Jacques-Nicolas-Augustin Thierry

 

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Jacques-Nicolas-Augustin Thierry (Blois, 10 maggio 1795 – Parigi, 22 maggio 1856) è stato uno storico francese.

È considerato uno dei maggiori storiografi del romanticismo, padre della moderna teoresi storiografica basata sull'utilizzo di fonti di prima mano, e su ricostruzioni di carattere storiografico scevra da ogni condizionamento politico. La sua attività si concentra soprattutto sulle dinamiche passate che hanno condotto la Francia alle instabilità politiche della rivoluzione del 1789, passando per la restaurazione borbonica fino alla rivoluzione del 1830, sostenuta da Thierry e riconosciuta da questi come il compimento finale di un percorso lungo iniziato nei primissimi secoli successivi alla caduta dell'impero romano e alle conseguenti invasioni barbariche dei territori galloromani ad opera dei Franchi.

Nel corso di un lavoro imponente, il cui ritmo non si allentò neppure quando Thierry perse completamente la vista, produsse opere che, come l'Histoire de la conquéte de l'Angleterre par les Normands, (Storia della conquista dell'Inghilterra, del 1825) e i Récits des temps mérovingiens, (Racconti del tempo dei Merovingi, 1840), svolsero un ruolo eminente nel processo di reciproca fecondazione verificatosi in epoca romantica tra letteratura e storiografia.

I primi anni: la collaborazione con Saint Simon

È indiscutibile l'influenza che il grande maestro e filosofo ebbe sul suo giovane allievo, durante i primi anni della sua formazione. Con questi infatti, Thierry scrisse un interessante saggio sulle prerogative della società europea intitolato "Riorganizzazione della società europea", in cui si proponeva un senato europeo composto dai vari monarchi d'Europa, con lo scopo di promuovere la pace e la cooperazione a livello continentale, attraverso la realizzazione di istituzioni simili ispirate dal modello monarchico costituzionale inglese. A questo saggio seguì poi l'elaborazione della teoria sulle industrie, volta a determinare i fondamenti essenziali delle istituzioni, individuate nell'economia del paese e nell'equa distribuzione delle ricchezze, sulla scia di quanto asserito da Jean Baptiste Say. La rottura con il maestro avvenne nel 1817. A dispetto delle molte ipotesi formulate sulle cause di tale rottura, la più accreditata di tutte sembra essere quella relativa a un'ipotetica svolta del pensiero di Saint Simon, il quale incentrò la propria attività sulla realizzazione di un'ideologia che ricalcasse il modello dei Philosophers settecenteschi. Thierry, da parte sua, iniziava già a contemplare la sua vocazione di storico, derivantegli dalla consapevolezza di non dover raccontare la storia solo per sostenere le sue tesi politiche, bensì per il semplice gusto di farlo, e per spiegare le dinamiche del presente.

Il tema della conquista

Il tema della conquista rimane centrale nella teoresi di questo grande storico, a dispetto di tante rettifiche e ripensamenti che (per alcuni questo è indice della sua grandezza) caratterizzano la sua carriera, quando, di fronte agli "inspiegabili eventi del '48", si trovò a dover constatare il fallimento del suo modello politico ideale, quello di una monarchia liberale e costituzionale al cui centro vi era l'interesse e il benessere della popolazione, unica erede di un patrimonio comune quale è la storia nazionale. Egli faceva discendere l'origine dei moderni assetti sociali dalle conquiste barbare del VI secolo d.C., che vedevano la popolazione dei vinti, i gallo-romani, arrendersi alle invasioni dei Franchi provenienti dalle regioni germaniche. I “Recits”, rappresentano in tal senso il capolavoro della sua produzione storiografica. Molti ritengono che la bellezza dei suoi scritti dipenda anche dalle forti influenze che ebbero su di lui i romanzi di Walter Scott, un romanziere molto in voga a cavallo tra gli anni '20 e '30 del diciannovesimo secolo. La descrizione accurata degli usi e dei costumi delle popolazioni barbare, l’attenzione verso una categoria, quella della massa, della popolazione, rendono il suo lavoro estremamente originale rispetto a quanto si era fatto sino ad allora in campo storiografico. I recits erano introdotti da un saggio, “Considerazioni sulla storia di Francia”, che mostravano con chiarezza l’evoluzione del pensiero thyerriano, che vede l’evolversi della storia di Francia attraverso tappe ben precise, dalle invasioni del V secolo, passando per la seconda età comunale nel profondo medioevo, al riscatto della borghesia, ai tumulti della rivoluzione francese, fino alla meravigliosa rivoluzione di luglio, che portò al trono gli Orleans. La posizione filoborghese, che egli includeva nella grande categoria del “terzo stato”, gli valse il riconoscimento da parte di Marx di “padre della lotta di classe”, aprendo ai posteri parecchi dibattiti su tale affermazione.

