Lev Nikolàevič Tolstòj

 

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Lev Nikolàevič Tolstòj, (Jàsnaja Poljana, 9 settembre 1828 – Astàpovo, 20 novembre 1910), è stato uno scrittore, drammaturgo, filosofo, pedagogista, esegeta ed attivista sociale russo.

Divenuto celebre in patria grazie ad una serie di racconti giovanili sulla realtà della guerra, il nome di Tolstoj acquisì presto risonanza mondiale per il successo dei romanzi Guerra e pace e Anna Karenina, a cui seguirono altre sue opere narrative sempre più rivolte all'introspezione dei personaggi ed alla riflessione morale. La fama di Tolstoj è legata anche al suo pensiero pedagogico, filosofico e religioso, da lui espresso in numerosi saggi e lettere che ispirarono, in particolare, la condotta non-violenta dei tolstoiani e del Mahatma Gandhi.

Biografia

La vita di Tolstoj fu lunga e tragica, nell'accezione più vera del termine, ossia nel senso che essa fu dominata da una profonda, segreta tensione: la si potrebbe definire una tragedia dell'anima.
Tolstoj ebbe un'incessante, tormentosa evoluzione interiore, lottò con se stesso e con il mondo, e questa lotta, talora impetuosa, alimentò senza sosta l'impulso creativo. Perciò lo studio della sua vita, come ha scritto Igor Sibaldi, richiede impegno e fatica:
    « Lo sforzo lo richiede, e notevole, la biografia tolstoiana: per non smarrirsi tra le sue fasi, tanto radicalmente diverse l'una dall'altra, contraddittorie, e tanto intense tutte, mai «minori» – giacché in ciascuna di esse Tolstoj metteva immancabilmente tutto sé stesso [...] »
   
Una traccia per accostarsi alla sua vita la offrì Tolstoj stesso, quando scrisse, negli ultimi anni, che essa poteva essere divisa in quattro periodi fondamentali:
    « [...] quel primo tempo poetico, meraviglioso, innocente, radioso dell'infanzia fino ai quattordici anni. Poi quei venti anni orribili di grossolana depravazione al servizio dell'orgoglio, della vanità e soprattutto del vizio. Il terzo periodo, di diciotto anni, va dal matrimonio fino alla mia rinascita spirituale: il mondo potrebbe anche qualificarlo come morale, perché in quei diciotto anni ho condotto una vita familiare onesta e regolata, senza cedere a nessuno dei vizi che l'opinione pubblica condanna. Tutti i miei interessi però erano limitati alle preoccupazioni egoistiche per la mia famiglia, il benessere, il successo letterario e tutte le soddisfazioni personali. Infine il quarto periodo è quello che sto vivendo adesso, dopo la mia rigenerazione morale [...] »
   
Infanzia

Lev Nikolaevič Tolstoj nasce il 28 agosto 1828 nella tenuta Jasnaja Poljana nel distretto di Ščëkino (governatorato di Tula). I genitori sono d'antica nobiltà: la madre, di cinque anni maggiore del marito, è la principessa Marja Nikolàevna Volkonskaja (Jasnaja Poljana era la sua dote di matrimonio), mentre il padre Nikolàj Il'ìč è discendente di Pëtr Andreevič Tolstoj, che aveva ottenuto il titolo di conte da Pietro il Grande.

La madre, di cui Lev non conserverà alcun ricordo, muore quando egli ha appena due anni. Dopo qualche anno gli muore anche il padre (corse voce che l'avessero avvelenato i suoi due servi prediletti; Lev lo ricorderà come mite e indulgente) lasciandolo precocemente orfano. Fu così allevato da alcune zie molto religiose e da due precettori, un francese e un tedesco, che diventeranno poi personaggi del racconto Infanzia. Scriverà di sé:
    « Chi sono io? Uno dei quattro figli di un tenente colonnello in pensione, rimasto orfano a sette anni, allevato da donne e da estranei e che, senza aver ricevuto alcuna educazione mondana né intellettuale, a diciassette anni è entrato nel mondo. »
   
Giovinezza e prime opere

Nel 1844 si iscrive all'università di Kazan' (nell'attuale Tatarstan), prima alla facoltà di filosofia (sezione di studi orientali, dove supera gli esami di arabo e turco), poi, l'anno dopo, a quella di giurisprudenza, ma per via dello scarso profitto non riuscirà mai ad ottenere la laurea; provvede quindi da solo alla propria istruzione, ma questa formazione da autodidatta gli provocherà spesso un senso di disagio in società.

La giovinezza dello scrittore è disordinata, tempestosa: a Kazan passa le serate tra feste e spettacoli, perdendo grosse somme al gioco d'azzardo (circa dieci anni dopo, a Baden-Baden, perderà ancora rovinosamente al gioco e lo salverà l'amico Turgenev concedendogli un prestito) ma intanto legge molto, soprattutto filosofi e moralisti. Particolare influenza ha su di lui Jean-Jacques Rousseau:
    « Rousseau e il Vangelo hanno avuto un grande e benefico influsso sulla mia vita. Rousseau non invecchia. »
   
Non a caso, l'opera della conversione di Tolstoj, scritta trent'anni dopo, si intitolerà appunto – similmente all'autobiografia roussoniana – La confessione (1882). Autori come Rousseau, Sterne, Puskin, Gogol insegnano allo scrittore in erba un principio fondamentale: in letteratura sono importanti soprattutto la sincerità e la verità.

Proprio sotto questi influssi nascono le opere letterarie di Tolstoj: nel 1851 avviene la prima redazione del racconto Infanzia (che uscirà sulla rivista di Nekrasov Sovremennik nel 1852, firmato con le sole iniziali) e la stesura di un altro racconto, incompiuto, Storia della giornata di ieri. Lo scopo di quest'ultimo, secondo le parole dell'autore, era estremamente semplice ed insieme complicatissimo, quasi irrealizzabile: «descrivere una giornata, con tutte le impressioni e i pensieri che la riempiono». Da questo germe si può già intravedere lo sviluppo della possente pianta: tendenza all'introspezione e alla vita reale. Tolstoj resterà fino alla fine un incrollabile realista. L'immaginazione slegata dalla realtà è quasi inesistente nei suoi libri. L'unica possibilità di utilizzare la fantasia consiste nell'elaborazione di qualche particolare, di qualche sfumatura che appartiene però ad un oggetto assolutamente reale. Anche il successivo racconto, pubblicato sempre su Sovremennik, è ispirato a criteri di verità quasi naturalistici: L'incursione (1853), che nasce dal ricordo di un'autentica scorribanda compiuta da un battaglione russo in un villaggio caucasico.

L'esperienza della guerra

Tra il 1851 e il 1853 Tolstoj, seguendo il fratello maggiore Nikolaj, partecipa alla guerra nel Caucaso, prima come volontario, poi come ufficiale d'artiglieria. Nel 1853 scoppia la guerra russo-turca e – dietro sua richiesta – Tolstoj viene trasferito in Crimea, a Sebastopoli, dove si combatte sul famoso quarto bastione. Qui conduce la vita del soldato, combatte coraggiosamente, affronta rischi d'ogni sorta, osserva tutto con attenzione, guarda in faccia il pericolo, e tuttavia gli avvenimenti più tragici avvengono dentro di lui: si sente inquieto, costantemente in bilico tra la vita e la morte, ma col desiderio di dedicare la propria esistenza a nobili ideali. Nel Diario del 1854 – anno in cui pubblica Adolescenza (Отрочество [Otročestvo]) – annota: «La cosa più importante per me è liberarmi dai miei difetti: la pigrizia, la mancanza di carattere, l'irascibilità». Nel marzo del 1855 decide finalmente riguardo al proprio destino: «La carriera militare non fa per me, e prima me ne tirerò fuori, per dedicarmi totalmente alla letteratura, tanto meglio sarà».

La guerra di Crimea – cruenta e rovinosa per l'esercito russo – lascia un solco profondo nel giovane Tolstoj e gli offre, d'altra parte, abbondante materiale per una serie di racconti: il ciclo dei tre Racconti di Sebastopoli (Севастопольские рассказы [Sevastolpol'skie Rasskazi], 1855) e poi Il taglio del bosco (1855), La tempesta di neve (1856) e I due ussari (1856). Ispirate alle violenze della guerra, queste opere sconvolgono la società russa per la spietata verità e l'assenza di qualsiasi forma di romanticismo guerriero o di patriottismo sentimentale. Nessuno prima di lui ha descritto la guerra in quel modo: è una voce nuova nell'epoca d'oro della letteratura russa. Nel gennaio del 1856, Fëdor Dostoevskij scrive dalla Siberia ad un corrispondente, parlando di Tolstoj: «mi piace molto, ma secondo me non scriverà molto (ma del resto, chissà, forse mi sbaglio)».

La censura esita ad autorizzare la pubblicazione dei tre Racconti di Sebastopoli: cerca di vietare il secondo «per l'atteggiamento derisorio nei confronti dei nostri coraggiosi ufficiali», ma alla fine lascia correre, pur imponendo tagli e modifiche. Nel 1856 vengono raccolti in un unico volume con il titolo Racconti di Guerra.

La sensibilità verso le miserie sociali

Nel 1856 Tolstoj assiste il fratello Dmitrij, che muore di tisi. Si interessa poi per migliorare le condizioni dei contadini di Jasnaja Poljana, ma questi sono diffidenti e rifiutano le sue proposte, come accade al protagonista de La mattinata di un proprietario terriero, racconto che Tolstoj pubblica in quell'anno, e come accadrà anche al protagonista di Resurrezione, romanzo di molti anni più tardi, di ispirazione parzialmente autobiografica.

Si apre per Tolstoj un periodo ricco di riflessioni, con ricerche, viaggi, un crescente interesse per l'istruzione popolare e l'attività di giudice di pace nelle contese tra proprietari e contadini – proprio a cavallo dell'abolizione della servitù della gleba (1861) – che stimolano in lui lo svilupparsi di una particolare sensibilità verso le ingiustizie sociali.

Sul versante della produzione letteraria, nei nove anni che vanno dai Racconti di guerra alla prima parte della grandiosa epopea Guerra e pace (1865), lo scrittore pubblica diversi altri racconti: Giovinezza (Юность [Junost'], 1857, ultimo della trilogia comprendente Infanzia e Adolescenza), Tre morti (1858), Al'bèrt (1858), Felicità familiare (1859), Idillio (1861) e Polikuška (Поликушка, 1863).

Il 1863 è anche l'anno di pubblicazione de I cosacchi (Казаки [Kazaki]) – opera ispirata ai ricordi del Caucaso e lungamente rielaborata nel corso di un decennio – in cui sono evidenti gli echi della lettura rousseauiana ed in cui si esprime, con entusiasmo, la nostalgia per la vita a contatto con la natura, semplice e felice. Intanto, lo scrittore viaggia per l'Europa, dove ha modo di conoscere Proudhon, Herzen, Dickens. A sconvolgerlo sono gli abusi del potere, la miseria dei poveri, la pena di morte, contro la quale – dopo aver assistito a una condanna – prende posizione:
    « [...] ho visto a Parigi decapitare un uomo con la ghigliottina, in presenza di migliaia di spettatori. Sapevo che si trattava di un pericoloso malfattore; conoscevo tutti i ragionamenti che gli uomini hanno messo per iscritto nel corso di tanti secoli per giustificare azioni di questo genere; sapevo che tutto veniva compiuto consapevolmente, razionalmente; ma nel momento in cui la testa e il corpo si separarono e caddero diedi un grido e compresi, non con la mente, non con il cuore, ma con tutto il mio essere, che quelle razionalizzazioni che avevo sentito a proposito della pena di morte erano solo funesti spropositi e che, per quanto grande possa essere il numero delle persone riunite per commettere un assassinio e qualsiasi nome esse si diano, l'assassinio è il peccato più grave del mondo, e che davanti ai miei occhi veniva compiuto proprio questo peccato. »
   
Ma, non di meno, lo angoscia la vita russa, specialmente quella dei contadini. In questi anni comincia così a manifestarsi, in maniera sempre più evidente, una caratteristica fondamentale della personalità tolstoiana: l'insoddisfazione di sé stesso, della propria esistenza, della propria opera.

Come Olenin – l'eroe dei Cosacchi, che rifiuta la società falsa ed ipocrita per rifugiarsi nel Caucaso – anche Tolstoj, all'inizio degli anni sessanta, decide di abbandonare gli impegni mondani, compresi quelli letterari, per rifugiarsi nella propria tenuta, con l'intento di dedicarsi – nella scuola da lui stesso fondata – all'istruzione dei bambini del villaggio.

Matrimonio e figli

Il 23 settembre 1862, dopo appena una settimana di fidanzamento, sposa la diciottenne Sof'ja Andrèevna, seconda delle tre figlie del medico di corte Bers. Lo scrittore, non volendole nascondere nulla, le fa leggere, alla vigilia delle nozze, i suoi diari intimi. La madre di Sof'ja, Ljubòv' Islàvina, era stata amica d'infanzia di Tolstoj.

Avranno tredici figli, cinque dei quali morti in età precoce.

Guerra e pace

Il destino di Tolstoj, dopo il matrimonio, non poteva essere quello di un tranquillo proprietario di campagna, tanto più che la vita familiare, all'inizio felice, stimolava persino i suoi istinti creativi: in sette anni portò a termine Guerra e pace (Война и мир [Vojna i mir], 1863-1869). La scelta di un tema storico, di fatti avvenuti cinquant'anni prima, non era un rifiuto a partecipare ai dibattiti sulle "grandi riforme", sullo scontro tra liberali e conservatori, sui primi attentati terroristici (o anarchici come allora venivano chiamati), anzi era una risposta proprio a quei dibattiti, agli attacchi dei democratici contro la struttura nobiliare, alla campagna per l'emancipazione della donna.

