La rivoluzione francese

da Storia Contemporanea (www.storiacontemporanea.eu)

 

Cos'è una rivoluzione?


La rivoluzione francese riveste numerosi spunti di interesse per la storia contempo. Intanto introduce il concetto di rivoluzione nella storia moderna. Una “rivoluzione” che è ben diversa da quella trasformazione istituzionale conosciuta in Gran Bretagna, e ben diversa anche dalle vicende americane. Ecco quindi il primo quesito:

COS'E' UNA RIVOLUZIONE?

Fino al XVII secolo il termine rivoluzione significava il moto circolare intorno ad un punto fisso (“la rivoluzione della terra intorno al sole”). Gli avvenimenti americani e francesi danno alla parola rivoluzione un significato di sconvolgimento dell'assetto politico e sociale allo scopo di crearne uno nuovo. Tra le metafore più fortunate c'è quella del “mito solare”: il sole sorge su una nuova era. La storia viene concepita come un movimento in avanti, un continuo succedersi di progressi in tutti i campi.

Bisogna essere chiari sul fatto che ci sono due momenti che caratterizzano i processi rivoluzionari:

state breaking (distruzione). Un'azione di massa dal basso distrugge lo stato

state making (costruzione). Lo stato viene ricostruito in tutti i suoi aspetti: leggi, governo, esercito, ordine pubblico

Se si distrugge la vecchia classe dirigente e al suo posto troviamo una nuova forma di stato allora possiamo parlare di rivoluzione.

N.B. Il golpe si differenzia dalla rivoluzione perché cambiano solo i dirigenti, mentre il sistema rimane lo stesso. Inoltre non ha l'appoggio di una parte consistente della popolazione.

Le cause

Verso il precipizio 1770-1789

Alla fine del Settecento la Francia poteva contare circa 28 milioni di abitanti, uno degli eserciti più forti del mondo, una burocrazia e un sistema amministrativo centralizzato tra i più avanzati d'Europa. Tra i suoi cittadini c'erano le menti più in vista del continente, le sue élite culturali (i philosophes ) facevano scuola negli altri paesi; la sua aristocrazia, e ancor di più la corte di Versailles, erano un modello inarrivabile per i sovrani e i principi di tutti gli stati. Il francese era, infine, la lingua ufficiale della diplomazia internazionale. L'assolutismo sembrava ancora un sistema valido, vista anche la rovinosa sconfitta inglese nella guerra contro i coloni americani.

Le prime trasformazioni industriali (o protoindustriali) iniziavano a cambiare il volto della manifattura anche nelle tante fabbriche sparse nella campagna francese.

Quando Luigi XVI salì al trono (1774) una fase di declino e ristagno prese il posto alla lenta crescita registrata negli anni precedenti.

La crisi finanziaria precipitò nel volgere di pochi anni. Gli oneri delle guerre d'oltreoceano avevano svuotato le casse statali; i tentativi di riforma naufragarono tutti contro il veto incrociato dei vari gruppi di potere. Da una parte nobiltà e clero bloccarono qualunque tentativo di riforma fiscale che includesse le alte rendite; dall'altra le misure antiprotezionistiche del commercio trovò strenua resistenza nel potere di Parlamenti: organi locali che rappresentavano una vera e propria “falla” nel presunto assolutismo dei sovrani di Francia. Nel giro di pochi anni il dicastero delle finanze vive un via vai continuo di ministri “tecnici” che provano ricette diverse per uscire dalla crisi: prima Tourgot, poi Necker, quindi Joly de Fleury, per arrivare al 1787 a Charles Colonne.

I contrasti con aristocrazia (e clero) e Parlamenti indusse il re, nel luglio 1788, a convocare gli Stati Generali come “extrema ratio” per uscire dalla crisi. Nel decreto di convocazione venivano sollecitati “tutte le persone istruite del regno … a inviare suggerimenti o memorie relative alla prossima convocazione degli stati generali”.

La crisi, non risolvibile con compromessi parziali, richiedeva una soluzione definitiva. Anche il popolo – per la prima volta – era chiamato a dire la sua.

La situazione inedita fu la visibilità del dibattito pubblico. La politica usciva dal chiuso delle stanze di nobili o alto-borghesi per scendere in piazza, nelle strade, nelle affollate assemblee pubbliche. Una certa alfabetizzazione e la diffusione della stampa favorì questo processo di mobilitazione di massa intorno alle opinioni politiche.

Tra marzo e aprile 1789 in tutte le comunità e in tutti i quartieri cittadini i capifamiglia si riunirono per eleggere i delegati di zona che, a loro volta, avrebbero scelto i deputati per l'assemblea degli stati generali. Insieme alla nomina dei delegati furono compilati anche i cahiers de doléances (quaderni delle lamentele), ovvero rivendicazioni e richieste. I circa 60000 cahiers ci dicono di una diffusa insofferenza sia per i vecchi privilegi sia per alcune nuove misure di tipo “capitalistico”e, naturalmente, per le evidenti ingiustizie che ancora dominavano la società francese. Accanto ai chaiers ci fu un'esplosione di pubblicazioni, opuscoli, pamphlets. Il più celebre è il lavoro dell'abate Emmanuel-Joseph Sieyès Che cos'è il Terzo Stato? “che cos'è il terzo stato? Tutto! Che cos'ha rappresentato finora nell'ordinamento pubblico? Niente! Che cosa chiede? Di diventare qualcosa".

Sul banco degli imputati il principio di privilegio detenuto, senza niente in cambio, da nobiltà e clero, rispettivamente l'1,5% e lo 0.5% dell'intera popolazione.

Quali privilegi?

* Non pagavano la taglia, cioè l'imposta sul reddito;

* Il clero riscuoteva la decima su tutti i prodotti agricoli;

* I signori dei villaggi riscuotevano censi in denaro, parte dei raccolti, pedaggi, tasse sulla compravendita di terre, dazi sul passaggio di merci;

* La legge era magnanima con nobiltà ed esponenti dell'alto clero.

Il 1789


Scoppia la rivoluzione: il 1789

L'Assemblea generale

Il 5 maggio si aprì a Versailles l'assemblea degli stati generali. La composizione numerica sanciva queste proporzioni:

Terzo stato 578 deputati

Nobiltà 270

Clero 291

Ma in realtà molti esponenti del clero erano parroci di provincia che aderivano al programma del terzo stato; alcuni nobili erano anch'essi simpatizzanti con le idee anti-assolutistiche.

Il primo punto all'ordine del giorno, ossia il meccanismo di voto, paralizzò i lavori. Il terzo stato voleva il voto individuale, clero e aristocrazia il voto per ordine. A metà giugno una folta pattuglia di deputati, in maggioranza aderenti al terzo stato, si proclamò Assemblea Nazionale in quanto eletti dal basso e investiti del potere dalla volontà generale. L'assolutismo era finito.

La nuova assemblea, che si riuniva nella sala della Pallacorda, si diede come primo obiettivo la stesura di una costituzione. Il re invitò gli altri rappresentanti degli ordini ad aggregarsi al terzo stato per riscrivere insieme le nuove regole dello stato.

1° errore di Luigi XVI – Contemporaneamente alle aperture verso i riformatori, il sovrano complottava strane manovre: licenziò Necker (ministro delle finanze) e assembrò truppe a Parigi e a Versailles. Questi movimenti diffusero inquietudine e spinsero il popolo, alle prese con una difficile congiuntura economica, ad una serie di rimostranze in città. Il 14 luglio una folla di artigiani e bottegai andarono davanti alla Bastiglia per chiedere armi. La guarnigione aprì il fuoco lasciando sul terreno un centinaio di manifestanti. Ma la fortezza fu espugnata e il governatore ucciso. La violenza era entrata nella politica.

In seguito all'episodio il re tornò sui suoi passi; alcuni leader cittadini istituirono il potere locale tramite un Comitato e una Milizia (affidata a La Fayette ), Il rosso e il blu – i colori di Parigi – si unirono al bianco per formare la coccarda simbolo di unità nazionale. Con quella coccarda il re si affacciò dall'hotel de Ville, il 17 luglio, assieme al sindaco della città per simboleggiare una nuova unità.

La campagna

Molto si è discusso sul ruolo della campagna nelle calde giornate rivoluzionarie. È vero che nell'estate '89 molte sollevazioni contadine spinsero l'assemblea nazionale ad una serie di provvedimenti legislativi anti-feudali (rendendo così plausibile la tesi della concordia tra città e campagna); ma è altrettanto vero che molte delle rimostranze della massa di contadini braccianti e piccoli proprietari si addensavano intorno ai recenti provvedimenti “capitalistici”. La privatizzazione degli spazi comuni aveva causato l'impoverimento di molti contadini costretti a diventare braccianti; così come la coltivazione per il mercato e il conseguente abbassamento dei prezzi aveva arricchito i grandi e medi proprietari ma rovinato i piccoli. L'indigenza dilagante degli anni '80 del XVIII è da attribuire NON SOLO al perdurare di abusi e ingiustizie di matrice “feudale” ma anche all'effetto dirompente che le nuove pratiche economiche (improntate all'efficienza produttivistica) hanno avuto sulle società di antico regime.
Alcune regole non scritte – fissate nella consuetudine e nella tradizione – fornivano in realtà un bilanciamento alle ingiustizie delle società pre-industriali, consentendo a tutti gli appartenenti alla comunità (di villaggio o di quartiere) di sopravvivere in un qualche modo. Molti di questi veri e propri “paracaduti sociali” vennero meno con l'avvicinarsi del XIX secolo, aprendo pertanto una durissima crisi sociale.
Anna Maria Rao (La rivoluzione francese, in Storia Moderna, Manuali Donzelli) scrive: “la paura dei briganti, del complotto aristocratico o di nemici non meglio identificati fu all'origine delle sollevazioni che si diffusero per larga parte del paese.”  Quelle che per secoli furono jacquerie senza seguito, portarono – stavolta – alla abolizione di “tutti i privilegi feudali”, alla liberazione dei lavoratori della terra da decime, censi e tasse sulla persona.

Erano i frenetici giorni del 4 agosto, e poi del 7 e dell'11.

Il 26 fu presentata la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino , “l'alfabeto politico del nuovo mondo” secondo il deputato Rabaut Saint-Etienne. Adesso non restava che promulgare la costituzione.

2° errore di Luigi XVI – il re non firmò i decreti di agosto contro i privilegi di ordine. Le proteste sfociarono in una marcia di 7000 parigini fino a Versailles (scortata dalla Guardia Nazionale di La Fayette ) per chiedere “il pane” e il trasferimento della corte in città. Ad ottobre corte reale e Assemblea nazionale erano a Parigi e non più nella isolata quiete della reggia.

La monarchia costituzionale

La monarchia costituzionale (1789-1791)

Nuove leggi – L'attività legislativa dell'assemblea proseguiva a pieno ritmo.

• Incameramento beni della chiesa;

• Tasse in proporzione alla ricchezza;

• Emissione di assegnati (buoni del tesoro);

• Libertà di stampa, di opinione e di riunione;

• Nuovo ordinamento amministrativo: 83 dipartimenti divisi in distretti, cantoni e comuni, tutti con consiglio eletto dai cittadini;

• Nuovo ordinamento giudiziario: fine venalità delle cariche e completa distinzione tra il potere giudiziario e quello esecutivo e legislativo. Giudici eletti e processi con giuria popolare. Distinzione tra processi civili e criminali.

• Chiesa di Francia basata sul principio della nomina per elezione. Parroci e vescovi dovevano essere retribuiti dallo stato come ogni altro funzionario pubblico.

A questo punto il corso degli eventi sembra aver raggiunto un appiglio sicuro. Il deputato Duport proclamò, il 17 maggio 1791, che la rivoluzione era finita, e che bisognava porre fine agli eccessi, consolidare il governo, limitare libertà e uguaglianza. Anche per Bernave il senso profondo della rivoluzione era già raggiunto e stava nella disfatta dell'aristocrazia e nella vittoria della classe media.

Perché non riesce la stabilizzazione?

• Pressioni esterne / 3° errore di Luigi XVI. Le corti dei principali stati europei considerarono la questione francese un affare internazionale e si mobilitarono per sostenere il re Luigi XVI. Il quale commise il terzo fatale errore: tentò una maldestra fuga nel giugno 1791 (fu riconosciuto e bloccato a Varennes), manifestando così il suo ambiguo ruolo di garante del nuovo stato. Pochi mesi dopo firmò la Costituzione solo perché costretto.

• Problemi economici. Le cose non vanno meglio per la gente comune. C'era inflazione, disoccupazione. Inoltre la legge Le Chapelier che proibiva le associazioni operaie aumentò lo scontento nelle classi popolari (rappresentate politicamente dai “sanculotti”, sempre più influenti).

• Divisione politica. La rivoluzione aveva innescato una passione politica molto forte: stampa, club, sezioni, petizioni e manifestazioni; feste, giornate insurrezionali, alberi della libertà…bandiere, inni. In questo clima molto intenso le posizioni politiche si radicalizzarono e si moltiplicarono. Si crearono – all'interno dell'assemblea – i “partiti” di destra (per fermare qui le riforme), di centro (cambiare ancora qualcosa) e di sinistra (cambiare la sostanza dei provvedimenti a cominciare dalla proclamazione della repubblica).

• Controrivoluzionari. Il fronte degli sconfitti iniziò a riorganizzarsi intorno ai molti esponenti del clero che rifiutarono il nuovo status assegnatogli dallo stato. Specialmente nelle regioni meno urbanizzate l'opposizione al nuovo stato fu molto forte. Divenne celebre nel 1793 la rivolta della Vandea. Ma non fu la prima, né l'unica.

Emersero figure molto carismatiche, capaci cioè di convogliare e guidare i sentimenti collettivi attraverso la retorica, la propaganda, l'abilità nel convincere gli altri. Una di queste, Maximilien Robespierre, guidava l'ala sinistra dell'assemblea, detta dei giacobini, in virtù del luogo di ritrovo dei fondatori del partito.

La repubblica giacobina (1792-1794)

Per uscire dallo stallo e per prevenire una possibile azione militare dei paesi confinanti (Austria, Prussia) l'assemblea si decise a giocare la carta della guerra.

Nell'aprile 1792 :

• GUERRA contro Austria e Prussia

• Giro di vite nella politica interna contro disfattisti e controrivoluzionari.

Ancora una volta l'assemblea si trovò ad un punto morto; incapace di decidere e di organizzare l'azione di governo. A prendere le redini del paese fu “di fatto” la COMUNE INSURREZIONALE , che aveva al suo interno rappresentanti degli stessi “partiti” dell'assemblea ma in proporzioni diverse. In pratica la guida passò in mano al gruppo giacobino che lo mantenne per quasi due anni, pur in forme e con interpreti diversi.

La guerra

Inizialmente l'esercito prussiano avanzava minaccioso verso Parigi. Il nuovo organo dirigente (la comune di Parigi) rispose al “panico da sconfitta” con una serie di leggi eccezionali che smantellarono il sistema di potere appena introdotto.

• Tribunali speciali

• Repressione ai controrivoluzionari (considerati contro la patria)

• Abolizione della monarchia (21 settembre 1792); processo e condanna a Luigi XVI.

• Dichiarata la repubblica francese. Costituzione nel giugno 1793.

• Convenzione. Al posto dell'assemblea nazionale, una nuova assemblea costituente.

• Grande reclutamento di soldati tra la popolazione. Propaganda nazionalista (adottata al Marsigliese, dal canto di un battaglione dell'esercito).

• Nuovo calendario

Risultati?

Vittoria militare a Valmy il 20 settembre 1792.

Moltiplicazione dei fronti di guerra: entrano anche Gran Bretagna, Olanda, Spagna, Savoia e altri principati tedeschi. Le cose si mettono male per la Francia.

In risposta la Comune opta per la leva obbligatoria, ingrossando le fila dell'esercito fino a circa 700.000 unità.

L'arruolamento coatto provocò una resistenza fortissima. Nelle campagne (dove l'influenza della chiesa era molto profonda) le famiglie erano determinate a non mandare i giovani a combattere per la rivoluzione: in alcune zone si scatenò una vera e propria guerra civile. Tra le numerose aree di guerriglia la Vandea (zona a nord e sud della Loira) è la più celebre.

MARZO 1793

Le rivolte indussero il potere (sempre più stretto nelle mani di pochi) ad una nuova serie di misure repressive e coercitive:

• tribunale rivoluzionario

• comitato di salute pubblica

• comitati di sorveglianza

N.B.

E' la guerra che crea il meccanismo perverso per cui la paura della sconfitta legittima l'adozione di una serie di misure eccezionali anti-democratiche. Inoltre la necessità di autoritarismo accentra il potere nelle mani di pochi. In breve troviamo un potere autoritario e pressoché illimitato (esercitato da uno o da pochissimi) che, in nome della sicurezza e della patria, muove contro i nemici esterni e contro gli oppositori interni con tutti i mezzi. Il passo verso un regime di terrore è breve, perché di fronte alle sconfitte militari la principale arma a disposizione dei governi è la mobilitazione generale , l'esasperazione dei contrasti, la realizzazione di un mondo dove si è a favore o contro; e chi è contro deve essere eliminato!

Nel corso del 1793 le vicende belliche andavano male per i francesi; le rivolte interne non si placavano. Erano le condizioni ideali per accelerare la spirale funesta della guerra totale: nell'ottobre 1793 fu emanato l'obbligo di arruolamento per tutti i giovani tra i 18 e i 25 anni; fu requisito il grano nelle campagne; fu portato al massimo grado il regime poliziesco di repressione controrivoluzionaria. I tribunali speciali lavoravano a pieno ritmo condannando alla ghigliottina migliaia di persone (con processi sommari, spesso senza prove) per ragioni politiche. I leader delle varie fazioni si eliminarono tra sé, infatti chi raggiungeva il potere faceva condannare a morte i suoi avversari politici. Finirono così ghigliottinati tutti i principali protagonisti del Terrore: Danton, Herbert, Desmoulins ecc.

Nel luglio 1794 la svolta: l'esercito dopo alcune vittorie importanti (tra cui quella di Napoleone Bonaparte a Tolone) ottiene una vittoria fondamentale a Fleurus che sancisce in pratica il successo militare della repubblica francese. Nello stesso periodo le rivolte interne si placarono fino a rimanere solo casi sporadici. A questo punto non c'erano più ragioni di misure di emergenza. Anche Robespierre, “l'incorruttibile” il grande timoniere della repubblica giacobina, fu scalzato dal resto del comitato e condannato a morte; per il calendario rivoluzionario era il 9 termidoro, per il resto del mondo il 27 luglio 1794.

La repubblica conservatrice

La repubblica conservatrice (1794-1799)

Il potere tornò nelle mani dei moderati, che agirono attraverso il lavoro nella Convenzione (l'assemblea parlamentare).

La rivoluzione è finita?

Con l'uscita di scena di Maximilien Robespierre e la revoca delle misure di emergenza, l'epoca della rivoluzione sembrava destinata a concludersi. Ancora una volta ci fu chi dichiarò terminata la rivoluzione.

La Convenzione riprese la guida del paese e stilò una nuova costituzione (1795) , molto meno radicale ma comunque piuttosto avanzata, che confermava la natura repubblicana dello stato; le libertà civili (opinione, stampa, riunione); introduceva l'istruzione obbligatoria; confermava l'autonomia della magistratura e il sistema dei Dipartimenti e dei Municipi guidati da Consigli rappresentativi.

Perché non va tutto a posto?

• C'è la vendetta dei monarchici. Mentre la Convenzione e il nuovo organo esecutivo, il Direttorio , tentavano la pacificazione chiudendo i circoli giacobini, si scatenò il “terrore bianco”: a Parigi bande di giovani benestanti imperversavano alla caccia di giacobini e sanculotti da randellare; nel sud del paese la ritorsione era anche più violenta con arresti e omicidi politici.

• Crisi economica. Le nuove manifestazioni di protesta di sanculotti e popolani sono represse dalle forze dell'ordine. (I giacobini accolsero spesso le richieste degli strati popolari.)

• Le elezioni per la nuova assemblea furono vinte dai monarchici. In pratica il governo rimase nelle mani dei repubblicani grazie ad un escamotage (una quota di “diritto” per i rivoluzionari) ma il Direttorio (composto da 5 membri scelti dall'assemblea) si trovò stretto tra i monarchici a destra e i giacobini – sempre molto popolari nelle città – a sinistra.

La fine della Rivoluzione

Il Direttorio (in pratica il governo) si trovava sotto pressione da destra (DX) e da sinistra (SX) :

SX (Giacobini e non solo...)

Nel 1796 Filippo Buonarroti e Gracco Babuf organizzano al “Congiura degli Uguali” per rilanciare l'ideale rivoluzionario. Novità importante tra le rivendicazioni l'abolizione della proprietà privata. Il tentativo fallì.

DX (Monarchici)

Nel 1797 vinsero le elezioni. Ma il Direttorio, le considerò nulle e fece arrestare i leader politici.

L'esportazione della rivoluzione

In difficoltà crescenti (il Direttorio) ancora una volta ricorse alla guerra per trovare una via d'uscita dalla crisi. L'idea era quella di creare un “cuscinetto” tra la Francia e i paese antirivoluzionari per eccellenza: Austria, Prussia, Savoia. Sebbene nelle intenzioni la campagna d'Italia doveva essere un semplice diversivo, le vittorie del giovane generale Napoleone Bonaparte trasformarono nella sostanza il senso dell'iniziativa militare e, in breve tempo, anche l'esito della rivoluzione.

Le conquiste territoriali furono sancite dalla nascita di repubbliche sorelle: il 15 maggio 1796 Napoleone entrava trionfalmente a Milano (grande ammirazione degli illuministi lombardi per gli uomini della rivoluzione) e iniziò la sua gestione autarchica della guerra.

Anziché utilizzare i successi contro l'Austria al tavolo dei negoziati, Napoleone varò autonomamente una innovativa politica estera che “creava” stati “satelliti” con leggi e istituzioni mutuate dalla repubblica francese.

La nascita delle repubbliche filo-francesi si seguì a ritmo incalzante: la prima fu la repubblica Cispadana [1] , poi fu la volta della R. Cisalpina (1797) che inglobò i territori ex-pontifici con il Lombardo-Veneto. Successivamente nacquero la repubblica romana e la repubblica napoletana.

La discesa di Napoleone nella penisola alimentò entusiasmi patriottici – celebre a tal proposito l'opera di Ugo Foscolo – e diede avvio al movimento che andrà a confluire nel Risorgimento.

Ma cosa succede a Parigi?

Gli anni dei trionfi militari di Napoleone sono anni di difficoltà per il Direttorio sempre più in bilico tra la sinistra popolare e la destra reazionaria e monarchica. Approfittando dell'enorme prestigio del giovane generale, alcuni vecchi saggi della classe dirigente francese cercano di screditare il Direttorio e proporre una soluzione transitoria che si appoggiasse esplicitamente sulla conduzione di Napoleone. Quando il generale rientrò dalla sfortunata campagna in Egitto (celebre la sconfitta navale contro l'ammiraglio Nelson della flotta britannica) erano mature le condizioni per un cambiamento politico radicale.

Con il colpo di stato del novembre 1799 e la nascita del Triumvirato composto da Sieyès, Ducos e Napoleone Bonaparte la rivoluzione – come proclamò lo stesso Napoleone – era davvero finita.

Storiografia

La rivoluzione francese, una rivoluzione borghese?

E' Karl Marx che espone la teoria dello sviluppo lineare della storia sulla base della lotta di classe, che muta in conseguenza ai cambiamenti nella struttura economica

Società feudale (distrutta dalla borghesia)
società capitalistica (distrutta dal proletariato)
comunismo (fine della storia)

La rivoluzione secondo Marx è una trasformazione che abbraccia tutti i campi della vita pubblica: politica, sociale ed economica. Così la rivoluzione francese segnerebbe il primo passo di questo processo storico, diventando il modello classico di rivoluzione borghese.