La storia del terzo stato

Doveva essere l’opera più maestosa, quella sul terzo stato, ma per Thierry la storia prese una svolta, piuttosto brusca e repentina, che mandava in frantumi ogni sua convinzione. Thierry infatti, non accettò mai la rivoluzione del 1848, semplicemente perché non la comprendeva, a dispetto dei tumulti europei, che si giustificavano da soli, la Francia aveva, a suo dire, raggiunto quella stabilità che in fondo era la fine di un ciclo, un circuito che si chiudeva in una sorta di sistema perfetto, quello monarchico costituzionale e liberale, che Thierry aveva sempre sognato. Per questo motivo l’opera sul terzo stato, che doveva innanzitutto celebrare il presente, ci è giunta mutila, arrivando infatti fino al 1715, soffermandosi sui valori borghesi, sull’importanza che la borghesi aveva avuto nel consentire il riscatto popolare contro l’oppressione e il privilegio aristocratico. Il rovesciamento della monarchia e l’instaurazione della repubblica nel 1848, nonché l’impero pochi anni dopo, rappresentavano un caos che tradiva ogni sua convinzione di spiegare il presente, attraverso il passato. Ciò non toglie certo il valore all’opera di questo storico, come testimoniano i molti riconoscimenti rivoltigli in seguito da illustri personaggi, come lo stesso Marx.


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Vita e opere

Augustin Thierry nasce a Blois nel 1795, in piena età repubblicana, in una famiglia di ferventi cattolici, tanto che il piccolo Augustin viene fatto battezzare clandestinamente. Dopo i primi studi condotti sotto la direzione del padre, uomo di profonda cultura, Thierry entra nel 1804 nel collegio di Blois. Nel 1811 entra all’Ecole Normale di Parigi dove incontra illustri professori del tempo e si mette in luce per una forte propensione verso gli studi umanistici a parte la storia, proprio la disciplina su cui fonderà la sua fortuna di intellettuale. Il vero punto di svolta nella vita di Thierry avviene nel 1814, anno in cui diventa segretario di Saint-Simon, insieme al quale pubblica, già nel ’14, il testo De la réorganisation de la société européenne, a causa del quale viene sospeso dal suo ruolo di insegnante che nel frattempo aveva svolto. La collaborazione con Saint-Simon prosegue con grande intensità e produttività, tanto che escono nel giro di due anni altri testi, come il pamphlet Opinion sur les mésures à prendre contre la coalition del 1815 e il contributo significativo all’Industrie intitolato Des nations et de leurs rapports mutuels; ce qu’il sont aujourd’hui; et quels principes de conduite en derivent. Nel 1817, per motivi mai chiariti, s’interrompe bruscamente la collaborazione con il filosofo francese, forse per la svolta organicista che Saint-Simon stava dando alla sua teoria industrialistica. Thierry inizia allora una importante collaborazione con il Censeur européen, diretto da Charles Comte e Charles Dunoyer. Il contesto del Censeur è calzante per le teorie di Thierry, dato che sviluppa in senso liberista le stesse teorie dell’Industrie sansimoniana. Gli articoli di Thierry riguardano letteratura, filosofia, politica, anche se un articolo in particolare, intitolato Vue des révolutions d’Angleterre, lascia intravedere l’inizio di un nuovo interesse culturale, che marcherà profondamente il pensiero di Thierry, la storia. E difatti l’anno seguente, soppresso il Censeur e iniziata una collaborazione con il Courrier français, Thierry inizia a scrivere esclusivamente di storia, pubblicando in particolare le Lettres sur l’Histoire de France. L’ambiente del Courrier lo mette a stretto contatto l’entourage di La Fayette, con il quale partecipa alle agitazioni politiche del 1821-22.