Molte delle nuove idee furono accolte da Tolstoj con scetticismo. Il suo ideale era una società "buona" e patriarcale, era la purezza della vita secondo natura. In Guerra e pace Tolstoj affrontò questioni fondamentali di carattere storico-filosofico, come il ruolo del popolo e dell'individuo nei grandi avvenimenti storici. Contrapponendo Napoleone a M.I. Kutuzov, l'autore volle polemicamente dimostrare la superiorità di Kutuzov, che aveva capito lo spirito delle masse e aveva afferrato l'andamento degli eventi che vanno assecondati e non contrastati.

Le due linee centrali del romanzo sono indicate dal titolo stesso: la "guerra" e la "pace". Attraverso l'intrecciarsi dei due motivi nasce un'unità, una sintesi dell'estetico e dell'etico, una summa della vita russa dell'inizio del XIX secolo, vista dall'interno. Due sono le date entro cui scorrono gli avvenimenti: il 1805, anno della prima, sfortunata campagna contro Napoleone che si chiude con la sconfitta di Austerlitz, e il 1812, anno della gloriosa guerra in patria che vede insorgere tutto il popolo russo in difesa del territorio nazionale. E se l'ambiente sociale in cui si muovono i protagonisti è l'alta nobiltà moscovita e pietroburghese, il sostrato autentico verso cui tendono è il popolo, la nazione contadina, per lo più passiva, ma che nei momenti cruciali riesce a imporre la propria volontà.

Nel ritrarre la nobiltà, Tolstoj non nasconde il proprio rifiuto, la propria intransigenza: pone da un lato il clan dei depravati Kuragin, malvagi portatori di male, di corruzione, e dall'altro i Rostov, serena immagine di una classe in declino, incapace di gestirsi economicamente ma portatrice di valori ancora accettabili. Su questo sfondo si stagliano i tre protagonisti, il cui cammino spirituale sovrasta quelli di tutti gli altri personaggi: il principe Andrej Bolkonskij, fin dalle prime pagine in polemica con la società salottiera pietroburghese, è attratto dal sogno di gloria di un atto eroico (battaglia di Austerlitz), passa poi attraverso stadi di scetticismo e di indifferenza per rinascere alla vita attraverso l'amore per Natasha. La sua morte è un doloroso processo di illuminazione ed elevazione spirituale, simile a quello di Ivan Il'ic.

Anche Pierre Bezuchov entra nel romanzo contestando le idee dei nobili vicini alla corte: ma, personaggio più sensuale di Andrej, viene inizialmente attratto dai falsi valori impersonati dai Kuragin, che lo spingono a stravizi e a un matrimonio senza amore con la bellissima Hélène, sorella del fatuo e corrotto Anatole. Il desiderio di autoperfezionamento lo spinge verso la massoneria, ma la maturazione profonda avviene a contatto con il popolo di soldati-contadini durante la prigionia e soprattutto attraverso l'incontro con Karataev, l'uomo giusto per eccellenza. Pierre incarna il vero, profondo tema universale del romanzo (affine in questo a Levin di Anna Karenina e a Nechljudov di Resurrezione): il tema dell'eterna ricerca, del continuo conflitto tra la realtà esterna, storica, e l'individuo che tende alla purificazione interiore.

Nataša Rostova è una forza della natura, simbolo vivente di una inafferrabile realtà politica, dell'"armonia del mondo" secondo Tolstoj, e in questo senso estranea ai tormenti intellettuali di Andrej. La sua spontaneità, la sua grazia, i suoi impeti infantili si maturano faticosamente attraverso l'amore e la morte di Andrej, la volgare seduzione di Anatole Kuragin, il portatore del male che tenta anche lei, e infine l'incontro amoroso con Pierre.

Anna Karenina

Il romanzo successivo, Anna Karenina (Анна Каренина, 1873-1877), è un'opera aggressiva e polemica, che affronta gran parte dei problemi sociali di quegli anni. L'azione del romanzo si svolge in un ambiente che Tolstoj conosceva perfettamente: l'alta società della capitale. Tolstoj denuncia tutte le segrete motivazioni dei comportamenti dei personaggi, le loro ipocrisie e le loro convenzioni, e forse, quasi senza volerlo, mette sotto accusa non Anna, colpevole di aver tradito il marito, ma la società, colpevole di averla spinta al suicidio.

La forza di Tolstoj artista si identificava con la potenza di Tolstoj moralista, il quale toglieva a chiunque l'arbitrio di giudicare, perché solo Dio può giudicare, come è detto nelle bibliche parole dell'epigrafe: «A me la vendetta, io farò ragione». Anna Karenina è l'antecedente di tutta una serie di romanzi del XX secolo, costruiti secondo i principi della psicoanalisi.

In molti punti il romanzo è autobiografico: nel personaggio di Levin, dedito alla conduzione delle proprie terre e alla famiglia, Tolstoj rappresenta se stesso, mentre in alcuni splendidi personaggi femminili (non in Anna) sono riconoscibili certi tratti della moglie, che peraltro aiutò Tolstoj nella stesura dell'opera, consigliandolo su come far procedere la trama.

La conversione all'etica del Discorso della Montagna

Già in Anna Karenina Tolstoj si era accostato ad alcuni tormentosi problemi connessi con la sua crisi di scrittore e con il crollo dei valori dell'alta società che fino a poco tempo prima gli erano sembrati indistruttibili. Tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta si sviluppò via via in lui una profonda crisi spirituale ed una conseguente conversione morale ai Vangeli e al Cristianesimo, dapprima in obbedienza alla Chiesa ortodossa russa e successivamente (dal 1881, considerato da Tolstoj l'anno d'inizio della sua autentica rigenerazione interiore) in contrasto con essa: alla base del suo pensiero religioso rimarrà il Vangelo, ma epurato di ogni elemento soprannaturale, ponendo attenzione in particolare al Discorso della Montagna, che diventerà il cardine del suo modo di intendere la religione cristiana.

Accanto alle Sacre Scritture cristiane, Tolstoj meditava testi orientali (ad esempio buddhisti e taoisti), oltre che filosofici (tra cui Il mondo come volontà e rappresentazione), nella affannosa ricerca di risposte ai propri dubbi esistenziali. Abbracciò gradualmente una dieta vegetariana (per compassione verso gli animali) e cercò di praticare uno stile di vita di sobrietà e povertà. Il desiderio di non vivere nel lusso, di non possedere alcunché, di non mangiare più carne, tutte idee nient'affatto condivise dalla moglie di Tolstoj, furono alla base di un lacerante ed interminabile conflitto casalingo. La famiglia, pur continuando a stare insieme, si "divise", per così dire, con le figlie – simpatizzanti per le idee del padre – da una parte, e dall'altra i figli maschi, in difesa della madre, la quale sempre più spesso si abbandonava a crisi di isteria contro le nuove visioni etiche – per lei folli e incomprensibili – del marito. Ad opporsi alle idee radicali di Tolstoj fu anche Dostoevskij, che aveva elogiato Anna Karenina ma non condivideva le concezioni non-violente del suo maggior rivale in ambito letterario; i due narratori si scambiarono pubbliche critiche e preferirono, per reciproca diffidenza, non incontrarsi mai di persona.

Il 1880 è un anno che Tolstoj dedica pienamente allo studio critico-filologico dei Vangeli. Nel 1881 Alessandro II viene assassinato e Tolstoj scrive al successore, Alessandro III, per esortarlo ad essere clemente con gli attentatori del padre. Ma la richiesta non ha seguito: i colpevoli vengono impiccati e il nuovo zar instaura un regime repressivo con deportazioni e massacri, avvalendosi dell'okhrana, la polizia politica.

A partire dalla sua cosiddetta conversione, Tolstoj lavora instancabilmente, sino alla morte, a numerose opere saggistiche ed autobiografiche – oltre che narrative e drammaturgiche – di carattere morale e religioso.

Trasferitosi con la famiglia a Mosca (dove rimarrà per diversi anni), nel gennaio del 1882 decide di partecipare al censimento della popolazione: è l'occasione per scoprire i mille volti della miseria di città, non meno drammatica di quella delle campagne. Queste esperienze tra i poveri saranno la base per il saggio Che fare? (o Che cosa dobbiamo fare?) del 1886.[12]

Nella Confessione (1882) egli riferisce di aver attraversato, in concomitanza con la crisi spirituale, una profonda depressione, che stava per indurlo al suicidio, e di esserne uscito grazie all'idea di una religione vissuta con umiltà e semplicità insieme al popolo (da qui la critica alle filosofie elitarie e pessimiste di Buddha, del Qoelet e di Schopenhauer, che in un primo momento lo avevano attratto). Tolstoj descrive, in quest'opera che ha la forma di un diario, le fasi della propria conversione morale, avvenuta dapprima in linea con la Chiesa ortodossa e successivamente evolutasi in quello che oggi definiremmo un cristianesimo anarchico, cioè una fede dai forti tratti etici ma vissuta al di fuori delle Chiese ufficiali ed anzi in contrasto con il clero e con i tradizionali dettami dogmatici.

Pavel Aleksandrovič Florenskij scriverà a Tolstoj una lettera appassionata, che probabilmente non gli verrà mai recapitata: ha appena letto la Confessione e – in preda anch'egli ad una crisi spirituale – ne raccoglie la provocazione.

Nell'opera teatrale La potenza delle tenebre (1886) Tolstoj descrive la forza con cui l'egoismo ed il vizio possono avviluppare l'anima umana, alla quale resta però sempre possibile il riscatto morale.

In Della vita (o Sulla vita, 1887-1888) egli cerca di sintetizzare, capitolo dopo capitolo, le riflessioni che sta raccogliendo in questi anni sul senso della vita e della morte.

Lo scrittore, col maturare della "conversione" e lo svilupparsi delle proprie riflessioni religiose, abbraccia con fervore ideali radicalmente pacifisti, nella convinzione che solo l'amore e il perdono, come insegnato dal Discorso della Montagna, possano unire le genti e dar loro la felicità; queste idee vengono da lui espresse, ad esempio, nella già citata Lettera allo zar (1881) e nella Lettera a Enghelgardt (1882-1883), e sviluppate ampiamente nei saggi In che consiste la mia fede (1884) e Il regno di Dio è in voi (1893), culmine della conversione morale di Tolstoj e fra gli antesignani della filosofia non-violenta contemporanea.

Un impegno a tutto campo

«Improvvisamente, sotto la barba del mužik, sotto il democratico camiciotto spiegazzato, apparì il vecchio signore russo, il magnifico aristocratico» osservò Gor'kij, a proposito di Tolstoj. Gor'kij definì Tolstoj «l'uomo più complesso del XIX secolo».
Anton Čechov, a partire dal 1887, nutre un vivo interesse per le idee di Tolstoj (nella foto i due siedono accanto). Lo va a trovare nel 1895 a Jasnaja Poljana e scriverà che Tolstoj gli aveva fatto «un'impressione meravigliosa. Mi sentivo a mio agio, come a casa; le conversazioni con Lev Nikolaevič erano liberissime».

Stimolata dall'impegno sociale, l'energia creativa dello scrittore è più che mai fervida: nella seconda metà degli anni ottanta essa produce alcuni tra i migliori racconti: Iljas (1885), La morte di Ivan Il'ič (Смерть Ивана Ильича [Smert' Ivana Il'iča], 1886), Il diavolo (1889-1890), la Sonata a Kreutzer (1889-1890), e i drammi La potenza delle tenebre (Власть тьмы [Vlast' t'my], 1886) e I frutti dell'istruzione (1886-1889). Degli anni novanta sono Padrone e servo (1894-1895), Alioscia Gorsciok (1896) e Padre Sergij (Отец Сергий, 1890-1898, pubblicato nel 1912).

Tolstoj si fa editore e – oltre alle proprie opere – inizia a diffondere decine di milioni di copie di testi formativi (come ad esempio la Didaché, i pensieri di Laozi e i Colloqui con se stesso di Marco Aurelio) venduti per poche copeche al popolo russo. La casa editrice è chiamata Posrednik (L'intermediario) e si propone di «istruire il popolo russo».

Nell'estate del 1891 una grande carestia si abbatte sulle provincie centrali e sud-occidentali della Russia, per via di una siccità prolungata. In tale circostanza, Sof'ja è molto vicina al marito nell'aiutarlo a mobilitare una catena internazionale di soccorsi per i contadini che stanno morendo letteralmente di fame[26], ma il conflitto fra i coniugi torna ad inasprirsi subito dopo, quando Tolstoj trasmette ai giornali la sua decisione di rinunciare ai diritti d'autore per le opere scritte dopo la conversione.[12] Nello stesso anno, lo scrittore si reca a Firenze per partecipare ad un convegno ecumenico dal titolo Conferenze sulla fusione di tutte le Chiese cristiane, dove si dichiara favorevole alla «proposta di fondere le Chiese cristiane in una sola che abbia per capo il Papa di Roma e per base la sua organizzazione esteriore nella formula cavouriana e per fondamento del suo pensiero le massime di Cristo e dell’Evangelo».

Intanto diventano sempre più tesi i rapporti con la censura e con la Chiesa ortodossa: la Sonata a Kreutzer (in cui Tolstoj intende, con la cronaca di un adulterio, esaltare indirettamente la castità evangelica) supera il veto solo per intervento personale di Alessandro III, dopo un incontro con la moglie dello scrittore. La crescente irritazione dei circoli governativi ed ecclesiastici è dovuta alle sue accese proteste contro le persecuzioni delle minoranze religiose in Russia – come i doukhobors (per la cui migrazione egli devolverà gli introiti di Resurrezione) e i molokany –, alle sue roventi accuse contro la nobiltà, contro le istituzioni statali, contro la falsa morale dei potenti.

Del 1895 è Contro la caccia, a cui seguirà, qualche anno dopo, Il primo gradino (1902). Entrambi gli scritti sono degli accalorati manifesti in favore dei diritti degli animali e del vegetarismo.

Nel 1896 scrive una Lettera agli italiani (che verrà pubblicata solo molti anni dopo) contro la guerra italo-abissina e nel 1899 una Lettera agli svedesi sulla renitenza alla leva.

Gli scritti saggistici e pubblicistici appaiono spesso meno concisi e lineari rispetto alle opere del Tolstoj narratore, ma ciò è dovuto al fatto che – desiderando egli dare maggiore importanza al contenuto che alla forma, alla comunicazione piuttosto che ai suoi modi – si proponeva di risultare il più chiaro possibile, a rischio di ripetersi mille volte e di apparire didascalico.