Prima della rivoluzione francese:

stato aristocratico
aristocrazia classe dominante
modo di produzione feudale
struttura del privilegio
Dopo la rivoluzione francese:

stato borghese
borghesia alla guida dello stato
modo di produzione capitalistico
uguaglianza giuridica

Storiografia, marxisti e revisionisti

L'interpretazione di Marx e la propaganda dei rivoluzionari stessi ha creato una vera e propria ortodossia nell'interpretazione storica della rivoluzione francese. Una ortodossia che è giunta fino agli anni Cinquanta del secolo scorso.

La storiografia marxista ha quindi trattato la rivoluzione francese come il passaggio (violento) dal sistema feudale a quello capitalistico-borghese.

Jules Michelet, Jean Jaures, Albert Mathiez, Georges Lefebvre, Albert Soboul sostengono che la borghesia nel 1789 fosse giunta al culmine della “lotta di classe” con l'aristocrazia: una casta chiusa, arroccata nella conservazione del potere e nel mantenimento del sistema feudale. Il risultato della rivoluzione è uno stato più avanzato sotto il profilo economico, sociale e politico.

Nel 1954 uno studioso inglese, Alfred Cobban, rilegge la storia degli anni rivoluzionari negando la teoria marxista di “big ban” capitalistico. Cobban tiene un discorso alla University College di Londra nel 1954 dal titolo “il mito della rivoluzione francese” a cui farà seguire nel 1964 un testo monografico che approfondisce le varie questioni. Si tratta del libro in edizione italiana “La rivoluzione francese”, Bonacci Editore, 1994. Attraverso uno studio molto attento del materiale dell'epoca confuta tutti i punti sostenuti dalla storiografica “classica”:

1 – Non c'era il feudalesimo.

Nel 1789 solo un terzo delle terre apparteneva alla classe aristocratica e i tanto sbandierati privilegi non erano altro che rimasugli insignificanti per lo sviluppo economico.

2 – Non è la borghesia a fare la rivoluzione.

La miccia fu accesa dai nobili che contrastarono le riforme finanziarie proposte dal governo. Strano che LA RIVOLUZIONE BORGHESE sia innescata da un conflitto tra re e nobili!

Nell'assemblea nazionale non c'erano rappresentanti della fantomatica borghesia capitalistica (industriali, ricchi artigiani, imprenditori) bensì esponenti della categoria degli “Officiers” ossia i funzionari pubblici che si erano comprati le cariche dalla corona. Questo corpo, istruito ma non molto importante, voleva contare di più e avere maggiori compensi economici. Ma non sono certo loro a promuovere lo sviluppo capitalistico del paese.

3 – La rivoluzione danneggia l'economia.

I dati economici confermano l'effetto negativo dei fatti del 1789-1799 sullo sviluppo economico. La rivoluzione ha funzionato da freno e non da volano per il passaggio da una società protoindustriale a una società industriale moderna.

Le pubblicazioni di Cobban fanno scuola in Inghilterra. Dopo di lui altri storici rilanciano la teoria anti-marxista. Taylor sostiene che i rivoluzionari agiscono con l'intento di imitare lo stile di vita della nobiltà. Doyle dimostra come il processo rivoluzionario non si sia sviluppato secondo lo schema della lotta di classe: appartenenti agli ordini privilegiati erano tutt'altro che chiusi alle rimostranze dei borghesi. Infine R Forster sostenne che l'aristocrazia non viene assolutamente distrutta dalla rivoluzione: nel 1815 infatti le famiglie nobili sono praticamente le stesse del 1789.

La risposta dei marxisti

Le posizioni degli anglossassoni sono talmente convincenti che molti storici marxisti rivedono la propria lettura dei fatti alla luce delle nuove interpretazioni. Gli danno ragione sulla minimalia dei privilegi (ma sottolineano l'importanza simbolica di questi); accolgono l'analisi sugli officiers (ma sostengono l'importanza “in prospettiva” di questa classe sociale); assumono come giusta la posizione di una campagna francese spesso contraria alle istanze rivoluzionarie, quindi alla borghesia e al capitalismo. In generale però ribadiscono l'enorme importanza storica di “esempio” per tutto il mondo. In particolare François Furet, il maggiore storico della rivoluzione francese, riprese in mano tutta la questione arrivando, in un certo senso, ad un punto di sintesi.

Secondo Furet la rivoluzione francese va considerata attraverso tre processi distinti:

• LIVELLO ECONOMICO

Inizia la trasformazione capitalistica, ma non c'è un cambiamento positivo, non c'è crescita economica. Anzi, la rivoluzione è negativa per l'economia francese. Ha ragione Cobban.

• LIVELLO STORICO SOCIALE

Anche qui gli anglosassoni hanno ragione. Nel 1815 l'ordine sociale è pressoché identico. I borghesi sono dei conservatori simili agli aristocratici; vogliono mantenere i privilegi ottenuti e gli industriali innovatori non ci sono. Il risultato finale è un compromesso tra grande borghesia e aristocrazia.

• LIVELLO POLITICO

E' il campo delle grandi trasformazioni. Ricordiamoci di Sckocpol: state braking, state making.

Trionfano le idee illuministiche della libertà dell'individuo e della libertà del commercio. Vale la legge “uguale per tutti” e c'è una carta dei diritti del cittadino al di sopra dell'autorità del capo di stato. E' finito il potere “divino” e il “modello” feudale. Al suo posto la NAZIONE raccoglie la sovranità popolare e la realizza tramite un governo eletto liberamente.

Quindi c'è “rivoluzione borghese” o non c'è?

Nel 1989 la questione non è più dibattuta. La visione anglosassone ha vinto, anche se è solo una visione parziale.

Tra il 1770 e il 1870 c'è stato un doppio processo di trasformazione: economico e istituzionale.

ECONOMICO

Nel 1770 è un sistema che inizia il processo di modernizzazione. La società non era più organizzata secondo i parametri tipici dell'età feudale, ma restava qualche elemento fortemente simbolico (privilegi, status speciale) utile per ribadire la gerarchia di ceto.

Nel 1870 la Francia è un paese moderno, organizzato secondo il sistema capitalistico.

STATO

Nel 1770 c'è ancora una monarchia assoluta con un sistema di signorie locali più vicino al sistema feudale che al moderno stato. L'autorità centrale non ha un reale controllo del territorio.

Nel 1870 la Francia è una repubblica presidenziale con parlamento e libere elezioni (a suffragio ridotto). La legge tutela tutti i cittadini in modo ugualitario, esiste una carta dei diritti di cittadinanza, il fisco preleva dall'intero corpo produttivo.

Lo storico Thompson ha parlato di “grande arco della trasformazione”. Un processo che interessa tutti i paesi con tempi e modi differenti. E che interessa i vari campi in tempi e modi differenti. Come si vede dal grafico il progresso della politica non coincide con lo sviluppo dell'economia.

L'economia soffre le turbolenze della rivoluzione; sono le innovazioni del primo ottocento (treno, telaio meccanico) a far compiere il grande balzo. Viceversa la politica conosce un clamoroso avanzamento negli anni rivoluzionari, per poi tornare indietro (ma non al 1789) dopo il 1815 nel periodo della “restaurazione”.

La rivoluzione francese non può essere considerata rivoluzione borghese; è l'intero processo di trasformazione a rivoluzionare stato, economia e società.

È il processo, non il momento!

COSA CAMBIA IN CONCRETO LA RIVOLUZIONE?

Vediamo qual è il contributo della rivoluzione al processo di trasformazione.

Sotto il profilo economico hanno certamente segnato un passo in avanti le leggi di liberalizzazione degli scambi commerciali: furono abolite le dogane interne, furono aboliti i balzelli territoriali, come le decime e altri residui delle epoche precedenti. Molto controversa fu la legge LE CHAPELIER che abolì il sistema delle corporazioni. In pratica colpiva i lavoratori dipendenti togliendogli le garanzie e le protezioni tradizionali. Il vantaggio era per gli imprenditori che avevano meno spese e minori obblighi.

Nel complesso però la guerra civile che in pratica attanagliò il paese per oltre tre anni danneggiò il sistema economico, colpendo il commercio coloniale e l'attività portuale di città come Marsiglia e Bordeaux. La lenta penetrazione del sistema di fabbrica nelle campagne fu interrotto a causa della rivoluzione.

Dal punto di vista istituzionale la rivoluzione porta a grandi novità:

Conclusione

Si può ritenere la rivoluzione francese come un momento nel processo di “rivoluzione borghese” che ha contribuito alla sua realizzazione in modo esiguo, anzi, negativo per l'aspetto economico e in modo fondamentale, nonché altamente positivo a livello politico, giuridico e istituzionale.


Sintesi 1815-1870

La Restaurazione

Al Congresso di Vienna del 1815 gli stati vincitori contro Napoleone decisero il nuovo assetto geografico e politico dell'Europa. Ecco come ogni stato si organizzò per rispondere all'ondata rivoluzionaria che aveva sconvolto il continente tra il 1790 e il 1814:
RUSSIA_ Alessandro I sembrava concedere qualche libertà; poi condizionato da Metternich (I ministro austriaco e “regista” del congresso) ritirò tutte promesse. Nascono le società segrete.
PRUSSIA – Comanda il re, coadiuvato dalla grande nobiltà dei proprietari terrieri (Junker)
AUSTRIA – Metternich impone un regime di burocrazia e polizia.
ITALIA – Aumenta il potere della chiesa; forte la presenza di truppe asburgiche per prevenire le attività dei liberali. La Lombardia vede i primi segni di sviluppo industriale. Vittorio Emanuele I in Piemonte è molto reazionario. In Toscana il regno di Leopoldo II si distingue per le aperture sia in campo economico che civile: nasce “L'Antologia” di Viesseux. Vaticano e Regno di Sicilia dominate da politiche reazionarie.
SPAGNA – Rinnegata la costituzione del 1812 e avviata una dura politica di reazione.
GRAN BRETAGNA – Potere all'aristocrazia terriera.
Camera dei Lords/Camera dei Comuni/RE. Nuovo sistema di investimento agricolo che favorisce la concentrazione fondiaria. Nel 1820 prevale la linea conservatrice e la politica protezionistica.

Le società segrete

Nascono le società segrete perché in tempi di politiche reazionarie non c'è altro modo per opporsi al regime. Non coinvolgono operai e contadini, sono un fenomeno tipicamente borghese. La più importante era la Carboneria con finalità costituzionali. In Italia le società segrete aspiravano all'unità nazionale.
I moti del 1820
SPAGNA Il 1° gennaio del 1829 a Cadice Rafael Riego, colonnello di un reggimento dell'esercito, si ammutina e chiede il ripristino della costituzione del 1812. Il re Ferdinando VII, per evitare guai, convocò la Cortes (una specie di assemblea costituente).
REGNO DELLE DUE SICILIE si ripete quanto visto in Spagna: un parte dell'esercito si ribella e chiede la vecchia costituzione: in un primo momento viene concessa.
In entrambi i paesi l'intervento delle truppe straniere (Francia in Spagna e Austria in Sicilia) rimette le cose a posto. La reazione che segue è durissima.
GRECIA La società segrete Eteria (“libertà”) promuove l'insurrezione nelle isole del sud. In questo caso la rivolta trova l'appoggio della popolazione e la solidarietà delle potenze europee; nel 1822 viene annunciata l'indipendenza della Grecia dall'impero Ottomano. Ma la Turchia (appoggiata dall'Egitto) inizia una spietata repressione che suscita grande sdegno nell'opinione pubblica continentale.In nome della solidarietà tra cristiani ortodossi la Russia aiutò i resistenti, seguita da Francia e Gran Bretagna. Nel 1829 la Grecia fu riconosciuta indipendente.
Sul tavolo rimase una disputa tra Turchia ed Egitto circa il risarcimento per l'aiuto concesso, che sarà motivo per una serie di conflitti diplomatici e militari (vedi QUESTIONE D'ORIENTE).
RUSSIA si diffonde il movimento dei decabristi. Intorno al 1825 giovani borghesi pensavano di europeizzare la Russia ma furono schiacciati dalla repressione.
 
L'indipendenza dell'America Latina

Tra il 1816 e il 1824 l'intero sub-continente latinoamericano spezzò le secolari catene che lo legavano ai conquistadores iberici. La sollevazione riuscì perché:
1. Spagna e Portogallo erano ormai debolissime
2. I creoli erano simili per forza economica e volontà politica ai borghesi francesi della rivoluzione
3. I ribelli poterono contare sull'aiuto della Gran Bretagna e della sua economia.
 
La gerarchia sociale delle colonie era:
funzionari coloniali – coloni – meticci – indios – negri
Dopo alcuni falliti tentativi José de San Martin, alla guida delle truppe di ribelli indipendentisti, ottiene l'indipendenza nel 1816 dell'Argentina. Assieme a Simon Bolivar inizia poi una esaltante risalita del continente liberando a uno a uno tutti i territori in possesso della corona spagnola. L'ultimo è il Perù nel 1824. In Messico l'indipendenza è dichiarata nel 1821 per iniziativa di Agustin de Iturbide; mentre in Brasile l'indipendenza dal Portogallo è avvenuta senza alcuna rivolta a causa di un vuoto di potere. La volontà di fare un unico grande paese naufraga di fronte a piccoli interessi locali che risultarono insormontabili e alle pressioni provenienti dall'esterno.
Nel 1823 il presidente degli Stati Uniti proclama la “dottrina Monroe” in cui si sancisce il divieto per gli stati europei di occupare territori nel territorio americano.

Gli Stati Uniti
All'inizio del 1800 potevano contare su una popolazione di 4-5 milioni, di cui circa 300 mila erano i nativi americani (chiamati pellirossa per l'uso di dipingersi la pelle oppure indiani, accogliendo il riconosciuto errore di Colombo che pensava di essere sbarcato in India anziché nei Caraibi).
Lo stato era strutturato come una Federazione di 13 piccoli stati tutti affacciati sull'Oceano Atlantico. La vita politica era organizzata intorno a due partiti: il partito repubblicano che difendeva gli interessi degli agricoltori e il partito federalista che sosteneva le ragioni della borghesia industriale. Ottenuta l'indipendenza gli Usa proseguirono in una logica di consolidamento ed espansione: la guerra contro GB del 1812-15 per alcuni territori del Canada fu persa. Nel frattempo però l'espansione sia a sud che ad ovest procedette spedita (l'epopea del Far West).

Le rivolte del 1830-‘31

FRANCIA nel 1830 il re Carlo X fa un colpo di stato restringendo le libertà civili. L'opposizione parlamentare fece fallire il tentativo e creò il terreno per rivolte in città: furono le 3 giornate di Parigi concluse con la fuga del re la proclamazione della monarchia parlamentare guidata da Filippo D'Orleans. Nello stesso anno fu dato avvio alla politica colonialista con la presa di Algeri.
BELGIO la dinamica borghesia belga promosse un'insurrezione il 25 agosto 1830 che portò l'ano successivo al riconoscimento della secessione dai Paesi Bassi.
POLONIA in ottobre per iniziativa di alcuni reparti militari fu tentata la secessione dall'impero russo. La reazione dello zar Nicola I fu spietata.
ITALIA I tentativi dei mazziniani e dei tanti romantici liberali fallirono praticamente tutti.
GRAN BRETAGNA a differenza degli altri paesi il governo portò avanti una politica di integrazione sociale legalizzando le associazioni (1824) e allargando il corpo elettorale (1834).

Verso il '48

FRANCIA con Filippo D'Orleans la Francia poteva vantare un regime liberale moderato con un censo di circa 200000 cittadini. Il movimento socialista muoveva i primi passi, intrecciandosi con spinte repubblicane mai sopite. Intorno al 1835 l'attentato al re la condanna antiliberale della chiesa. I politici principali del periodo furono Thiers e Guizot, in luce nei moti del '30 ma poi fieri oppositori di riforme sociali importanti.
GRAN BRETAGNA i partiti principali sono il Conservatore e il Liberale. In questa fase inizia il periodo d'oro della storia britannica che coincise con la permanenza al trono della regina Vittoria dal 1837 al 1901. Infatti questa è detta anche “età vittoriana”. Nel 1838 esplode il movimento cartista con rivendicazioni operaie in parte represse in parte accolte.
Nel 1846 avviene il fondamentale passaggio politico dell'abolizione del dazio sul grano: sostenuto dai liberali fu approvato dal parlamento quando a capo del governo c'era il conservatore Peel. La decisione favorì le esportazioni di manufatti e prodotti industriali in genere a scapito della rendita per proprietà terriera e produzioni agricole.
SVIZZERA nel 1845 uno scontro tra liberali e conservatori consente ai primi di far approvare una costituzione in linea con quanto auspicato dalla diplomazia inglese.
ITALIA
Caratterizzata da una frammentazione molto accentuata, si può notare una generale debolezza delle categorie sociali “utili” per le rivoluzioni: borghesia e proletariato. 1831 Mazzini fonda la Giovine Italia . Lui voleva la Repubblica e l'unità. Pensava di riuscire attraverso le insurrezioni di piccoli contingenti e l'efficacia della propaganda popolare. Critica il comunismo (agli albori) perché contrario a famiglia, nazione e proprietà. Non legando la sua iniziativa alla questione agraria fallì sempre. I numerosi e spesso tragici blitz di giovani mazziniani finirono con lo screditare Mazzini stesso e l'associazione. I più celebri patrioti trucidati nell'indifferenza o nell'ostilità dei contadini furono: i fratelli Bandiera, Jacopo Ruffini, Raffaele Pepe.
C'era però anche una nutrita schiera di patrioti moderati, che guardavano con crescente simpatia al Piemonte della dinastia Savoia. Proprio in questi anni si ebbero le prime avvisaglie di un timido riformismo.

QUESTIONE D'ORIENTE

•  crisi 1832-33
Per l'aiuto nella repressione dell'insurrezione greca il Sultano aveva promesso la Siria al Pascià d'Egitto. Non mantiene la promessa e scoppia il contenzioso. La Russia appoggiò la Turchia in cambio dell'apertura dello stretto dei Dardanelli (apertura verso il Mar Mediterraneo). Anche la Gran Bretagna si mette dalla parte dei turchi mentre la Francia caldeggiò la rivendicazione egiziana. Quest'ultima riuscì a farsi riconoscere il controllo della Siria.
•  crisi 1839-41
La Turchia promosse un'azione militare contro l'Egitto per riprendere la Siria. Allarmate per un possibile nuovo espansionismo francese GB, Russia, Prussia e Austria sfruttarono al situazione per intervenire sulla “questione d'oriente”. Il ministro britannico Palmerston ottenne un successo diplomatico facendo chiudere gli stretti; una opzione che fu accettata perché impediva a chiunque di trarre vantaggio.

COLONIALISMO


Dalla metà dell'Ottocento i principali paesi europei furono impegnati in una corsa alla conquista coloniale senza precedenti. Grazie alla supremazia tecnologica e militare e ad una sostanziale riuscita della politica di equilibrio stabilita a Vienna, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Germania ecc. poterono guardare al resto del mondo come a un terreno di conquista.
GRAN BRETAGNA aveva bisogno di colonie per “piazzare” l'enorme produzione industriale e per approvvigionarsi di materie prime. La colonia di riferimento dell'impero di sua maestà fu, dal 1876, l'India. Come fecero 70000 militare a sottomettere 300 milioni di indiani?
Nel 1815 la Compagnia delle Indie diventa un organismo del governo inglese. Nel 1858 la penetrazione inglese fa un ulteriore salto di qualità, con la forte presenza di truppe militari, lo scioglimento della Compagnia e alcune riforme strategiche volte a minare l'assetto socio-politico del subcontinente (no schiavi, lingua inglese nelle scuole ecc.).
(….)
Anche con la Cina gli inglesi ebbero interessi conflittuali; lo scontro riguardava il controllo del commercio di oppio ed ebbe come conseguenza la conquista di alcune “enclave”, tra cui Hong Kong (1840). Sempre nel 1840 il parlamento inglese concesse l'autonomia al Canada; mentre si completava la colonizzazione di Australia e Nuova Zelanda. Il Sud Africa entrò nell'orbita britannica a cavallo del secolo XX, al termine di una terribile guerra contro i contadini olandesi da molti anni insediati in territori improvvisamente scoperti ricchi di oro e diamanti.
FRANCIA La conquista dell'Algeria del 1830 fu un preambolo della grande conquista che i francesi fecero in Africa, ma ne costituì anche una esperienza particolare perché realizzò una vera e propria colonizzazione; trasferendo cioè una porzione consistente di popolazione francese sul territorio annesso.
OLANDA consolidò in forma di colonia il controllo commerciale delle isole del sud est asiatico. Ancora in uso il sistema schiavistico.
SPAGNA E PORTOGALLO persero progressivamente tutte le colonie dell'America Latina.

Il 1848
 
Date e luoghi delle principali sollevazioni:
12 gennaio Palermo
22 febbraio Parigi
13 marzo Vienna
14 marzo Berlino
17 marzo Milano
22 marzo Venezia
12 giugno Praga
 
Perché tutto nel 1848? Ci fu una convergenza tra questione nazionale, riforme liberali e questione sociale (processo di lunga durata) e l'incidenza della crisi economica del 1846-47.
FRANCIA La Francia era più avanzata economicamente e socialmente degli altri paesi continentali, non aveva problemi di nazionalità e aveva integrato in parte la borghesia nella monarchia di Filippo d'Orleans. La questione sociale era pertanto prevalente. Quando in seguito a una crisi governativa fu vietato un banchetto (era un tipico modo di svolgere attività politica) a Parigi si alzarono le barricate. In soli due giorni il potere monarchico fu abbattuto e proclamata nuovamente la repubblica:
“Era un fatto straordinario e terribile di vedere nelle sole mani di coloro che non possedevano nulla tutta questa città immensa piena di ricchezza” Alexis de Toqueville
 
Il governo repubblicano adottò una politica radicale andando incontro ad un fallimento totale. Le elezioni diedero la maggioranza ai moderati. Rivolte durissime tra governo borghese e proletariato; alla fine la repressione lasciò una grande paura che facilitò l'elezione a presidente di Luigi Napoleone come esponente del “partito dell'ordine".
Fu la vittoria delle campagne cattoliche e conservatrici. Uno dei primi atti fu l'aiuto al papa Pio IX per abbattere la repubblica di Roma.
In pochi mesi Luigi Napoleone consolidò al punto il suo potere da rilanciare una politica imperialista.
AUSTRIA Furono i liberali ad innescare la miccia. Metternich rifiutò le loro richieste di riforma e nelle vie di Vienna ci furono duri scontri. In seguito il re licenziò Metternich e concesse una costituzione e qualche libertà civile. In tutte le regioni dell'impero prendono forza i movimenti indipendentisti; per non perdere Ungheria, Italia e Boemia l'Austria fa marcia indietro e sceglie la linea della repressione.
ITALIA
Gli stati italiani rappresentano il caso più complicato. La questione nazionale è quella prevalente, si intreccia con un riformismo di stampo liberale e con aspirazioni espansionistiche della casa Savoia. La politica di Pio IX aveva entusiasmato i circoli conservatori che avevano avanzato una ipotesi neoguelfa, ovvero con il Papa a capo di una lega di stati italiani (“il primato degli italiani” di Gioberti). In pratica c'erano tre diversi schieramenti anti-austriaci
liberali/moderati
sovrani stati regionali
democratici
La guerra all'Austria passa attraverso fasi diverse.
FASE A – I liberali sfruttano la crisi interna dell'Austria e danno vita a rivolte a Milano (le cinque giornate a partire dal 18 marzo e Venezia. Intanto in tutti gli stati i sovrani hanno concesso costituzioni e libertà civili. Un successo dei liberali.
FASE B – Carlo Alberto dichiara guerra all'Austria dando vita alla I guerra di indipendenza . Commette più errori:
• interviene tardi, quando i cittadini del lombardo-veneto si erano già liberati da soli, dando l'impressione di voler trarre vantaggio da una guerra né combattuta né vinta.
• Sbaglia tattica militare lasciando a Radeski il tempo per riorganizzarsi all'interno del quadrilatero (Verona-Peschiera-Legnago-Mantova)
• Per timore di richieste di stampo democratico rifiutò l'aiuto dei volontari patrioti
• Fu ambiguo anche con gli altri re italiani. Lavorava per l'annessione al Piemonte.
 
