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di Giuseppe Vacca
(pseud. Ercole Ercoli, Mario Correnti)
Uomo politico italiano (Genova 1893 - Jalta 1964). Animatore
con A. Gramsci del giornale l'Ordine nuovo, aderì al Partito
comunista d'Italia (1921); dopo l'arresto di Gramsci divenne
segretario del partito (1927) e tale rimase sino alla morte.
Trasferitosi nel 1934 a Mosca, dove divenne membro del Comintern,
rientrò in Italia nel 1944 e promosse la collaborazione delle
forze antifasciste, abbandonando temporaneamente la pregiudiziale
antimonarchica (cd. svolta di Salerno). Vicepresidente del Consiglio
(1944-45), come ministro della Giustizia (1945-46) varò
l'amnistia per gli ex fascisti. Fu membro della Costituente e dal
1948 deputato. Teorizzò la cd. via italiana al socialismo, ma
rimase sempre profondamente legato all'Unione Sovietica. *
Vita e attività
La sua azione si dispiegò pienamente
solo con il rientro in Italia, nel 1944, dopo quasi venti anni di
esilio. Terzo di quattro figli, il padre Antonio e la madre Teresa
Viale erano entrambi maestri elementari. Iscritto al Partito
socialista dal 1914, l'anno prima aveva stretto amicizia con A.
Gramsci, conosciuto all'università di Torino, dove si
laureò in giurisprudenza nel 1915 discutendo una tesi in
scienza delle finanze sul regime doganale delle colonie. Aderente
all'interventismo democratico, per influenza soprattutto di G.
Salvemini, prese parte alla Grande Guerra, congedandosi nel 1919
avanzato. La guerra e la rivoluzione russa furono gli eventi
catalizzatori della sua maturazione politica e intellettuale, che
ebbe la prima manifestazione significativa nella collaborazione al
settimanale l'Ordine Nuovo e nella partecipazione al movimento
torinese dei consigli (1919-20). In quella temperie maturò il
ripensamento della formazione giovanile, caratterizzata
dall'adesione al liberismo in economia - per influenza soprattutto
di L. Einaudi - e al neoidealismo in filosofia, per l'influenza che
sul gruppo dell'Ordine Nuovo (A. Gramsci, T., A. Tasca e U. E.
Terracini) avevano esercitato B. Croce e G. Gentile. Nella
caratterizzazione della sua adesione al marxismo furono determinanti
la frequentazione del pensiero di B. Spaventa, attraverso il
magistero universitario di A. Pastore, gli scritti di A. Labriola e
l'incontro con il pensiero di V. I. Lenin. Nell'orientamento
meridionalistico, L'Unità di Salvemini e il pensiero del
giovane Gramsci. L'esperienza dell'Ordine Nuovo costituì il
punto di incontro di Gramsci e T. con il bolscevismo e la base della
loro partecipazione alla nascita del Partito comunista d'Italia
(gennaio 1921). Nei primi anni Venti T. fu avviato da Gramsci allo
studio sistematico del fascismo, nel quale dette prova ben presto di
originalità cogliendone la novità politica e la
portata storica. Nel 1923 decise di dedicarsi interamente
all'attività politica. Nel 1924, per iniziativa di Gramsci e
con il sostegno dell'Internazionale comunista, gli "ordinovisti" si
staccarono da A. Bordiga, fondatore e segretario del partito e
nell'agosto del 1925 T. scrisse insieme a Gramsci le Tesi per il III
Congresso del PCd'I (Lione, gennaio 1926), nel quale Gramsci,
rieletto segretario, sviluppò la "traduzione in linguaggio
storico italiano" del bolscevismo. In quel congresso T. fu nominato
rappresentante del PCd'I presso l'Esecutivo del Comintern e si
trasferì a Mosca, dove rimase fino ai primi del 1927, quando,
in seguito all'arresto di Gramsci (8 novembre 1926), assunse la
guida del partito e si stabilì in Francia, dove fu costituito
il Centro estero.
Il 1926 fu l'anno dell'ascesa di I. V. Stalin ai vertici del potere
sovietico e della resa dei conti fra la maggioranza del partito
bolscevico, guidata da Stalin e N. I. Bucharin, e l'opposizione
raccolta intorno a L. D. Trockij, G. E. Zinov´ev e L. B.