Nello stesso tempo Thierry comincia l’intenso lavoro di ricerca che darà vita all’Histoire de la conquête d’Angleterre. L’intellettuale francese diventa anche punto di riferimento di importanti intellettuali europei: è nella sua casa che infatti s’incontrano Manzoni, Guizot, Cousin, Thiers e molti altri. Nell’aprile del 1825 pubblica l’Histoire de la conquête d’Angleterre che ha un immediato successo di critica e di pubblico. Una malattia agli occhi lo induce ad accettare l’invito di Claude Fauriel per un soggiorno a Montpellier. L’anno successivo ritorna a Parigi, dove, insieme al fratello, concepisce il vasto piano di una “Histoire de France”, in cui ogni secolo sarebbe stato raccontato attraverso i documenti originali. Solo il fratello, però, porterà a compimento la parte di Augustin. In forti difficoltà economiche, completamente cieco e paralizzato agli arti inferiori, nell’ottobre del 1828 lavora alla terza edizione dell’Histoire de la conquête d’Angleterre, che uscirà solo nel ’30. Segue nel frattempo da lontano gli avvenimenti politici ed esulta alla rivoluzione di Luglio, che porta al potere molti suoi amici. Viene eletto all’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres. L’anno seguente è a Vesoul, al seguito del fratello nominato prefetto della regione. Qui conosce Julie de Quérengal che sposa nel corso dello stesso anno. A partire dal 1833 pubblica le Lettres sur l’Histoire de France e nel ’35, ristabilitosi a Parigi, gli viene affidata la direzione della sezione incaricata di raccogliere i monumenti inediti della storia del Terzo stato nell’ambito del comitato per la Collection de documents inédits sur l’histoire del France. Nel frattempo è nominato bibliotecario del Duca d’Orléans e, malgrado l’infermità sempre più grave, affronta un periodo di intenso lavoro,con vaste e importanti pubblicazioni. Nel ’44 muore la moglie e si trasferisce nella residenza della principessa Belgioioso di cui era da tempo grande amico. Prosegue nel lavoro di ricerca per i Monuments inédits de l’Histoire du Tiers Etat, che, per varie ragioni, tra le quali una profonda crisi che investe la sua visione politica e storica dovuta alla rivoluzione del 1848, decide di lasciare interrotto al 1715, trasformandolo sostanzialmente nella introduzione al primo volume del Recueil des monuments inédits de l’Histoire du Tiers Etat, che esce nel 1850. Escono ancora il secondo e il terzo volume nel ’53 e nel ’56. Lascia incompleto il quarto e ultimo volume a causa della morte sopraggiunta il 22 maggio del 1856.

Il saggio del 1817 Des nations di Augustin Thierry (Blois 1795-Parigi, 1856), attraverso categorizzazioni concettuali e paragoni storici, tenta di definire le caratteristiche della nazione nella modernità, analizzandone acutamente gli aspetti e abbozzandone gli sviluppi futuri. Il saggio in questione rientra in una serie di scritti che Thierry elabora per Saint-Simon, nel periodo in cui lavorava come suo segretario. Lo scritto infatti fa parte di un’opera più ampia, L’industrie, di Saint-Simon appunto, nella quale il filosofo francese esalta il neonato sistema industriale che sconfigge le tendenze retrograde della politica europea di quegli anni e preannuncia l’ascesa politica delle classi produttrici. Des nations si inserisce pienamente in tale progetto e, utilizzando un punto di vista storico-politico, cerca di dimostrare come tale stravolgimento economico e politico non è un ideale utopistico, bensì un naturale evolversi del progresso dell’umanità. Thierry, in sostanza, analizza il rapporto tra nazione e sistema produttivo, dapprima basato sulle guerre e sul protezionismo, infine, nella modernità, sull’industria e il commercio. Protagonisti di questa evoluzione sono gli uomini che guidano le nazioni con loro princìpi, guerreschi e aristocratici nell’antichità, economico-produttivi e borghesi nella modernità

1. Sul concetto di nazione

Il concetto di nazione, secondo Thierry, è sinonimo a quello di società e corrisponde a «une portion de l’espèce humaine unie pour la poursuite d’un même objet, et par la volonté de le poursuivre»1. La nazione, in sostanza, non è altro che un raggruppamento di individui accomunati dalla volontà di raggiungere lo stesso o gli stessi obiettivi, proprio come nella formazione delle prime società di cacciatori e raccoglitori, dove l’esigenza di unire gli sforzi per sopravvivere costringeva gli uomini a vivere in comunità. Società e nazione sono sinonimi perché hanno le stesse cause nella loro genesi. A tale argomento oggettivo a fondamento della società e della nazione, Thierry aggiunge un aspetto soggettivo, insito nella natura dell’uomo: «il y a des animaux qu’un penchant naturel porte à vivre en troupes; l’homme est de ce nombre»2. Lungi però dall’essere due elementi che all’unisono spingono l’uomo a radunarsi in società, l’istinto naturale a legarsi e l’esigenza di perseguire obiettivi comuni, danno luogo a due atteggiamenti contrari l’uno con l’altro: l’istinto porta l’uomo a essere passivo nei confronti degli altri e a subire ordini e suggestioni; mentre la ricerca di un risultato comune spinge gli individui a essere attivi gli uni con gli altri nel tentativo di migliorare sempre più la propria condizione3. Secondo Thierry, dunque, il nostro istinto ci porta a non rimanere isolati e a rapportarci con gli altri, ma è l’interesse comune il vero motore di crescita e miglioramento della società. L’interesse comune non è altro che un oggetto su cui tutti gli individui operano insieme per ottenere quello che sembra essere un interesse per tutti. Non sempre gli interessi o un unico interesse sono duraturi, anzi, come nel caso delle guerre persiane, in cui i greci furono coalizzati finché il pericolo era presente, spesse volte le nazioni e le coalizioni durano fino a quando l’oggetto persiste, per poi in seguito sparire del tutto4.