In Che cosa è l'arte? (1897) Tolstoj affida proprio all'arte – intesa, nella sua forma più pura, come un'attività di esortazione, attraverso i sentimenti, al bene ed ai valori di fraternità – il compito di diffondere tra il popolo l'etica dell'amore.

Nell'agosto del 1897 riceve una visita di più giorni da parte di Cesare Lombroso, che desiderava incontrarlo. I due nuotano insieme nella tenuta di Jasnaja Poljana, ma quando l'italiano inizia a parlare delle proprie convinzioni sui criminali di nascita e sulla pena come difesa sociale, Tolstoj esplode esclamando: «Tutto ciò è delirio! Ogni punizione è criminale!».

Nel luglio del 1898 chiede ad alcuni amici russi e finlandesi di aiutarlo a fuggire in Finlandia, lontano dalla moglie e dalla famiglia, ma il tentativo viene poi abbandonato.

Resurrezione

In Resurrezione (Воскресение [Voskresenie], 1889-1899) Tolstoj descrive l'angoscia profonda dell'uomo di coscienza (e in primo luogo dell'autore) stretto nel meccanismo della burocrazia statale, nel ferreo "ordine delle cose". Il romanzo denuncia in particolare la disumanità delle condizioni carcerarie e l'insensatezza delle vigenti istituzioni giudiziarie. Qual è la via di scampo? Un approccio radicale alla morale cristiana, intesa, quale buona novella rivolta agli ultimi della società, come iniziativa etica atta a migliorare concretamente la vita degli uomini oppressi su questa terra, nello spirito del Discorso della montagna ripetutamente citato da Tolstoj in quest'ultima sua grande fatica narrativa. Nechljudov, il protagonista del romanzo, vive le medesime rivoluzioni interiori dell'autore: l'iniziativa di donare (o meglio, "restituire") i propri possedimenti terrieri ai contadini, la volontà di rinunciare alla vita sfarzosa e mondana e di dedicare la propria esistenza al servizio dei dimenticati ed alla liberazione degli sfruttati e degli oppressi. Anche Katiuša, la figura femminile con la quale e attraverso la quale Nechljudov cerca un riscatto, compie un cammino di redenzione morale, da prostituta a sposa. La "resurrezione" dei protagonisti avviene quindi nell'accezione metaforica di una rinascita etica, simile a quella vissuta (o perlomeno disperatamente cercata, nonostante le contrapposizioni con la moglie e i familiari) dallo stesso Tolstoj.

La nascita di un movimento

Tolstoj ricevette lettere e visite da persone di ogni età ed estrazione sociale (tra cui Victor Lebrun) che avevano letto i suoi scritti (molti dei quali proibiti dalla censura) e ne ammiravano il pensiero morale e sociale.[12] Sulla spinta di Vladimir Čertkòv (e non per iniziativa dello stesso Tolstoj, che era scettico verso tutto ciò che assomigliasse ad una setta) nacque la corrente del tolstoismo, ispirata all'etica filosofico-religiosa di Tolstoj, ed i cui seguaci saranno poi violentemente perseguitati sotto il regime comunista.

La scomunica

Il 20-22 febbraio 1901 il Santo Sinodo scomunicò Tolstoj per le sue idee anarchico-cristiane e anarco-pacifiste. Konstantin Pobedonostsev, procuratore del Sinodo, aveva chiesto anni prima di rinchiudere con la forza Tolstoj in un monastero. Ma ormai lo scrittore aveva raggiunto una fama enorme e le persecuzioni non facevano che aumentarne la popolarità, tanto che la sua eliminazione fisica era ritenuta imprudente dagli stessi vertici politici, i quali si rendevano conto che in tal modo lo avrebbe reso un martire scatenando grandi rivolgimenti sociali. Scrisse Suvorin:
    « Che qualcuno provi solo a toccare Tolstoj, il mondo intero urlerà e la nostra amministrazione sarà costretta ad abbassare la cresta! »
   
Furono organizzati cortei di solidarietà in favore di Tolstoj e la sua casa fu circondata da una folla osannante.[26] Lo scrittore ribatté punto per punto alle accuse rivoltegli nel testo della scomunica scrivendo una Risposta alla deliberazione del sinodo (1902), in cui rivendicava il suo essere un onesto seguace di Cristo e della verità.

Gli inizi del Novecento

L'ultimo decennio vede allinearsi una serie di piccoli capolavori letterari, tra cui Chadži-Murat (Хаджи-Мурат, 1896-1904, pubblicato nel 1912), La cedola falsa (1902-1904, pubblicato nel 1911), Dopo il ballo (1903, pubblicato nel 1911), Appunti postumi dello starec Fedor Kuz'mič (1905, pubblicato nel 1912), Il divino e l'umano[33] (1905) e il dramma Il cadavere vivente (1900, pubblicato nel 1911). In queste opere si avverte una continua oscillazione interiore: da una parte la fede nell'amore universale, nell'avvento del regno dell'armonia (il «Regno di Dio» in terra) attraverso mezzi pacifici, dall'altra la constatazione dell'estrema distanza tra tale avvento e la realtà. Così – se da un lato c'è l'ideale del contadino che tutto perdona e tutto sopporta e del perfezionamento morale come unica possibile salvezza – dall'altro ci sono le contraddizioni della realtà concreta in cui Tolstoj vive.

Nel 1900, dopo l'assassinio del re d'Italia Umberto I per mano dell'anarchico Gaetano Bresci, Tolstoj scrive l'articolo Non uccidere.

Nel 1901 lo scrittore è candidato al Premio Nobel per la letteratura e gli osservatori lo danno per favorito, tanto che Tolstoj si affretta a scrivere ad un giornale svedese perché l'importo della vincita sia devoluto ai doukhobors (ai quali egli aveva già donato gli introiti di Resurrezione), ma il premio viene poi assegnato a Sully Prudhomme.

Allo scoppio della guerra russo-giapponese, lo scrittore invoca con forza la pace (Contro la guerra russo-giapponese, 1904), ma proprio suo figlio Andrej, ventiseienne, si arruola come volontario per combattere al fronte, suscitando lo sdegno del padre; tuttavia Andrej verrà congedato dall'esercito, dopo qualche mese, per disturbi nervosi.

L'anno successivo, davanti alla Rivoluzione russa del 1905 Tolstoj implora:
    « C'è una sola cosa da fare: placare l'ostilità, senza parteggiare per nessuno, distogliere la gente dalla lotta e dall'odio perché tutto questo sa di sangue. »
   
Egli profonde le sue ultime energie nel cercare di comprendere i drammatici avvenimenti d'inizio secolo e nell'insistere a chiedere – come una voce che grida nel deserto – delle soluzioni di pace ad un mondo che scivola verso l'abisso del conflitto globale (Divino e Umano, 1905; Perché?, 1906; Sull'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina all'Austria, 1908; Chi sono gli assassini, 1908-1909).

Del 1908 è la Lettera a un indù, che viene apprezzata e diffusa da Gandhi, il quale inizierà, l'anno successivo, uno scambio epistolare con Tolstoj.

Nel 1909 lo scrittore tenta – con appelli alla Duma di Stato e a Stolypin – di convincere il governo ad abolire la proprietà privata della terra, onde scongiurare una grande rivoluzione, che egli reputa imminente.[ Nel luglio dello stesso anno, riceve un invito al congresso della pace a Stoccolma ed inizia a preparare una conferenza; ma la moglie si oppone alla sua partenza, minacciando – come altre volte – il suicidio e costringendo Tolstoj a restare a casa.

La fuga e la morte

Desideroso di compiere il tanto vagheggiato "salto" decisivo col quale avrebbe lasciato tutto per Cristo, Tolstoj mise finalmente in pratica il progetto di andarsene di casa. Il crescendo di liti con la moglie e con i figli (da parte dei quali aveva il terrore di subire violenze atte a fargli redigere in loro favore un testamento) gli causava del resto enormi sofferenze. Così, nella notte del 28 ottobre 1910, dopo essersi accorto che la moglie frugava di nascosto fra le sue carte, lo scrittore, sentendosi più che mai oppresso, si allontanò di soppiatto da Jasnaja Poljana, dirigendosi verso la Crimea su treni di terza classe, accompagnato dal medico personale Dušàn Makovitskij, il quale gli era anche amico fidato.
Sulla sua scrivania – a testimoniare le paure degli ultimi giorni – era rimasta aperta una copia dei Fratelli Karamàzov di Dostoevskij al punto in cui il figlio si abbandona alle vie di fatto con il padre. Lasciò scritte queste parole per la moglie:
    « Ti ringrazio per i quarantotto anni di vita onesta che hai passato con me e ti prego di perdonarmi tutti i torti che ho avuto verso di te, come io ti perdono, con tutta l'anima, quelli che tu hai avuto nei miei riguardi. »
   
Durante il viaggio, a causa del freddo e della vecchiaia, lo scrittore ben presto si ammalò gravemente di polmonite e non poté andar oltre alla stazione ferroviaria di Astapovo. Accorsero parenti, amici (tra cui il suo segretario Valentin Bulgakov) e giornalisti ad attorniare il morente.[5] Febbricitante, Tolstoj dettò alla figlia Aleksandra (la prima tra i familiari ad averlo raggiunto) questi pensieri per il Diario:
    « Dio è quell'infinito Tutto, di cui l'uomo diviene consapevole d'essere una parte finita. Esiste veramente soltanto Dio. L'uomo è una Sua manifestazione nella materia, nel tempo e nello spazio. Quanto più il manifestarsi di Dio nell'uomo (la vita) si unisce alle manifestazioni (alle vite) di altri esseri, tanto più egli esiste. L'unione di questa sua vita con le vite di altri esseri si attua mediante l'amore. Dio non è amore, ma quanto più grande è l'amore, tanto più l'uomo manifesta Dio, e tanto più esiste veramente. »
   
Le sue ultime parole furono: «Svignarsela! Bisogna Svignarsela!» E: «La verità... Io amo tanto... come loro...»
Fu impedito alla moglie di avvicinarsi al capezzale se non poco prima che egli spirasse e quand'era ormai già privo di conoscenza, la mattina del 7 novembre 1910.

In riferimento a Tolstoj sul letto di morte, Boris Pasternak scrisse:
    « In un angolo non giaceva una montagna, ma un vecchietto raggrinzito, uno di quei vecchi creati da Tolstoj, da lui descritti e fatti conoscere a decine nelle sue pagine. Tutt'intorno crescevano giovani abeti. Il sole al tramonto segnava la camera con quattro fasci di luce obliqui... »
   
La sepoltura

Fu sepolto nei pressi della sua casa. La tomba è semplicissima, con il cumulo di terra e la sola erba, senza croce, senza nome, sull'orlo di un piccolo burrone. Aveva indicato lui il luogo, lo stesso nel quale era sepolto – ricordo dell'amato fratello maggiore Nikolaj – un "bastoncino verde" simbolo delle speranze dell'umanità, come raccontato da Tatiana:
    « Sapete perché mio padre è seppellito ai piedi di un poggio, all'ombra di vecchie querce, nella foresta di Jasnaja Poljana? Perché quel luogo era legato a un ricordo [...] Il maggiore dei figli Tolstoj, Nikolaj [...] aveva confidato di avere interrato in un angolo della foresta un bastoncino verde sul quale c'era scritta una formula magica. Chi avesse scoperto il bastone e se ne fosse impossessato, avrebbe avuto il potere di rendere felici tutti gli uomini. L'odio, la guerra, le malattie, i dolori, sarebbero scomparsi dalla faccia della terra [...]. »

Opere

* I Cosacchi (in russo Казаки) è un racconto lungo scritto da Lev Tolstoj e pubblicato nel 1863 sulla rivista russa “Il Messaggero”.

Stesura dell'opera

Dal 1851 al 1854, Tolstoj soggiornò nei territori del Caucaso come allievo ufficiale. Dobbiamo verosimilmente alla forte influenza che il nuovo stile di vita suscitò in lui il concepimento primigenio de I Cosacchi e, conseguentemente, la prima redazione del racconto, risalente al 1852, come l'autore stesso ci indica nel sottotitolo (“Racconto caucasico del 1852”). È certo che in un primo momento la trama e la forma stilistica non soddisfecero i desideri di Tolstoj, che negli appunti del 18 agosto 1857 – uno degli anni in cui si interessò maggiormente a I Cosacchi – scriveva: «Non sono per niente contento del Racconto del Caucaso. Non posso scrivere senza idee. E l'idea che il bene è il bene in ogni sfera, che le passioni sono uguali dappertutto, che lo stato selvaggio è buono, è insufficiente. Sarebbe anche bene se facessi mio quest'ultimo punto. È l'unica via d'uscita.» La stesura dell'opera fu quindi tormentata e lenta, di certo contrassegnata da frequenti blocchi dello scrittore. Riferiva Tolstoj all'amico Pavel Annekov di aver tentato di scrivere il racconto con quattro stili differenti (utilizzando addirittura i versi, segno che l'opera era inizialmente concepita come un poemetto). Molteplici sono i titoli che Tolstoj intendeva affibbiare alla sua opera (da Diario di un ufficiale del Caucaso a Il fuggiasco). Sappiamo che l'autore concluse definitivamente l'ultima stesura nel 1862, precisamente il 23 settembre, in seguito, cioè, al matrimonio con Sonja Bers. L'opera venne pubblicata da Il Messaggero Russo l'anno successivo.