Kamenev. Sul modo di intendere la strategia staliniana (fine della
prospettiva della "rivoluzione mondiale", costruzione del
"socialismo in un paese solo", riduzione del ruolo dei partiti
comunisti alla difesa dell'URSS) nell'ottobre 1926 si
verificò uno scontro politico molto aspro fra T. e Gramsci.
In esso affiorarono rilevanti divergenze strategiche fra loro, mai
più conciliate.
Negli anni in cui Bucharin fu segretario dell'Internazionale
comunista (1926-29) T. strinse con lui legami significativi.
L'analisi del fascismo costituì il suo maggior contributo al
dibattito dell'Esecutivo del Comintern. Nel VI Congresso
dell'Internazionale (agosto-settembre 1928) egli si oppose alla
equiparazione della socialdemocrazia al fascismo e alla politica del
"terzo periodo", che riformulava la strategia dell'Internazionale
come lotta "classe contro classe" e prospettava la ripresa immediata
di una ondata rivoluzionaria, nella quale i partiti comunisti
avrebbero dovuto prepararsi all'insurrezione. Estromesso Bucharin
dalla guida del Comintern, nel luglio del 1929 la nuova linea
dell'Internazionale fu imposta anche al PCd'I e T. fu costretto ad
abbandonare la strategia gradualistica di lotta al fascismo
elaborata insieme a Gramsci nel 1925-26.
Dopo l'avvento di A. Hitler al potere, l'Unione Sovietica fu indotta
a interrompere l'autoisolamento e ad aderire alla politica di
"sicurezza collettiva". Divenuto il fascismo un fenomeno
internazionale, Stalin riorientò il movimento comunista in
senso antifascista. Nell'agosto del 1934 T. fu chiamato a Mosca per
collaborare alla preparazione del VII Congresso dell'Internazionale
comunista (luglio-agosto 1935) ed entrò a far parte della
segreteria del Comintern, accanto a G. Dimitrov. Nei primi mesi del
1935 tenne il corso sugli avversari, destinato ai quadri del PCd'I
presenti a Mosca. La parte principale di quel corso fu dedicata
all'analisi del fascismo. Ricostruite dagli appunti di un allievo,
le Lezioni sul fascismo furono pubblicate per la prima volta nel
1969 e sono considerate l'analisi più approfondita del
fascismo fra quelle svolte dai suoi contemporanei.
Nel VII Congresso dell'Internazionale fu varata la politica dei
Fronti popolari e a T. fu affidata la trattazione del tema "La
preparazione di una nuova guerra mondiale da parte degli
imperialisti e i compiti dell'Internazionale comunista". Nel suo
rapporto si affacciava per la prima volta l'ipotesi della
evitabilità della guerra e la lotta per prevenirla era
indicata come obiettivo principale del movimento comunista. Dal VII
Congresso T. divenne una figura eminente del comunismo
internazionale e in questo ruolo, nel 1936, assolse il compito di
sostenere con l'attività di propaganda il processo contro
l'opposizione trockista, che si concluse con l'esecuzione di Kamenev
e Zinov´ev inaugurando la stagione del Grande Terrore.
Malgrado l'inizio del terrore, il comunismo antifascista ebbe ancora
un ruolo importante nel 1936 e T., sostenuto da Dimitrov, dette un
contributo originale allo sviluppo di una strategia democratica del
Comintern. Nell'articolo Sulle particolarità della
rivoluzione spagnola, pubblicato nell'ottobre del 1936, veniva
formulata per la prima volta la concezione della "democrazia di tipo
nuovo": essa prevedeva una strategia di accesso al potere diversa da
quella sperimentata in Russia nel 1917, realizzata con il consenso
democratico e non con un putsch, e una forma di stato pluralistico,
nel quale le classi lavoratrici avrebbero potuto esercitare la
direzione politica senza dover ricorrere alla dittatura.