All'inizio l'esercito piemontese ottiene qualche vittoria MA nell'estate l'Austria inizia la controffensiva, in Ungheria, in Boemia e in Italia. Radeski contrattacca costringendo Carlo Alberto a chiedere l'armistizio.
FASE C – I democratici – idealisti e romantici – non si arresero e attuarono un'azione molto forte di resistenza a Milano e Venezia, e di indipendenza a Roma e in Toscana. Erano radicali MA non avevano alcuna sensibilità verso la questione sociale, erano più l'ala sinistra dei moderati che una sinistra moderna. Il loro riferirsi al popolo era solo una cosa ideale, romantica; in realtà non erano minimamente interessati alla questione agraria e non capivano che per avere l'appoggio popolare c'era bisogno di includere nelle rivendicazioni anche la redistribuzione della terra in un paese composto al 90% da contadini.
La svolta reazionaria di Austria e Francia influì pesantemente sull'esito delle rivolte italiane.
Come si risolvono le rivoluzioni?
I rivoluzionari francesi subiscono una repressione durissima, contando 1500 morti negli scontri, 3000 fucilati e più di 4000 deportati. Il tentativo di governo radicale era miseramente fallito e il potere era tornato, nella nuova forma di Repubblica presidenziale, nuovamente nelle mani dei conservatori grazie alla figura dell'uomo forte Luigi Napoleone.
In Austria il potere si consolida nel nome della conservazione verso l'interno e della repressione nella gestione delle province di Ungheria, Italia e Boemia.
In Italia resta tutto come prima e, anzi, la tutela austriaca si fa più opprimente. Unica eccezione il Piemonte che, con il nuovo sovrano Vittorio Emanuele II , mantenne alcune libertà formali.
 
Anni '50 – ‘70
GRAN BRETAGNA sono i venti anni di predominio del partito liberale con i “grandi” primi ministri Palmerston e Gladstone: lavorarono per favorire lo sviluppo economico, l'espansione commerciale e la modernizzazione della società.
FRANCIA A seguito del colpo di mano del 1849 il presidente Luigi Napoleone accentrò i poteri e, attraverso plebisciti e nuove elezioni, cambiò costituzione e governo. Nel 1852 fu restaurato l'impero. Consenso diffuso nella popolazione. Non fu un monarca conservatore; con l'appoggio ai movimenti liberali (in Italia) fu descritto anche come “impero liberale”. In effetti in questi anni l'economia e la finanza francese ebbero una forte crescita.

Guerra di Crimea

Perché? La Russia voleva lo sbocco al mare. Fu usato come pretesto al contropartita che la Turchia doveva ai russi per l'aiuto nella crisi degli stretti. La diplomazia si dichiarò sconfitta nel 1853 e l'anno successivo scoppiò lo guerra di Crimea . Gran Bretagna e Francia aiutarono l'impero ottomano. Nel 1855 anche il Piemonte mandò un suo contingente dalla parte dei turchi. La guerra ebbe termine nel 1856 con la sconfitta della Russia: il Mar Nero rimase neutrale; la Romania e la Serbia (territorio dell'impero ottomano) furono dichiarate autonome; la Turchia mantenne l'integrità territoriale. Entrato nell'epica militare l'assedio di Sebastopoli roccaforte russa sul Mar Nero, durato un anno e costato la vita a migliaia di soldati di una parte e dell'altra.
RUSSIA
In seguito alla cocente sconfitta Alessandro II (lo zar succeduto a Nicola I) iniziò un processo di riforme, nell'intento di colmare il divario con le altre potenze europee. La riforma più importante riguarda la fine della servitù della gleba sancita nel 1861 . L'industrializzazione fu finanziata con capitale straniero e promossa interamente dallo stato. Non esisteva una borghesia capitalistica; piuttosto una élite intellettuale (“intellighenzia”). Nel 1863 la sollevazione in Polonia, illusa di potere ottenere l'indipendenza, fu schiacciata nel sangue. Dagli anni '60 si diffusero in Russia teorie rivoluzionarie, andate sotto il nome di “populismo” con teorici anche di grande influenza come ad esempio l'anarchico Bakunin.
 
Colonialismo

Nel 1857 la Gran Bretagna reprime una rivolta in India, iniziando in modo sistematico l'occupazione militare della regione. Iniziato anche lo sfruttamento intensivo di tutte le materie prime o dei prodotti alimentari (per esempio il thé) che potevano essere utili alla madrepatria. Nel 1876 fu dichiarato lo status di impero per i territori indiani.
Tra il 1854 e il 1865 la Francia militarizzò l'Algeria e si impossessò del Senegal. Dal '58 in Indocina guerra dell'oppio.
La Russia completò la penetrazione in Siberia, in Caucaso, nel nord Cina (fino a Vladivostock), in Asia centrale ( Kazakistan, Turkmenistan ecc.)
 
L'Unità d'Italia e la II guerra di indipendenza

Solo il Piemonte non reazionario dopo il1848. I principali politici del parlamento piemontese Cavour e Rattazzi si accordarono (accordo passato alla storia come “ connubio ”) per isolare le ali estreme e procedere con le riforme di marca liberale.
Intanto proseguivano i fallimenti dei mazziniani, lasciando ai moderati l'unica opzione credibile per una revisione dei confini statali. Cavour inserì l'Italia nel gioco degli equilibri geopolitica con la partecipazione alla guerra di Crimea: così trovò un posto al tavolo dei vincitori alla conferenza di Parigi e mise in guardia i sovrani europei del “pericolo rosso” nell'Italia borbonica e pontificia.
1857 fondata la Società Nazionale. Con questa mossa Cavour ottiene la fedeltà e l'aiuto dei più influenti cospirati da Manin a Garibaldi. Rottura dei rapporti diplomatici con l'Austria.
1858 un giovane anarchico Felice Orsini compie un attentato contro Napoleone III. L'azione fallisce, il giovane viene arrestato e condannato a morte: ma il re francese si convinse della necessità di fare qualcosa per l'Italia. Con gli accordi di Plombiers Cavour face firmare a Napoleone III un patto difensivo.
1859 Per provocare l'Austria le truppe Piemontesi iniziarono grandi manovre militari sui confini; di fronte all'ultimatum dell'Austria Cavour rifiutò e, ad aprile, ottenne la dichiarazione di guerra. Scattò quindi l'accordo e Napoleone III scese in Italia a guidare le operazioni militari.
MAGENTA – SOLFERINO – SAN MARTINO sono i principali campi di battaglia, per altrettante vittorie dei franco-piemontesi. Intanto nel centro Italia le insurrezioni fecero cadere i governi di Modena, Parma e Granducato di Toscana.
11 luglio – PACE DI VILLAFRANCA. La Lombardia passò al Piemonte. I plebisciti nell'Italia centrale (marzo 1860) allargarono ulteriormente i confini del Regno di Piemonte.
1861 Cavour era a posto così. Per i democratici però l'occasione era troppo favorevole (peraltro era morto il re dei borboni Federico II) per non completare l'unità nazionale. Garibaldi organizza una spedizione partendo da Quarto la notte tra il 5 e il 6 maggio: arriva a Marsala e da lì, con poco più di mille uomini, riesce nell'impresa inverosimile di liberare l'isola. Allarmato dai successi dei democratici Vittorio Emanuele II scende attraverso i possedimenti pontifici di Marche, Umbria e Lazio e si ricongiunge alle truppe garibaldine a TEANO il 26 OTT
In novembre altri plebisciti sanzionarono l'annessione anche di Marche e Umbria.
Il 17 marzo 1861 era annunciata la nascita del Regno d'Italia.
 
La Germania unita

Nel 1858 il nuovo re Guglielmo, succeduto a Federico Guglielmo IV, rompe la solidarietà tra regnanti tedeschi e punta all'egemonia prussiana. Otto von Bismark a capo del governo dal 1861, mette in pratica le ambizioni politiche del sovrano: contrasta le spinte liberali della borghesia e il ruolo stesso del parlamento ma avvia una serie di politiche per modernizzare il paese e dare una base di consenso al progetto di espansione economica e territoriale. Nel 1863 conquista tre ducati danesi, nel 1866 attacca l'Austria per una disputa territoriale. Vittoria facile e sorprendente. La Prussia integra in uno stato federale i ducati e principati tedeschi e impone lo scioglimento della Confederazione tedesca.
L'Austria reagisce alla sconfitta militare (e alla perdita del Veneto a favore dell'Italia) con un restringimento delle libertà civili ma anche concedendo all'autonomia legislativa al regno di Ungheria. Inizia il lungo regno di Francesco Giuseppe.
GUERRA FRANCO-PRUSSIANA nel 1870 l'espansionismo prussiano riprende in direzione francese. Il 19 luglio la Francia , provocata da Bismark, dichiara guerra (pensava di essere più forte) ma va incontro a una rovinosa sconfitta. A Metz il 18 agosto il trionfo prussiano. A Settembre Napoleone III viene fatto prigioniero e nasce la Terza Repubblica. E' il primo ministro Thiers che tratta la resa – durissima – a Versailles: la Francia perde le regioni dell'Alsazia e della Lorena.

Guerra civile americana 1861-1865

NORD – industria e spirito capitalistico
SUD –latifondi di cotone e tabacco per l'esportazione
Nel 1833 inizia il movimento antischiavista, ancora in vigore sotto una certa latitudine. Nello stesso tempo l'espansione ad ovest faceva nascere un paese basato su fattorie e grano / tabacco e schiavi.
Dal 1854 il partito repubblicano contro la schiavitù per rendere più dinamica l'economia interna, come serviva alle industrie manifatturiere del nord (Boston – New York – Philadelphia).
1860 Lincon presidente; uno smacco per il sud.
La miccia è accesa dallo stato della Virginia, che il 20 dicembre dichiara la secessione dagli Stati Uniti e la nascita della Confederazione. La confederazione era formata da 10 stati con capitale Richmond e presidente Davis.
La risposta fu la guerra civile. Il 12 aprile 1861 con la battaglia di Charleston vinta dai sudisti inzia il conflitto. Francia e Gran Bretagna forniscono un sostegno modesto al Sud.
Nel Nord il presidente Lincon promuoveva leggi fortemente ideologiche: fine della schiavitù e terre gratuite ai coloni. I generali dei due eserciti erano: LEE (sud) e GRANT (nord). Nel 1863 le truppe di Grant tagliano in due la Confederazione occupando il Teneesse e la Georgia. Il 9 aprile 1865 la guerra finisce. Cinque giorni dopo Abramo Lincon è assassinato a teatro da un attore sudista.

La modernizzazione del Giappone

Nel 1850 il Giappone appariva immerso nell'età feudale o in qualcosa di simile. [1] La struttura di potere era così composta:
Casa imperiale – shogun
Famiglia reale – tokugana
Grandi feudatari – daymo
Nobiltà inferiore – samurai
Plebe – contadini, operai, commercianti
Nel 1863 un daymo bombarda le navi straniere (americani, francesi, inglesi e olandesi avevano interessanti canali commerciali con le città portuali) esaltando il nazionalismo, in contrapposizione allo shogun considerato troppo arrendevole con le potenze occidentali. Scoppia una guerra civile che si conclude soltanto nel 1868 con la proclamazione dell'imperatore Mutsuhito detto Meiji.
Meiji avvia un processo di riforme straordinario, basato sulla copia del sistema degli stati occidentali e sostenuto con grande vigore dall'interventismo statale. La disciplina con cui il popolo giapponese ha seguito le indicazioni del governo hanno realizzato il più rapido salto in avanti fino ad allora concepibile. Tra le altre cose il sistema gerarchico pseudofeudale viene abbattuto; la scuola diviene obbligatoria; il servizio militare anche; l'industrializzazione pianificata e promossa con ogni mezzo. Alla fine del secolo, all'insaputa di tutte le cancellerie del mondo, il Giappone era già una potenza economica e militare capace di tenere testa ai più forti eserciti del mondo.

L'Italia della destra e la III guerra di indipendenza
 

L'unità d'Italia pone ai primi governi, guidati dalla maggioranza parlamentare conservatrice, problemi enormi, legati in gran parte alla incredibile diversità delle regioni italiane. Come fare, quali criteri seguire, per dare unità burocratica, militare ed economica al nuovo regno?
Dati: 78% di analfabeti
2100Km di ferrovie
2% il corpo elettorale
Fu rinnovata l'alleanza con i grandi proprietari del sud ed esteso a tutto il territorio la legislazione e il regime fiscale in vigore in Piemonte. Scelte fatte in nome della continuità.
1° governo – Bettino Ricasoli (1861-1862)
2° governo – Urbano Rattazzi (1862)
Nei pochi mesi della sua guida il governo fu messo in difficoltà dall'iniziativa di Garibaldi per prendere Roma: le truppe reale si scontrarono con quelle irregolari del grande generale in Aspromonte.
3° governo – Minghetti
Accordo con la Francia per lasciare Roma al Vaticano. La capitale sarebbe stata Firenze; proteste a Torino.
4° governo – La Marmora (1864-1866)
Firenze diventa capitale, viene stipulato un accordo militare con la Prussia.
Pochi mesi dopo lo scontro Prussia-Austria induce l'Italia ad approfittarne per prendere il veneto ( III guerra di indipendenza ). Le battaglie di CUSTOZA sulla terraferma e LISSA sul mare, sono due umilianti sconfitte per il giovane esercito nazionale. La sconfitta dell'Austria permette comunque all'Italia di acquisire il Veneto (pace di Vienna, ottobre 1866).
Governi Ricasoli e Rattazzi [2] - tiene banco la questione romana.
Governo Menabrea – c'è il tentativo fallito di Garibaldi (1867)
Nel 1870 la Francia , che s'era fatta paladino della causa vaticana, sconfitta dalla Prussia, abbandona il Papa al suo destino. Il governo italiano rompe gli indugi e occupa la città di Roma, con il celebre ingresso dei bersaglieri dalla breccia di Porta Pia (20 settembre). Un plebiscito sanzionò l'annessione.

BRIGANTAGGIO (1861-1865)


Il fenomeno dei “briganti”, cioè fuorilegge a giro per le campagne del sud, fu dovuto principalmente al peggioramento del livello di vita già molto basso, delle popolazioni del meridione dopo l'unità. L'aumento delle tasse e la leva obbligatoria (che toglie braccia ai contadini) scatenò una reazione che assunse la forma del brigantaggio e che fu strumentalizzata dal clero e dai borboni. Una inchiesta parlamentare guidata dal deputato Massari indicò molto bene la relazione tra cause ed effetto del fenomeno. Fu ignorata e risolto il problema con il pugno di ferro, cioè con una repressione molto dura. La politica dei governi di destra fu tutta orientata allo sviluppo industriale del nord: aumento delle tasse per i prodotti agricoli, il corso forzoso (stampa di banconote maggiore del valore corrispondente dell'oro), nessuna protezione per l'importazione di prodotti agricoli.
Fu grande soddisfazione per alla fine dell'età della destra storica, nel 1876, poter annunciare il raggiungimento della parità di bilancio.

1864


– I internazionale socialista con Marx e Bakunin. I contrasti tra le varie anime del movimento (comunismo, anarchismo, sindacalismo ecc) furono talmente forti da essere sciolta nel 1876.
- viene pubblicato il “SILLABO” enciclica apostolica in cui si condanna tutto ciò che è moderno, dalla libertà di coscienza alla scuola laica, dal liberalismo al socialismo.

Parte II – 1870-1914

 

(…) tanta parte delle attuali caratteristiche dei tempi nostri ebbe origine, a volte improvvisamente, nei decenni anteriori al 1914. In campo politico, i partiti operai o socialisti, che formano il governo o la forza principale di opposizione in quasi tutti gli stati dell’Europa occidentale sono figli dell’era che va dal 1875 al 1914. (…) Sotto il nome di “modernismo” l’avanguardia dei questo periodo comprende la maggior parte della produzione novecentesca d’alta cultura. (…)La cultura della vita quotidiana è tuttora dominata da tre innovazioni del periodo in questione: l’industria pubblicitaria, il giornale e il cinema. Quanto alla tecnologia, le automobili a benzina per la circolazione su strada e le “macchine volanti” sono apparse per la prima volta nel nostro periodo. Il telefono e la radio sono stati migliorati, ma non soppiantati.(…) Lo sport fu formalizzato in quest’epoca in Inghilterra, che ne fornì il modello e il vocabolario, e da lì si propagò rapidamente negli altri paesi.

E. Hosbsawn, L’Età degli imperi 1875-1914

 Gran Bretagna

Dopo il 1870 la Germania in forte crescita metteva in discussione la leadership mondiale della Gran Bretagna. I principali esponenti politici della seconda fase dell’età vittoriana furono DISRAELI (conservatore dal 1874) e GLADSTONE (liberale dal 1880).

Comincia l’azione terroristica a favore dell’indipendenza irlandese; anche in parlamento emerge la “questione irlandese” con l’ostruzionismo dei deputati eletti nell’isola “verde”.

1884 il corpo elettorale passa da 3 a 5 milioni.  Nasce la “Fabian Society” una componente molto rilevante per il pensiero politico socialista, che da quel momento abbandona sostanzialmente la linea rivoluzionaria per abbracciare la linea riformista, per quanto radicale possa essere.

Francia

In seguito alla sconfitta con la Germania e la resa di Versailles nuova repubblica guidata da Thiers. A Parigi, nel marzo 1871, scoppia l’insurrezione e viene proclamata la Comune. A maggio, al termine di un assedio durissimo, la città viene ripresa dall’esercito regolare (aiutato dalla Germania) e sottoposta ad una feroce repressione.

La III repubblica nasce sotto l’insegna dell’autoritarismo: Thiers presidente, pochi poteri al parlamento e leva obbligatoria. Solo nel 1880 iniziano alcune concessioni sulle libertà civili. Verso la fine del secolo la contrapposizione tra socialisti e conservatori si fa sempre più evidente, come dimostra L’AFFAIRE DREYFUS del 1894. Dreyfus era un giovane tenente ebreo condannato seppur riconosciuto innocente, proprio perché ebreo. Alla fine fu scagionato.

COLONIALISMO

Nel 1876 la regina Vittoria diventa imperatrice d’India. Molto diffuse ideologie razziste ed espansionistiche. I conservatori erano decisamente schierati per l’espansionismo mentre i liberali auspicavano una politica di mantenimento dei confini già vastissimi dell’impero.1885 primi episodi di insurrezione in India. La contesa per il canale di Suez, aperto nel 1869, fornirà alla Gran Bretagna l’occasione per portare sempre più truppe nell’area, fino a conquistare l’intera  regione tra Egitto e Sudan (completata nel 1898).Tra il 1898 e il 1902 guerra contro i boeri in Africa del Sud. Naturalmente fu un’altra vittoria.

FRANCIA dal 1871 l’Algeria viene colonizzata: in seguito ad una rivolta la repressione porta alla politica di consolidamento del territorio attraverso una vera e propria colonizzazione; diventa una seconda Francia. Negli anni successivi conquista la Tunisia (sottratta all’Italia) il Madagascar, il Senegal, la Somalia e buona parte dell’Africa Occidentale. Conquiste asiatiche in Indocina.

Germania

La grande Prussia diventa Germania, federazione di 25 stati autonome ad esclusione della politica estera e della guida economica decise dal governo del cancelliere. Il governo non rispondeva alla maggioranza parlamentare (reichstag) bensì solo al Kaiser (l’imperatore). La guida di Bismark punta a rafforzare lo stato, indebolendo sia il mondo cattolico sia il movimento socialista. Grande esaltazione del nazionalismo tedesco e concessione di un primo pionieristico sistema di assicurazione sociale per i lavoratori dell’industria. Bismark era contrario alla politica coloniale mentre gli industriali erano favorevoli. Ebbero la meglio gli industriali e anche la Germania si tuffò nell’avventura coloniale conquistando alcuni territori nell’Africa  orientale.

1888 sale al trono Guglielmo II con l’idea di realizzare il secondo Reich. L’antagonismo con Bismark porta quest’ultimo alle dimissioni nel 1890.

 Austria

1867 concessa la costituzione. Il re manteneva ampi poteri, così come il clero nella società austriaca. Diventano pressanti le spinte indipendentiste:

CECOSLOVACCHIA: Masaryr leader del movimento per l’indipendenza della Boemia e Slovacchia fonda nel 1900 il partito progressista.

UNGHERIA supremazia magiara sulle tante minoranze. Si propone il problema delle minoranze etniche nei nuovi stati nazionali. Rimane lo status di impero Austro-ungarico.

Russia

Dopo il 1865 Alessandro II ripiega su posizioni conservatrici. La borghesia è ininfluente. E’ invece il “populismo” una corrente politica radicale di sinistra a prendere campo, facendo nascere anche una forma di terrorismo politico. Nel 1881 lo Zar viene assassinato. Il successore Alessandro III abbandona la strada del timido riformismo e approva un piano di repressione e “russificazione” delle province: Polonia, Ucraina, Finlandia ecc.

1894 NICOLA II

Con questo zar la Russia conosce una prima forma di industrializzazione: lo stato investe per cercare di colmare il divario con le potenze continentali e a Pietroburgo e Mosca nascono grandi fabbriche e quartieri operai. A cavallo del XX secolo arrivano anche i primi scioperi e le rivolte. Si costituiscono e acquisiscono molta forza i partiti operai: Partito Socialidemocratico e Partito Social-rivoluzionario. La sinistra russa guarda anche ai contadini e alla comune di Parigi come modello di governo.

 Italia (i governi della sinistra)

La parità di bilancio era costata carissimo sul piano dell’equilibrio sociale. Le riforme erano indispensabili. Dal punto di vista della provenienza del corpo politico c’è da registrare la fine del monopolio degli uomini del nord e della grande nobiltà.

DE PRETIS nel 1875 si presenta con il celebre “discorso di Stradella” in cui promette un po’ di tutto inaugurando la demagogia elettorale. L’anno successivo diventa capo del governo. Anziché rivoltare la linea politica cambia pochissimo, inventando praticamente il “trasformismo” che annacqua le differenze politiche dei due principali schieramenti (conservatore e progressista) con una pratica di governo consociativa e accomodante per tutti. Allo stesso tempo la maggioranza parlamentare mantiene in costante marginalità le ali estreme della rappresentanza politica sia a destra che a sinistra. E’ stato accertato e storicamente riconosciuto il ricorso alla pratica della corruzione e dei brogli per mantenere in efficienza il sistema.

Riforme importanti:

-          2 anni di scuola obbligatoria

-          Abolizione della tassa sul macinato

-          1883 abolizione del corso forzoso

-          Aumento del corpo elettorale

1882 TRIPLICE ALLEANZA l’Italia stipula un patto difensivo con gli imperi centrali di Austria e Germania. Inizia l’avventura coloniale con il tentativo – fallito – di conquistare l’Etiopia.

1887 governo CRISPI Riprende l’aspirazione imperialista. 1889 Trattato (bilingue) di Uccialli fatto con il re etiope MENELIK. Una diversa interpretazione della traduzione permise quel contenzioso che portò alla guerra tra Italia e Etiopia.

Altre leggi di rilievo del periodo: diritto allo sciopero; abolita la pena di morte.

Il governo cerca di contrastrare l’ascesa del movimento socialista, che dal 1892 ha anche un suo riferimento nel Partito Socialista guidato da intellettuali come Costa, Turati e Labriola.