Trama

Il protagonista Olenin – riflesso letterario di Tolstoj –, lasciatosi alle spalle gli sfarzosi modi di vivere moscoviti, decide di partire per il Caucaso e di soggiornarvi in qualità di allievo ufficiale. A contatto con la popolazione dei cosacchi, insediata in un villaggio poco discosto dal fiume Terek, Olenin si abitua in maniera graduale al nuovo ambiente umile e selvaggio, al punto che lo sconvolgimento delle attività consuetudinarie si ripercuote sulla sua filosofia di vita. Egli sente di essere improvvisamente attratto dalla natura, in cui riconosce l'unico mezzo di sublimazione spirituale, e invidia in una certa misura i temperamenti semplici e genuini del cacciatore Eroška e del giovane Lukaška. Innamoratosi della bella Mar'janka, promessa sposa a Lukaška, Olenin prova in ogni maniera a catturare le sue attenzioni. Armatosi di coraggio, dopo l'omicidio di Lukaška per mano di un abrek, chiede la mano di Mar'janka, la quale rifiuta sdegnosamente il suo amore. Olenin, perdutamente innamorato della ragazza, decide di lasciare il Caucaso e comprende che la sua vita è inscindibilmente legata alla Russia. Eroška sarà l'unico a salutarlo con calore.

Tematica principale

Come in diversi altri saggi ed opere, Tolstoj rimarca il bisogno umano di nobilitare lo spirito, stavolta proponendo la natura quale possibile via soteriologica. Il finale quasi tragico dell'opera mette a nudo, infine, l'impossibilità di realizzare tale proposito. Scrive Gianlorenzo Pacini, docente di letteratura russa all'Università di Siena, nell'Introduzione a “I Cosacchi” (edita da Arnoldo Mondadori Editore): «Come cercatore appassionato di Dio e della verità, insofferente dell'angoscia e della scissione, della contraddizione e del dubbio, Tolstoj accarezzò sempre il sogno panteista di placare nell'abbraccio della gran madre natura le inquietudini della sua coscienza tormentata. L'incontro con il mondo cosacco dovette costituire per lui una chiara quanto tempestiva presa di coscienza del fatto che da quella parte la strada era chiusa, che non si poteva placare il dubbio semplicemente ignorandolo, che non si poteva scavalcare la coscienza per tornare all'immediatezza dell'essere.»

* Guerra e pace (in russo: Война и мир, Vojna i mir; nell'ortografia originale: Война и миръ, Vojna i mir) è un romanzo storico di Lev Tolstoj.

Pubblicato per la prima volta tra il 1865 ed il 1869 sulla rivista Russkij Vestnik, riguarda la storia di due famiglie, i Bolkonskij e i Rostov, durante la campagna napoleonica in Russia (1812). Tolstoj paragonava la sua opera alle grandi creazioni omeriche, e nella sua immensità Guerra e pace si potrebbe dire un romanzo infinito, nel senso che l'autore sembra essere riuscito a trovare la forma perfetta con cui descrivere in letteratura l'uomo nel tempo. Denso di riferimenti filosofici, scientifici e storici, il racconto sembra unire la forza della storicità, e la precisione drammaturgica (persino di Napoleone si fa un ritratto indimenticabile) ad un potente e lucido sguardo metafisico che domina il grande flusso degli eventi, da quelli colossali (come la battaglia di Borodino) a quelli più intimi.

Per la precisione con cui i diversissimi piani del racconto si innestano all'interno del grande disegno monologico e filosofico dell'autore, Guerra e pace potrebbe definirsi la più grande prova di epica moderna, e un vero e proprio "miracolo" espressivo e tecnico. "Guerra e pace" è considerato da molti critici un romanzo storico (tra i più importanti di tutte le letterature), in quanto offre un ampio affresco della nobiltà russa nel periodo napoleonico; Tolstoj stesso amava paragonarlo all'"Iliade" di Omero.

Rapportato al suo tempo, Guerra e pace proponeva un nuovo tipo di narrativa, in cui un gran numero di personaggi costituivano una trama in cui si dipanavano niente meno che i due capitali soggetti ricordati nel titolo, combinati con argomenti altrettanto vasti, quali gioventù, vecchiaia e matrimonio. Benché oggi sia senz'altro giudicato un romanzo, esso infrangeva così tante convenzioni di tale genere, che molti critici coevi non ritenevano di potervelo annoverare. Tolstoj stesso indicava nel successivo Anna Karenina (1878), il suo primo tentativo di dar vita ad un romanzo nel senso europeo.

Controversie sul significato del titolo

Le parole russe per "pace" (pre-1918: "миръ" ) e "mondo" (pre-1918: "міръ", che include il significato di "mondo" nell'accezione di "società secolare") sono omonime, e fin dalla riforma dell'ortografia russa del 1918 si scrivono allo stesso modo, il che ha dato origine alla leggenda metropolitana diffusasi in Unione Sovietica che il manoscritto in principio si chiamasse "Война и міръ" (e quindi il titolo del romanzo dovesse essere correttamente tradotto come "Guerra e mondo", oppure "Guerra e società").

A far giustizia di un tale equivoco, il fatto che Tolstoj stesso ebbe a tradurre il titolo della sua opera in lingua francese con l'eloquente espressione "La guerre et la paix". Una parte di responsabilità di questa confusione va fatta ricadere sulla popolare trasmissione televisiva a "quiz" sovietica Čto? Gde? Kogda? (Что? Где? Когда? – Cosa? Dove? Quando?), che nel 1982 presentò come "risposta esatta" la variante semantica "società", fondandosi su un'edizione del 1913 che conteneva un refuso in una pagina isolata. L'episodio si replicò nel 2000, alimentando ulteriormente la diceria.

Per converso, esiste una poesia di Vladimir Majakovskij, composta nel 1913, denominata "Война и міръ" (cioè "міръ" quale "società"), che peraltro non ha alcuna relazione con il testo di Tolstoj.
Origine

Tolstoj intendeva inizialmente scrivere un romanzo sulla rivolta decabrista. La sua investigazione sulle cause di quei moti lo condusse a riesaminare l'invasione napoleonica della Russia del 1812 (già rammentata) e – più in generale – la complessiva storia di detta guerra.

Lingua

Sebbene la maggior parte del libro sia scritta in russo, significativi brani di dialogo – compreso l'incipit del romanzo – sono scritti in francese. Questa scelta rifletteva la realtà d'uso dell'aristocrazia russa nell'Ottocento, che usava la lingua franca delle classi colte europee, secondo i dettami della "buona società". Lo stesso Tolstoj fa riferimento a un gentiluomo russo costretto, da adulto, a prendere lezioni della sua lingua madre nazionale. Meno realisticamente, ma seguendo un consolidato uso letterario, i francesi descritti nel romanzo (Napoleone compreso) talora si esprimono in francese, talaltra in russo.

Introduzione alla trama

Il libro racconta la storia di alcune famiglie aristocratiche russe, e la loro reciproca interazione. Più procedono gli eventi, più Tolstoj nega ai protagonisti ogni facoltà di scelta: tragedia e felicità vengono rigidamente determinati da una sorta di fato, o – se si vuole – necessità immanente.

Il testo russo standard è diviso in quattro libri (quindici parti) e due epiloghi. Mentre approssimativamente i primi due terzi del romanzo hanno ad oggetto personaggi rigorosamente di fantasia, le ultime parti – ed anche uno dei due epiloghi – si cimentano sempre più spesso in saggi molto controversi sulla natura della guerra, del potere politico, della storia e della storiografia. Tolstoj interpolò questi saggi con il racconto in un modo che sfida la fiction convenzionalmente intesa. Alcune versioni ridotte tolsero del tutto questi saggi, mentre altre (pubblicate quando l'autore era ancora in vita) si limitarono a trasferirli in un'appendice.

Trama

Guerra e pace mescola personaggi di fantasia e storici; essi vengono introdotti nel romanzo nel corso di una soirée presso Anna Pavlovna Scherer nel luglio 1805. Pierre Bezuchov è il figlio illegittimo di un conte benestante che sta morendo di ictus: egli rimane inaspettatamente invischiato in una contesa per l'eredità del padre. L'intelligente e sardonico principe Andrej Bolkonskij, marito dell'affascinante Lise, trova scarso appagamento nella vita di uomo sposato, cui preferisce il ruolo di aiutante di campo (aide-de-camp) del generale Michail Illarionovič Kutuzov nell'imminente guerra contro Napoleone. Apprendiamo pure dell'esistenza della famiglia moscovita dei Rostov, di cui fanno parte quattro adolescenti. Fra loro, s'imprimono soprattutto nella memoria le figure di Natalija Rostova ("Nataša") – la vivace figlia più giovane – e di Nikolaj Rostov– il più anziano ed impetuoso. Alle Colline Bald, il principe Andrej affida al proprio eccentrico padre, ed alla mistica sorella Marja Bolkonskaja, sua moglie incinta e parte per la guerra.

Situazione strategica dell'Europa all'inizio del romanzo

Uno dei personaggi centrali di Guerra e pace è senz'altro Pierre Bezuchov. Ricevuta un'eredità inattesa, è improvvisamente oberato dalle responsabilità e dai conflitti propri di un nobile russo. Il suo precedente comportamento spensierato svanisce, rimpiazzato da un dilemma tipico della poetica di Tolstoj: come si dovrebbe vivere, in armonia con la morale, in un mondo imperfetto? Si sposa con Hélène, la bella ed immorale figlia del principe Kuragin, andando contro il suo stesso miglior giudizio. Preso dalla gelosia affronta in un duello il suo presunto rivale e malgrado non abbia mai impugnato una pistola lo vince. Si separa dalla moglie lasciandole metà del patrimonio quando in preda a riflessioni e sommerso da dubbi sulla vita incontra i massoni e ne diventa confratello. Pieno di buone intenzioni tenta di liberare i suoi contadini o servi della gleba ma viene imbrogliato dai suoi amministratori e non ottiene niente per migliorare le loro condizioni di vita, tenta anche di migliorare i suoi fondi agrari, ma in definitiva non ottiene risultati.

L'inizio della campagna di Russia

Il principe Andreij, la cui moglie Lise è nel frattempo morta di parto, rimane gravemente ferito durante la sua prima esperienza guerresca. Decide, in seguito a profonde riflessioni, di dedicarsi all'amministrazione delle sue proprietà; è in questo periodo che inizia a frequentare la casa dei Rostov e si innamora, ricambiato, della giovane Nataša. Amore osteggiato dal vecchio padre di lui, la cui reticenza fa decidere al principe Andrej di separarsi per un anno da Nataša, in attesa che il loro amore si consolidi.

Durante quest'intervallo Hélène e suo fratello Anatole tramano per far sì che quest'ultimo seduca e disonori la giovane e bella Nataša Rostova. Il piano fallisce in extremis; ma Andrej, venutone a conoscenza, ripudia Nataša, che cade in una profonda depressione; tuttavia, per Pierre, è causa di un importante incontro con la giovane Rostova.

Quando Napoleone invade la Russia, Pierre osserva la Battaglia di Borodino da distanza particolarmente ravvicinata, sistemandosi dietro agli addetti di una batteria di artiglieria russa, ed apprende quanto la guerra sia realmente sanguinosa ed orrida. Quando la Grande Armata occupa Mosca – in fiamme ed abbandonata – Pierre intraprende una missione donchisciottesca per assassinare Napoleone, e viene fatto prigioniero di guerra. Dopo essere stato testimone del saccheggio perpetrato dai francesi su Mosca, con relative fucilazioni di civili, Pierre è costretto a marciare con le truppe nemiche nella loro disastrosa ritirata. Successivamente viene liberato da una banda russa che sta conducendo un'incursione. Sua moglie muore durante gli ultimi penosi sussulti dell'invasione napoleonica e Pierre si riavvicina a Nataša mentre i russi vincitori ricostruiscono Mosca. Pierre conosce finalmente l'amore e sposa Nataša, mentre Nikolai sposa Maria Bolkonskaja. Andrej, innamorato anch'egli di Nataša, rimane ferito nel corso dell'invasione napoleonica ed alla fine muore dopo essersi ricongiunto a Nataša prima della fine della guerra.

Tolstoj ritrae con efficacia il contrasto tra Napoleone ed il (già ricordato) generale russo Kutuzov, sia in termini di personalità, sia sul piano dello scontro armato. Napoleone fece la scelta sbagliata, preferendo marciare su Mosca ed occuparla per cinque fatali settimane, quando meglio avrebbe fatto a distruggere l'esercito russo in una battaglia decisiva. Kutuzov rifiutò di sacrificare il proprio esercito per salvare Mosca: al contrario, dispose la ritirata e permise ai francesi l'occupazione della città. Una volta dentro a Mosca, la Grande Armée si disperse, occupando abitazioni più o meno a casaccio; la catena di comando collassò, e (ineluttabilmente, a giudizio di Tolstoj) ne derivò la distruzione di Mosca a causa di un incendio.

Ritirata francese nel 1812

Tolstoj spiega che ciò era inevitabile, perché quando una città costruita in buona parte in legno è lasciata in mano a stranieri, che naturalmente cuociono cibi, fumano pipe e tentano di scaldarsi, necessariamente si attizzano dei focolai. In assenza di un qualche servizio antincendio organizzato, questi roghi avrebbero arso buona parte della città. Dopo gli incendi, l'esercito francese, prossimo allo sbando, tenterà di guadagnare la via di casa, subendo però la durezza dell'inverno russo e le imboscate dei partigiani locali.

Napoleone prese la sua carrozza, con una muta di cavalli veloci, e partì alla testa dell'esercito, ma la maggior parte dei suoi non avrebbe più rivisto la patria. Il generale Kutuzov è convinto che il tempo sia il suo più valido alleato: continua a procrastinare la battaglia campale, mentre in effetti i francesi sono decimati dalla loro penosa marcia verso casa. Sono poi pressoché annientati quando i cosacchi sferrano l'attacco finale, proprio mentre i francesi si trascinano verso Parigi.

* Anna Karenina (in russo Анна Каренина) è un romanzo di Lev Tolstoj che fu pubblicato per la prima volta nel 1877. Il romanzo apparve inizialmente a puntate nel periodico Il messaggero russo (Ruskii Vestnik) a partire dal 1875, ma nel 1877 gli viene pubblicato solo un sunto di poche righe della fine del romanzo, e Tolstoj, che lì aveva preso delle posizioni antinazionaliste, è costretto a far pubblicare a proprie spese e separatamente l'ottava parte.