Per le competenze acquisite nello studio della situazione spagnola,
nel luglio 1937 T. fu inviato in Spagna come commissario politico
del Comintern presso il PCE (Partito comunista spagnolo) e vi rimase
fino alla sconfitta militare della Repubblica. Tornato a Mosca nel
1939, fu oggetto di una lunga inchiesta del Comintern che si
concluse nell'estate del 1941 con la sua estromissione dal vertice
dell'Internazionale. Fra le principali accuse che gli vennero
rivolte, quella di aver lasciato cadere l'archivio del PCE nelle
mani della polizia francese durante la ritirata e quella di aver
sabotato la liberazione di Gramsci. Di quest'ultima si fecero
interpreti Genia e Giulia Schucht, dopo il rientro di Tania a Mosca
dall'Italia, alla fine del 1938. Reintegrato nel centro decisionale
del Comintern subito dopo l'invasione tedesca, T. si trasferì
a Ufa, capitale della Baškiria, dove iniziò la propaganda
radiofonica contro la guerra e il regime fascista e
intensificò la preparazione delle Lettere dal carcere e lo
studio dei Quaderni del carcere di Gramsci, che sarebbero stati
pubblicati dall'editore Einaudi fra il 1947 e il 1951.
La caduta del fascismo non lo colse di sorpresa e nell'autunno del
1943 T. elaborò una proposta politica rivolta a tutti i
partiti antifascisti che prevedeva l'accantonamento della questione
istituzionale e la partecipazione al governo Badoglio per
collaborare con gli Alleati alla sconfitta di Hitler e alla
liberazione dell'Italia del Nord. Inoltre egli proponeva di affidare
a un referendum istituzionale la scelta fra monarchia e repubblica e
di convocare un'Assemblea Costituente per disegnare l'ordinamento
democratico del paese. Nella notte fra il 3 e il 4 marzo 1944, in un
incontro segreto con Stalin, T. fu informato della decisone
sovietica di riconoscere il governo Badoglio, la sua strategia venne
accolta da Stalin e la sua richiesta di essere inviato in Italia fu
esaudita. Rientrato a Napoli, i primi di aprile espose pubblicamente
il suo programma (la cosiddetta "svolta di Salerno"). Esso venne
accolto anche dagli altri partiti antifascisti, mutando il
precedente indirizzo del Comitato di Liberazione Nazionale.
Ministro senza portafoglio nel governo Badoglio e nel successivo
governo Bonomi, dopo la Liberazione T. assunse il dicastero della
Giustizia nel governo Parri e lo mantenne nel primo governo De
Gasperi. In tale veste promosse una amnistia che comprendeva anche
reati politici commessi durante il fascismo con l'obiettivo di
favorire la riconciliazione nazionale e allargare il consenso alla
costruzione della democrazia. Ma il suo impegno principale fu quello
di trasformare il PCI in un partito di massa ideologicamente
pluralistico (il "partito nuovo"), che costituì una
novità assoluta nel movimento comunista e una leva per
caratterizzare la nuova democrazia italiana come una "democrazia di
partiti", basata sulla partecipazione diffusa e sulla mobilitazione
dei cittadini. A questa visione corrispondeva il progetto di una
"democrazia progressiva", cioè di uno Stato democratico
avanzato basato sul riconoscimento non solo delle libertà e
dei diritti politici, ma anche dei diritti sociali, della
proprietà pubblica e cooperativa accanto alla
proprietà privata, e della programmazione economica. Una
democrazia liberale molto diversa da quella prefascista, aperta a
trasformazioni di contenuto socialista (le "riforme di struttura") e
alla possibilità che la classe operaia, mostratasi la
più aderente all'interesse nazionale nella lotta al fascismo
e nella guerra di liberazione, si affermasse come classe dirigente
del paese. I contenuti programmatici della "democrazia progressiva"
erano condivisi dai principali partiti antifascisti e furono
recepiti dalla Costituzione del 1948 che T. considerò,
quindi, il "programma fondamentale" del PCI. Come statista il suo
principale contributo si esplicò nell'Assemblea Costituente,
dove il voto del PCI fu determinante per la costituzionalizzazione
dei Patti Lateranensi e del Concordato.