 GIOLITTI è un liberale. Con varie e diverse cariche è l’uomo che segnerà la vita politica del paese fino al 1913. Sale in carica nel 1892 al posto di Crispi. La sua idea è quella di aumentare il consenso attraverso la concessione di diritti civili. Affiancherà a questa politica “alta” la pratica meno lusinghiera di cercare sempre il compromesso con chiunque. In un primo tempo la sua condotta fu poco gradita (non represse le agitazioni dei fasci siciliani) e tornò Crispi. Con lui riprese la guerra ai socialisti e la guerra per i territori africani: nel 1896 ad Adua l’Italia fu umiliata contando la prima sconfitta militare di un paese europeo in Africa e 7000 soldati morti. La tragedia costò il posto a Crispi. Seguirono alcuni governi molto provvisori: Rudinì tra il 96 e il 98 che oscillava tra i moderati e i reazionari. Pelloux  fece un governo autoritario sfociato nella strage di Milano: nel maggio del 1898 il generale Bava Beccaris si rese famoso facendo sparare sulla folla in coda per il pane causando molti morti e una grande indignazione.

29/07/1901 assassinato il re Umberto I. Gli succede Vittorio Emanuele III

Il governo intanto è a guida moderata. Con il nuovo secolo arriva anche lo sviluppo economico e l’industrializzazione. I capitali furono trovati nelle banche e nello stato. La politica protezionistica favorì le fabbriche italiane ma svantaggiò i prodotti agricoli del sud. Queste scelte furono tra le cause della eccezionale ondata migratoria che interessò il popolo meridionale tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

Stati Uniti

Lasciata alle spalle la guerra di secessione gli Stati Uniti devono scontare una divisione nord-sud molto forte: nel 1866 il razzismo prende la forma del famigerato Ku Klux Klan, cittadini bianchi anglosassoni protestanti (definiti dall’acronimo WASP) mossi da un’odio ideologico verso gli afroamericani liberati dalle catene della schivitù. A riflettere questa impostazione culturale sta la struttura economica. Gli stati del sud erano dipendenti ancora dalle grandi piantagioni e auspicavano una politica di liberismo; viceversa gli stati del nord – che imposero come vincitori il loro punto di vista – propugnavano il protezionismo a favore dei grandi gruppi industriali e finanziari. New York e Wall Street segnarono il nuovo corso della più grande repubblica del mondo. Un corso vincente, se è vero che nel 1898 c’è il sorpasso in termini di Pil assoluto degli Usa alla Gran Bretagna (primato ancora attuale) e che nel giro di pochi anni le immense ricchezze territoriali furono integrate a un sistema industriale in grande progresso.

-          Conquista del West (sterminio e prigionia per circa 2 milioni di nativi)

-          Taylor inventa il sistema a catena di montaggio

-          Ai primi del Novecento Ford abbassa drasticamente il prezzo dell’automobile per consentire ai suoi operai di acquistarne una. Nasce il consumismo industriale.

-          Grande violenza nella repressione di scioperi e delle organizzazioni sindacali.

 Sul fronte internazionale i diversi presidenti che si succedono sono concordi nel perseguire una politica di espansione, non solo verso i territori vergini dell’ovest ma anche verso possedimenti di altri stati come Russia, Messico e Spagna. Nel 1867 l’Alaska viene acquistata dalla Russia (venduta come un deserto ghiacciato si rivelerà poi ricca di materie prime); nel 1898 conquista le isole Hawaii e le Samoa nell’oceano Pacifico e contende alla Spagna le lontanissime isole Filippine e la vicina isola di Cuba. Vince facilmente, ma non annette i territori. Inaugura invece la politica dei governi fantoccio: dei governi formali svolgono in tutto e per tutto gli interessi degli Stati Uniti che agiscono come “protettori”.

Giappone

Altro paese uscito alla fine degli anni ’60 da una terribile guerra civile. Qui si afferma un potere imperiale determinato a modernizzare il paese sull’esempio europeo e in particolare tedesco. L’operazione ha qualcosa di sbalorditivo, mai visto e ripetuto. Agli occhi di un europeo poteva sembrare simile all’età medievale solamente nel 1866 per ritrovarlo militarmente competitivo e minaccioso a fine secolo.

 Conflitti internazionali

1877 guerra tra Russia e Turchia. Gli strascichi della guerra di Crimea e la questioni degli stretti sono problemi aperti che periodicamente tornano a insanguinare lo scacchiere mediterraneo. La scintilla stavolta furono le rivendicazioni nazionaliste di Bulgaria e Erzegovina contro l’impero turco. La Russia – strumentalmente per via dell’interesse per la riapertura degli stretti sul mar Nero – si dichiarò protettrice degli slavi del sud e avviò una serie di azioni contro la Turchia.

Legata ad una serie di conflitti in territorio africano tra le altre potenze europee, la questione venne discussa al CONGRESSO DI BERLINO del 1878 e sancì l’autonomia di una regione bulgara, l’indipendenza di Serbia-Montenegro e il protettorato britannico su Cipro. Il mondo islamico stava perdendo la sua integrità territoriale.

Socialismo

Nel corso della II Internazionale (1871?) fu indetto il 1° maggio festa dei lavoratori e l’obiettivo comune per i lavoratori di tutto il mondo: le otto ore lavorative. La funzione dell’organismo era quello di fornire il riferimento internazionale a tutti i partiti socialisti e socialdemocratici. Inizialmente ne facevano parte anche anarchici ma furono espulsi nel 1898 per incongruenze. Emersero ben presto distinzioni tra due linee di tendenza che segneranno la lacerazione della sinistra per tutto il secolo successivo: ovvero la contrapposizione all’interno del movimento tra riformisti e rivoluzionari. Partendo dall’ideologia marxista si svilupparono diverse correnti, guidate da abili oratori e pensatori politici, come Bernestein (riformista), Kautsky, Rosa Luxemburg, Lenin (rivoluzionari), Sorel (sindacalismo rivoluzionario).

La chiesa

La chiusura assoluto nei confronti della modernità viene abbandonata con il pontificato di Leone XII che apre alla questione sociale. Il nemico numero uno è il socialismo, e contro di esso va accettata anche la democrazia liberale, demonizzata da Pio IX. Del 1891 è l’enciclica Rerum Novarium, che illustra questa nuova prospettiva di partecipazione dei cattolici nella vita sociale delle società di massa: mutuo soccorso, associazionismo, sindacati, partiti …. Ogni aspetto deve avere un riferimento preciso dal mondo cattolico. L’obiettivo è migliorare la vita delle fasce umili delle persone, tenere insieme le diverse classi sociali (“l’unità tra operai e padroni”) e scongiurare la rivoluzione socialista. Ma all’inizio del nuovo secolo la chiesa era già in piena restaurazione, accentuando il carattere di ubbidienza all’autorità e alla pura carità verso gli strati inferiori della società.

LA BELLE EPOQUE (1900-1914)

in realtà con il termine "belle époque" si è soliti riferirsi ad un periodo più lungo, che parte dagli anni '90 dell'ottocento o addirittura dagli anni '70. La visione italiana dello sviluppo però ci porta a considerare l'età della crescita e dell'ottimismo come una finestra più piccola tra i molti decenni di difficoltà.

Gran Bretagna

Insieme alla produzione industriale cresce il movimento operaio, che diviene sempre più organizzato e minaccioso. Nel 1906 viene costituito il partito laburista che raccolse le diverse anime della sinistra britannica (a differenza dei movimenti continentali non era rivoluzionaria ma riformista, per quanto radicale). La politica era dominata dai Tories conservatori, anche se occasionalmente andavano al potere i liberali. La crescita economica permise alla classe operaia di ottenere importanti conquiste: otto ore lavorative, riforma fiscale a svantaggio dei grandi proprietari terrieri. Il potere politico era ormai tutto in mano alla camera dei comuni (elezioni popolari) a scapito della camera dei Lords (rappresentanti nobiltà) e della monarchia (avviata ad un ruolo di semplice super-partes e guida spirituale del paese).

Teneva banco la questione irlandese, dove le spinte nazionaliste non erano più arginabili con concessioni autonomistiche, come la Home Rule di inzio ‘900. Anche il mondo coloniale dava segnali sempre più forti di insofferenza al controllo della corona britannica. In Sudafrica invece furono gli inglesi a sconfiggere i boeri olandesi per il controllo delle ricchissime miniere di diamanti.

Francia

Il governo, laico anche nelle connotazioni conservatrici, ruppe in modo drastico con il Vaticano. Nel 1905 nacque il partito socialista francese, guidato dal carismatico Jacques Jaurés. Le imponenti manifestazioni – represse duramente – fecero ottenere ai lavoratori il diritto alla pensione di anzianità e la domenica festiva.

I successi della sinistra allarmarono gli ambienti militaristi e reazionari, portando per risposta ad una forte crescita del nazionalismo. Nel 1914 il partito socialista vinse le elezioni politiche.

Germania

Tasso di sviluppo economico altissimo. Questa crescita strideva con la situazione geopolitica del mondo che premiava stati come la Francia e Gran Bretagna con imperi coloniali immensi, e gli Stati Uniti e la Russia con immensi territori ricchi di materie prime. I tedeschi volevano cambiare i rapporti di forza nel mondo. L’imperatore e gli industriali erano fortemente determinati a guidare una nuova fase di espansione. Di fronte al nazionalismo crescente il partito socialdemocratico (SPD) entra in crisi: la disputa tra rivoluzionari e riformatori paralizza l’azione della sinistra in Germania, e porta alla sconfitta alle elezioni del 1907. In seguito la linea del partito sarà meno internazionalista e più vicina alla linea politica del Kaiser, ovvero nazionalista. A guidare questa svolta furono Bebel e Noske che raccolsero i frutti con la vittoria del 1913. (bisogna ricordare però che in Germania il governo era nominato dall’imperatore e non dipendeva dal parlamento). In ogni caso gli operai tedeschi ottennero grandi concessioni in termini di welfare e stipendio. Una base di consenso molto ampia, che sarà molto utile al momento dello scoppio della guerra.

Russia

Lo zar Nicola II – un regnante di scarsissimo valore umano e politico – risponde alle sfide della modernità facendo appello alle tradizioni e ai vecchi valori religiosi e autocrati. Quella minuscola fascia di popolazione definibile come borghesia fece alcune richieste di riforme civili. La massa di operai proletari (non più di due milioni e mezzo concentrati su Mosca e Pietroburgo) era compattamente con i partiti marxisti. Anche i contadini, sparsi nella sterminata campagna russa, erano nella maggior parte attratti dalle teorie rivoluzionarie dell’estrema sinistra.

Inoltre la famosa intellighenzia russa partorì alcune grandi personalità politiche che riuscirono, nel volgere di pochi anni, di ottenere risultati inimmaginabili.

1905. Al governo ci sono i conservatori guidati da Witte. All’opposizione ci sono i liberali, in rappresentanza della borghesia. Al di fuori dal parlamento e al confine con la legalità ci sono i partiti rivoluzionari Contadino e Socialdemocratico (guidato da Lenin, Trocki e Martov).

La guerra contro il Giappone per il possesso delle isole Kurili si risolse in una sconfitta fragorosa. Sull’onda del disastro il 22 gennaio in 140000 invasero Pietroburgo per protestare contro lo zar. Le guardie armate spararono facendo 1000 morti, a cui seguirono altri scontri e scioperi. In ottobre prese corpo l’idea di democrazia alternativa di Trocki: nacquero i soviet del popolo: assemblee di operai, soldati e contadini in gradi di prendere decisioni politiche. Un vero e proprio contropotere ai vari prefetti e funzionari imperiali. Questa pressione porta ad ottenere elezioni con suffragio universale e le libertà civili. Viene istituito il parlamento russo, chiamato DUMA, ma ben presto viene sciolto per rifarlo senza i rappresentanti dei partiti di sinistra. A fine anno inizia la reazione violenta da parte delle truppe zariste; vengono sciolti i soviet e arrestati o uccisi i leader di partito. Il fallimento della rivoluzione del 1905 porta ad una rottura nel partito socialdemocratico tra menscevichi – guidati da Martov - e bolscevichi – guidati da Lenin e Trokji.

Stati Uniti

Il secolo si apre nel segno del presidente Theodore Roosevelt e della sua enfasi militaresca e nazionalista. Il segno politico è molto diverso da quello attuale, basti pensare che era dell’ala progressista dei repubblicani. La distinzione determinante era infatti l’approccio alla politica economica, protesa all’espansione capitalista e alla conquista di mercati internazionali. Funzionale a questi obiettivi era anche il superamento della conflittualità con il mondo operaio, ottenuto tramite alcune concessioni (otto ore, ferie, pensioni ecc.) e alcuni accordi di tipo corporativo con i sindacati che assunsero un ruolo a-politico all’interno delle fabbriche. Il successore di Roosevelt fu un presidente di alte visioni idealiste, W. Wilson, al quale lo sfascio della vecchia Europa diede l’occasione di illustrare una nuova visione per il nuovo mondo.

Italia

Sono gli anni di Giolitti, che propone una politica di apertura verso il movimento operaio, rispondendo così alle esigenze di moderati e riformisti. La contrazione economica terminò nel 1896, e si registrò il primo vero boom economico, concentrato per lo più nel triangolo industriale Milano-Torino-Genova. La spinta allo sviluppo viene da un connubio stato-privato che segnerà la struttura del capitalismo italiano fino ai giorni nostri. Lo stato ci mette i soldi e sceglie quali gruppi avranno commesse e lavori; il privato prolifera all’ombra di un mercato riservato e protetto, riservandosi di finanziare il partito politico o il clan di riferimento nei banchi di Montecitorio per riproporre in futuro lo stesso schema. Un sistema che ha prodotto numerose conseguenze negative, dalla scarsa capacità concorrenziale dell’industria italiana, all’affermazione su grande scale del metodo clientelare come percorso classico per portare avanti affari e carriere. Un imprinting culturale prima ancora che economico, in grado di costruire un’etica pubblica sui generis che apparirà ben presto come un carattere tout court dell’essere italiano, specialmente in questioni di soldi, economia, finanza e potere.

In ogni caso al Nord abbiamo un progresso complessivo: + industrie, + diritti civili, + comunicazioni, + scuole, + capitali e produzione industriale;

al Sud viceversa troviamo distese latifondiste di cereali con rendite passive per lo stato. Il potere dei notabili locali è mantenuto attraverso il “voto di scambio”. In questa stagnazione esplode il fenomeno dell’emigrazione, con milioni di cittadini italiani che cercano fortuna verso l’America e il Nord Europa. La tenuta dell’Italia e la sua crescita di inizio secolo devono molto anche alle rimesse in valuta pregiata di questi emigranti della disperazione.

Questa doppia faccia dell’Italia, era anche la doppia faccia del Giolitti politico: progressista al nord e corruttore-conservatore al sud. La sua idea era di integrare tutti i frammenti nello stato italiano. Propose al Psi di entrare in coalizione, spaccando così il partito (ala riformista di Turati, e ala rivoluzionaria di Labriola). La linea moderata di Turati è sconfitta e il socialismo italiano diviene massimilista in coincidenza con le maggiori concessioni che gli furono fatte (compresi aumenti salari e misure di assistenza sociale).

Le elezioni le vincono ancora i liberali.

1906 nasce la CGL

1910 nasce la CONFINDUSTRIA

Giolitti rinnova il protezionismo doganale, a favore delle industrie del nord.

 La nuova recessione economica innesca scioperi e malumori, favorendo la crescita del nazionalista di stampo militarista e imperialista. Nel 1910 infuria il dibattito intorno alla spedizione in Libia. Intanto cade l’ennesimo governo Giolitti e l’anno successivo inizierà la guerra di Libia. Unico partito contrario era il PSI. In cambio viene concesso il suffragio universale in vista delle elezioni del 1913. Per garantirsi i voti delle masse cattoliche viene sottoscritto il “Patto Gentiloni” che concede molti privilegi alla chiesa cattolica (tasse, scuole, ospedali ecc.)

Le elezioni sono vinte dal Partito Socialista, ma con un sistema proporzionale puro l’incarico di formare il governo va a Giolitti che trova il sostegno dei partiti liberale, popolare e altri minori. Il suo è un gabinetto debole e si trova costretto alle dimissioni già nel 1914. Una linea ben più aggressiva – in politica interna ed estera – si era affermata e trovò sbocco nella formazione del governo Salandra.

Imperialismo e colonialismo

L'età dell'impero

“Imperi e imperatori erano realtà di vecchia data, ma l'imperialismo era una novità assoluta. Il termine entrò per la prima volta nel linguaggio politico britannico nel 1870-80, ed era ancora considerato un neologismo alla fine di quel decennio. Si impose di prepotenza nell'uso generale negli anni 1890”
E. Hobsbawm [1] [1]

Quando si parla di imperialismo ci si può riferire agli antichi romani o alla politica estera statunitense del dopoguerra o, ancora, a molte altro: all'impero cinese a quello persiano, spagnolo...
Come altre parole chiave è importante essere precisi. In questa sezione del sito, e più in generale nella storiografia contemporanea, si parlerà di imperialismo riferendosi al periodo che va da 1860 al 1914 [2] [2]: cercando di spiegare le ragioni di questa periodizzazione, le sue caratteristiche, le analogie e le peculiarità in relazione alle altre esperienze storiche accostate al concetto di imperialismo.

Imperialismo o colonialismo?

Le due parole che in questa fase sono in qualche modo intercambiabili hanno in realtà un significato diverso. Il COLONIALISMO infatti è solo una parte del fenomeno generale dell'IMPERIALISMO, ovvero la conquista “diretta e formale” con l'occupazione militare, l'insediamento consistente di cittadini “conquistatori” e la creazione di veri e propri protettorati politici. L'imperialismo invece travalica la presenza fisica del territorio occupato; il controllo avviene in modo indiretto e informale, ma non per questo con effetti meno invasivi per i popoli coinvolti. Dopo il 1945 è questa la forma generalmente utilizzata per il controllo di aree regionali nei paesi in via di decolonizzazione da parte delle grandi potenze economiche e militari del pianeta.
 
I Protagonisti

A partire dal 1860 i paesi europei si resero protagonisti di una seconda intensa fase di espansione – dopo quella del cinquecento – tale da assoggettare quasi l'intero pianeta.
In prima fila nella corsa alla conquista delle terre emerse c'era la Gran Bretagna : la “regina” della rivoluzione industriale fece valere tutta la sua forza economica, finanziaria e militare per conquistare territori in tutti e cinque i continenti. Se Spagna, Portogallo e Olanda erano in netto declino (specialmente i paesi iberici), si affacciarono nella “competizione” coloniale anche paesi emergenti come il Belgio, l'Italia, la Russia e la Germania.
Verso la fine del secolo entrarono nel circolo dei conquistatori – dopo essere stati a diverso livello territori “conquistati” – gli Stati Uniti e il Giappone.

Fatti, avvenimenti e aneddoti dell'epopea colonialista

La debolezza dell'impero ottomano offrì ai paesi più importanti l'occasione per estendere la propria area di influenza: nel 1881 la Francia assunse il controllo diretto della Tunisia; nel 1882 la Gran Bretagna occupò militarmente il debole regno di Egitto iniziando una inarrestabile discesa attraverso Sudan, Kenya, Uganda (acquistata dalla Germania nel 1890). All'altro capo del continente la scoperta di immensi giacimenti diamantiferi e auriferi spinse le truppe di Sua Maestà a scontrarsi con i possedimenti dei boeri [3] [3]. La guerra durò dal 1899 al 1902 e si concluse con la vittoria dei britannici e la nascita dell'Unione Sudafricana (membro del Commonwealth fino al 1961). L'avventuriero Cecil Rhodes proseguì la colonizzazione britannica risalendo verso nord (l'attuale Rhodesia), puntando a ricollegarsi con il Kenya; l'operazione non riuscì per la presenza del possedimento tedesco della Tanganica (1890). Se la Gran Bretagna sviluppò i suoi possedimenti da nord a sud, la Francia disegnò una linea ininterrotta da est a ovest. Nella fascia equatoriale i militari della repubblica francese presero possesso del Senegal e poi seguirono la linea sub-sahariana fino a incontrarsi/scontrarsi con gli inglesi al confine del Sudan. Era il 1898 e si rischiò seriamente uno scontro militare tra le 2 superpotenze dell'epoca. Tra i possedimenti anche l'Algeria (1881) e il Marocco (1911).
L'epopea imperiale interessò anche il giovane impero tedesco : dal 1884 la prudenza di Bismarck (“vale più una città in Europa che uno stato in Africa”) fu accantonata e sostituita da una aggressiva offensiva militare che portò sotto la bandiera dell'imperatore Gugliemo II le regioni del Camerun, del Togo e della Namibia nella costa atlantica e della già ricordata Taganica nella costa dell'Oceano Indiano.
L'Italia si ritagliò, al prezzo di clamorose sconfitte, uno spicchio di colonie nella regione del corno d'Africa (Eritrea e Somalia) e, più tardi, occupando “lo scatolone di sabbia” (la definizione è di Gaetano Salvemini) della Libia nel 1911. L'ultimo paese europeo in gioco nell'età degli imperi fu il piccolo Belgio dell'ambizioso re Leopoldo II.Venuto a sapere, tramite il giornalista americano Henry Morton Stanley, delle immense ricchezze presenti nel bacino del fiume Congo – rame e stagno soprattutto – iniziò la conquista e lo sfruttamento della zona, praticamente a titolo personale. L'iniziativa fu ostacolata dalle altre potenze con interesse nell'area, e si rese necessaria una apposita conferenza che – tenutasi a Berlino nel 1884-85 – sancì la regola dell'”occupazione di fatto”. In conseguenza re Leopoldo II si tenne il Congo mentre le altre potenze si regolarono di conseguenza scatenando una vera e propria gara all'occupazione”de facto” dei territori.
Nella cartina vediamo la situazione dell'Africa del 1914 dove solo Liberia ed Etiopia risultano indipendenti. Il Sudafrica, come detto, era uno stato controllato indirettamente dalla Gran Bretagna.

MAPPA DELL'AFRICA

Il colonialismo extraeuropeo

Alle conquista africane, Gran Bretagna e Francia, affiancarono conquiste in Asia, ai Caraibi e nel Pacifico. Nel 1876 con una solenne cerimonia la regina Vittoria fu proclamata imperatrice d'India, inaugurando così la fondamentale storia del dominio inglese nel sub-continente indiano [4] [4]. Nel frattempo inglesi, scozzesi e irlandesi avevano “colonizzato” le grandi isole dell'Oceano pacifico: l'Australia e la Nuova Zelanda quest'ultima con una vera e propria guerra contro gli indigeni Maori.
La Francia estese il suo territorio in Indocina oltre a mantenere e incrementare i numerosi avamposti in isolotti nei Caraibi e nella Polinesia. Anche l'Olanda mantenne i vasti possedimenti delle Indie Orientali (oggi Indonesia) tra cui la Nuova Guinea , spartita con inglesi e tedeschi.
Nel continente americano ad esclusione del Canada divenuto autonomo dal Regno Unito nel 1870 l'intero continente fu posto sotto la tutela degli Stati Uniti dal famigerato “Decreto Monroe” del 1823. Con la perdita di Cuba nel 1898 la Spagna completò la sua ritirata dal continente; lasciando alla rappresentanza europea soltanto alcuni atolli e isolotti del golfo del Messico.