La tesi secondo cui una nazione si fonda su un determinato interesse che raggruppa una serie di individui sta a fondamento della visione che un membro di una nazione ha di quegli individui che non ne fanno parte, cioè degli stranieri. Storicamente, osserva Thierry, lo straniero ha via via assunto i caratteri di una preda da mangiare e spogliare, di un uomo che si può maltrattare e uccidere senza scrupoli e, soltanto nell’età moderna, di un individuo che, a determinate condizioni può essere partecipe dei miei stessi interessi e dei miei stessi obiettivi5. L’idea di straniero si è dunque sottoposta a un progressivo processo di sbarbarimento che ha portato l’uomo a considerare colui che è diverso in un’ottica sempre più civile, grazie soprattutto, secondo Thierry, all’intervento dei lumi nel XVIII secolo e dalla forza delle leggi fondate sulla razionalità. Tuttavia, argomenta lo storico francese, si è ancora lontani da una visione universale della figura dello straniero, ed esistono differenze profonde all’interno di una stessa nazione, a seconda della condizione sociale. Gli uomini colti infatti, quelli cioè che partecipano del progresso della ragione, considerano lo straniero come membro della sua stessa società, nel senso che partecipa della libertà e del benessere collettivo. Stessa considerazione anche da parte dell’uomo di mondo, il quale, desiderando ospitare persone di pari grado ed essere ospitato con gli stesi agi di casa propria, considera lo straniero come un individuo che persegue i suoi stessi obiettivi di prosperità e ricchezza. Il popolo invece, proprio per la sua ignoranza e per la sua istintività, non essendo ancora stato illuminato dalla ragione, considera lo straniero come un essere cattivo, come colui che sconfina dal proprio territorio per derubare e impoverire gli altri6.

Traspare da queste argomentazioni l’idea di un progressivo e costante miglioramento degli uomini sia nell’organizzare sé stessi in società libere ed eguali, sia una civilizzazione dei costumi, attraverso il massiccio intervento della razionalità nel regolare gli istinti e le passioni. Si tratta di un’idea di fondo che caratterizza anche il processo di trasformazione dell’idea di nazione così come si è configurata storicamente. Le società antiche infatti nascevano sull’interesse comune di difendersi da un pericolo minaccioso, di procacciarsi determinate derrate alimentari, di conquistare e depredare altri popoli per arricchirsi, in sostanza quello di garantire il bene di ciascuno. Il processo di civilizzazione, che secondo Thierry «simplifie les intérêts sociaux, elle les étend sur un plus grand nombre d’hommes; elle agrandit les sociétés»7, ha fatto sì che il benessere individuale e collettivo non derivasse più da un’azione verso l’esterno della società, ma verso il suo interno, nel favorire cioè la libertà di ciascuno e con ciò il suo benessere. Il ricercare la libertà individuale, osserva Thierry, va oltre l’appartenenza a una comunità e apre una prospettiva universale: «le jour que tout le genre humain sera convaincu que le seul but de l’union sociale, que le seul objet des hommes ressamblés est le plus grand bonheur de chacun en particulier, ce jour là, il n’y aura qu’une nation: cette nation se sera tout le genre humain»8.

Il processo di civilizzazione non vede tutto il genere umano avanzare di pari passo, ma, come nella concezione dello straniero gli uomini colti sono più avanti del popolo, così alcune nazioni sono avanguardia nel riconoscere nella libertà il motore del progresso, mentre altri ancora soccombono all’impulsività e alla passionalità dei sentimenti patriottici. Sono queste nazioni all’avanguardia che devono guidare le altre verso il vero obiettivo comune, la libertà e il benessere, così come devono essere gli uomini colti e illuminati dalla ragione a guidare e a educare il popolo, e non come avviene nella maggior parte dei casi, dove è il popolo a detenere il potere. Emerge qui una visione elitaria della politica, dove solo un gruppo ristretto di persone, proprio perché conosce i veri obiettivi da raggiungere, può detenere il potere, e, allo stesso modo, solo alcune nazioni hanno la facoltà di guidare le altre verso il cammino della libertà e della prosperità. La nazione deve essere guidata da coloro che pensano, giudicano e sentono l’accordo con l’interesse di tutti9.