Tolstoj vedeva in questo libro, considerato un capolavoro del realismo, il suo primo vero romanzo. Per la stesura di Anna Karenina egli trasse ispirazione da I racconti di Belkin dello scrittore e poeta russo Aleksandr Sergeevič Puškin.[2] Nel 1887 lo stesso Tolstoj circa l'inizio di Anna Karenina affermò di avere immaginato, mentre era sdraiato sul divano, un «nudo gomito femminile di un elegante braccio aristocratico», e che da lì fu così perseguitato da quell'immagine da doverne creare un'incarnazione.[3]

Sebbene la maggior parte della critica russa stroncasse il romanzo fin dalla prima pubblicazione, definendolo «un romanzo frivolo dell'alta società[4]», secondo lo scrittore russo Fëdor Michajlovič Dostoevskij «Anna Karenina in quanto opera d'arte è la perfezione... e niente della letteratura europea della nostra epoca può esserle paragonato[5]». La sua opinione fu condivisa da Vladimir Vladimirovič Nabokov, che lo definì «il capolavoro assoluto della letteratura del XIX secolo[6]».

Trama

Il romanzo è suddiviso in otto parti.

Prima parte

La prima parte introduce la figura di Stepan Arkad'ič Oblonskij ("Stiva"), un ufficiale civile che ha tradito la moglie Dar'ja Aleksandrovna ("Dolly"). La vicenda di Stiva mostra la sua personalità passionale che sembra non poter essere repressa. Per questa ragione, Anna Karenina, la sorella sposata di Stiva, viene chiamata da San Pietroburgo da Stiva per persuadere Dolly a non lasciarlo. Appena giunta a Mosca, un operaio della ferrovia muore accidentalmente investito da un treno, e ciò fa presagire la morte di Anna stessa. Nel frattempo, un amico di infanzia di Stiva, Konstantin Dmitrič Levin, arriva a Mosca per chiedere la mano della sorella minore di Dolly, Katerina Aleksandrovna Ščerbackaja ("Kitty"). Il giovane, serio aristocratico, vive in una tenuta che gestisce lui stesso. Kitty rifiuta, aspettando una proposta di matrimonio dall'ufficiale dell'esercito Aleksej Kirillovič Vronskij. Nonostante la sua infatuazione per Kitty, Vronskij non ha intenzione di sposarsi, finché non incontra Anna in stazione, dove aspettava l'arrivo della madre. Anna, scossa dalla propria reazione alle attenzioni di Vronskij, ritorna immediatamente a San Pietroburgo. Vronskij la segue sullo stesso treno. Levin ritorna al suo podere, abbandonando ogni speranza di matrimonio e Anna ritorna a San Pietroburgo da suo marito Aleksei Aleksandrovič Karenin, un ufficiale governativo, e da suo figlio Serëža.

Seconda parte

Nella seconda parte, Karenin rimprovera Anna per le sue lunghe conversazioni con Vronskij, ma ciononostante dopo poco lei asseconda l'affetto che Vronskij le dimostra, rimanendo incinta. Quando Vronskij cade da cavallo durante una gara, l'angoscia provata da Anna rende palesi i suoi sentimenti al marito, per cui si vede costretta a confessargli la relazione. Quando Kitty apprende di non avere più possibilità con Vronskij, decide di partire per la Germania, in una località termale, per riprendersi dallo choc. Qui conosce la giovane Varen'ka, che diventa per lei un modello spirituale.

Terza parte

La terza parte narra la vita rurale di Levin nella sua tenuta, un'ambientazione legata intimamente ai suoi pensieri e alle sue lotte interiori. Dolly, incontrando Levin, cerca di far rivivere i suoi sentimenti per Kitty, apparentemente senza risultati, finché Levin, rivedendola di sfuggita, capisce di essere ancora innamorato di lei. Tornato a San Pietroburgo, Karenin, rifiutando di separarsi da Anna, la mette in una situazione molto frustrante, minacciandola di non lasciarle più vedere Serëža, nel caso se ne vada con Vronskij o commetta dei passi falsi.

Quarta parte

Nella quarta parte, Karenin inizia a trovare la situazione intollerabile e comincia a valutare la possibilità di divorziare. Il fratello di Anna, Stiva, cerca di dissuaderlo, invitandolo a parlarne con Dolly. Quest'ultima iniziativa sembra di nuovo non sortire alcun effetto, ma Karenin cambia idea dopo aver saputo che Anna sta morendo per complicazioni dovute al parto. Al suo capezzale, Karenin perdona Vronskij, che cerca di suicidarsi per il rimorso. Anna comunque migliora, e chiama sua figlia Anna ("Annie"). Stiva ora cerca di far divorziare Karenin. Vronskij in un primo tempo decide di fuggire a Tashkent, ma cambia idea dopo aver visto Anna e insieme decidono di partire per l'Europa, senza aver ottenuto il divorzio. Molto più immediato è il risultato degli sforzi di Stiva per combinare un incontro con Levin e Kitty: i due si riconciliano e si fidanzano.

Quinta parte

Nella quinta parte, Levin e Kitty si sposano. Pochi mesi dopo, Levin scopre che suo fratello Nikolaj sta morendo. La coppia si reca dal moribondo, di cui Kitty si occupa fino alla morte, scoprendo nel frattempo di essere incinta. In Europa, Vronskij e Anna fanno molta fatica a trovare degli amici che li accettino, continuando a dedicarsi a passatempi, finché non tornano in Russia. Karenin è consolato e influenzato dalla contessa Lidija Ivanovna, di lui innamorata, entusiasta della religione e delle credenze mistiche di moda nelle classi sociali più elevate, che gli consiglia di tenere Serëža lontano dalla madre. Anna riesce lo stesso a fargli visita il giorno del suo compleanno, ma è scoperta da Karenin, che aveva detto a Serëža che Anna era morta. Poco dopo, lei e Vronskij partono per la campagna.

Sesta parte

Nella sesta parte, Dolly si reca da Anna e, su richiesta di Vronskij, le chiede di cercare di divorziare da Karenin. Ancora una volta, le parole di Dolly sembrano non sortire alcun effetto, ma quando Vronskij parte per alcuni giorni, la noia e il sospetto convincono Anna della necessità di un matrimonio con lui: scrive a Karenin e parte con Vronskij per Mosca.

Settima parte

Nella settima parte, i Levin sono a Mosca per il parto di Kitty, che dà alla luce un bambino. Stiva, mentre cerca l'appoggio di Karenin per un nuovo lavoro, gli chiede nuovamente di divorziare da Anna. Oramai le decisioni di Karenin sono guidate da una sorta di chiaroveggente, raccomandato da Lidija Ivanovna, che gli consiglia di rifiutare il suggerimento di Stiva. La relazione tra Anna e Vronskij inizia ad essere sempre più tesa, dominata dal risentimento provocato da un'ingiustificata ed esasperata gelosia da parte della donna. I due decidono di tornare in campagna, ma Anna, mentre Vronskij si trova fuori, in uno stato di forte confusione e di avversione verso tutto ciò che la circonda, va prima a trovare Dolly e Kitty, quindi, secondo una struttura circolare che riconduce alla prima parte, si suicida lanciandosi sotto un treno. Per l'idea del violento suicidio di Anna, Tolstoj si ispirò ad un fatto di cronaca accaduto il 4 gennaio 1872 nei pressi della sua abitazione, quando una donna di nome Anna Stepanovna Pirogova si suicidò alla stessa maniera nella stazione di Jasenki della ferrovia Mosca-Kursk.

Ottava parte

L'ottava parte narra le vicende successive alla morte di Anna: Stiva ottiene il lavoro che voleva; Karenin ottiene in custodia Annie; alcuni volontari russi, tra cui Vronskij, che non ha intenzione di tornare, partono per aiutare la rivolta serba contro i turchi, scoppiata nel 1877; infine nelle gioie e nei timori della paternità, Levin scopre la fede in Dio.

Critica
Tematiche

Il romanzo, ambientato nelle più alte classi sociali russe, approfondisce i temi dell'ipocrisia, della gelosia, della fede, della fedeltà, della famiglia, del matrimonio, della società, del progresso, del desiderio carnale e della passione, nonché il conflitto tra lo stile di vita agrario e quello urbano.

Anna è la perla dell'alta società di San Pietroburgo finché non lascia suo marito per l'affascinante conte Vronskij, ufficiale dell'esercito. Innamorandosi l'uno dell'altra, oltrepassano il limite dei banali adulteri passatempo comuni all'epoca. Anche quando Vronskij inizia a diventare sempre più distante, Anna non riesce a tornare da un marito che detesta, e che non le permette di vedere il figlio. Incapace di accettare di essere stata lasciata da Vronskij e di ritornare ad una vita che odia, si uccide.

Il romanzo contiene anche la storia d'amore di Konstantin Levin e Kitty, solida e onesta, che si pone continuamente in contrasto con quella di Anna e Vronskij, che è macchiata dall'incertezza della situazione, che crea scompiglio, ritorsioni e sospetti. Così, per tutto il corso del romanzo, Tolstoj non vuole che il lettore commiseri i maltrattamenti di Anna, ma che riconosca la sua incapacità di impegnarsi davvero nella ricerca della felicità e della comprensione dei propri sentimenti, incapacità che la porta al suicidio.

Il personaggio di Levin è spesso considerato un ritratto semi-autobiografico di Tolstoj, delle sue credenze, delle sue lotte e dei suoi eventi di vita. Inoltre, il primo nome di Tolstoy è "Lev", ed il cognome russo "Levin" significa "di Lev".

Un altro tema ricorrente in Anna Karenina è l'abitudine aristocratica di parlare in francese anziché in russo, considerata dall'autore un'altra forma di falsità. Quando Dolly insiste sulla lingua francese per la sua giovane figlia, Tanya, ciò comincia a sembrare falso e noioso a Levin, che si scopre incapace di sentirsi a proprio agio nella sua casa.

Resurrezione (Воскресение, Voskresenie) è un romanzo di Lev Tolstoj scritto a Jasnaja Poljana tra il 1889 e il 1899.

Il romanzo ha avuto numerosi adattamenti sia musicali che per lo schermo e per la televisione.

Contesto
L'ispirazione da un fatto di cronaca

Il tema fu suggerito a Lev dall'amico e giurista A. F. Koni il quale gli raccontò un fatto reale ovvero la storia di una ragazza di 16 anni che, rimasta orfana, venne ospitata in casa di parenti. Qui, sedotta da un giovane appartenente a quel ramo familiare, una volta scoperta la gravidanza, venne scacciata dalla benefattrice ed abbandonata dall'uomo.

Rimasta senza mezzi e dopo alcuni infruttuosi tentativi di guadagnare onestamente, la ragazza iniziò a prostituirsi e fu successivamente arrestata per furto. Nella corte penale che doveva giudicarla, sedeva tra i giurati questo stesso giovane. La coincidenza lo mise in estrema angoscia, cercò un modo per riparare al fatto, portandolo alla decisione di sposarla e così fece, nonostante la condanna a quattro mesi di reclusione. La ragazza purtroppo morì di tifo, dopo poco, ancora incarcerata.

L'ispirazione autobiografica
    « In quell'estate presso le zie, Nechljudov aveva vissuto quello stato d'animo d'entusiasmo e di giubilo, di quando per la prima volta, non per sentito dire, ma per intima esperienza, un giovane viene a conoscere a fondo la bellezza e l'importanza della vita e tutto il significato dell'opera che in essa spetta all'uomo, vede la possibilità d'un infinito perfezionamento sia di se stesso sia del mondo intero, e si dà tutto a questo perfezionamento, non solo con la speranza, ma con la piena certezza di ottenere quella perfezione, che gli si dipinge nella mente »
   
(da Resurrezione)

Resurrezione ha anche connotati autobiografici. Come Nechljudov, lo scrittore si era interessato, da giovane, per migliorare le condizioni dei contadini della sua tenuta, ma questi si erano mostrati diffidenti e avevano rifiutato le sue proposte.Inoltre, prima del matrimonio, Tolstoj aveva sedotto una cameriera che viveva in casa di una sua zia; la ragazza era poi stata scacciata e «si era persa».

In quello stesso periodo giovanile, Tolstoj aveva avuto un figlio (che non aveva accettato di riconoscere) da una contadina sposata. Il riscatto interiore vissuto da Nechljudov è ovviamente lo stesso che Tolstoj aveva ricercato nella propria vita con la sua conversione morale.

La sovvenzione dei doukhobors

Tolstoj iniziò a scrivere questo libro nel tentativo di raccogliere la maggior quantità possibile di denaro per aiutare la migrazione dei doukhobors in Canada in quanto in rotta con il potere zarista e la chiesa ortodossa. Lo stesso Tolstoj cercò di trovare fondi per il loro trasferimento (circa 8000 anime) e successivamente optò per creare un romanzo le cui vendite potessero sovvenzionare tale opera. La scelta cadde su questo progetto che Tolstoj fino ad allora aveva tenuto in un cassetto. L'uscita del suo terzo grande romanzo creò una grandissima aspettativa in tutto il mondo. Pare che Tolstoj avesse ottenuto, in anteprima sulla pubblicazione dell'opera da parte della rivista Niva, la cifra di 12000 rubli. È da notare come, dopo la pubblicazione di Anna Karenina, Tolstoj avesse deciso, in seguito alla propria conversione morale, di pubblicare tutto senza ricevere diritti d'autore (attualmente si direbbe in copyleft). In seguito alla scelta di farsi pagare (per sovvenzionare la migrazione dei Doukhobors), in contrasto con la rinuncia precedente (espressa sul quotidiano Ruskija vedomosti e Novoe vremja, in cui dichiara di aver rinunciato ad ogni diritto d'autore sulle opere posteriori al 1881), si produssero una quantità di copie e traduzioni "piratate" del romanzo che crearono non pochi imbarazzi a Tolstoj.