Un discorso a parte meritano tre paesi che vivono l'esperienza imperialista in forme diverse da quelle degli imperi europei in concorrenza tra loro: la Russia degli zar; gli Stati Uniti della seconda industrializzazione e il Giappone della modernizzazione lampo.
La Russia completò l'allargamento dei propri confini verso sud e verso est, raggiungendo la periferia del mondo mussulmano e della civiltà mongola. La contesa sulla Manciuria creò un attrito con il Giappone, anch'esso interessato al territorio formalmente parte dell'impero cinese, che sfociò nella guerra russo-giapponese del 1905, risoltasi con un clamoroso successo degli asiatici.
Proprio il Giappone, artefice di una modernizzazione assolutamente strabiliante, entrò a far parte dei paesi con mire colonizzatrici: a fine ottocento sottrasse la Corea alla Cina e avviò una politica estera molto aggressiva finalizzata a sottomettere l'intera area del sud-est asiatico. Una strategia che caratterizzerà il Giappone praticamente senza soluzione di continuità fino alla fine della seconda guerra mondiale.
L'altro gigante asiatico, la Cina , rimase formalmente indipendente ma, di fatto, occupato un po' da tutte le potenze coloniali.
Gli Stati Uniti passarono alla loro terza fase: dopo una prima di fase di emancipazione dalla madrepatria inglese; ed una seconda fase di consolidamento dei propri confini (per tutto l'Ottocento) si aprì, anche per i cittadini del nuovo mondo la vecchia pratica dello sfruttamento degli altri popoli e delle risorse altrui.
Con il decreto Monroe del 1823 venne imposto uno stop alla penetrazione europea nell'area del continente americano; ma fu con la guerra contro la Spagna , prima per il nuovo Messico, poi per Cuba che si inaugurò la stagione dell'interventismo americano nel mondo. Forse ancora più significativo della conquista di Cuba (lasciata formalmente indipendente) appare la penetrazione nell'Oceano Pacifico, realizzata proprio nell'ambito della guerra alla Spagna.: le colonie spagnole delle isole Hawaii e delle Filippine furono teatro di guerra e, a guerra vinta, protettorati Usa (le Hawaii inglobate come stato della federazione). Erano gli ultimi anni del secolo e segnarono, senza che in molti ne percepirono la portata, grandi cambiamenti nell'assetto geopolitica mondiale. Considerati ancora come potenza secondaria dagli europei gli Stati Uniti proclamarono nel 1904, per volontà del presidente Theodore Roosevelt, il corollario alla dottrina Monroe: il diritto degli USA ad intervenire in qualunque parte del continente americano. E infatti intervenne a Panama per controllare l'importantissimo canale di attraversamento del continente (1903).

Gli assetti della politica europea


La lunga pace, che dalle guerra napoleoniche giunge fino al 1914, deve qualcosa anche al fenomeno dell'imperialismo.
I contrasti non risolti erano quelli tra Gran Bretagna e Russia (Persia, Afganistan e stretto di Dardanelli) e tra Germania e Francia. Si creò una serie di alleanze incrociate che creò un sistema di reciproci contrappesi tale da garantire l'equilibrio nel continente, e quindi la pace. Il congresso di Berlino del 1878 sancì in un certo senso questo sistema. Ma la politica espansionistica di Guglielmo II portò ad un nuovo scenario: la Germania ruppe l'accordo con la Russia che si alleò alla Francia. Nuovi partners dei tedeschi furono Austria e Italia (“triplice alleanza” 1882).
Questa pace continentale favorì la competizione alla conquista coloniale:
  1. minore impegno militare sul continente
  2. rivincita per le sconfitte militari o diplomatiche

La competizione internazionale si fece sempre più dura: agli albori del nuovo secolo la Gran Bretagna iniziò una politica estera apertamente anti-tedesca che favorì anche Francia e Russia nella contesa dei vari territori. Anche l'Italia fu incentivata ad azioni contro l'impero ottomano (quasi un protettorato tedesco ai primi del 900); tanto che nel 1911 riuscì a sottrarre ai turchi l'isola di Rodi e l'arcipelago del Dodecaneso. Quando la controversia incendiò i Balcani, tutti i nodi vennero al pettine: nel mazzo delle ragioni che scatenarono la carneficina dalla guerra mondiale, le dinamiche imperialistiche giocarono certamente un ruolo di primo piano.

[1] [5]E. Hobsbawm, L'età degli imperi, Laterza, 1987
[2] [6]Come spesso succede la attribuzione di date precise per fenomeni generali comporta inevitabili controversie. Alcuni testi riportano l'inizio della corsa alle colonie nel 1870 altri anche il 1880...comunque sia possono essere considerati tutti giusti. Anche la data di chiusura – il 1914 – pur conoscendo una convergenza pressoché unanime non risolve completamente la questione (vedi il caso dell'Italia).
[3] [7]I boeri sono i coloni olandesi che si erano stanziati nel sud Africa dal secolo XVII. Quando gli inglesi crearono la “Colonia del Capo” nel 1814 i boeri si spostarono più a nord. Proprio in quelle terre ricche di oro e diamanti e causa del conflitto.
[4] [8]L'India andata sotto il controllo dell'amministrazione inglese corrisponde agli attuali stati di India, Pakistan, Nepal, Bhutan e Bangladesch

L'età dell'impero

La specificità

Quale è la distinzione tra questo periodo, ovvero questa forma di imperialismo e gli altri imperialismi?
Lo storico Reinhard ha dato questa definizione : “ colonialismo starà ad indicare lo sfruttamento economico, politico e sociale di un popolo su un altro.”

Per quanto riguarda il nostro periodo le caratteristiche che lo distinguono dagli altri periodi della storia sono:

Dimensioni delle conquiste: l'intero pianeta.
Rapidità delle conquiste: in poche decine di anni.
Stati coinvolti: tutti i paesi europei + Usa e Giappone.
Epopea coloniale utilizzata verso la propria opinione pubblica a scopo di propaganda
A differenza delle conquiste spagnole in America o delle conquiste romane, queste conquiste non implicano solo la “rapina” delle risorse ma anche la distruzione delle economie locali e l'integrazione nel proprio sistema economico. Per rendere più funzionale l'operazione la distruzione del sistema indigeno avviene anche sul piano sociale e culturale.

1860/1870   colonialismo e II rivoluzione industriale si trovano a coincidere. Non è un caso!!

Se la prima rivoluzione industriale si è avvalsa dell'ingegno di intraprendenti artigiani e imprenditori e del capitale privato, la II rivoluzione industriale si basa su economie di scala ad alta intensità sia di capitale che di risorse:
chimica, elettricità, ferrovie, motori ecc. i processi industriali richiedono ingenti quantità di caucciù, rame, stagno, ferro, acciaio. Anche i beni di consumo, in forte espansione, chiedono un maggiore rifornimento di caffè, thé, banane ecc.
La cantieristica e la siderurgia non possono essere lasciata all'iniziativa di imprenditori; occorre l'impegno di banche disposte a fornire capitali a medio termine. In pratica gli istituti di credito diventano veri e propri investitori legando la propria sorte a quella dell'impresa (gigantesca) a cui si finanzia l'investimento. In questo periodo e in questo modo nascono i grandi colossi ancora oggi ai vertici dei fatturati mondiali:
AT&T (telefono
SHELL (energia)
SIEMENS, PHILIPS (elettricità)
BAYER (chimica)
….

Come nasce il sistema coloniale moderno
Lo stato interviene con il protezionismo, invertendo la tendenza liberale della prima metà ottocento. Perché questa inversione di politica economica? C'era stata la crisi nel sistema: una crisi economica e sociale che aveva messo in difficoltà gli stati: come reazione sono ricorsi a misure protezionistiche. Nel 1879 è la Germania a reintrodurre in maniera consistente dazi e vincoli nel trasporto di merci; nel 1881 è la Francia seguita dall'Italia e nel 1883 dalla Russia. Alla vigilia della I guerra mondiale solo la Gran Bretagna era rimasta fedele al sistema del libero scambio puro.
Per aggirare la limitazione al commercio internazionale tutti i governi pensarono di giocarsi la carta del colonialismo. Coltivare un proprio mercato estero “privato” sembrò lo sbocco logico alla crisi di fine secolo. Fino a quel momento erano state sufficienti le “aree di influenza”; ma con il ripristino delle dogane diventava importate definire quali zone dovevano essere considerate francesi piuttosto che inglesi o tedesche. Inevitabilmente per stabilire chi faceva le leggi commerciali in un dato territorio si ricorse al controllo militare dell'area e alla difesa dei suoi confini. In pratica le aree di influenza si trasformarono in dominii militari. Prima ancora che per lo sfruttamento delle materie prime e dei prodotti agricoli l 'esercito garantiva l'esportazione delle REGOLE del commercio .

In questo contesto l'antagonismo tra la grande potenza britannica e la potenza emergente tedesca subì una rapida recrudescenza.

 
IMPERIALISMO DELLE MASSE l'imperialismo era popolarissimo nel ceto medio ma anche nella classe dei lavoratori. L'operaio bianco, in Africa, era automaticamente un capo. I governi fecero un largo uso della propaganda; anche la letteratura, la cultura e i consumi servirono alla causa imperialista.
In molti casi le conquiste coloniale supplivano gli insuccessi nella concorrenza europea:
la Russia prende l'Asia centrale dopo la sconfitta di Crimea
la Francia si lancia alla conquista dell'Africa dopo il disastro del 1871 contro la Germania
l'Italia tenta la carta coloniale nel 1881 di fronte alle evidente difficoltà interne

FASI DELLA CONQUISTA
1870-1885 grande spartizione
1885-1900 completamento spartizione
1901-1914 Marocco e Libia

L'età dell'impero

Come fecero poche migliaia di soldati a sottomettere continenti interi?
 
Gli elementi che concorrono in questa incredibile evoluzione nella storia dell'umanità sono:

SUPERIORITA' TECNOLOGICA
Non solo superiorità militare, nelle armi e nei mezzi tecnici a disposizione. Determinante fu l'apporto dell'industria chimica e farmaceutica. La penetrazione in Africa fu resa possibile grazie all'invenzione del Chimino un farmaco in grado di vaccinare gli europei da molte malattie. Prima della metà dell'Ottocento ogni spedizione nelle regioni interne dell'Asia o dell'Africa conosceva una percentuale vicino al 90 delle perdite complessive dovute a infezioni e virus.
Naturalmente la retrocarica e poi la mitragliatrice resero impari lo scontro. Esemplificativa è la battaglia di Omdurman [9]nel settembre 1898 [10]sul corso inferiore del Nilo [11], nella quale 8000 inglesi sconfiggono i Dervisci [12]e ottengono il controllo del Sudan [13]. Troviamo la descrizione dell'avvenimento nelle memorie [1] [1]di Winston Churchill : il grande statista ci racconta di una battaglia che vide rimanere sul campo 20 inglesi, 28 egiziani (alleati degli inglesi) e ben 10000 sudanesi. E' la più grande vittoria militare imperialista.

GENOCIDIO
La civiltà occidentale ripete su scala planetaria quanto fatto in America Latina dai conquistadores spagnoli. Ovvero realizza un vero e proprio genocidio. Il caso più evidente è quello dello sterminio dei pellerossa nell'avanzata verso il far west.
Qual era il problema della convivenza tra i (pochi) europei in avanzata verso ovest e i (pochi) nativi americani già presenti in un territorio immenso?
Il problema era che i nativi americani erano impermeabili ai valori dei conquistatori:

•  lavorare
•  convertirsi alla religione cristiana

Per questo agli occhi degli europei sembrarono “non-umani” e quindi tranquillamente sterminabili. L'ideologia che guidò il terrificante genocidio dei pellerossa è ben riassunta celebre detto western: “un buon indiano è un indiano morto”.
La storia degli aborigeni australiani e neozelandesi non si discosta di molto: è significativo infatti come le leggi aborigene non furono riconosciute dai nuovi arrivati che si impegnarono ad applicare le “loro” leggi. Così il diritto britannico considerava terra di nessuno il territorio abitato dagli aborigeni e fuorilegge chi lo occupava abusivamente. Lo sterminio fu “legalizzato” e, in un certo senso, anestetizzato per la coscienza dei conquistatori.
Ma non è solamente l'impero britannico ad essersi macchiato di terribili operazioni di pulizia etnica. La Germania può “vantare” il caso emblematico del popolo HERERO [14] nell'odierna Namibia: villaggi di pastori trasferiti in campi di concentramento e qui sterminati. Un episodio tornato recentemente (2004) agli onori della cronaca per le scuse ufficiali del governo di Boon.
Anche l'Italia fece la sua parte. In ritardo, ma non fu da meno. In Libia a partire dal 1923 fu attuata la politica dello sterminio contro il popolo dei SENUSSI [15]. Ancora pastori e semi-nomadi deportati in massa ed eliminati fisicamente dal territorio che avevano sempre abitato.

Probabilmente il fenomeno del colonialismo/imperialismo 1860-1914 è, nel suo complesso, la pagina più tragica nella millenaria storia dell'umanità. A differenza dell'abisso hitleriano questa non ha avuto alcun riscatto, alcuno stop, alcuna rinascita, alcun giorno della memoria. Tutto quello che è seguito è stato segnato irreparabilmente e drammaticamente da quella sconvolgente esperienza.

 
DISTRUZIONE COMUNITA' LOCALI

Le società investite dall'occupazione europea sono distrutte e stravolte. All'inizio espropriazione delle terre comuni e concessione ai capi-tribù di alcuni privilegi e proprietà. Il principio della proprietà privata – spesso assente in comunità fondate sull'uso e la condivisione collettiva dei beni naturali – fu l'elemento in grado di sgretolare il sistema economico, ma anche mentale e pratico di socializzazione in uso da secoli. Con l'attribuzione dei beni di proprietà privata fu introdotto l'obbligo della fiscalità, altro aspetto sconosciuto per la gran parte dei popoli extra-europei.
La colonizzazione portò ad alcune novità che annientarono la cultura e la vita sociale di intere regioni continentali: chiamarono civilizzazione la "conversione” non tanto alla religione cattolica (che fu un aspetto ideologico importante) quanto all'obbligo del lavoro e del pagare le tasse. L'alta fiscalità obbligava a lavorare e produrre e scambiare sul mercato.

DIVIDI ET IMPERA

Gli europei furono abili a sfruttare le rivalità tribali per semplificare il controllo del territorio. Era un espediente tipico mantenere l'ordine con corpi speciali formati da soldati di etnie rivali.
In India ad esempio mussulmani e indù avevano convissuto pacificamente per secoli. Gli inglesi giocarono sulla rivalità facendo di tutto per mettere contro le due principali culture del sub-continente. Lo stesso è avvenuto in Palestina.
 
LAVORO COATTO (schiavismo)

L'esempio più clamoroso per comprendere questo aspetto della colonizzazione è quello del Congo [16].
Alla conferenza di Berlino del 1885 il Congo fu dichiarato indipendente e posto sotto protettorato del Belgio di Leopoldo II. Fu un espediente per evitare che il territorio ricchissimo di materie prime fosse causa di una guerra tra le grandi potenze Francia, Gran Bretagna e Germania. Apparentemente il Belgio gioca un ruolo positivo, con un vero e proprio mandato di civilizzatore. In realtà il Congo diventa una zona franca del super-sfruttamento, in cui le popolazioni indigene sono ridotte in schiavitù e private di qualunque porzione delle ricchezze ricavate dal commercio del caucciù e dell'avorio. Gli africani costruirono strade, barche, case…e tutto quello che era funzionale all'economia belga ed europea in generale.
In quel caso lo sfruttamento fu così brutale che l'opinione pubblica del vecchio continente mise sotto pressione Leopoldo II fino a rimettere il mandato di “civilizzazione”.

URBANESIMO (espulsione dei contadini dalle campagne)

Le monoculture estensive imposte a territori conquistati portarono a due importanti conseguenze:
rendere i paesi colonizzati dipendenti in tutto e per tutto dalla “madre patria” distruggere la capacità di autosostentamento ed estromettere i contadini dalle campagne.
Questo secondo aspetto portò alla nascita caotica di enormi agglomerati urbani senza che, come era successo alcuni decenni prima nella vecchia Europa, ci fosse il benché minimo accenno di sviluppo industriale. Calcutta, Saigon, Shangai, Nairobi sono solo esempi di città figlie del colonialismo.

Dopo la Grande Guerra
La grande corsa rallenta col nuovo secolo e si arresta sostanzialmente con lo scoppio della guerra mondiale. Tra le due guerre non succede quasi più nulla e le rispettive posizioni sono in sostanza consolidate. L'espansionismo dei paesi dell'asse è annullato dal successo militare degli alleati.
Nel dopoguerra avviene un doppio processo che cambierà radicalmente la faccia geopolitica del mondo: da una parte ci sarà un vasto processo di de-colonizzazione, dall'altro si svilupperà una nuova forma di imperialismo economico-finanziario in grado di aumentare a dismisura la differenza di ricchezza tra ex-colonizzatori ed ex-colonizzati, disegnando uno scenario che appare allo stesso tempo un desolante dejà-vu e una ulteriore novità.
[1] [5]The story of the Malakand Field Force, 1898

Perché l'imperialismo?

La spiegazione e la motivazione della grande spartizione del mondo ha trovato molte diverse interpretazioni. Su tutto vale la considerazione che ogni stato andrebbe analizzato a parte, poiché l'intreccio tra interesse economico, ambizione politica e clima culturale varia da caso a caso.
Dal punto di vista storiografico il dibattito ha preso il via dal testo del liberale inglese John A. Hobson del 1902 (“Imperialism”), in cui si attribuisce al colonialismo lo status di “effetto perverso” del capitalismo: in mancanza di un mercato interno dinamico, i governi cercarono con la forza nuovi sbocchi per la produzione industriale.

Negli anni si formarono due principali correnti interpretativi:

Storici “marxisti” – E' l'economia il fattore preponderante; la spinta e la motivazione per l'avventura coloniale viene principalmente su pressione dei grandi gruppi industriali e finanziari. La politica non riesce a gestire la logica militarista che porta alle estreme conseguenze (I guerra mondiale).
Storici non marxisti – Negano che l'imperialismo abbia radici economiche rilevanti e si sono concentrati su spiegazioni di carattere psicologiche, ideologiche, culturali e rpolitiche. Non sempre l'espansione imperialista ha portato al conflitto (ad esempio tra Gran Bretagna e Stati Uniti c'è sempre stato una relazione amichevole). Inoltre il vantaggio nel possesso delle colonie non era affatto certo. Gli investimenti nelle aree coloniali non fu mai significativo; e anche i nuovi mercati in Asia e Africa furono tutt'altro che redditizi.
Tra i primi spicca l'analisi di Lenin del 1916 ("L'imperialismo fase suprema del capitalismo"): in questo citatissimo testo indica nell'imperialismo l'ultimo stadio del capitalismo, quello dello sfruttamento dei popoli terzi,per la sopravvivenza stessa del sistema. Sebbene la teoria si sia dimostrata nel tempo non realistica – in virtù della straordinaria capacità del capitalismo di riformarsi – la posizione che evidenzia il nesso tra economia e impero sembra senz'altro rilevante.
Anche se dal punto di vista strettamente economico solo per la Gran Bretagna l'imperialismo si è dimostrato necessario, esistevano una serie di condizioni che “invitavano” i governanti europei a cercare un “posto al sole” nello scacchiere internazionale.
 
•  GLOBALIZZAZIONE DELL'ECONOMIA. Per la prima volta esiste una unica economia mondiale (oggi detta “prima globalizzazione” a fronte dell'attuale globalizzazione, che sarebbe la seconda). I paesi non industrializzati entrarono nell'orbita dei processi industriali – grazie anche a comunicazioni più veloci - come fornitori di materie prime: intere regioni furono stravolte per adattare l'ambiente e la popolazione all'estrazione di metalli o caucciù oppure per avviare monoculture estese per i mercati del nord del mondo. Infine, ma questo aspetto è secondario, servirono anche come mercati in cui piazzare le merci, in genere prodotti finiti, usciti dalle fabbriche europee.

•  CAPITALISTI VOGLIONO LE COLONIE. La borghesia commerciale e gli industriali fanno un grande pressione verso i governi perché si impegnino in una politica espansionistica. Anche se in realtà NON ERA NECESSARIA, i governi si comportarono COME SE lo fosse stata.

•  RISCATTO NAZIONALE. Spesso la spinta coloniale è strettamente legata alla costruzione di una identità nazionale, e svolge quindi una funzione di propaganda, sempre più importante nella nascente società di massa (offrire agli elettori la gloria di popolo superiore anziché riforme per vivere meglio). Nelle classi medie il messaggio passò molto bene, ma anche nella classe operaia la propaganda coloniale aveva il suo fascino. Fu coniato il termine “imperialismo sociale” per indicare l'opzione coloniale come arma per arginare il malcontento interno.

In sostanza l'imperialismo si spiega con l'insieme dei fenomeni – economici ma non solo – che interessarono la civiltà occidentale nella seconda parte dell'800, e in particolare dal 1870 in poi.

Quali le conseguenze del dominio europeo del mondo?
Se dal versante dei conquistatori i vantaggi furono molto diversificati a seconda del paese, e in generale NON FURONO FONDAMENTALI per lo sviluppo e la modernizzazione; dal versante dei conquistati l'imperialismo rappresenta il cataclisma fondamentale della civiltà non occidentale: fu un momento “drammatico e decisivo” che unì allo sfruttamento materiale la distruzione culturale: “La conquista del globo da parte della minoranza “sviluppata” trasformò immagini, idee e aspirazioni sociali, con la forza e le istituzioni, con l'esempio e con i mutamenti sociali.” [1] [1]

Come si vedrà nella sezione dedicata alla decolonizzazione, lo stesso movimento anticoloniale attinse a piene mani dalla cultura europea, contribuendo a distruggere a prezzi altissimi, la precedente cultura indigena. Imponendo stati nazionali omogenei in lingua, etnia e costumi dove da secoli le appartenenze e le identità erano quelle della tribù, del villaggio o della comunità; imponendo modelli economici estranei alla vita delle popolazioni rurali eccetera eccetera.
In pratica non fu tanto l'imposizione del modello occidentale a devastare l'Africa (in primo luogo), l'Asia e il Sudamerica, quanto la sistematica distruzione di tutto quello che c'era. Operazione peraltro quasi indispensabile, vista la ostinata incompatibilità delle tradizioni e degli stili di vita dei popoli del mondo extra-europeo con il modello capitalista/mercantile di europei e nordamericani.
[1] [5]Hobsbawm, cit., p.90

Decolonizzazione

Il mondo disegnato dall’età dell’imperialismo presentava evidenti squilibri. Prima ancora che di natura economica o geopolitica di semplice contabilità:
1 cittadino britannico comandava su 100 indiani
1 cittadino italiano comandava su 29 etiopici
1 cittadino belga comandava su 170 congolesi
Solo per fare qualche esempio.
Ma questo è solo un aspetto esteriore della situazione. L’aspetto veramente decisivo, su cui ruota qualunque analisi seria del fenomeno, è la sconvolgente trasformazione a cui sono stati sottoposti i popoli soggetti a dominio. In altre parole il fenomeno del colonialismo ha segnato l’apogeo della “cultura unica”, della presunzione di imporre una propria visione del mondo agli altri. Il paradosso a cui si è andati incontro – una tendenza che in tempi di decolonizzazione si è anche accentuata - è che il mondo extraeuropeo si è adattato all’idea di civiltà sottosviluppata che l’europeo gli attribuiva. L’ignoranza e l’incapacità di concepire il mondo al di fuori di alcuni particolari valori hanno reso possibile un’incredibile sistema di relazioni (economiche, culturali) tra i paesi tale da giungere, con una progressione spaventosa, ai dati di povertà attuali. Che sono i più alti nella storia, a fronte di una ricchezza complessiva decine se non centinaia di volte superiore a quella di 30 o 50 anni fa.
Cronologia della decolonizzazione
La decolonizzazione è il fenomeno che porta alla nascita di stati indipendenti dove prima c’erano possedimenti coloniali.
NOTA BENE : prima della colonizzazione NON C’ERANO stati sovrani. I casi di entità statali precedenti al dominio straniero sono eccezioni. I territori e le popolazioni erano organizzati secondo altri schemi socio-politici: c’erano autorità religiose (i califfati nell’area medio-orientale) oppure autorità locali oppure regni basati sulla semplice fedeltà, senza confini e struttura statale. Un mondo estremamente vario e multiforme quasi indefinito: un insieme posti ognuno dei quali potrebbe dirsi come il “luogo delle differenze”.
Il 1946 festeggia il primo paese libero dal dominio: sono le Filippine. Il 1947 è l’anno dell’India. Il nuovo governo laburista di Clemente Attlee concede l’agognata indipendenza – è il trionfo della strategia della nonviolenza e della resistenza passiva di Ghandi – ma la rivalità interreligiosa tra mussulmani e indù, incentivata dagli stessi inglesi nel tentativo di spaccare il fronte anticolonialista, porta alla secessione del nord-est: nasce il Pakistan.
1949 tocca all’Indonesia;
1951 Libia (era sottoposta all’amministrazione britannica);
1957-62 viene disegnata la mappa geopolitica dell’Africa. Nascono Senegal, Costa d’Avorio, Repubblica del Congo, Repubblica Centroafricana, Camerun, Ciad, Gabon…
1962 L’Algeria, dopo una durissima guerra civile, proclama l’indipendenza.
1970 si completa la liberazione coloniale nel continente nero: Angola, Monzambico, Guinea-Bissau, Isole di Capoverde. Anche il Portogallo entra nel club dei paesi ex-colonialisti.
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Domanda cruciale: diventano veramente indipendenti?
Economicamente NO
Culturalmente NO
Politicamente SI
 
LOTTA DI LIBERAZIONE

La lotta di liberazione ha una lunga storia e una curiosa evoluzione. I primi successi militari dei paesi extraeuropei giungono a cavallo tra Ottocento e Novecento. Nel 1896 Adua è il teatro della disfatta dell’esercito italiano, sopraffatto dalle truppe di Menelik re d’Etiopia[1] [1]. Nel 1905 è il turno della Russia ad essere sconfitta da un esercito non europeo: il Giappone della modernizzazione lampo voluta da Meji.
 