Il processo di civilizzazione si lega inevitabilmente a quello di progresso dell’uomo che Thierry focalizza essenzialmente in due stadi: 1) lo stadio primitivo, in cui l’uomo «a beaucoup a démêler avec les hommes e peu avec les choses»10, un’età, cioè, dove gli uomini si riuniscono solo per procurarsi il necessario; 2) lo stadio del calcolo e dell’arricchimento, dove «avec une plus grande capacité d’observation et de jugement, l’homme se met plus en relation avec les choses, et, à mesure qu’il fait plus d’attention à elles, il sent moins et calcule davantage»11, dove le relazioni tra gli uomini sono meno brusche e il sentimento di odio e amore nei confronti degli altri è modificato dall’oggetto di interesse. Il passaggio dal primo al secondo stadio, secondo Thierry, si afferma nel XII secolo, quando inizia a prevalere, soprattutto grazie alla nascita dei comuni cittadini in tutta Europa, la volontà di arricchirsi al proprio interno con attività produttive e commerciali, anziché attraverso i bottini di guerra e le conquiste12. Le nazioni antiche erano essenzialmente militari e la guerra era l’industria che produceva ricchezze. Con il XII secolo si apre una nuova fase, in cui l’industria diventa parte attiva all’interno delle nazioni.

L’intervento dei lumi e la nascita della modernità ha segnato per Thierry un ulteriore sviluppo verso l’arricchimento dei popoli e la diminuzione delle guerre. Nel tentativo di esplicitare meglio tale ragionamento, Thierry paragona le nazioni antiche come a un insieme di soldati, quelle successive al XII secolo come a un insieme di mercanti, quelle contemporanee come a un insieme di ricchi negozianti13.

2. Sui rapporti tra nazioni

Dopo aver definito i caratteri della nazione e il suo sviluppo storico, Thierry analizza quali debbano essere i rapporti tra nazioni, a partire da un’analisi storica di eventi antichi e recenti. Thierry riassume l’essenza dei rapporti internazionali secondo questo schema: «détruire pour ne point être détruit, conquérir pour ne point être conquis, voilà les relations des peuples»14. Per lungo tempo, infatti, gli Stati, per garantire la loro sopravvivenza, erano costretti ad aggredire gli altri, generando uno stato di tensione continua. L’esempio più eloquente è la lotta tra Roma e Cartagine, dove, non essendo praticabile la via della cooperazione, perché impensabile per quei tempi, la salvezza e l’affermazione economico-politica doveva passare attraverso la distruzione di uno o dell’altro. Nell’antichità, infatti, il sentimento patriottico era molto forte, perché, osserva Thierry, ai propri confini si vedeva la povertà e la schiavitù e si tendeva a esaltare le virtù della propria patria per scongiurare l’avvento di miseria e cattività15.

In tale contesto la religione assume un ruolo molto importante. Il paganesimo, identificando le divinità come dei della patria, non faceva che esaltare il sentimento di appartenenza a una nazione e la volontà di difenderla ad ogni costo. Il cristianesimo invece, canonizzando l’esistenza di un unico Dio per tutti gli uomini e predicando sentimenti come l’amore per il prossimo, connazionale o straniero, e la fraternità universale, tentava, almeno all’inizio e su basi sentimentali, di superare le divergenze nazionali e unire tutti gli uomini attorno allo stesso interesse, cioè la ricerca del bene e dell’amore. Il cristianesimo però, secondo Thierry, ha fallito lungo questa strada, perché non è riuscito a trasformare il sentimento di fraternità in qualcosa di pratico, in un oggetto cioè che potesse coalizzare tutti gli uomini a lavorare per esso16. La fraternità, in sostanza, era rimasta solo a livello spirituale e teorico, senza tradursi in qualcosa che interessasse realmente gli individui e li spronasse ad agire all’unisono: «c’est par la multiplication des besoins et des travaux divers que la fraternité des hommes peut devenir un objet de pratique. […] L’intérêt d’union, c’est l’ intérêt des jouissances de la vie; le moyen d’union, c’est le travail»17. La vera società cristiana è quella in cui tutti producono per il bene di tutti. Il sentimento di fraternità diventa così il lavoro, mezzo per produrre i beni che mancano e che contribuiscono al benessere della collettività. Per realizzare realmente un sentimento costante di fraternità tra i popoli, cioè una pace duratura, non occorre creare una coalizione di nazioni cristiane, che anzi ha storicamente dimostrato solo la sua crudeltà, ma un’alleanza tra nazioni produttive e industriose, in grado di garantire ricchezza e prosperità per tutti, disinnescando rivalità e atti vendicativi tra nazioni. Thierry, in sostanza, attraverso il riferimento alla religione cristiana vuole sostenere che il tentativo di accomunare i popoli attraverso sentimenti particolari o determinati valori ha sempre fallito, perché hanno prevalso gli interessi particolari, e l’unica strada percorribile è quella di accomunare tutti i paesi nello sviluppo economico e commerciale, i quali, dovendo sussistere in contesti pacifici, permettono di vanificare possibili guerre.

