà e la predicazione della verità. In altri
termini egli constatava "il male nella società o negli
individui e quindi proponeva i rimedi per combatterlo."