Trama

Il principe Nechljudov, chiamato a decidere come membro di una giuria popolare della condanna di una prostituta, riconosce in lei la ragazza che aveva sedotto molti anni prima e, dopo aver assistito alla sua ingiusta condanna, matura la volontà di salvarla e di sposarla. Katjuša pare però rifiutare la proposta e le attenzioni del principe, il quale, divorato dal rimorso, decide di seguirla comunque ai lavori forzati in Siberia con l'immutato proposito di redimerla. Egli assisterà infine al riscatto della ragazza (ma in maniera diversa da come si proponeva) e troverà lui stesso, attraverso la lettura del Discorso della montagna, la via per riscattare la propria anima.

Interpretazioni

L'opera è stata scritta dall'autore quando era all'apice della fama e tormentato dai problemi dell'ingiustizia sociale, in special modo l'iniquità dei tribunali ed i tormenti inflitti ai carcerati.

Nel romanzo Tolstoj descrive l'angoscia profonda dell'uomo di coscienza (e in primo luogo dell'autore) stretto nel meccanismo della burocrazia statale, nel ferreo "ordine delle cose". Qual è la via di scampo? Un approccio radicale alla morale cristiana, intesa, quale buona novella rivolta agli ultimi della società, come iniziativa etica atta a migliorare concretamente la vita degli uomini oppressi su questa terra, nello spirito del Discorso della montagna ripetutamente citato da Tolstoj in quest'ultima sua grande fatica narrativa. Nechljudov, il protagonista del romanzo, vive le medesime rivoluzioni interiori dell'autore: l'iniziativa di donare (o meglio, "restituire") i propri possedimenti terrieri ai contadini, la volontà di rinunciare alla vita sfarzosa e mondana e di dedicare la propria esistenza al servizio dei dimenticati ed alla liberazione degli sfruttati e degli oppressi. Anche Katiuša, la figura femminile con la quale e attraverso la quale Nechljudov cerca un riscatto, compie un cammino di redenzione morale, da prostituta a sposa.

La "resurrezione" dei protagonisti avviene quindi nell'accezione metaforica di una rinascita etica, simile a quella vissuta (o perlomeno disperatamente cercata, nonostante le contrapposizioni con la moglie e i familiari) dallo stesso Tolstoj.



Il pensiero

Come riportato nella biografia della voce Lev Tolstoj, la sua vita fu lunga e tragica, nell'accezione più vera del termine, ossia nel senso che essa fu dominata da una profonda, segreta tensione: una vera tragedia dell'anima.
Tolstoj stesso riteneva che il 1878 fosse lo spartiacque tra due fasi della sua esistenza, nella prima il grande scrittore (famosissimo e tronfio della fama letteraria), nella seconda la rinascita spirituale.

Questa grande frattura sarà fonte di difficoltà, contraddizioni e spesso incomprensioni nello studio della persona, difficoltà che ancor oggi, sono presenti.

Svariate sono quindi le tracce per potersi avvicinare all'animo di Tolstoj:

    * La incessante ricerca della verità.

    « La verità... Io amo tanto... come loro... »
   
(ultime parole pronunciate da Tolstoj prima di morire)

    * La tensione al miglioramento continuo.

    « Ci sono in me tutti i vizi... e ad un grado ben più grande che presso la maggior parte degli uomini. La mia salvezza risiede nel fatto che io lo so e lotto, tutta la mia vita ho lottato »
   
(Diari, 21 settembre 1905)

    * "La non organicità: Tolstoj non seppe o non volle essere un pensatore sistematico, ma affidò le sue idee a decine e decine di lettere, opuscoli e saggi più o meno lunghi, fra cui non è facile orientarsi". Nei suoi Diari scrisse:

    « [...] la verità è scostante perché è frammentaria, incomprensibile, mentre l'errore è coerente e conseguente »
   
(Diari, 3 febbraio 1870)

    * La tensione e lo scontro tra il primo Tolstoj scrittore e lo stesso successivamente moralista.

    « Il motto degli uomini veramente civili non sarà:
"fiat cultura, pereat justitia", ma "fiat justitia, pereat cultura" »
   
(, cap VII)

    * La tensione e lo scontro tra Tolstoj erudito e l'umile ricercatore della verità.

    « I semplici spesso conoscono la verità meglio dei dotti, non perché essi siano strumenti ispirati dal divino afflato, ma perché la loro osservazione degli uomini e della natura è meno annebbiata da varie teorie »
   
(, pag. 62)

    * La tensione e lo scontro tra il Tolstoj ricco possidente terriero e l'umile Lev che tentava di vivere con e come i muzik.

    Documentata nei fatti dagli ultimi anni di vita dello scrittore e dalla famosa fuga terminata con la morte alla stazione di Astopovo.

    * La tensione e lo scontro (negli ultimi anni della sua vita) tra Tolstoj religioso senza metafisica ed il mistico

    « Cercavo una risposta al problema della vita e non al problema storico e teologico. Per me era del tutto indifferente se Gesù Cristo fosse o non fosse Dio e da chi fosse proceduto lo spirito Santo. [...] Per me era importante quella luce che da 1800 anni illuminava l'umanità e che aveva illuminato ed illuminava anche me; ma come denominare la fonte di questa luce, di che cosa fosse fatta e da chi fosse stata accesa, per me era indifferente. »
   

    « ...Basta solo che non pecchi. E che non ci sia in me cattiveria. Ora non ce n'è. »
   

    * L'incessante sforzo a descrivere e vivere i dettami del Cristianesimo per lui esemplificati al massimo nel Discorso della Montagna del Vangelo secondo Matteo.

È bene aggiungere che il Tolstoj etico suscitò un grande entusiasmo a partire dalla metà degli anni ottanta del XIX secolo. In Russia venne proibita l'edizione delle opere politiche e religiose e cominciarono i controlli di stato su Tolstoj e qualunque seguace dello scrittore. Secondo Max Nordau l'interesse dei contemporanei, per lo meno negli ultimi vent'anni di vita dello scrittore, si concentrò soprattutto sui contenuti morali piuttosto che sui grandi romanzi (Guerra e Pace ed Anna Karenina).

In aggiunta si può fare una considerazione: le opere dello scrittore, eccetto quelle sotto copyright (ovvero le prime opere fino a Guerra e Pace ed Anna Karenina, con le successive eccezioni di Resurrezione e Padre Sergej), girarono in tutto il mondo con traduzioni spesso non fedeli, ed anche come antologie di scritti; non si tradusse né integralmente né esattamente.

Però chiunque scruti minutamente i lavori di lui, scorgerà che il germe della crisi e della conversione sociale e religiosa svoltasi nella coscienza di Tolstoi si contiene anche nelle sue opere anteriori. Analogo commento farà Edmondo De Amicis.

Filosofia della storia

L'interesse per la storia fu uno dei problemi cardine di Tolstoj e per tutta la vita egli cercherà di fornirne una risposta.
Al contempo la sua visione è una cartina al tornasole del proprio travaglio interiore.

Nel 1846 – secondo una testimonianza – Tolstoj affermò che «la storia non è altro che una raccolta di fiabe e futili inezie, infarcite con un mucchio di cifre superflue e di nomi propri».

In Guerra e pace espresse la convinzione dell'esistenza di una «legge naturale» che determina la vita degli uomini, ma che essi – incapaci di comprenderla – rappresentino la storia come una successione di libere scelte di cui attribuiscono le responsabilità a «grandi uomini» dotati di eroiche virtù o terribili vizi. Secondo Tolstoj, non sono i Napoleone o gli zar – così sicuri di sé – a fare la storia: essi sono solamente dei fantocci, mentre chi ha realmente parte nella storia ignora la propria importanza: «l'uomo che sostiene una parte negli avvenimenti storici non ne capisce mai l'importanza». A questo proposito, ha scritto un commentatore: «Per Tolstoj non ci sono protagonisti, perché quelli che sanno o possono sapere – cioè i detentori del potere, i capi rivoluzionari – non fanno, e invece gli esecutori – cioè i combattenti, i sicari ecc. – fanno ma non sanno».

Guerra e Pace, nella seconda parte dell'epilogo, si chiude con un esempio molto forte in cui paragona la rivoluzione copernicana ad una ipotetica rivoluzione storica per cui:
    « Noi non avvertiamo il moto della terra ma, ammettendone l'immobilità, giungiamo ad un assurdo, mentre ammettendone il moto, che pur non avvertiamo, giungiamo a formulare leggi, così per la storia la nuova teoria dice: "È vero, noi non avvertiamo la nostra dipendenza ma, ammettendo la nostra libertà, giungiamo ad un assurdo mentre, riconoscendo la nostra dipendenza dal mondo esterno dallo spazio e dalla causalità arriviamo a scoprire leggi". Nel primo caso era necessario rinunziare alla sensazione della immobilità nello spazio ed accettare l'idea di un movimento che non avvertiamo; nel caso presente è ugualmente necessario rinunziare al concetto di libertà ed ammettere una dipendenza di cui non ci rendiamo conto sensibilmente. »
   

Tolstoj, in fondo, in questa fase pre-conversione, riconosce che l'incapacità di capire e determinare gli eventi sia la logica conclusione della grande ignoranza della trama delle cose, della sterminata varietà dei rapporti umani. Se avessimo questa consapevolezza non potremmo considerare gli esseri umani eroi od esseri spregevoli, ma dovremmo sottometterci alla inevitabile necessità. Tolstoj riconosce quindi la preminenza dell'esperienza soggettiva, della vita vissuta con le sue emozioni. E qui si manifesta metaforicamente lo stesso contrasto che si evidenzia tra il Tolstoj descrittore della molteplicità della vita e la sua visione della storia in cui la libertà umana va disintegrandosi ed anche lo stesso contrasto tra il romanziere ed il successivo moralista e propugnatore di un sentire unico tratto dal mondo contadino e dal Vangelo.

Dopo la conversione egli riterrà infatti che la storia mostri le prove di come guerre e violenze abbiano sempre causato immense catastrofi e di come, invece, la realizzazione, in linea col Vangelo, di ideali di pace e di tolleranza vada considerato il vero indice di progresso – la vera forza e la vera Storia – dell'umanità:
    « La storia dell'umanità è piena di prove che la violenza fisica non contribuisce al rialzamento morale e che le cattive inclinazioni dell'uomo non possono essere corrette che dall'amore; che il male non può sparire che per mezzo del bene [...] che la vera forza dell'uomo è nella bontà, la pazienza e la carità; che solo i pacifici erediteranno la terra. »
   

Al termine della sua vita, tra settembre e novembre del 1910, Tolstoj rinuncerà alla possibilità di conoscere le leggi della storia:
    « Voi mi chiedete di scrivere per il vostro libro un articolo che tratti le questioni sociali ed economice [...] Il vostro desiderio io non lo posso esaudire, innanzitutto perché non lo conosco, non lo posso conoscere e penso che nessuno possa conoscere queste leggi. In secondo luogo [...] anche se io credessi di conoscere le leggi [...] non mi prenderei la responsabilità di dirlo. »
   

Estetica

Come sulla storia, anche sull'arte Tolstoj inizialmente esprime – in una lettera del 1860 – un giudizio drasticamente negativo, asserendo che «l'arte è una menzogna, e io non posso amare una menzogna, foss'anche bellissima»

Nella prima versione del racconto Al'bèrt (1857), Tolstoj scriveva che il compito della (vera) arte è «annichilire con il solo fatto d'esistere tutto il ciarpame delle ideologie degli intellettuali e tutta la vacuità della vita degli uomini ordinari».

Si delineano così, per Tolstoj, due tipi di arte: la prima – quella ordinaria, diffusa – è fondata sulla menzogna; la seconda – l'unica autentica – è specchio di Verità e manifestazione dell'Assoluto. Sviluppa quindi in sé la fede che solo la vera arte possa redimere l'umanità e, a questa tesi, dedica, ormai settantenne, il lungo saggio Che cos'è l'arte? (1897), in cui afferma:
    « L'arte deve sopprimere la violenza. [...] deve fare in modo che i sentimenti di fraternità e amore per il prossimo, oggi accessibili solamente agli uomini migliori della società, diventino sentimenti abituali, istintivi in tutti. [...] La destinazione dell'arte [...] è di tradurre dalla sfera della ragione alla sfera del sentimento la verità che il bene della gente è nell'unione e di instaurare in luogo della violenza attuale quel regno di Dio, cioè quell'amore che si presenta a noi tutti come fine supremo della vita dell'umanità.»
   
Religione

Esegesi biblica

Nel 1870 Tolstoj si dedica allo studio del greco antico e vi si appassiona.

Nel 1875, mentre lavora alla stesura di Anna Karenina, elabora alcuni saggi di carattere religioso (rimasti incompiuti): Sul significato della religione cristiana, Sulla vita al di fuori del tempo e dello spazio, Sull'anima e la vita di essa al di fuori della vita a noi nota e intelligibile

Nel 1877 comincia a scrivere Definizione della religione in quanto fede e un Catechismo cristiano che rimangono anch'essi incompiuti. Intanto legge svariate opere di teologia cristiana e di critica neotestamentaria.

Nel 1879 studia con sistematicità filologica i quattro Vangeli. Scrive nuovi saggi di carattere religioso, segnati da elementi polemici verso l'ortodossia: La Chiesa e lo Stato, Di chi siamo noi: di Dio o del Diavolo?, Cosa può fare e cosa non può fare un cristiano.

Nel 1880 si dedica interamente al lavoro critico-filologico sui Vangeli canonici. È divorato da un intenso zelo esegetico:
    « Procuratemi o compratemi a qualsiasi prezzo, o mandatemi dalla biblioteca o addirittura... rubate un libro o dei libri dai quali si possa sapere qualcosa dei più antichi testi greci dei quattro Vangeli, su tutte le omissioni, le aggiunte, le varianti che vi sono state fatte.[ »
   

Nello stesso anno scrive Disamina della teologia dogmatica – che segna ormai un netto distacco dall'ortodossia – e intraprende l'opera di Unificazione, traduzione e analisi dei quattro Vangeli.

Nel 1882, interessato anche all'Antico Testamento, studia l'ebraico antico con il rabbino S. A. Minor.

Nel 1885 traduce dal greco antico la Didaché per la casa editrice Posrednik, fondata l'anno prima insieme a Čertkòv.

Nel 1908 pubblica infine Il vangelo spiegato ai giovani.