Il tema del rapporto tra nazioni pone il problema di definire quali debbano essere le linee guida di uno Stato, al suo interno e all’esterno. Thierry sostiene che come un individuo deve conformare la propria condotta in base a dei principi, così devono fare anche le nazioni e i principi di una nazione sono stabiliti dalla sua organizzazione sociale e a questo si deve rapportare tutta la sua politica18. Attraverso tale lente è possibile individuare all’interno del continente europeo tre stati, la Francia, l’Inghilterra e l’Olanda, le cui organizzazioni sociali sono similari e perciò anche i loro principi ispiratori. Francia, Inghilterra e Olanda possiedono una strutturazione sociale che ha per oggetto la libertà e l’industria, e sono questi due elementi a determinare la loro condotta. «La liberté comme l’industrie chez les modernes», secondo Thierry, «ne peut donc subsister que par la paix»19, l’industria per prosperare e vivere in un contesto di libero commercio, la libertà per sopravvivere, poiché nei periodi bellici le libertà civili vengono soppresse. Un popolo industrioso, così come un popolo libero, per poter perpetrare il suo status, deve esportare i suoi valori e guidare le altre nazioni ad unirsi per raggiungere gli stessi obiettivi. Nel caso europeo, Francia, Inghilterra e Olanda devono aiutare le altre tre grandi nazioni, l’Italia, la Germania e la Spagna a trovare nell’industria e nella libertà il loro oggetto, principalmente attraverso l’esportazione del pensiero illuminato20. Da questa coalizione potrà nascere, sostiene Thierry, un’unica entità statale europea, prospera e libera.

Non si tratta di una prospettiva politica da auspicare o utopica, ma che emerge da una serie di considerazioni, anche di carattere storico. Alcuni stati europei infatti, se non addirittura l’Europa intera, hanno accantonato da tempo l’isolamento nazionalistico, tendendo sempre più a costituirsi come sistema politico, attraverso rapporti regolati e trattati internazionali. Il primo tentativo è stato fornito proprio dalla religione, in particolare dal cristianesimo, che ha cercato di dare vita a un sistema cattolico, dove la volontà di Roma si potesse diffondere su tutta l’Europa. L’avvento della Riforma e la conseguente scissione del mondo cristiano europeo ha infranto il fragile equilibrio religioso che si era creato intorno al potere papale e a determinati valori sentimentali. Non furono però soltanto motivi dottrinali a infrangere il sistema cattolico, ma anche l’interesse politico, fissato nei risultati della rivoluzione francese, che esalta le libertà civili e l’industria nazionale. Tutte le nazioni guidate dall’interesse politico, cioè dalla volontà di progredire nell’ambito della libertà e della prosperità economica, contribuiranno a creare un sistema politico europeo e a mantenere rapporti reciproci duraturi e pacifici21.

3. Sui valori di una nazione

Tra gli elementi che devono contraddistinguere uno Stato moderno vi è senza dubbio la ricchezza nazionale. Più volte Thierry ha sostenuto come l’affermazione delle libertà civili sia strettamente legata alla prosperità economica e come tali inscindibili valori siano le guide per lo sviluppo e di una nazione o di una coalizione. La ricchezza, secondo lo storico francese, si produce dal capitale e dal lavoro prodotto sul capitale e una società è tanto più ricca in proporzione dei suoi capitali22. Il reddito nazionale è suddiviso tra tutti i cittadini e la parte di ciascuno corrisponde al reddito personale. Il capitale, come si è detto, da solo non basta a produrre ricchezze, occorre che a esso si agganci un grande sistema produttivo, in cui tutti i membri di una società siano parte attiva. Per sistema industriale o industria, Thierry non intende solo la nascente forma di produzione meccanizzata e seriale, ma vi identifica l’attività produttiva in generale, a prescindere da quali siano i metodi di produzione. L’industria è l’insieme di tutti coloro che lavorano, commerciano, producono, comprano e vendono, di tutte quelle attività che permettono un arricchimento personale e, dunque, nazionale.

Riguardo al rapporto tra guida o governo di una nazione e sistema economico, Thierry si presenta come un liberista, affermando non solo che, per esempio, il prezzo delle merci si fissa da solo, ma anche che il commercio è come un corpo naturale che si sviluppa da solo e per una forma interna, e che i monopoli sono dannosi sia per questioni di concorrenza interni, sia per problemi di carattere internazionale.

Il tema della ricchezza nazionale ripone con forza quello della libertà, cui va sempre di pari passo. Secondo Thierry, l’uomo domanda all’uomo semplicemente la libertà di disporre dei suoi beni, delle sue braccia, del suo ingegno, preludendo ad una massima morale che dovrebbe stare a fondamento di tutte le nazioni veramente libere: «fais chacun aussi libre que tu veux l’être; voilà toute la morale»23.