Il modello più affascinante della storia della decolonizzazione è quello proposto e realizzato Ghandi. Per rivendicare l’indipendenza del continente indiano Ghandi introduce due elementi nuovi:
1. La forma partito.
2. La filosofia della non violenza e della resistenza passiva.
 
Nel 1920 riorganizza il Partito del Congresso con lo scopo di promuovere un’azione politica coinvolgendo le masse popolari. Accanto alla libertà dal dominio inglese il partito proponeva una piattaforma democratica per il progresso di tutto il popolo.
Rivoluzionario fu la pratica con cui portò avanti l’azione politica: non attentati terroristici e guerriglia, bensì resistenza passiva e propaganda attraverso la filosofia della non violenza. Sul terreno militare i britannici erano imbattibili: per vincere bisognava cambiare il campo di gioco!
 
DOPOGUERRA

La seconda guerra mondiale cambiò la gerarchia geopolitica. Usa e Urss grandi potenze antagoniste, l’Europa destinata ad un inevitabile ridimensionamento. In questo quadro la smobilitazione delle colonie si rivelò un punto fondamentale per la politica internazionale del dopoguerra. Non solo. Dal punto di vista economico i paesi liberi dal dominio europeo potevano essere preziosi alleati per l’ideologia liberista o per quella comunista. Spesso la decisione delle leadership indipendentiste se appartenere a un campo o all’altro era puramente strumentale; la grande tragedia della decolonizzazione sta quasi tutta in questa ingerenza.
Infatti la lotta di liberazione era condotta contro i paesi occidentali MA con la mentalità, i valori, la logica politica degli occidentali stessi. Le élite che guidavano i movimenti indipendentisti – che fossero o meno socialistizzanti – erano istruiti nei college inglesi o americani o francesi: pensavano alla libertà del popolo ma secondo aspettative tipiche degli europei: uno stato nazionale, una religione unica, una transizione economica che mirasse all’industrializzazione e alla rapida crescita economica.
La libertà politica muterà in breve in dipendenza economica, in sottomissione ideologica e culturale, in spoliazione delle ricchezze naturali e delle ricchezze culturali. Vediamo in che modo si è realizzato questa rapina.
 
Economia

Premesso che i paesi in area comunista (Vietnam, Corea del Nord, Laos e molti altri) non avevano possibilità di sviluppo per molteplici ragioni, concentriamo la nostra attenzione sui modelli adottati e imposti per la parte “libera” delle aree ex-colonie.
I paesi affrancati dal dominio coloniale furono invitati a seguire il modello Rostow, cioè creare le condizioni perché si ripetesse il miracolo dell’Inghilterra a fine ‘700 e giungere così ad una società industrializzata (punto 1) regolata dal libero mercato (punto 2) guidata da una borghesia dinamica e influente (punto 3).
La cosa non funzionò.
I motivi sono in parte intuitivi – troppe le differenze! – in parte che richiedono un po’ di approfondimento.
Frank Fanon nel suo “I dannati della terra” del 1959 ci parla di un mondo abituato da decenni o secoli alla dominazione: uomini e donne assuefati nel modo di pensare alla sudditanza. Anche fisicamente il mondo coloniale è particolare: da una parte i quartieri ricchi e lussuosi (una ricchezza spesso maggiore e sicuramente più sfacciata di quella della madrepatria) dall’altra città malfamate, sovraffollate, strade sporche, con grande povertà. “I rapporti tra coloni e colonizzati sono rapporti di massa”.
Dal punto di vista storico dobbiamo evidenziare l’importanza del processo 1945-1970 (o anche e meglio 1896-2008) sul momento (anno di indipendenza).
Le differenze di ricchezza nord-sud sono mutate profondamente nel corso del processo di colonizzazione e decolonizzazione:
P. Bairoch ha tracciato un percorso su base 1 per dare l’idea del progresso nelle diverse aree del pianeta:
 
EUROPA
RESTO DEL MONDO (Cina e India)
1850
1
1
1900
35
2
1950
135
5
1990
412
9
  
È lo sviluppo del sottosviluppo, non crescita autonoma. È anche la ragione dei flussi migratori verso le zone di sviluppo. N.B. I processi di globalizzazione (vedi sezione) allargano drammaticamente la forbice.
 
da completare...

Visto dall’altra parte

Consapevoli dell’impossibilità di fornire una visione realistica del pensiero e dell’esperienza dal punto di vista dei colonizzati, questa sezione  è un piccolo contributo contro quella deprecabile pratica di trattare qualunque problema assumendo tutte le parti: degli sfruttati, degli sfruttatori, dei generosi e dei cinici.  Così avviene sui giornali, sulle Tv, nelle Ong, nei siti internet, nelle manifestazioni antirazziste….spesso la voce dei veri protagonisti resta sullo sfondo, ai margini: sono gli europei o i loro discendenti, che massicciamente inondano i mezzi di informazione con una storia del dominio coloniale basata su luoghi comuni e amnesie, nonché con spiegazioni socio-economiche del sottosviluppo al limite dell’incomprensibilità. Ecco perché si conclude con un intervento di  Doudou Diene e una storia recentissima, ma identica a mille altre dell'Africa, di guerra e di ipocrisia.

Le quattro “emme” del colonialismo

Gli africani parlano della colonizzazione citando le "quattro emme" :
La prima M è riservata ai monaci. Sono stati loro, in qualità di missionari, i primi ad arrivare.
Dopo sono arrivati i militari. Le nuove leggi, del commercio, del lavoro e delle tasse, dovevano pur essere imposte con la forza. Nell’Ottocento la chiamavano civilizzazione; nel dopoguerra Sviluppo. Oggi modernizzazione oppure libertà (!), almeno secondo George W. Bush.
Con l’ordine ristabilito, poterono arrivare i mercanti. Il libero commercio imposto a tutto il mondo, questa è la sostanza della globalizzazione.
L’ultima emme è riservata ai memorialisti. Una volta destrutturata la società indigena, intellettuali, professori, economisti, politici, storici si sono gettati in un’opera pazzesca e devastante: riscrivere la memoria storica, la cultura e l’identità dei popoli dominati. Naturalmente per fare questo andava distrutta l’identità esistente.
(Intervento di Doudou Diene, funzionario Onu, a San Rossore nel luglio 2008)

Le guerre d’Africa

(A proposito della guerra della Repubblica Democratica del Congo – l’ennesima guerra d’Africa - e dei suoi governi corrotti)
"… Al di sopra di tutti questi falchi ci sono le multinazionali, principalmente anglosassoni, che nell’ombra tirano le fila del gioco. Sono loro i veri mandanti di tutte queste guerre grazie alla loro influenza economica sulla politica estera dei loro governi. La prova evidente è rappresentata dalla crisi finanziaria internazionale che ha scosso seriamente il mondo occidentale disarticolando il sistema bancario. Consapevoli della fragilità dei loro regimi, i governi occidentali si sono uniti per sostenere le banche - una cosa mai vista in un regime capitalistico  - invece di sanzionarle per il loro fallimento. La crisi permette di capire le cause nascoste della guerra in Africa orientale, in particolare nel Kivu, così come è successo in Afghanistan con il gas del mar Caspio e in Iraq con il petrolio. La Rdc possiede petrolio, diamanti, gas, oro, legname, niobio, coltan e altri prodotti preziosi. Le multinazionali non arretrano di fronte a nulla, e hanno uomini influenti all'interno dei governi occidentali e delle istituzioni internazionali per servire le loro cause e i loro interessi, per orientare le grandi decisioni nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La debolezza delle missioni di pace dell’Onu in Angola, in Ruanda, in Bosnia Erzegovina, in Somalia e adesso nella Repubblica Democratica del Congo non è casuale. Si tratta di fallimenti voluti e programmati, che favoriscono queste politiche di controllo dei governi e delle loro ricchezze e la creazione di stati deboli e incapaci di imporsi.
L’unico modo per riportare la pace, la sicurezza e lo sviluppo nella regione dei grandi laghi è impegnarsi a combattere i veri beneficiari di questa guerra.
Le Pontentiel, Repubblica democratica del Congo (da Internazionale del 7/11/2008).

Parte III – 1914-1945

Le alleanze pre-guerra

FR e GER erano divise da vecchie ruggini, a partire dai territori dell’Alsazia-Lorena che la Germania aveva strappato alla FR nel 1871. GB e GER erano le concorrenti mondiali nel risiko del colonialismo: Africa e Pacifico erano i fronti caldi della contesa. Le alleanze erano pertanto quasi di ordine naturale: da una parte FR-GBe Russia, dall’altra GER, impero austro-ungarico e impero ottomano (aveva perso il treno della seconda industrializzazione ed era in tutto e per tutto dipendente dai capitali tedeschi). E l’Italia. Indecisa come al solito! Legata dalla triplice alleanza a GER e AUS era sempre meno convinta della scelta. Infatti quando scoppiò la guerra, il governo di Roma, si appellò all'articolo 4 che sanciva la situazione di guerra difensiva, e si dichiarò neutrale.

Cina

Formalmente indipendente, la sua arretratezza consente a tutti i paesi europei di penetrarvi ecnomicamente e, talvolta, costituire sul territorio delle colonie indipendenti: Hong Kong per GB, Tapei il Portogallo, Nanchino l’Italia ecc. Nel 1900 alcuni giovani cinesi si ribellano alle “multinazionali” europee ma vengono trucidati dai soldati stranieri. I disordini offrono un nuovo spunto per colonizzare ulteriormente l’ex impero celeste. La parte nord-est della Cina (la penisola della Manciuria, le isole Sakhalin e la Corea), diviene terra di contesa tra Giappone e Russia. Nel 1905 scoppia la guerra, perché lo zar – sicuro di vincere – rifiuta ogni intesa. Ma vince il Giappone: per la prima volta nella storia un paese asiatico batte uno stato europeo.

Equilibrio internazionale:

FR preoccupata per l’espansionismo tedesco, cerca di intessere accordi diplomatici con mezzo mondo. La GER invece compie una serie di errori o sconfitte diplomatiche.

1° sconfitta diplomatica: FR e GER si contendono il Marocco. Viene fatta la conferenza internaz. E tutti sono favorevoli alla Francia. GB si comportò da protettrice della FR. All’epoca FR e GB erano militarmente molto più forti della GER, che ingoiò il boccone amaro.

2° sconfitta diplomatica: tentò un accordo con la Russia. Lo zar però si rimangiò la parola una volta tornato in Russia. I suoi consiglieri erano molto più vicini al mondo anglo-francese (il francese era, da secoli, una lingua parlata alla corte dello zar).

3° sconfitta diplomatica: nel 1907 GB e RUS sottoscrivono un accordo di spartizione del Medio Oriente. L’intesa GB-FR-Russia mette la GER nella condizione di essere accerchiata.

4° sconfitta diplomatica: nel 1913 l’Italia non rinnova la triplice intesa. Si sfila l’alleato a sud, che diviene anche un potenziale nuovo alleato dei suoi antagonisti.

Crisi Balcanica

Un altro fronte caldo era il nord Africa. La FR invade militarmente il Marocco, mentre la GER invia una flotta per impedirlo. Sono i generali inglesi che – intimando alla GER la possibilità di un attacco – fanno retrocedere le truppe del Kaiser. La GER però si sta attrezzando rapidamente per recuperare il gap dalla Gran Bretagna.

LA GUERRA


Riguarda paesi imperialisti mossi dalla volontà di ridefinire – o proteggere – i rapporti di forza nello scacchiere mondiale.  Il 28/06/1914 a Sarajevo un giovane anarchico bosniaco spara – uccidendolo – al principe ereditario di Austria Francesco I. Lo fece – ironia della sorte! – per sostenere l’annessione della Bosnia alla Serbia. Per reazione l’AUS inviò alla Serbia una lista lunghissima di condizioni sottoposte a ultimatum (e non a trattativa). La crisi va avanti un mese circa, al termine del quale la Serbia rifiuta un punto solo; ma è sufficiente all’AUS per dichiararle guerra: è il 28 luglio 1915. Il gioco delle alleanze porta, nel giro di una settimana mezzo continente in guerra:

la RUS corse in aiuto dei fratelli serbi

la GER intimò alla RUS il ritiro, di fronte al no dichiarò guerra alla RUS;

FR e Belgio andarono in aiuto dell’alleato russo

GER e AUS inviarono un ultimatum anche a loro, determinato una nuova dichiarazione di guerra e l’ingresso nella contesa della GB, principale alleato della FR. Turchia e Bulgaria entrarono a fianco degli imperi centrali.

Avvicinando lo sguardo oltre la combinazione delle alleanze vediamo un grande nervosismo negli stati maggiori dei vari paesi. La propaganda internazionalista del socialismo indicava infatti il rifiuto da parte delle masse dei lavoratori a combattere la guerra imperialista: in molti temevano il boicottaggio dei seguitissimi partiti marxisti. E invece la propaganda nazionalista ebbe la meglio sulla propaganda socialista: tutti i partiti socialisti si schierarono con i rispettivi governi. Solo in Italia, Serbia e Russia i socialisti erano contrari. In FR il leader Jaurés pacifista fu ucciso alla vigilia della guerra.

I cittadini e i capi di stato erano convinti che il conflitto sarebbe stato breve e che si sarebbe concluso con una vittoria. I tedeschi avevano in mente il 1871, gli alleati le scaramucce di inizio secolo.

La grande guerra

Piano Schlieffen (dal nome del capo di stato maggiore) era il progetto per attaccare e battere rapidamente la FR, per poi liquidare GB prima che riuscisse a costituire un forte esercito di terra. A quel punto le operazioni sarebbero proseguite in Russia per conquistare importanti territori ad est.

Invece il conflitto prese subito un’altra piega. Conquistato il Belgio le truppe tedesche puntarono verso Parigi ma furono bloccati lungo il fiume Marna. Helmuth Ludwig Von Moltke (ger) e Joseph Joffre (fra) erano i generali che condussero la battaglia: entrambi attestarono gli eserciti lungo un confine mobile costituito da enormi trincee. Resterà questa la tipologia del conflitto: armi troppo potenti per un combattimento a campo aperto, ma non abbastanza per entrare nel territorio avversario. Il gioco delle alleanze allarga il campo – e allunga le trincee – in tutta Europa: entra la Turchia, l’Austria, la Russia e molti altri alleati minori. La guerra prosegue su fronte occidentale (Ger-Fra) e il fronte orientale (Ger/Aus – Rus). Vengono conquistate dalle truppe tedesche la Polonia, la Serbia e il Belgio. Ma il grande attacco lanciato nel 1916 nella zona di Verdun viene respinto dai soldati dell’Intesa (si chiama così il fronte di alleati costruito intorno a Francia e GB). Siamo nella primavera, in estate invece c’è la controffensiva per alleggerire il fronte lungo il corso della Somme (tra l’altro la prima battaglia che vide impiegati dei rudimentali carri armati). La dimensione della carneficina prodotta dalla guerra sta tutta nei numeri di queste due battaglie: circa 600.000 a Verdun, più di 1 milione per la Somme.

Nel fronte sud, senza ripetere gli stermini del nord Europa, la battaglia si svolgeva lungo il corso impervio delle Alpi – tra ITA e impero Austroungarico – con una leggera supremazia austriaca.

Le difficoltà della GER a portare a termine la guerra convinsero il Kaiser a cambiare i vertici militari: vi giunsero due nomi importanti per la storia seguente del paese Paul von Hindenburg e Eric Ludendorff. Ma le cose non cambiarono.

La svolta l’abbiamo nel 1917 con l’ingresso in guerra degli Stati Uniti. Evento ancora oggi legato ad una serie di leggende su questo inspiegabile ritardo, ma comunque indotto dalla guerra sottomarina che la GER conduceva per impedire i rifornimenti navali ai paesi dell’Intesa. L’affondamento di convogli statunitensi dette  la motivazione per un coinvolgimento della potenza americana a fianco degli inglesi. Il 6 aprile 1917 il presidente Woodrow Wilson dichiarò guerra alla Germania. La propaganda diceva che combattere in Europa servisse per sostenere la libertà e la democrazia, ma c’erano anche interessi economici vitali per il paese: i crediti verso l’Europa occidentale e la possibilità di mantenere e allargare il commercio internazionale.

Nel giro di pochi mesi però le cose si mettono bene per i tedeschi. La Russia collassa, l’esercito va in rotta e Pietrogrado (allora capitale imperiale, oggi San Pietroburgo) sembra sull’orlo della rivoluzione. Ad ottobre gli austriaci sfondano il fronte di Caporetto e penetrano in tutto il Friuli e il Veneto. La caduta dell’Italia è sventata dalla resistenza sul Piave. In questo anno, in tutti gli eserciti, cresce il fenomeno della diserzione e del rifiuto della guerra. La rivoluzione d’ottobre accenderà ulteriormente la miccia dell’internazionalismo pacifista.

1918

A marzo c’è la firma di Brest-Litovsk per la pace separata tra GER e RUS. Tutto l’esercito tedesco marcia su Parigi, ma l’Intesa ricca di rifornimenti made in Usa tiene bene in quella che è conosciuta come 2ª battaglia della Marna. In estate inizia la controffensiva decisiva. Lo stesso fa l’Italia contro le truppe austriache. A settembre con un milione di americani in suolo europeo la guerra è decisa. L’11 novembre lo stato maggiore tedesco si arrende a inglesi francesi e americani.

L’Italia in guerra

Nel 1914 l’Italia è neutrale. La triplice alleanza era ormai lettera morta; nessun altro trattato era stato sottoscritto. Una situazione che oggi appare di grandissimo vantaggio, ma che all’epoca diede vita ad un dibattito durissimo, innescato dagli interessi delle grandi lobbies industriali e finanziarie. Da una parte c’erano i nazionalisti e i futuristi, intellettuali e studenti, dall’altra i neutralisti classe operaia e partito socialista. I liberali di sinistra sostenevano un’ingresso in guerra dalla parte della Gran Bretagna e della Francia. Ma fu il re – approfittando della caduta del governo Giolitti (contrario all’entrata in guerra) – a stipulare a Londra nell’aprile 1915 un patto segreto per aprire un fronte sud contro gli imperi centrali. Cosa ottenne in cambio? Poco. Il sud Tirolo e l’Istria. Gli imperi centrali, con cui lo Stato Maggiore aveva trattato un possibile accordo prima di propendere per l’offerta inglese, offrivano quasi la stessa cosa (Savoia anziché Tirolo). Il 24 maggio l’Italia entrò solennemente in guerra.

Il primo ministro era Salandra; il generalissimo Cadorna. Il fronte di guerra su cui mandare migliaia di ragazzi si dispiegò lungo tutte le alpi orientali Trentino, Veneto e Friuli. L’esercito si dimostrò inadeguato alla guerra da trincea, con soldati male addestrati (e pochissimo motivati) e attrezzature obsolete. Quando nel 1917 l’Austria lanciò l’attacco con i gas chimici e una tattica di aggiramento il fronte di Caporetto fu sfondato e gli italiani ripiegarono per centinaia di chilometri. La linea del Piave funzionò da argine – siamo in ottobre con il fiume in piena - per bloccare l’invasione austriaca. La disfatta porta al cambio di governo e dei vertici militari. Orlando è il primo ministro, Diaz il capo di stato maggiore. Nell’estate del 1918 c’è la controffensiva vincente. La resa austro-tedesca del 3 novembre pone fine al conflitto. Per l’Italia una vittoria amara, con 600 mila morti, altrettanti feriti gravi e un’economia allo stremo. L’unica speranza era racchiusa nella partecipazione, come stato vincitore, al tavolo di pace di Versailles.

Guerre mondiali

In questa sezione...

La prima guerra

La Grande Guerra

La prima guerra mondiale è conosciuta anche con il termine di “Grande Guerra” perché così apparve alle popolazioni che vi si trovavano coinvolte. Era una guerra “Grande” non solo per estensione dei fronti e per numero degli stati coinvolti: mai prima c'erano stati tanti soldati in trincea, tante armi in dotazioni agli eserciti, tante industrie impegnate a sostenere lo sforzo bellico.
E inoltre il mondo veniva da cento anni di “quasi pace”.
 
Per gli anziani della prima parte del ‘900 “pace” significava “prima del 1914”. Dalla resa di Napoleone le guerre erano state poche, lontane e senza conseguenze. C'era stata la guerra di Crimea (1854-1856) [1] , la guerra civile americana (1861-1865) , le guerre di espansione della Prussia (1866 e 1871) e dell'Italia (1859-61 e 1866). A questi scontri si aggiunsero i conflitti coloniali e le battaglie tra paesi imperialisti: nelle città europee gli echi di queste guerre giungevano quasi come racconti d'avventura, circondati da un'aurea di leggenda ed esotismo. Tutto cambiò nel 1914.
I fatti

Il conflitto mondiale si scatenò in seguito all'ultimatum dell'Austria-Ungheria alla Serbia agitata da spinte indipendentistiche.
La contrapposizione vide da una parte gli imperi centrali Germania e Austria-Ungheria e dall'altra la triplice intesa Gran Bretagna, Francia e Russia . Gli imperi centrali ottennero l'aiuto dell'impero ottomano – in drammatica decadenza – e della Bulgaria (stati nell'area di influenza economica tedesca). La Triplice intesa riuscì a costruire nel tempo un ampio schieramento comprendente la Grecia, la Romania, l'Italia (dal 1915) e gli Stati Uniti (dal 1917).
Quale l'obiettivo della Germania?
La Germania pensava a una guerra lampo con lo sfondamento del fronte francese e la capitolazione della vecchia antagonista, una replica del 1871 insomma. Ma non andò così, per quanto nel 1914 le operazioni sembravano dare ragione allo stato maggiore tedesco.
Cosa successe?
Arrivati sulla Marna le posizioni si attestarono: i francesi, supportati da reparti belgi e inglesi, scavarono migliaia di trincee dalla Manica alla Svizzera formando il cosiddetto “fronte occidentale” che rimase quasi immutato per tre anni e mezzo.
I numeri della catastrofe
La tragedia del fronte occidentale si trova nei numeri dei combattenti: i francesi persero il 20% degli uomini in età militare; la Gran Bretagna perse mezzo milione di uomini, in gran parte giovani di Oxford e Cambridge; la Germania ebbe numericamente le perdite più alte, ma la quota dei giovanissimi era meno rilevante (più ampia la fascia di età della chiamata alle armi). Gli Usa ebbero 116.000 caduti, un terzo di quelli della II guerra mondiale, ottenuti però in un solo anno e mezzo di combattimenti (contro i 3 anni e mezzo del 1942-45) concentrati nel fronte francese. Le battaglie più tragicamente note sono quelle su Verdun nel 1916 che vide impegnati 2 milioni di uomini e causò 1 milione di morti; e la controffensiva inglese sulla Somme, che costò la vita a 420.000 soldati dell'Intesa; 60.000 il primo giorno di offensiva.
In confronto a Napoleone
Per capire come il Novecento abbia introdotto la guerra totale (fatta oltre che dai soldati, dai lavoratori delle industrie e dipendente dalla quantità delle risorse e di materiali) basta un confronto con le guerre napoleoniche. Napoleone sconfisse la Prussia a Jena nel 1806 con non più di 1.500 salve di artiglieria. All'inizio della IGM la Francia aveva pianificato di produrre 12.000 granate al giorno. Alla fine del conflitto arrivò a produrne 200.000 al giorno. Le guerre mondiali fecero fare un salto di qualità anche nella produzione di massa e nell'organizzazione del lavoro.
L'Italia e il fronte orientale
Il fronte orientale si rivelò più fluido. Le truppe degli imperi centrali occuparono con relativa facilità i Balcani e la Polonia. La Russia si ritrovò a combattere una guerra di retroguardia mentre Romania e Serbia capitolarono in breve. Gli alleati speravano di risalire da sud grazie all'entrata in scena dell'Italia. Nel 1917, dopo la disfatta di Caporetto, furono necessari supporti militari da contingenti stranieri per resistere alla controffensiva austriaca.
La fine della guerra
Lo stallo militare sul fronte occidentale fu superato nel 1918 quando la Germania firmò a Brest-Litovsk la resa della Russia andata in mano ai bolscevichi e gli Stati Uniti entrarono a fianco dell'Intesa. Lo sfondamento del fronte in direzione Parigi fu l'ultimo successo militare della Germania: la controffensiva di inglesi, francesi e americani nell'estate del 1918 fu rapida e vincente. La guerra finì l’otto novembre 1918, lasciando sul campo dieci milioni di uomini .