Teologia

Il sottotitolo dell'opera Il regno di Dio è in voi chiarisce i punti salienti della sua visione, ove dichiara: «Il regno di Dio è in voi, ovvero il Cristianesimo dato non come una dottrina mistica, ma come una morale nuova».

Il risveglio di Tolstoj ha principalmente una connotazione fortemente etica e di aderenza alle Sacre Scritture, che lui cercherà di leggere al di là di tutti i condizionamento di quasi duemila anni di interpretazione. Cercando quindi i fondamenti nelle Scritture del Cristianesimo, principalmente si dedicherà alla lettura dei Vangeli, rifiutando in parte le Scritture del Nuovo Testamento (in particolare l'Apocalisse e parte degli Atti degli Apostoli)e dell'Antico testamento[senza fonte]. Contesterà inoltre aspramente Paolo di Tarso: «Non voglio offrire una interpretazione della dottrina di Cristo [...] vorrei una sola cosa: proibire di interpretare». Il cardine lo troverà quindi nei Vangeli, particolarmente nel Discorso della Montagna, ed all'interno di questi nelle cosiddette Antitesi.

Con la sua opera: "Unificazione, traduzione e analisi dei quattro Vangeli", ne scaturisce un evangelismo con alcuni fili conduttori:

    * Il senso di missione storica e religiosa che ha un risveglio evangelico: «La religione di Cristo non vuole redimere la società con la violenza, il suo ruolo è di mostrare il fine della nostra vita in questo mondo».
    * Per leggere fedelmente il vangelo è necessario toglierlo dalle mani delle chiese.
    * I Vangeli non possono essere considerati libri sacri, in quanto la loro formazione è un continuum con la tradizione ebraica e con le chiese cristiane.
    * Tolstoj denunzia la necessità di eliminare ciò che appartiene al soprannaturale, come i miracoli, la resurrezione, ed in genere il mondo della grazia.

Dio

Tolstoj parla di Dio come di quel bene misterioso, di quel principio di vita, verso cui tende la parte più vera dell'uomo – desiderando la felicità di ogni creatura a lui prossima. «Il desiderio del bene per tutto ciò che esiste è l'inizio di ogni nuova vita, è l'amore, è Dio.»Dio è «quell'infinito Tutto, di cui l'uomo diviene consapevole d'essere una parte finita. Esiste veramente soltanto Dio. L'uomo è una Sua manifestazione nella materia, nel tempo e nello spazio.»Dio non è (solo) il Tutto, ma il Tutto – come ogni creatura che vi fa parte – è una Sua manifestazione: «Il mondo degli esseri viventi è un solo organismo. La stessa vita generale di questo organismo non è Dio, ma è solo una delle Sue manifestazioni...»Non per contraddire, ma per completare l'affermazione «Dio è amore» (1Gv 4,16), Tolstoj sostiene che Dio non è (solo) amore, ma l'amore è ciò che manifesta l'infinitezza di Dio nella finitezza dell'uomo: «Dio non è amore, ma quanto più grande è l'amore, tanto più l'uomo manifesta Dio, e tanto più esiste veramente.»

Dio è l'esistenza vera, ma Dio non è (solo) la vita, bensì il principio di ogni vita: «Dio respira per mezzo delle nostre vite.» Quindi amare Dio significa prima di tutto rispettare la vita di ogni creatura e desiderarne la felicità, cioè sviluppare in sé «l'obbligo morale non solo di non distruggere la vita degli esseri, ma di servire ad essa.»

In un passo dei Diari (27.9.1894) Tolstoj affermò che, essendo impossibile definire Dio, tanto valeva liberarsi della nozione di Lui. Ma qualche giorno dopo si ricredette e scrisse:
    « Il diavolo è stato sul punto di acciuffarmi. Nel mio lavoro sul Catechismo mi ha suggerito che si può fare a meno della nozione di Dio, di Dio che è alla base di tutto..., e all'improvviso l'abbattimento e la paura mi hanno assalito. Mi sono spaventato, mi sono messo a riflettere, a controllare, e ho ritrovato il Dio che stavo per perdere, ed è come se L'avessi acquistato e amato di nuovo.»
   
L'interpretazione di Lebrun

Victor Lebrun, amico e discepolo di Tolstoj, disse una sera al maestro: «Proprio ieri pensavo a Dio, e pensavo anche che non si può determinarlo con nozioni positive, poiché ognuna di esse è una nozione umana. Non ci sono che nozioni negative che possono essere precise [...] Di modo che non è preciso dire che Dio è l’Amore e la ragione. Amore e ragione sono qualità umane».
Tolstoj gli rispose: «Sì, sì. È esattissimo, solo che l’amore e la ragione ci uniscono a Dio. [...]».
Commenta Lebrun, nelle sue memorie:
    « Dopo questa confessione non restava il minimo dubbio sull’assenza totale di misticismo nel modo di vedere del Maestro.
Egli dice verso la fine del suo articolo “Della religione e della morale”: «La religione è lo stabilirsi di un rapporto cosciente verso Dio o verso l’Universo».
Il Dio di Tolstoj non è altro che l’Universo, considerato nella sua distesa sconfinata e nella sua essenza inaccessibile alle nostre investigazioni.
Però, per Tolstoj, l’Universo ci era superiore e ci imponeva dei doveri, mentre che per i dotti materialisti questo Universo non era che il giuoco delle forze cieche nella materia morta, ed eravamo noi ad avere dei diritti sull’Universo e nessun dovere.
E, come quasi sempre, era Tolstoj ad avere ragione; perché per la nostra intelligenza umana non esistono che due punti di vista sull’Universo: il punto di vista egocentrico (come nell’antica astronomia era esistito per lunghi secoli il punto di vista geocentrico), o il punto di vista cosmocentrico. Occorre forse provare che il primo è sprovvisto del minimo senso comune? Che cosa si può immaginare di più stupido che il credere che l’Universo esista per placare i nostri desideri? Questa è stata la prima rivelazione di cui vado debitore a Tolstoj. »
   
Rapporti con la fede ortodossa

Per Tolstoj bisogna recuperare l'originaria fede di cui parlava Gesù: «l'interiore inevitabilità d'un convincimento, che diviene fondamento della vita».
Invece il clero insegnava a pensare la fede come uno «sforzo della volontà» che il credente – dando grande importanza ai miracoli – deve esercitare su di sé per aderire ad una dottrina dogmatica.

Tolstoj si rifà solo e semplicemente al Vangelo:
    « Che cos'è Cristo, Dio o Uomo? Egli è ciò che ha detto: ha detto di essere il Figlio di Dio; ha detto di essere il Figlio dell'Uomo. Egli ha detto: "io sono ciò che vi dico: io sono la via e la verità". Dunque: Egli è ciò che ha detto di Sé. Ma quando hanno voluto riassumere tutto in una definizione, allora ne sono scaturiti sacrilegio, menzogne e stupidità: Se egli fosse stato ciò che si è detto di Lui, l'avrebbe saputo dire. [...] Egli ci ha insegnato questo con le Sue parole, con la Sua vita , con la Sua morte.»
   

Inoltre Tolstoj si chiede se le religioni non abbiano insito l'«inganno intenzionale che c'è in ogni religione. Anzi, vien da chiedersi se questa non sia proprio la caratteristica esclusiva di ciò che si chiama religione: proprio questo elemento d'invenzione consapevole, in cui c'è una mezza fede non fredda, ma poetica, esaltante. Quest'invenzione c'è in Maometto, in Paolo. In Cristo non c'è. Di questo l'hanno calunniato. Di lui non si sarebbe potuto fare una religione se non ci fosse stata l'invenzione della resurrezione e il principale inventore Paolo.»

Per meglio inquadrare il pensiero religioso di Tolstoj, non è marginale riferire quanto egli dichiarò al convegno di Firenze del 1891:
    « Come vedete, miei illustri colleghi, i miei principi hanno la loro base nell'Evangelo e perciò ho potuto accettare il lusinghiero invito a questa conferenza e ben volentieri sono venuto qui in mezzo a voi per trattare del modo di condurre la religione cristiana alle primitive sue fonti, pure e limpide, e di ricostruire una Chiesa unica che la esplichi e rappresenti, trasformando e fondendo amorevolmente tutte le chiese cristiane esistenti... Io applaudo dunque alla proposta di fondere le chiese cristiane in una sola che abbia per capo il Papa di Roma e per base la sua organizzazione esteriore nella formula cavouriana e per fondamento del suo pensiero le massime di Cristo e dell'Evangelo. »
   
A questo punto la rottura con la fede ortodossa (a quel tempo molto compromessa con il potere) non si farà attendere ed il 22 febbraio 1901 Tolstoj verrà scomunicato.

Successivamente egli si pentì di certi suoi estremismi: «Mi sono accorto che spesso ho avuto torto a calcare la mano, con troppa poca prudenza contro la fede altrui».

Il "Discorso della montagna", cardine della sua fede

Nel cercare il cardine dell'insegnamento di Cristo egli scorgerà l'insegnamento del come vivere in particolare nel "Discorso della montagna". All'interno di tale "Sermone" sottolineerà, in modo particolare, le cosiddette Antitesi, ovvero (raccolte secondo il pensiero di Tolstoj):

    * Primo precetto (Matteo, V, 21-26). L'uomo non solo non deve uccidere l'uomo, ma nemmeno adirarsi contro di lui, suo fratello; non deve disprezzarlo né considerarlo "stupido". Se avrà questionato con qualcuno dovrà riconciliarsi con lui prima di offrire i suoi doni al Signore, vale a dire prima di accostarsi a Dio con la preghiera.

    * Secondo precetto (Matteo, V, 27-32). L'uomo non solo non deve commettere adulterio, ma neppure servirsi della bellezza della donna per il proprio piacere; e se sposa una donna, deve restarle fedele per tutta la vita (nella tradizione cattolica corrente sono qui unificate la seconda e terza antitesi).

    * Terzo precetto (Matteo, V, 33-37). L'uomo non deve impegnarsi in niente, sotto giuramento.

    * Quarto precetto (Matteo, V, 38-42). L'uomo non solo non deve rendere occhio per occhio, ma quando qualcuno lo percuote su una guancia, deve porgergli l'altra; deve perdonare le offese, sopportarle con rassegnazione e non rifiutare nulla di ciò che gli venga chiesto.

Ma fulcro di tutto:

    * Quinto precetto (Matteo, quinto, 43-48). L'uomo non solo non deve odiare i suoi nemici e combatterli, ma deve amarli, aiutarli e servirli.

Questi precetti tratti da Matteo, unificando i due relativi alla vita sessuale (ovvero la seconda e terza antitesi sono "contratte" nel secondo precetto), sono presenti anche in testi narrativi come Resurrezione o nel racconto Il divino e l'umano.

È quindi soprattutto nella dimensione etica che si superano le divisioni tra le varie fedi cristiane, che invece nei contenuti di fede rimangono separate.

Per Tolstoj, la fede, nel Vangelo, è da intendersi come aderenza nel profondo: Gesù suscitava nelle persone, con la saggezza e la bontà dei suoi discorsi, una conversione etica razionale e spontanea, e non un'adesione timorosa a delle norme puramente formali come quelle dei farisei; la fede autentica è quella che rigenera l'esistenza dell'individuo trasformandola in un gioioso servizio d'amore verso Dio e il prossimo.

Tensione esistenziale

Tolstoj credeva fermamente che la rinascita morale potesse inverarsi solo a partire dall'animo dell'uomo – non attraverso le rivoluzioni sociali – e che l'autentica vita interiore fosse quella vissuta dalle masse popolari, dal mužik.
    « Se ascoltavo i discorsi di un pellegrino-muzik su Dio, sulla fede, sulla vita, sulla salvezza, sentivo che mi si rivelava la conoscenza della fede.

...Ed io cominciai ad avvicinarmi ai credenti che v'erano tra le persone povere, semplici, ignoranti, ad avvicinarmi ai pellegrini, ai monaci, agli scismatici, ai muziki. La dottrina religiosa di questa gente del popolo era anch'essa cristiana [...] Alle verità cristiane era mescolata anche molta superstizione, ma [...] le superstizioni dei credenti che appartenevano al popolo lavoratore erano fino a tal punto collegate con la loro vita che non si poteva assolutamente immaginarsi la loro vita senza quelle superstizioni: esse costituivano una condizione imprescindibile di quella vita. [...] Ed io cominciai a guardare attentamente la vita e le credenze di quegli uomini, e più le studiavo, tanto più mi convincevo che essi possedevano la vera fede e che la fede era per loro indispensabile [...] .
Quante volte invidiavo i muziki per la loro ignoranza e perché non sapevano né leggere né scrivere. »

Nell'opera di Tolstoj il massimo esempio di religiosità popolare è Platon Karataev (Guerra e Pace, libro IV, parte prima):
    « ... e cominciò a farsi il segno della croce ed insieme a parlare: "Signore Gesù Cristo, santi Nicola, Floro e Lauro! [...]. abbi misericordia di noi e salvaci! [...]. Ecco fammi giacerere, O Dio, come un sasso e risvegliarmi come una focaccetta" - disse e si svegliò coprendosi con un mantello.

"Che preghiera hai recitato?" - domandò Pierre? "Eh? [...] Che cosa ho recitato? Ho pregato Dio! Forse tu non preghi?" "Si anch'io prego" - rispose Pierre - "Ma ho sentito dire Floro e Lauro. Che cosa significa?" Ma come sono i protettori dei cavalli. Bisogna aver pietà delle bestie!"
Pierre rimase a lungo con gli occhi spalancati, [...] ascoltando il respiro regolare di Platon, coricato accanto a lui, e sentiva che il mondo, poco prima distrutto, risorgeva ora nella sua anima con una bellezza nuova, su nuove incrollabili basi. »
   
Per quanto concerne la tensione etica ed esistenziale, si può stilare una somiglianza ed un parallelo tra Tolstoj e Kierkegaard.