Il valore di una nazione non si dimostra però semplicemente con la sua ricchezza, ma anche con una forza morale che consente a un popolo con pochi mezzi (economici) di conseguire grandi risultati. In passato tale forza morale si dimostrava con i costumi guerrieri e con l’amor patrio, ma oggi, nel progressivo avvicinarsi a uno stato di pace, anche la virtù dell’industria e dell’operosità e della difesa della propria ricchezza sono altrettanto validi. La forza morale infatti non è altro che fiducia nelle proprie forze, sia per l’uomo guerriero, sia per l’uomo produttivo. Tra le due figure, quella del soldato e quella dell’uomo industrioso, esistono però delle forti divergenze. Innanzi tutto l’uomo operoso possiede un sentimento di consapevolezza di essere utile agli altri. In secondo luogo il soldato ha due motivazioni forti per il suo lavoro, il desiderio di conquista e la libertà, mentre l’industrioso ha solo la libertà. «Je suis fort, dit le guerrier; partout les hommes tremblent à mon nom: je suis fort, dit l’industrieux; partout le hommes embrassent mon intérêt»24. Tali distinzioni hanno una valenza certamente politica nell’affermazione o meno di una nazione sulle altre. Secondo Thierry infatti, tra i popoli guerrieri quello industrioso vale di meno, viceversa tra i popoli industriosi quello guerriero non vale nulla. A partire dal Medio Evo e dalla rivoluzione del XII secolo, hanno sempre prevalso le nazioni produttive e ancora oggi, scrive Thierry, il valore di una nazione non si deve più misurare nelle conquiste militari compiute, ma su quelle economiche, tecniche, scientifiche, sociali, civili, liberali. Gli stati dell’antichità infatti vedevano nell’arricchimento il nemico dei costumi guerrieri e il deperimento di un popolo. Oggi, invece, gli Stati tengono molto di più a disfarsi dello spirito guerriero perché foriero di cattività e distruzione, cioè i nemici della prosperità economica.

Sebbene al progressivo arricchimento delle nazioni e dei popoli debba conseguire la cessazione delle ostilità tra gli Stati, a tutt’oggi, in un regime di stati moderni, costituzionali e liberali, di guerre ce ne sono ancora moltissime. Il motivo va ricercato nel fatto che i popoli non sempre si muovono motu proprio, cioè verso un progressivo miglioramento dei rapporti internazionali, ma spesso si trovano a dover eseguire gli ordini di governanti, che, anziché assecondare il naturale progresso della civiltà, soggiacciono agli impeti soggettivi e a interessi particolari25. Il governo ideale è quello ben definito da Millar, il commercial governement, un governo cioè di regime costituzionale, liberale, fondato sull’industria, attento quindi all’economia e al suo sviluppo in senso produttivo. Quei governi che ancora mantengono le proprie truppe all’interno dei loro Stati, non fanno altro che perpetrare, dice Thierry, una forma moderna di schiavitù, quella dei militari, che vivono sotto l’arbitrato di un superiore in una nazione dove tutti sottostanno alla legge26.

Strettamente connesso al valore di una nazione è l’onore cui un popolo tiene. Nell’antichità l’onore corrispondeva con la forza fisica e dunque con la potenza militare. Oggi l’onorabilità coincide con la forza morale, che deve aiutare tutti i membri di una società a perfezionare le capacità produttive, nell’espandere l’applicabilità delle scienze e nel moltiplicare i piaceri. Allo stesso modo, la fortuna di una nazione sta nello sviluppare l’industria, garantendo a tutti i membri di una società l’operosità e l’aumento delle ricchezze.

4. Il progresso e i suoi strumenti: libertà e industria

Il tema della modernità nel saggio di Thierry è legato a un profondo ottimismo nel progresso dell’umanità. La storia dell’uomo dimostra un progressivo passaggio da un’età in cui l’istinto e i sentimenti dominano i comportamenti degli individui a un momento nel quale la ragione prende finalmente il sopravvento. Des nations infatti, per lo meno nelle sue argomentazioni storiche, si basa su una continua contrapposizione tra antichità e modernità, che corrispondono a grandi linee la prima al periodo greco-romano, la seconda al periodo post rivoluzione francese27. Tra le due epoche sembra esserci un arco temporale nel quale si possono intravedere aspetti sia dell’antichità sia della modernità, in un continuo processo di affermazione e negazione, che trova compimento solo nella rivoluzione illuministica del ‘700. Nonostante il periodo burrascoso o poco identificabile tra l’antichità e la modernità, Thierry conserva l’idea di un progresso lineare che ha nell’industria il suo motore interno. Soltanto in apparenza, infatti, lo storico francese sembra porre la libertà e l’industria come due valori equivalenti e reciproci nel progresso dell’umanità. In realtà non è difficile notare la continua preferenza verso la tesi secondo cui soltanto attraverso l’industria, cioè in ultima analisi il lavoro e la produzione di ricchezza, l’uomo può veramente emancipare sé stesso; soltanto attraverso il miglioramento delle condizioni economiche si può parlare di civilizzazione; soltanto attraverso un arricchimento sempre più diffuso si può parlare di progresso dell’umanità.