Le caratteristiche
La Grande Guerra rappresenta un punto di rottura nello scorrere della civiltà occidentale (diversa è invece la percezione del 1914-1919 nelle altre civiltà: islamica, indiana, orientale) e rappresenta anche un modo nuovo di concepire il conflitto tra stati.
Si possono individuare quattro elementi indicativi di questo mutamento:
1 – Mobilitazione totale
2 – Tecnica e la tecnologia si dimostrano determinanti per la vittoria militare. Molto di più dell'abilità strategica o del coraggio dei combattenti
3 – Lo stato interviene pesantemente con tutto l'apparato industriale e con la possibilità di pianificare l'intera fase di produzione e distribuzione della ricchezza
4 – Controllo dell'opinione pubblica e il ruolo della propaganda diventano fattori decisivi per la conduzione della guerra.

Da questo sintetico quadro risulta evidente il legame tra la prima guerra mondiale e il successivo sviluppo di regimi totalitari che mantengono, in periodo di pace, molte delle condizioni adottate per rispondere all'emergenza della guerra. Si pensi principalmente alla militarizzazione della cultura, ovvero all'enfasi posta sui valori di patria, di obbedienza all'autorità, di mobilitazione di massa all'interno delle strutture nazionali (associazionismo sottratto ai partiti, alla chiesa, ai sindacati ecc.). Inoltre non si può dimenticare il decisivo apporto dei reduci, all'ascesa delle formazioni politiche di estrema destra, come il fascismo in Italia e il Nazionalsocialismo in Germania. Peraltro lo stesso Hitler era uno dei tanti reduci del fronte che non si sono integrati nell'Europa post-bellica.
Dal punto di vista della percezione della realtà, la guerra introduce nelle società europee l'idea del nemico totale e dell'adesione incondizionata a questa contrapposizione: un vero e proprio aut aut mentale che lo stato impone ai suoi cittadini: o con me o contro di me! Chi non collabora o è neutrale è visto come un nemico. La distruzione del dissenso emerge come capitolo importante della politica interna dei nuovi governi nel dopoguerra: un'eredità antidemocratica della guerra molto diffusa tra le due guerre (e anche in seguito…).
Dall'altro lato della medaglia c'è invece il sorgere di un vero e proprio sentimento pacifista di massa. La dimensione spaventosa del conflitto e la percezione della sua inutilità per le popolazioni, provocarono un vasto movimento di opinione favorevole al disarmo, all'antimilitarismo, alla pace come obiettivo politico prioritario. Poeti, artisti, intellettuali agirono da spina dorsale della nuova corrente di pensiero: una posizione soltanto marginalmente recepita dai governi, troppo poco per impostare relazioni internazionali sinceramente tese a stabilire un ordine pacifico, ma abbastanza per procrastinare sine die ogni ferma presa di posizione verso le minacce militari di Germania e Giappone. Questa però è un'altra storia.

Perché la guerra?
 
La famosa “scintilla” fu l'attentato di Sarajevo. Le alleanze militari spiegano tecnicamente la composizione degli schieramenti. Ma questo non è sufficiente per giustificare una tragedia continentale di tale portata. Quella che è stata descritta anche come “il suicidio dell'Europa” ha segnato il passaggio agli Stati Uniti d'America del ruolo leader dell'economia mondiale. Quindi, come è stato possibile?
Se una risposta univoca non esiste, possiamo tracciare una serie di motivazioni che, sovrapposte, offrono un quadro plausibile del perché gli statisti europei non sono riusciti a evitare una inutile carneficina.
Guerra breve
Nessuno immaginava una guerra più lunga di qualche settimana, massimo qualche mese. I ricordi affondavano alle gloriose battaglie di Von Bismark, che sbaragliò l'esercito di Napoleone III in pochi giorni, oppure all'epopea napoleonica dove la guerra era composta da una serie di battaglie campali, gestite poi in sede diplomatica.
L'inferno delle trincee, sostenute da popoli interi, fu un fatto inedito che colse alla sprovvista tutti: soldati, generali, capi di stato. Ma, in ogni caso, le forze in campo avevano un equilibrio che non permetteva a una parte di soverchiare con decisione l'altro.
Perché non si fermarono una volta che i fronti raggiunsero lo stallo?
La mentalità che aveva guidato le scelte degli statisti fino ad allora non era stato quello della guerra fino alla morte. Cosa avrebbero fatto i vari Bismark o Telleyrand al posto dei governi coinvolti nella Prima guerra mondiale? Probabilmente avrebbero trovato una via di uscita diplomatica nel momento che le posizioni si erano attestate. Se andarono avanti tre anni a massacrarsi sulle trincee significa che era cambiata la posta in palio. La guerra non era più finalizzata a obiettivi limitati: la Germania voleva una posizione di predominio politico pari a quello britannico, il che avrebbe relegato a un rango inferiore la potenza inglese già in declino. Era un aut aut. La Francia doveva bilanciare l'espansione economica e demografica della Germania. Per tutti l'obiettivo era assurdo e autolesionistico e cacciò l'Europa in un tunnel senza uscita.
E' da notare come che una delle spinte maggiori alla costruzione dell'Europa venne all'indomani della seconda guerra mondiale dalla necessità della Francia di modificare per sempre lo scenario della competizione continentale tra i due paesi. In questo senso il successo dell'Unione Europea travalica ogni considerazione di ordine economico, sociale e culturale.
Consenso
La fase storica era favorevole agli interventisti. Lo sviluppo delle società democratiche e di massa favorì la comunicazione da parte di giovani intellettuali e spregiudicati imprenditori, inclini all'azione, al gesto eroico, all'impresa storica. C'era inoltre la guerra interna contro l'ideologia socialista, a cui la guerra esterna sembrava essere un ottimo antidoto (ideologia nazionalista contro ideologia socialista). La massa di contadini e operai era sicuramente contraria alla guerra, e questo comportò un grande sforzo da parte di tutti gli stati per convincere le proprie truppe e il proprio popolo dell'importanza del sacrificio.
La propaganda riuscì? Solo in parte!
E' vero che in fin dei conti la guerra fu fatta, e gli episodi di ammutinamento e diserzione non furono mai determinanti. Però è anche vero che le rivolte e le diserzioni furono di un numero spaventoso: in alcune situazioni gli ufficiali francesi o italiani si trovarono costretti a fucilare decine di soldati come monito (in particolare è molto alto il numero dei soldati italiani uccisi per diserzione nella rotta di Caporetto per obbligare alla resistenza sul Piave); dopo la rivoluzione interi reparti russi abbandonarono il fronte, o si rifiutarono semplicemente di combattere. In generale la resistenza ad obbedire agli ordini si è avuta dopo i primi mesi (quando l'illusione della guerra breve fu del tutto dissipata) e in seguito alla rivoluzione russa, quando le parole di pace e giustizia raggiunsero con grande forza persuasiva tutti i fronti e tutti i paesi.
Non abbastanza in ogni caso, per ribaltare il destino della guerra.

 Quali conseguenze?

La ricaduta sociale è, come abbiamo visto, molto alta. Dal punto dell'assetto tra stati c'è da registrare la distruzione degli imperi centrali e la nascita di uno stato sovietico nell'ex Russia zarista. Vediamo stato per stato la situazione:

Usa
Propongono i 14 punti di Wilson [1] e lavorano per il ripristino del sistema internazionale liberista. La difficoltà degli stati europei si dimostra un limite invalicabile: ben presto tutti gli stati abbracciano politiche di protezionismo economico. Gli Stati Uniti hanno molte responsabilità perché si disimpegnano completamente dalla SdN che hanno creato, lasciando al suo destino Gran Bretagna e Francia.

Francia
Assume una posizione difensiva e vendicativa. Per avere mano libera sulle riparazioni tedesche lascia l'intero Medio oriente alla Gran Bretagna.

Gran Bretagna
Pensa di riprendere il controllo dell'economia mondiale in virtù del suo vasto impero. L'estensione sui territori mediorientali di Giordania, Palestina, Arabia e Iraq (Califfati dell'ex impero ottomano trasformati in Stati Nazionali) poteva dare l'illusione di una pronta ripresa.

Germania
Fu umiliata dai Trattati. In oscillazione tra la rivoluzione (sfiorata nel 1919 quando furono assassinati i leader Rosa Luxemburg e Liebknecht Wilhelm) e l'estremismo nazionalista, non riuscì a consolidare la “repubblica di Weimar” intorno ad un consenso stabile.

Italia
Benché vincente parla di “vittoria mutilata”. In realtà ottiene confini più ampi sia dei meriti militari sia dell'appartenenza etnica.

L'economia mondiale entra in una crisi senza via d'uscita. I livelli di ricchezza del 1913 diventano un punto di riferimento quasi “mitico”. Le politiche protezionistiche, adottate per salvaguardare le economie nazionali, in realtà contribuirono pesantemente alla catastrofe economica.
Per quanto riguarda lo scontro di ideologie, quanto emerge dalla sezione riguardante i trattati di Versailles [2] è molto esplicativo.

 
[1] La guerra di Crimea vide contrapporsi la Russia, interessata all'apertura sugli stretti controllati dalla Turchia, contro Francia e Gran Bretagna (a cui si unì anche il Piemonte Sabaudo). La Russia ebbe la peggio.

La guerra degli italiani

Premessa: l'Italia entrò un anno dopo con i fronti già attestati, per una mossa autonoma del Re che stipulò, a Londra, un contratto che metteva nero su bianco il compenso per l'ingresso dell'Italia tra i paesi dell'Intesa. Quindi il Re portò il paese in guerra per avere il Trentino, il Friuli, l'Istria e la Dalmazia. L'anno di neutralità vide una durissima conflittualità ideologica tra interventisti e non interventisti.

Nel 1911 la popolazione italiana contava 36 milioni di abitanti (2 dei quali però emigrati all'estero) in maggioranza ancora legati al mondo agricolo. In altre parole il 58% erano contadini, il 24% addetti dell'industria e artigianato e solo il 17% impiegati nel terziario.
Arruolati nell'esercito nel periodo 1915-18 furono 5.900.000 (su 7,7 milioni di famiglie); il reclutamento coinvolse cioè statisticamente i 4/5 delle famiglie, anche se ci furono punte diverse a seconda delle zone. In Toscana ad esempio quasi un uomo su due fu impegnato nell'esercito: praticamente tutti i gruppi familiari avevano un soldato in guerra. Il fronte si componeva di circa 1 milione di uomini all'inizio e circa 2 alla fine.
Chi era in prima linea? In generale erano contadini, giovani mandati a combattere per un'idea di patria che ignoravano e per delle ragioni geopolitiche assolutamente incomprensibili. Spesso il "contadino-soldato" era legato ai valori della terra e del villaggio, non aveva istruzione, non parlava altra lingua che il proprio dialetto; in breve non aveva tensione morale, ma semplice ubbidiva agli ordini e alla chiamata dello Stato.
L'esperienza del fronte fu una esperienza devastante. Il sentimento più diffuso fu lo sgomento per una realtà inaspettata. Centinaia di poesie, diari e scritti ci danno testimonianza, più delle fredde cifre – comunque 600.000 morti, quando l'intero risorgimento ne costò 7.000 – della tragedia, dello spavento, della rassegnazione vissuta nelle gallerie di fango scavate per centinaia di chilometri lungo il confine con l'impero asburgico.
 
Il Carso
Il fronte più tragicamente noto è quello del Carso, di cui il fiume Isonzo rappresentò la linea naturale della carneficina. Si contarono in tre anni 12 “battaglie dell'Isonzo”, che significa come i morti non spostavano di un metro la situazione militare. L'altopiano che seppellì, tra i due eserciti, quasi un milione di giovani, è ondulato e brullo, caldissimo in estate e battuto in inverno da venti gelidi da nord est, solcato da caverne e ripari naturali. In questo ambiente le battaglie erano svolte con la strategia degli assalti: quando l'ufficiale dava il segnale al grido “Savoia”, i soldati semplici uscivano correndo dalla trincea, baionetta alla mano, per andare verso la trincea avversaria a qualche centinaio di metri di distanza. Raggiunta la quale si innescavano sanguinosi corpo a corpo con armi bianche.
In quei momenti concitati e spaventosi la possibilità di restare vivi era davvero molto bassa; non meno pericolosi erano i bombardamenti con i cannoni da trincea a trincea o gli attacchi con armi chimiche, ancora non vietate dalle convenzioni internazionali.
Oltre ai danni fisici e alla morte incombente, i militari della grande guerra vissero un particolarissimo e molto diffuso stato di perdita di coscienza e crisi di identità indotto dalla paura, dalla confusione e dagli stenti della vita militare.

Le perdite dell'Italia nella prima guerra mondiale: 650.000 morti; 947.000 feriti, mutilati e invalidi; 600.000 prigionieri e dispersi. Su 5.615.000 uomini mobilitati si ebbe un totale di 2.197.000 perdite, pari al 39 % degli uomini sotto alle armi.

Conferenza di Pace

Il 18 gennaio 1919 si apriva, nella reggia di Versailles, la conferenza di Pace per stabilire gli assetti del dopoguerra. Ogni stato aveva obiettivi diversi:

FR – umiliare la Germania

GB – spartirsi le colonie della Germania e i territori neutrali

USA – favorire il commercio internazionale

ITA – annettersi territori limitrofi e dominare nel Mediterraneo

Orlando, rappresentante dell’Italia, fu emarginato immediatamente. Si affermò la volontà francese di umiliare la Germania con condizioni durissime: i confini furono riportati a quelli del 1871, con l’annessione dell’Alsazia Lorenza e l’occupazione militare della Rhur. Le colonie furono tutte perse. Ma la vera tragedia furono i risarcimenti di guerra, che obbligarono il nuovo governo socialdemocratico a una politica di ristrettezze assurda.

L’impero austro-ungarico fu smembrato e la corte asburgica esautorata. Nacque la repubblica austriaca su un territorio grande circa 1/6 dell’impero ottocentesco. Anche la Turchia perse tutto l’impero, e rimase confinata nella penisola dell’Anatolia. I contesi stretti di Dardanelli furono dichiarati liberi per tutti, ma sotto controllo formale della GB.

Rivoluzione russa

Torniamo al 1915. La Russia zarista era l’anello autocratico dell’alleanza dei paesi liberali. Un paese attraversato da problemi di sviluppo giganteschi, che furono amplificati in modo drammatico dallo scoppio del conflitto mondiale. L’evoluzione politica non seguì il corso classico dei paesi europei. Una ragione risiede nella composizione sociale.

La borghesia era ridotta a poche migliaia di rappresentanti e tutti legati all’aristocrazia zarista. Quella che normalmente era un centro progressista, in Russia era in realtà un ulteriore versione di conservatorismo. Nel 1915 fu eletta una Duma (parlamento) con compiti consultivi, la quale chiese alcune timidissime riforme. Lo zar, Nicola II, viveva racchiuso nelle sue dimore ed era talmente screditato che in molti pensavano alla sua sostituzione. La crisi innescata dalla guerra rese le condizioni di vita delle masse praticamente insostenibile. Nel febbraio 1917 iniziarono imponenti manifestazioni di protesta. Ne presero la guida i partiti di sinistra: i socialdemocratici (in realtà comunisti radicali) e i social rivoluzionari (partito socialista dei contadini). Come strumento di opposizione riesumarono i consigli di fabbrica i SOVIET, ora estesi anche a contadini e soldati. Per non essere affossati insieme allo zar, i rappresentanti borghesi esautorarono lo zar e assunsero il controllo del governo. Karenskij – un liberale di sinistra – entrò nel governo pur essendo molto vicino agli ambienti dei soviet. Altri rappresentanti di prestigio erano L’Vov e Miljukov contrari alla pace con la Germania e alla riforma agraria.

La discussione sul nuovo assetto istituzionale proseguì per tutta l’estate accanto alle continue sconfitte militari. In seguito ad altre manifestazioni di protesta fu varato un secondo governo provvisorio. Ma il vuoto di potere era così forte che il Soviet di Pietroburgo decideva insieme alla Duma le scelte di politica generale. L’Vov era il premier e molti ministri erano socialisti.

Nessuno aveva il coraggio di fare le due cose desiderate dalla massa: la pace e la riforma agraria.

Fu un piccolo partito comunista a guidare il fronte della protesta contro la politica del governo borghese: l’ala sinistra del partito socialdemocratico guidata da Lenin e Trokji, detti bolscevichi. La figura chiave della rapidissima espansione dei bolscevichi fu quella di Ilic Lenin. Rientrato dalla Svizzera (con l’aiuto dei tedeschi) Lenin presentò le sue tesi di aprile come un programma politico per il paese:

1.      Fine immediata della guerra imperialista

2.      Potere al proletariato (operai e contadini)

3.      Nessun appoggio al governo borghese

4.      Conquistare la maggioranza nei Soviet

5.      Affermare il potere di democrazia diretta dei Soviet sul modello della Comune di Parigi

6.      Espropriazione delle terre ai grandi proprietari

Era una proposta realistica, su cui lottare da subito. Gli altri partiti erano meno lineari nelle posizioni.

Con le sommosse di agosto cadde il governo e fu sostituito dall’esecutivo a guida Karenskij. Indeciso se proclamare la repubblica e allearsi ai bolscevichi, oppure perseguire la linea borghese e sopprimere le manifestazioni antigovernative Karenskij riuscì a inimicarsi tutti i partiti presenti in Russia.

A settembre i Soviet di Mosca e Pietroburgo diedero la maggioranza ai bolscevichi, aprendo così alla prospettiva di un colpo di mano. L’insurrezione fu preparata in segreto anche se in molti si aspettavano la presa del potere. A condurre le operazioni fu il comitato centrale del partito bolscevico con affiliati in tutti i settori delle forze armate russe (ci si riferisce sempre alle metropoli Mosca e San Pietroburgo, all’epoca Pietrogrado). Il 24 e 25 ottobre le guardie rosse (la milizia del partito) occuparono senza difficoltà il Palazzo d’Inverno, sede del governo. Al congresso del Soviet gli altri partiti socialisti non approvano la presa del potere. Da quel momento le sorti della Russia sono tenute dal governo provvisorio composto da “commissari” dei partiti proletari.

Il primo passo del governo a guida bolscevica fu l’apertura di una trattativa di pace separata con la Germania. Nel frattempo andava guadagnata la fiducia in tutto il paese. Le resistenze furono molte. Mosca riconobbe il nuovo potere il 15 novembre, nel resto del paese la situazione restò fluida e in molti casi si ebbero scontri a fuoco tra le diverse fazioni. A gennaio 1918 erano previste le elezioni per l’assemblea costituente a suffragio universale. A sorpresa non vince il partito bolscevico ma il partito socialrivoluzionario, molto più moderato e riformista. Lenin non accetta di lasciare il potere e scioglie l’assemblea. Secondo lui il nuovo potere doveva venire dai Soviet e non dal parlamento: lì in effetti i bolscevichi avevano la maggioranza (votavano solo le categorie proletarie con una logica di delega e non di rappresentanza).

Pace di Brest-Litovsk – marzo 1918, pace separata con la Germania. La storia della Russia si separa da quella del restante continente europeo. Una strada che si ricongiungerà solamente nel 1989.

Il primo dopoguerra

GB – è il paese messo meglio, grazie alle colonie. Inoltre dai trattati di  Parigi ha acquisito il controllo di territori ricchissimi di petrolio, la nuova fonte di ricchezza energetica. In politica interna le elezioni premiano i liberali che formano il governo in coalizione con i conservatori. In crescita il partito laburista, che si appoggia anche alle forti organizzazioni sindacali: è una sinistra che non mette mai in discussione il sistema capitalista. Un caso quasi unico in Europa. L’economia però va male, l’industria si scopre vecchia e l’export si salva solo grazie alle dominions.

FR – La crisi favorì le rivendicazioni del sindacato CGT: furono concesse le otto ore di lavoro e molto altro. Nasce anche il partito comunista francese (PCF) che aumentò l’opposizione al governo di centro destra.

GER – Il paese uscì distrutto dalla guerra. Il re in fuga, rimasero in piedi lo Stato Maggiore (ovvero la gerarchia militare) e le organizzazioni di sinistra: SPD, sindacato, KPD (comunisti). In questo clima di smobilitamento viene proclamata la repubblica: è il 9 novembre 1918. Il governo provvisorio vede la compartecipazione del partito socialdemocratico SPD, dei militari e dei conservatori. I comunisti intanto aumentano consensi e forza. Guidati da due intellettuali di statura mondiale Rosa Luxemburg e Liebknecht iniziano una serie di manifestazioni antigovernative che fanno pensare ad una possibile insurrezione. La reazione è durissima: repressione nelle strade di Berlino e Monaco e assassinii eccellenti: prima Liebknecht, poi Luxemburg, quindi Eisner guida del partito comunista a Monaco. La capitale della Baviera ad aprile proclama la “repubblica dei soviet”, un’esperienza finita nel sangue già a maggio. Nel frattempo si era votato; le elezioni del gennaio avevano decretato il successo del SPD (37%) che guidarono così il primo governo della cosiddetta repubblica di Weimar (cittadina in cui fu presentata la Costituzione) insieme a cattolici e liberali democratici. Presidente della Repubblica fu Erbert, anch’egli socialdemocratico. Il nuovo assetto prevedeva una struttura federata in 17 lander, un Reichstag con potere legislativo e di nomina del primo ministro (cancelliere) e un presidente della repubblica (kaiser) eletto direttamente con ampi poteri. Già nelle elezioni del 1920 i socialisti persero consensi, e il governo passò ad una guida di centro.

AUSTRIA – Perso tutto l’impero e decaduto il potere della corona degli Asburgo, viene proclamata la repubblica. Anche qui il partito maggiore è il socialdemocratico.

UNGHERIA – Nuovo stato, e nuova repubblica parlamentare. Strutture statali deboli, e così i comunisti seguendo l’esempio russo proclamano la presa del potere da parte dei Soviet. A guidare la rivolta è Bela Kun carismatico leader comunista. Si scatena la guerra civile, vinta dai controrivoluzionari grazie all’aiuto militare di cechi, romeni e altri combattenti stranieri. Dopo un periodo di terrore rosso, si scatenò il terrore bianco. Nel 1920 fu ripristinata la monarchia.