    * In entrambi troviamo:
          o ansia di perfezione
          o contestazione aspra della Chiesa ufficiale
          o visione della libertà possibile solo all'interno della soggettività del singolo

    * Li differenzia fondamentalmente:
          o la ricerca del principio:
            per Kirkegaard il principio assoluto è l'incarnazione di Cristo, mentre per Tolstoj il principio non è ben definito, è impalpabile sino ad identificarsi con una tensione etica fortissima verso la perfezione.
          o l'effetto della scelta:
            per Kierkegaard la scelta dell'Assoluto fa divenire liberi, Tolstoj invece non riesce in concreto a generare una vera filosofia della Salvazione, bensì la sua salvezza si dipana su contenuti prettamente etici fortemente ispirati all'amore universale.
          o l'individuo:
            per Kierkegaard l'uomo è creato libero, nasce libero e soprattutto diventa libero quando sceglie l'Assoluto, mentre, come scrive Cornelio Fabro: «Tolstoj, affascinato dall'epopea napoleonica, è impressionato dagli effetti sconvolgenti della storia ove opera la legge dei grandi numeri e l'individuo si sente travolto ed impotente: sembra che Tolstoj non sia riuscito alla concezione di un Dio personale garante della persona umana, ma abbia concepito l'Io come parte di Dio».

Può essere utile ricordare come Tolstoj sia vissuto circa cinquant'anni dopo di Kierkegaard, e come quindi lo scrittore russo abbia visto in prima persona:
-il passaggio dal mondo feudale a quello moderno in Russia
-la nascita dei grandi movimenti anarchico e comunista (ben evidenziato nel suo noto racconto Il divino e l’umano)

Dalle idee e dalle esperienze di Tolstoj, risulta comprensibile la sua solidarietà verso alcune comunità cristiane come i Doukhobors, considerate eretiche dalla chiesa ortodossa in quanto aderenti ad un'etica di fratellanza e di rifiuto della guerra. Direttamente ispirata al pensiero di Tolstoj, nacque inoltre la corrente – anch'essa bollata come eretica – del tolstoismo.

Rapporti con le altre religioni

Tolstoj si accorse che la verità annunciata da Cristo fu predicata da tutti i grandi maestri spirituali del passato, Buddha, Lao-tze, Socrate. Fu in particolare attirato dal Taoismo e Buddhismo, del primo amava il non agire, del secondo lo spirito di compassione. Si trovò in disaccordo con questi solo per lo spirito di rinuncia totale.
    « Il cristianesimo dice la medesima cosa dei buddisti... però dà alla vita un senso, e non annienta i desideri, ma li dirige verso Dio. »
   
(Diari, 8 settembre 1900)

Conclusione

L'excipit dell'opera Il regno di Dio è in voi, fornisce una successivo tassello all'inquadramento della sua dottrina

    * La fede è ragionevole
    * Il senso della vita è servire il mondo
    * Il regno di Dio è dentro l'uomo

    «  ...Questa potenza ci chiede ciò che solo è ragionevole, certo e possibile; servire il regno di Dio, cioè concorrere allo stabilimento della più grande unione tra tutti gli esseri viventi..."Anzi cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia; e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte (S. Matteo VI, 33). L'unico senso della vita è di servire l'umanità, concorrendo allo stabilimento del regno di Dio, cosa che non può farsi se ciascuno degli uomini non riconosce e non professa la verità. "Il regno di Dio non verrà in maniera che si possa osservare, e non dirà: Eccolo qui, od eccolo là, perché ecco il regno di Dio è in voi" (S. Luca XVII, 21). »
   
Etica della non-violenza

Non-resistenza al male

Nei saggi In che consiste la mia fede (1884) e Il regno di Dio è in voi (1893) Tolstoj riattualizza – chiamandola «non-resistenza al male per mezzo del male [bensì per mezzo del bene]» – la dottrina enunciata da Gesù nel Discorso della Montagna (da Mt 5,38-48: «Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra [...] Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni [...]»).
L'etica pacifista di Tolstoj – che si rifà in parte alla disobbedienza civile teorizzata e praticata da Henry David Thoreau – influenzò in maniera decisiva la conversione morale alla non violenza dell'allora giovane avvocato Mohandas Karamchand Gandhi, che più di quarant'anni dopo – assurto ormai alla fama di mahatma – scriverà:
    « [...] mentre attraversavo una grave crisi di scetticismo e di dubbio, incappai nel libro di Tolstoj Il Regno di Dio è dentro di voi, e ne fui profondamente colpito. A quel tempo credevo nella violenza. La lettura del libro mi guarì dallo scetticismo e fece di me un fermo credente nell'ahimsa. »

Egli sostiene che la non resistenza al male possa provocare, se messa fedelmente in pratica, la caduta ineluttabile dell'attuale ordinamento umano e la modifica radicale delle forme di convivenza umana. Tutto ciò senza ricorrere alla violenza. In parole povere, egli veramente crede che la rivoluzione avverrà con tale dottrina.

Obiezione di coscienza

Tolstoj esclude la possibilità che le strutture sociali possano diventare più eque attraverso lo scoppio di rivoluzioni armate. Nell'articolo Non uccidere! (1900), lo scrittore condanna l'assassinio del re d'Italia Umberto I da parte dall'anarchico Gaetano Bresci, sostenendo che, affinché cessi l'oppressione del popolo, basterebbe che il popolo stesso si rifiutasse sia di prestare il servizio militare, sia di concorrere, attraverso il pagamento delle tasse, al finanziamento delle guerre.
Vegetarismo [modifica]

Per Tolstoj un'etica autentica non può limitarsi ai rapporti infraumani, ma deve rispettare anche la vita degli animali, perché essi, come l'essere umano, provano gioie e sofferenze. La riflessione sui diritti degli animali – che ha come esito l'apologia del vegetarismo, da Tolstoj stesso abbracciato con fervore – viene sviluppata dallo scrittore nei saggi Contro la caccia (1895) e Il primo gradino (1902)

Rapporti con i poveri ed il denaro

La descrizione dell'incontro con la povertà avviene durante la permanenza a Mosca negli autunni e negli inverni dei primi anni ottanta (la risposta che darà sarà il ritorno al lavoro manuale).
    « Il denaro è un male in sè. È per questo che chi dà del denaro fa del male. Questo errore di credere che dare del denaro sia fare del bene, proviene dal fatto che, nella maggior parte dei casi, quando l'uomo vuol fare del bene, egli si sbarazza del male, e fra gli altri, del denaro. »
   
(da Il Denaro, cap. II)

Rapporti con il potere

Tolstoj manifesterà sempre una intolleranza per il potere, fino ad avvicinarsi alle idee degli anarchici. Ma, a differenza di loro, contesterà in toto l'utilizzo della violenza. Sarà inoltre sempre contrario al comunismo.
    « La promessa di soggezione a qualsiasi governo, quest'atto che si considera come la base della vita sociale è la negazione assoluta del cristianesimo, perché promettere anticipatamente di essere sottomesso alle leggi elaborate dagli uomini, significa tradire il cristianesimo il quale non riconosce, per tutte le occasioni della vita, che la sola legge divina dell'amore. »
   
(Tolstoj, Il regno di Dio è in voi)

La stessa scelta sopradescritta della non resistenza al male lo porterà, dopo un iniziale interesse, alla rottura da parte dei grandi movimenti sociali del tempo. Socialisti ed anarchici si resero conto che la resistenza passiva si scontrava con le esigenze della lotta rivoluzionaria. Gli appartenenti alla sinistra democratica, se pur pacifisti, si scontrarono con la tensione di Tolstoj a scardinare lo stato, loro che volevano mantenerlo. Per loro il metodo era l'arbitrato internazionale.

Egli svilupperà un pensiero sociale conscio della drammaticità della modernità e della trasformazione del mondo, riassumibile in questi punti:

    * La nascita della schiavitù moderna, da lui considerata ancor più drammatica di quella precedente, ovvero la condizione operaia.[
    * L'alienazione del lavoro in fabbrica.[19] (p. 48).
    * Il senso di crollo imminente dell'impero russo e di tutta la civiltà pseudo-cristiana (così definita dell'autore).[19] p. 84.
    * Il rifiuto di poter stabilire una forma ottimale di governo:

    « [...] non conosco, non posso conoscere e penso nessuno conosca quelle leggi secondo cui si evolve la vita economica dei popoli... Queste cose credono di saperle i socialisti... ed anche se io credessi di conoscerre le leggi che regolano lo sviluppo economico dell'umanità (come pensano tutti i riformatori... da Saint-Simon, Fourier, Owen, fino a Marx, Engels, Bernstein...) io non mi prenderei la responsabilità di dirlo. (p. 98). »
   
Tolstoj terminerà con la convinzione che solo la legge morale e religiosa possa portare giovamento al mondo.

Eredità spirituale

Tolstoj, negli ultimi anni, considererà le sue opere narrative più note, ovvero Guerra e pace ed Anna Karenina, «solo sciocchezze». Lo avevano reso famoso prima della sua conversione morale, ma ora dichiara che le opere veramente importanti, fra quelle da lui scritte, consistessero nei testi a carattere filosofico e religioso. Riteneva infatti che le opere narrative dei primi cinquant'anni fossero servite solamente ad attirare l'attenzione su quanto avrebbe prodotto successivamente. Perciò, in una sorta di testamento spirituale scritto nel 1895, chiese agli amici:
    « Prego tutti i miei amici, vicini e lontani... se vogliono occuparsi dei miei scritti, prestino attenzione a quella parte della mia opera in cui, lo so, parlava attraverso di me la forza di Dio – e la utilizzino per la loro vita... Sono stato così impuro, così pieno di passioni personali che la luce di questa verità veniva oscurata dalla mia oscurità, ma nonostante questo mi sentivo a volte pervaso da questa verità e questi sono stati i momenti più felici della mia vita... Spero che gli uomini, nonostante il contagio meschino e impuro che ho potuto trasmettere a questa verità, possano nutrirsi di essa. »
   
Tragedia dell'anima in Tolstoj

Come scritto nell'introduzione, Tolstoj toccherà tutti gli aspetti della vita ma, di fatto, non riuscirà o non vorrà giungere ad una sintesi di pensiero. La sintesi del suo pensiero non fu razionale, bensì fu lo scegliere la via etica prescritta dal Vangelo. E ciò risultò di difficile comprensione per autori di stretta formazione filosofica. Come ad esempio Cornelio Fabro. "La sua enorme produzione insegna [...] tutti gli aspetti della vita, ma la sua è più una tensione dispersiva che non intensiva [...] Così nulla riesce a prendere senso e tutta la vita [...] non è [...] che un continuo cadere di foglie morte."Il romanzo russo di fine ottocento parlava dello scetticismo che si impossessava della società, che descriveva le vite fatalmente inceppate e paralizzate da influenze indipendenti dalla volontà, che mostravano l'essere umano agitarsi invano nell'ambiente. [...] ed imponevano l'idea che ogni sforzo fosse inutile. Da qui la sua risposta, un tentativo di rigenerazione: per molti autori visto come una sorta di buddismo occidentale  orientato verso un desiderio di annientamento, ma con una ottica diversa più "politica". "L'obbedienza al Vangelo infatti non doveva solo disgregare lo stato dentro di sé [...], essendo un dispositivo, fondatore di relazioni, esso estingueva anche nella realtà delle cose lo stato e la società.Non meravigliano quindi i suoi contatti con l'anarchia
    « Gli anarchici hanno ragione in tutto, solo non nella violenza. Incredibile offuscamento. »

In quest'ottica il pensiero di Tolstoj si dipanava nei seguenti aspetti:

    * Crisi del positivismo e del determinismo
    * Risveglio religioso, per lo più portato avanti da ceti elevati, nato come risposta al disorientamento della modernità e del nichilismo
    * L'identificazione col nichilismo: Tolstoj stesso dichiara di essere un nichilista: "Ho vissuto da nichilista nel significato autentico del termine, vale a dira non da socialista e rivoluzionario, [...], ma da nichilista nel senso di mancante di ogni fede (da La mia fede)". Tolstoj non fu nichilista solo per le sue dottrine teologiche e filosofiche, infatti, con l'eccezione della violenza che aborriva, sembrava condividere le aspirazioni di rigenerazione ed emancipazione dei nichilisti rivoluzionari. "In realtà pochi livellatori sognano tante demolizioni come questo apostolo della carità. Egli supera spesso i Bakunin ed i Kropotkin. Nessun suo compatriota è stato più duro nei confronti del capitale. Nessuno più fermamente internazionalista."

    Il programma nichilista degli anarchici venne infatti accostato al messaggio nichilista del tolstoismo, fatta esclusione per il rifiuto della violenza.

    « Il cristianesimo è in parte il socialismo e l'anarchismo, ma senza la violenza e con la disposizione al sacrificio. »
   

    * Nell'impossibilità di dare uno scopo (in quanto non accessibile alla limitatezza dell'uomo) alla vita, occorre darne un senso. Ovvero realizzare quello che sarebbe il regno di Dio, cioè la sostituzione di una vita egoista, odiosa, violenta, irragionevole, con una vita di amore, fratellanza, di libertà e di ragione. L'uomo di Tolstoj è un uomo che crede in un mondo in cui nessun uomo sia servo di un altro, ed ove ognuno abbia smesso di vivere secondo la coscienza di un altro.
    * Le scelte radicali furono sempre a favore del muzik, delle persone semplici variamente rappresentate, come nella famosissima descrizione di Platon Karataev (in Guerra e pace), od il semplice contadino di Padrone e Servitore od infiniti altri esempi.

    « I semplici spesso conoscono la verità meglio dei dotti, non perché essi siano strumenti ispirati dal divino afflato, ma perché la loro osservazione degli uomini e della natura è meno annebbita da varie teorie. »
   

    * la rinuncia completa alla metafisica andrà nuovamente e circolarmente a stemperarsi alla fine della sua vita (come evidenziato nel primo paragrafo "E che non ci sia in me cattiveria. Ora non ce n'è"). "La verità è che [...] la sua scrittura comprendeva l'osservazione della realtà e la predicazione della verità. In altri termini egli constatava "il male nella società o negli individui e quindi proponeva i rimedi per combatterlo."