La strategia togliattiana si basava sull'ipotesi che le "sfere di
influenza" in cui il mondo si era diviso alla fine della seconda
guerra mondiale non si trasformassero in "campi" contrapposti. Il
rapido passaggio alla "guerra fredda" creò quindi
un'asimmetria che il PCI non avrebbe mai potuto sormontare: la fine
della coalizione antifascista faceva venir meno la risorsa politica
principale del progetto togliattiano; il "legame di ferro" con
l'URSS confinava il PCI nell'area della legittimazione democratica
escludendolo dalla legittimazione a governare. Lo scontro politico e
sociale che seguì alla fine dei governi di unità
antifascista spostò le riforme e la modernizzazione del paese
su un terreno in cui il PCI poté influire solo
dall'opposizione, con una prolungata mobilitazione sociale volta
all'allargamento del mercato interno e al superamento del regime di
bassi salari e di bassi consumi. Questo limite invalicabile delle
sue possibilità di competere per la guida del paese
segnò la politica di T. anche dopo la fine del centrismo,
l'inizio della distensione e i primi anni del centrosinistra. Il
sostegno del PCI alla repressione della rivolta ungherese (novembre
1956) determinò la frattura con il PSI di P. Nenni e il suo
isolamento. Nell'VIII Congresso (dicembre 1956), puntando sulla
destalinizzazione, la "coesistenza pacifica" e la legittimazione
delle "vie nazionali al socialismo", sancite dal XX Congresso del
PCUS (febbraio 1956), T. operò un rilancio della strategia
democratica e gradualistica del partito, ma esso non poté
andare oltre un sostegno esterno alle poche riforme dei primi
governi di centrosinistra, fallendo l'obiettivo di sconfiggere la
delimitazione a sinistra della maggioranza che escludeva i comunisti
dal governo.
Con la rottura fra l'URSS e la Cina di Mao, il XX Congresso
segnò l'inizio della crisi del movimento comunista. T. la
percepì tempestivamente e propose una sua riorganizzazione
"policentrica", più aderente alla struttura del mondo che
stava emergendo dalla guerra fredda, e una diversa unità
basata sul riconoscimento delle differenze e dell'autonomia dei
paesi socialisti e dei partiti comunisti. La proposta si fondava
sulla percezione dell'interdipendenza che ormai caratterizzava il
sistema delle relazioni internazionali e sul convincimento che tutto
il movimento comunista avrebbe dovuto battersi per superare la
divisione del mondo in blocchi contrapposti. T. muoveva dal
riconoscimento della priorità degli interessi comuni al
genere umano, rispetto a quelli di classe, di Stato o "di campo", e
prospettava una profonda revisione del marxismo assumendo la pace
come un obiettivo prioritario e globale. La "coesistenza pacifica"
avrebbe dovuto configurarsi sempre più come una cooperazione
fra gli stati, le religioni e i popoli per promuovere il disarmo e
la cooperazione politica ed economica internazionale.
Conseguentemente, nel Memoriale di Yalta, scritto in vista di un
colloquio con N. S. Chruščëv che però non si poté
realizzare a causa della morte improvvisa di T., egli si spinse ad
affermare la necessità di riforme democratiche radicali anche
nei paesi socialisti, iniziando una differenziazione profonda del
comunismo italiano dal comunismo sovietico.
Opere
Gli scritti di T. sono raccolti nelle Opere, in 6 volumi,
pubblicate dagli Editori Riuniti nel ventennio successivo alla sua
morte. Fra quelli editi quando T. era ancora in vita si ricordano:
Il partito comunista italiano, Milano 1958; La formazione del gruppo
dirigente del PCI nel 1923-1924, Roma 1962; Problemi del movimento
operaio internazionale 1956-1961, Roma 1962; Momenti della storia
d'Italia, Roma 1963. Il Memoriale di Yalta fu reso noto dopo la sua
morte e l'edizione Sellerio (Palermo 1988) ne riproduce anche
l'autografo. Fra i libri più importanti pubblicati dopo la
sua morte si ricordano Gramsci (a cura di E. Ragionieri, Roma 1967),
che raccoglie i suoi principali scritti sull'uomo politico e
pensatore sardo, e le Lezioni sul fascismo (a cura di E. Ragionieri,
Roma 1970). P. Togliatti, Sul fascismo (a cura e con una
introduzione di G. Vacca, Roma-Bari 2004) raccoglie i suoi
contributi più rilevanti all'analisi del fascismo italiano
dal 1922 al 1935. Togliatti. Un uomo di frontiera, è il
titolo dell'ampia biografia scritta da A. Agosti, pubblicata nel
2003 (2a edizione).