Se dunque a un livello superficiale Thierry identifica il contrasto tra antichità e modernità attraverso una scala assiologia che vede da una parte l’istinto e dall’altra la ragione, in realtà è la rivoluzione industriale e il massiccio intervento delle scienze e delle tecniche, cioè della razionalità, nella catena produttiva a costituire il vero discrimine tra il mondo antico e il mondo moderno. Il ragionamento sotteso a tale tesi è semplice e logico. Anche se non molto aderente alla realtà: l’applicazione delle scienze nel sistema produttivo ha permesso a molte società di creare maggiori ricchezze e a una sempre più ampia parte di popolazione di accedere a un numero più elevato di beni, facendo sì che il benessere diffuso avesse potenziato il progresso civile. L’uomo arricchito infatti, volendo mantenere la propria condizione è illuminato dalla ragione che gli consiglia di cooperare piuttosto che lottare con gli altri.

L’intervento dei lumi nel regolare i rapporti tra i membri di una società o tra nazioni diverse attraverso leggi e trattati non è sufficiente a garantire il progresso, perché rimarrebbero a livello concreto forti discrepanze tra gruppi di individui più o meno ricchi, determinando rivalità e odi profondi. Il progresso può essere garantito solo con l’intervento dei lumi nel sistema economico, che favorisce il passaggio da una concezione dell’arricchimento frutto di operazioni belliche a quello di uno sviluppo attraverso l’industria e il commercio.

Thierry fa più volte osservare come non è possibile che tutto il genere umano concorra a un tale cambiamento di visione economica, per la quale anzi ci vorrà del tempo, e vede nella crescente borghesia il ceto in grado di recepire il suggerimento dei lumi. La prospettiva dello scrittore francese è infatti quella di favorire non solo la crescita della borghesia dal punto di vista economico, ma soprattutto da quello politico. E’ la nuova borghesia industriale a essere titolata per governare, perché creatrice di ricchezze e quindi di benessere e libertà. Il passaggio alla modernità non si compie solo a livello economico-produttivo ma anche politico, con l’avvento al potere della borghesia industriale che sovverte l’antico sistema aristocratico e feudale fondato sui valori guerreschi, e guida il popolo verso il riscatto e il benessere.

Da tali considerazioni emerge un’immagine della modernità legata fortemente al fenomeno industriale, alla classe borghese, al liberismo economico, al liberalismo politico, antitetica a un’idea di antichità sinonimo di schiavitù, guerra, aristocrazia.

Resta da comprendere perché Thierry assegni all’Europa dei suoi anni (1817, piena restaurazione) l’epoca della modernità, proprio nel momento in cui le monarchie del Vecchio Continente tentano un disperato ripristino degli antichi poteri, scompaginati dalla rivoluzione del 1789 e dalle guerre napoleoniche. Il motivo sta molto probabilmente nel fatto che l’approdo nella modernità è ancora lontano da venire dal punto di vista politico, in virtù anche degli avvenimenti di quegli anni, ma è inarrestabile la trasformazione economica in atto, che porterà prima o poi la borghesia industriale ad affermarsi politicamente. Il traino verso la modernità si risolve sempre nel sistema economico, che precede i cambiamenti politici e li accompagna nelle trasformazioni, secondo un moto inarrestabile perché ingovernabile e troppo allettante per l’appetito umano, intimamente portato a migliorare costantemente la propria condizione economica e, dunque, civile.

Note

1. A. Thierry, Des nations et de leurs rapports mutuels, in H. de Saint-Simon, L’Industrie, t. I, parte seconda, ora in Saint-Simon, Oeuvres, t. I, Paris, Anthropos, 1966, pp.19-127. Qui pp. 21-22.

2. Ivi, p. 19.

3. Cfr. ivi, p. 21.

4. Cfr. ivi p.22.

5. Cfr. ivi, pp. 28-30.

6. Cfr. ivi, pp. 32-33.

7. Ivi, pp. 24-25.

8. Ivi, p. 25.

9. Cfr. ivi, p. 34.

10. Ivi, p. 34.

11. Ivi, p. 35.

12. Cfr. ivi, p. 38.

13. Cfr. ivi, p. 42.

14. Ivi p. 52.

15. Ivi, p. 48.

16. Cfr. ivi, p. 49.

17. Ivi, p. 50.

18. Cfr. ivi, p. 53.

19. Ivi, p. 56.

20. Cfr. ivi, pp. 56-58.

21. Cfr. ivi, pp. 63-68.

22. Cfr. ivi, pp. 68.

23. Ivi, p. 81.

24. Ivi, p. 93.

25. Ivi, p. 107.

26. Cfr. ivi,p. 116.

27. Occorre tenere presente che Thierry è principalmente uno storico e tale è spesso l’approccio con tematiche culturali o filosofiche, come quella della modernità: l’analisi è sempre improntata su una assidua frequentazione di quegli avvenimenti che paiono significativi per la definizione moderna di nazione e società.