TURCHIA – doveva essere spartita tra i vincitori, ma i nazionalisti di Kemal Ataturk si oppongono con le armi alle truppe straniere. Ottengono la revisione dei trattati firmati dal Sultano e nel 1923 nasce la repubblica con Kemal Ataturk eletto presidente. Uno stato laico e una popolazione islamica. Per gli alleati andava bene in ottica anti-bolscevica (isolare la Russia) e per aver risolto l’annosa questione degli stretti, che vennero aperti per tutti. L’Italia riuscì a mantenere il Dodecaneso (Rodi e altre isole).

Questo rapido quadro della situazione post-guerra mette in risalto il fallimento di tutte le rivoluzioni comuniste. Un passaggio chiave nello sviluppo del continente europeo, perché la teoria marxista prevedeva che la riuscita della rivoluzione in un grande paese avrebbe spezzato la catena dei paesi capitalisti e aperto la strada alla rivoluzione mondiale. Invece il sistema tenne. Vediamo perché:

1.      Borghesia forte, economicamente e culturalmente

2.      Fronte anticapitalista diviso tra socialisti e comunisti, riformisti e rivoluzionari

3.      Consenso popolare anche per i partiti cattolici (non c’era unità nei ceti sociali poveri)

4.      Movimenti nazionalisti antisocialisti in crescita di consenso

III internazionale

Nasce nel 1919 per volontà dei bolscevichi. Sostituisce la gloriosa II internazionale, crocevia e laboratorio di idee di mezzo secolo di socialismo. Questa assemblea era invece una internazionale comunista a pensiero unico, quello del partito bolscevico. Infatti i riformatori e i fautori di un socialismo da realizzare tramite il sistema parlamentare furono espulsi dall’assemblea. In breve tempo diventa uno strumento con cui i bolscevichi controllano i partiti comunisti di tutto il mondo.

ITALIA

I trattati di Versailles ebbero un esito umiliante per l’Italia. La stampa parlò di vittoria mutilata, senza neppure la città di Fiume e la Dalmazia. Si creò un clima di confusione istituzionale e tensioni crescenti tra pulsioni popolari opposte. La sinistra acquisì grande forza, il partito popolare divenne riferimento dei ceti medi moderati, mentre cresceva in ambienti importanti il fascino della politica nazionalista di estrema destra. Il 21 gennaio 1921 il PSI si spacca e nasce a Livorno il Partito Comunista Italiano guidato da Amedeo Bordiga, Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti. A differenza dei socialisti, conquistati all’idea del riformismo parlamentare, gli esponenti di “Ordine Nuovo” (la corrente di sinistra del Psi prima della scissione, che operò dal '19 al '21) pensavano ad un processo rivoluzionario costruito sul modello dei soviet.

Nel 1919 un ex socialista, Benito Mussolini, fonda i fasci di combattimento, ottenendo clamorosamente generosi sostenitori tra industriali e agrari. Iniziano le azioni intimidatorie verso il mondo socialista, compiute in un contesto di incredibile impunità. Ad aprile viene incendiata la sede dell’”Avanti” il quotidiano socialista. Nell’estate ci sono violente manifestazioni con l’occupazione delle terre al sud e saccheggi dei negozi nelle città. In molti chiedevano reazioni dure. Ma le elezioni danno un esito inedito; il PSI è il primo partito (32%) il partito popolare al 20% e poi gli altri moderati e conservatori.

Giolitti tornò alla guida del governo, e promosse alcune riforme in senso democratico (fiscalità più estesa per alcuni programmi di assistenza). Risolve la questione di Fiume – occupata da un anno da D’Annunzio con un manipolo di uomini armati – lasciandola alla Jugoslavia ma ottenendo in cambio Zara. Sia in politica interna che in politica estera creò molti malumori.

Nell’estate 1919 nascono i primi soviet anche in Italia. Letteralmente sono i Consigli di Fabbrica e così si presentano a Torino. La situazione precipita nel 1920 con l’inasprimento dei rapporti, gli scioperi e la serrata dell’Alfa Romeo di Milano. La FIOM decise l’occupazione, che si propagò in centinaia di fabbriche del nord. PSI e sindacato non ebbero il coraggio di proclamare lo stato rivoluzionario, così il temporeggiamento di Giolitti portò ad una soluzione indolore della crisi. Evitò l’uso della forza, un grande merito disprezzato da tutti. La sinistra del Psi rompe con il partito e fonda il PCI, mentre la borghesia non si sente abbastanza protetta dai liberali e dai moderati di centro e inizia a simpatizzare per i giovani fascisti che da qualche tempo si stanno mettendo in luce per la spregiudicatezza e la violenza delle azioni contro i socialisti.

La piccola età dell’oro: 1921-1929

Il dopoguerra segna uno stallo economico che pare irreversibile; le economie nazionali si chiudono nel protezionismo peggiorando le cose. L’inflazione diventa un male cronico, la disoccupazione dilaga. Dal 1922 la ripresa in Usa aiuta tutti. Soprattutto aiuta la GER che viene beneficiata con prestiti imponenti a medio e lungo periodo. Ma nel 1929 – a partire dal 24 ottobre – i nodi di una produzione non sostenuta da una adeguata distribuzione della ricchezza vengono al pettine: crollano i titoli di borsa di Wall Street. Nel giro di poche settimane la finanza mondiale va in collasso. Ma vediamo nel dettaglio le vicende del gigante d’oltreoceano, già da un decennio prima economia del mondo.

Dopo il presidente Wilson troviamo Harding, un repubblicano che favorisce i grandi monopoli e si caratterizza per uno strenuo isolazionismo. Nel 1921 viene addirittura varato un piano di contrasto all’immigrazione: aumenta l’odio xenofobo e razzista con la rinascita del ku klux kan. Nel 1920 viene istituito il proibizionismo per la vendita e il consumo di bevande alcoliche; un provvedimento che durerà fino al 1933 quando fu revocato visti i disastrosi risultati ottenuti (l’esplosione dell’illegalità e della criminalità organizzata di stampo mafioso). Sono anni di crescita disomogenea, un capitalismo dai grandi profitti, dai grandi monopoli, dalle grandi rendite borsistiche. Anche i salari crescono, ma non in proporzione.

1929: perché la crisi?

In Usa i redditi erano troppo bassi per sostenere una produzione così alta (scarsa la crescita dei consumi) e gli scambi internazionali non erano a un livello accettabile per le dimensioni dell’economia americana. Così gli investimenti si concentrarono in bolle speculative e in settori sicuri che – ad un certo punto – fecero crac! A un certo punto il timore di recessione si trasformò in panico: la borsa di wall street crollò e si innescò una reazione a catena mai vista prima: migliaia di licenziamenti e abbassamento dei salari, che causarono un’ulteriore riduzione dei consumi.

Il mito delle Corporation svanisce e solo l’intervento massiccio dello stato salva il sistema capitalista. Il giovane e brillante economista Keynes scrive un saggio illuminante intitolato “la fine del laissez-faire”. Questi sconquassi si riflettono nelle elezioni del 1932 in cui vince un democratico progressista: Frank Delano Roosevelt. Il nuovo presidente chiede poteri speciali per agire in tempi brevi contro la crisi e vara un team di esperti “brain trust” capaci di progettare e applicare una ricetta innovativa per il mondo capitalista anglosassone: il NEW DEAL.

Prima viene sostenuta la deflazione (per ripagare i debiti), poi inflazione controllata (per aumentare i consumi). Quindi viene varato un piano fiscale di aumento delle tasse – per i ceti benestanti – allo scopo di finanziare imponenti programmi di lavori statali e di aiuti al settore agricolo e alle piccole imprese. Anche i sindacati vedono rafforzato il loro ruolo.

Nel 1935, quando la ripresa inizia a dare i primi segnali concreti, viene avviata la seconda fase del New Deal: un piano di assistenza sociale statale, grandi opere infrastrutturali (strade, dighe, ponti, ferrovie), scuole e ospedali per l’intera popolazione. Con Roosevelt è lo stato a fare da garante nel rapporto tra i grandi gruppi monopolistici e i cittadini.

Fascismo e nazismo


Il fascismo italiano

Presupposti storici:

Debolezza dello stato italiano
Importanza della guerra mondiale
Situazione rivoluzionaria del “biennio rosso”
STATO DEBOLE
L'esito del Risorgimento è l'alleanza tra borghesia e nobiltà del nord e grandi proprietari agrari del sud. Le classi popolari sono escluse dai risultati dell'unità nazionale: la loro partecipazione al movimento è solo marginale. Antonio Gramsci la definì “rivoluzione passiva”. Il carattere del Risorgimento si può capire guardando il comportamento di Garibaldi nei giorni successivi alla presa della Sicilia. Di fronte alle occupazioni spontanee delle grandi proprietà terriere, il comandante dei mille incarica il suo braccio destro Nino Bixio di fermare con qualunque mezzo l'insurrezione (strage del Bronte). La scelta politica fu quella di cedere il territorio a Vittorio Emanuele, una soluzione incompatibile con qualsiasi rivoluzione sociale. Per le popolazioni meridionali il nuovo stato divenne sinonimo di “male”: chiedeva nuove tasse, prendeva i figli per farli militari. La classe politica, nobili e alto-borghesi conservatori, è del tutto estranea alle vicende delle masse contadine del sud, e non fanno nulla per ottenere un po' di consenso. Peraltro la chiesa cattolica mobilitava i fedeli contro lo stato “ateo” rendendo ancora più problematica la formazione di una nuova identità nazionale.
Neppure il cambio di linea politica (con i riformisti di De Pretis nel 1876) mutò il rapporto tra stato e società civile: si fece strada la pratica del trasformismo, del clientelismo, della promozione di privatissime convenienze attraverso il potere politico. Con questa forma di stato "non condiviso" si è giunti alla Prima Guerra Mondiale e al drammatico dopoguerra.

INTERVENTO IN GUERRA
Il partito socialista mantiene una posizione astensionista (unico nell'Europa occidentale), aumentando l'acredine dei ceti medi nei confronti dei proletari (considerati quasi dei traditori). D'altra parte la guerra fu vissuta dai ragazzi operai e contadini con grande disagio e rassegnazione. La disfatta di Caporetto fu il momento più drammatico, poiché la resistenza all'avanzata austriaca coincise con l'apice dei rifiuti a combattere e delle fucilazioni per diserzioni.

BIENNIO ROSSO
Il 1919-1920 sembrava un periodo pre rivoluzionario.
Le fabbriche sono in subbuglio, nascono i consigli di fabbrica (soviet) e grandi scioperi mettono in crisi le industrie del nord. Nel settembre 1920 molte fabbriche sono occupate, in alcune zone si assiste a saccheggi di negozi, mentre La Spezia proclama il soviet. Molti pensavano che il Psi fosse sull'orlo della rivoluzione. L'occupazione è gestita bene dal primo ministro Giolitti che riesce a far esaurire il movimento con estenuanti trattative.
Il non aver usato la forza diffonde però una grande paura tra grandi industriali e proprietari. Dal canto suo il Psi si dimostrò ambiguo e altalenante, forse impaurito per una possibile azione dell'esercito, comunque poco chiaro nella direzione politica da seguire.
Accanto alle manifestazioni c'è il successo elettorale del 1919: il Psi diventa il partito più votato del paese, molte amministrazioni municipali vanno in mano ai socialisti (che non sono per nulla moderati).
Anche nelle campagne le Leghe dei contadini ottengono importanti successi. Per la prima volta in Italia la legge dà tutele ai lavoratori, i sindacati controllano i datori di lavoro e c'è una qualche forma di garanzia giuridica. Questo successo delle leghe contadine è molto importante perché è proprio dalle campagne del centro e del nord che iniziano le scorribande squadriste e l'appoggio finanziario e politico al nascente movimento fascista.

Dove e come si afferma il fascismo
Tessere del partito fascista (P.F.) nel 1921: Milano 6000; Ferrara 7.000; Bologna 5130. Tra i primi sostenitori ci sono 17 grandi proprietari (tra cui 6 ebrei, per ironia della sorte!). Il movimento trovò appoggio anche tra i piccoli proprietari, per nulla attratti dalla prospettiva socialista e sindacale di collettivizzazione delle campagne. Il P.F. inizialmente promise ridistribuzione della terra e, inizialmente, mantenne le promesse.Nei primi mesi a Ferrara 18.000 ettari furono assegnati in piccoli lotti.
 
La manovalanza violenta fu “reclutata” tra ex combattenti animati da profondo odio per la classe operaia e i braccianti contadini. Incapaci di adattarsi alla vita civile e convinti sostenitori dei valori della patria e dell'ordine furono attratti dalla gerarchia militare e dallo spirito militarista del fascismo (il termine “camerata” rende bene questa continuità con la vita nell'esercito).
La ferocia e la violenza degli squadristi prese alla sprovvista la pacifica massa di lavoratori socialisti: ci furono pestaggi, case del popolo date alle fiamme, intimidazioni di ogni genere alle associazioni popolari e alle cooperative. Bisogna sottolineare che in contesti civili bastano pochi criminali per terrorizzare masse inermi e pacifiche di cittadini; se lo stato non interviene – come dovrebbe – è facile per questa minoranza prendere il sopravvento. Il non interventismo delle forze dell'ordine è stato un fattore chiave nell'ascesa fascista degli anni '20. Una affermazione viziata da metodi illegali e criminali per la legge dello stato.

Chi appoggia il fascismo?

Studenti
A differenze del dopoguerra la maggioranza degli studenti è nazionalista e militarista. Già nel '21 il 13% è iscritto al partito fascista, sono i figli del ceto medio, avvocati, medici, liberi professionisti fortemente anticomunisti.
Lavoratori
In gran parte sono impiegati; poi professionisti e in percentuali molto basse operai e commercianti. Gli imprenditori ci sono, ma percentualmente sul numero di iscritti non sono moltissimi.
Burocrazia
Determinante è l'appoggio in alcuni settori chiave del sistema statale. Commissari, prefetti e funzionari statali avvallarono sordidamente l'aggressione dei fascisti a settori della società civile: le associazioni e le cooperative di sinistra non poterono contare sulla protezione delle forze armate e la magistratura, quasi distratta nei riguardi delle denunce ai fascisti, esercitò la mano pesante verso esponenti socialisti o comunisti.
Industria
Industriali, confindustria, grandi imprenditori NON SONO fascisti. Lo diventeranno per convenienza dopo il consolidamento al potere di Mussolini.

N.B. E' in fase di allestimento:

a. cronologia consolidamento del potere

b. l'impero e l'espansionismo bellico degli anni '30

c. la guerra e il crollo del regime

Aspetti del fascismo italiano

Allegato:
Assistenza.doc [1]
Stampa.doc [2]
In questa sezione presentiamo due approfondimenti riguardo alla storia del ventennio fascista. Due aspetti interessanti per ragioni diverse.

Il primo documento allegato tratta del sistema di assistenza sociale - oggi diremmo welfare - in vigore negli anni Trenta. Interessante perché la presunta generosità di tale sistema rappresenta vero e proprio luogo comune che ancora oggi resiste. E questo spiega l'efficacia della propaganda e del controllo dell'informazione (pensiamo che non esisteva la televisione!).

Il secondo documento rivolge l'attenzione proprio alla censura e alla propaganda. Ovvero al mondo dell'informazione e della descrizione della realtà. Il governo e il partito fascista si adoperano subito per stringere la morsa intorno alle voci libere. I metodi furono vari ma il risultato è noto: in Italia esisteva solo una voce, e diceva sempre le stesse cose.

Il Nazismo

Presupposti storici:

Debolezza della repubblica di Weimar
Importanza della guerra mondiale
Coalizione anti-Weimar
 
Il partito Socialdemocratico (Spd)
E' il partito marxista più forte dell'Europa occidentale. La repubblica di Weimar [3], figlia della sconfitta militare, è sostenuta principalmente dalla SPD. Il problema fu che non riuscì ad allargare il consenso verso la repubblica oltre i confini della classe operaia socialdemocratica; con l'appoggio debole dei conservatori, si trovò ben presto contro una vera e propria coalizione anti-Weimar.

La coalizione anti-Weimar
In pratica il nuovo stato risultò inviso a molti “pezzi” dello stato stesso:

Esercito
Grandi industriali
contrari a qualunque protezione sociale

Magistratura
è la stessa dello stato imperiale militarista

Junker (grandi proprietari terrieri)
per la prima volta nella storia perdono il potere

Artigiani e commercianti
resi precari dalla modernizzazione (supermercati)

Falliti del 1920-24 l'inflazione record dei primi anni '20 lascia sul lastrico molti piccoli risparmiatori. Questi associano l'avvento della repubblica con il personale fallimento economico.

Per dare l'idea del disastro sociale creato dall'inflazione, va considerato che nel 1923 l'unità monetaria perse di un milione di milioni il valore che aveva nel 1913. In vita quotidiana significa che, ad esempio, la riscossione di una polizza assicurativa maturata in periodo inflazionistico poteva bastare all'acquisto di una bibita nel miglior caffè di Berlino!

In ogni caso fino al 1928 la maggioranza dei tedeschi appoggiava al repubblica. Fu la crisi economica del 1929 ad invertire la situazione. È la grande crisi la base del trionfo nazista .

In Germania il tracollo della finanza americana fu particolarmente grave perché la ripresa era in gran parte finanziata dal capitale statunitense. Gli Usa prestavano denaro a breve termine, le banche tedesche facevano prestiti a lungo e medio termine. Quando nel '29 gli istituti di credito americani chiesero indietro i capitali le banche tedesche, prive di liquidità, fallirono in massa. La catena dei fallimenti si estese all'intero ciclo produttivo: industrie, imprese, negozi, famiglie.
Risultati: conti correnti non fruibili e disoccupazione alle stelle. Il Pil regredisce, i prezzi crollano e circa 1/3 della popolazione della lavorativa è disoccupata (40% sono operai).

NOTA: In Italia i prezzi erano molto alti nei primi anni '20, questo spinse a scioperi e saccheggi. La situazione socio-economica era molto diversa. Fu la caduta dei prezzi associata alla disoccupazione a favorire l'adesione di massa al partito nazionalsocialista (Nsdap); non – come in Italia – la paura della rivoluzione socialista.

Il minuscolo partito di Adolf Hitler, da alcuni anni ai margini della vita politica, conosce nel pieno della crisi una escalation di consensi clamorosa.
MAG '28 - 21.6%
SET '30 - 18.3%
LUG '32 - 37.3%
SET '32 - 33.1%
MAR '33 - 43.9%
Soltanto l'elezione del marzo 1933 è viziata da un clima intimidatorio e terroristico.

Ma chi ha votato per Hilter?

Non appoggiarono la Nsdap i grandi industriali e neanche i Junker: loro erano conservatori. E anche se detestavano la repubblica di Weimar, non avevano simpatia per i mezzi rozzi e violenti delle camicie brune.
La classe operaia rimase contraria al nazismo, ma non in modo assoluto. Nel 1933 infatti ben trecentomila tessere del P.N. erano di operai: in genere giovani disoccupati o dipendenti di piccole fabbriche succubi dei padroni (lo spirito paternalista!).
E' il ceto medio il principale serbatoio di voti del partito nazista. Sono negozianti, artigiani, piccoli proprietari. Lo stesso Hitler, che di mestiere faceva il pittore, apparteneva a questa categoria dei lavoratori autonomi. Sono loro ad essere più colpiti dalla crisi del '29; e sono svantaggiati sia dalla crescita della grande distribuzione – a parole osteggiata da Hitler – sia dalla mancanza di tutele sindacali. L'elenco non si ferma a queste categorie sociali: altri appartenenti del ceto medio - impiegati privati e statali, tecnici specializzati, lavoratori nei servizi, commesse nei supermarket – sono molto sensibili alla propaganda della Nsdap, che contesta un po' tutto ai partiti di governo, ottenendo larghi consensi.
La propaganda di estrema destra ebbe largo successo tra i giovani contadini: i padri continuavano a gestire la fattoria, in città non c'era lavoro e molti di loro - delusi e arrabbiati - confluivano nelle fila di bande teppistiche urbane. L'idea dello “spazio vitale” (lebensraum) , di allargamento ad est, ebbe in questa categoria grande consenso.

Religione

E' tra le fila dei protestanti che il nazismo coglie adesioni elettorali. I cattolici hanno un riferimento partitico – la CDU – e restano fedeli a quello. In Baviera, ad esempio, ecco la sequenze delle tornate elettorali:
MAG '28 - 15%
SET '30 - 15.7%
LUG '32 - 14.8%
SET '32 - 15.2%
MAR '33 - 14%

1. Preparazione alla guerra
L'espansionismo è il fulcro dell'azione politica del nazismo. Già nel Mein Kampf (il libro scritto da Hitler durante la detenzione del 1923) si parla di espansione ad est, della guerra al bolscevismo e della ricerca dello “spazio vitale”. Gli anni tra il '33 e il '39 sono una rapida corsa agli armamenti e una continua provocazione per rompere l'equilibrio internazionale.

2. Organizzazione dello stato - Führerprinzip
Viene creata una “burocrazia parallela”. Si forma uno strano sistema di ministeri, enti e poteri statali e di partito in competizione tra sé e sganciati dallo stato. In teoria lo stato doveva amministrare e il partito “guidare” il popolo. Questa distinzione è solo fittizia; il partito si impossessa di tutte le parti dello stato e si disintegra in fazioni di potere paralleli. Un quadro caotico della distribuzione del potere, che si tiene in piedi grazie ad una rigidissima logica del fuhrer, cioè del capo supremo. Ogni funzionario aveva un superiore, fino ad Hitler, il capo supremo e incontestabile. La supremazia della legge lascia il campo al principio della fedeltà e della volontà.

3. Rapporto stato-società civile
Non cambia la struttura sociale come nella Russia di Stalin. I cambiamenti avvengono sotto la spinta del forte militarismo. Le donne vanno in massa a lavorare nelle fabbriche (smentendo la propaganda che le voleva a casa); poi gli uomini sono arruolati in numeri altissimi. L'autonomia della società civile è distrutta: niente è libero, né le associazioni, né la stampa, né i sindacati. Anche il regime sovietico distrugge in questo modo la società (per questa invadenza viene appunto definito totalitarismo) ma cambia il concetto di cittadinanza: nella visione nazista la cittadinanza si basa sulla razza e l'espansione degli ariani verso est.

4. La cultura nazista
La propaganda diventa una industria di stato. Viene esaltata la “razza pura”, tutti i tedeschi sono inquadrati in organizzazioni statali e costretti a partecipare a iniziative pubbliche. Lasciare la famiglia per servire lo stato; questa è la logica del totalitarismo! Lo stato nazista funzionava come una macchina di propaganda perfetta: dai compiti scolastici, all'intrattenimento, ogni aspetto della vita quotidiana era scandito dai contenuti politici del nazionalsocialismo.

5. Rapporto economia – nazismo
La retorica comunista tacciò il governo di Hitler come “l'espressione del capitalismo portato alle estreme conseguenze”. E' una lettura errata della storia sia della Germania che dell'Italia.
In particolare in Germania la volontà politica prevale decisamente sugli interessi economici. In alcuni casi furono fatte scelte antieconomiche. Lo studioso Heinze approfondì i rapporti del colosso chimico I.G. Farben con il governo nazista. Dai risultati emerge chiaramente come la grandissima e ricchissima industria non aveva alcuna influenza sulle scelte politiche. Solo partito e SS decidevano; su tutto.

In breve possiamo riassumere i caratteri essenziali del nazismo:

Capo carismatico
Cittadinanza su base etnica e razzista
Interventismo culturale dello stato (propaganda, associazioni, istruzione)
Burocrazia parallela
Primato della politica sull'economia
Totalitarismi a confronto

SEZIONE DA COMPLETARE

Nazismo e fascismo
Quali le analogie e le differenze tra il modello italiano e il modello tedesco?
Guardando all'Ottocento vediamo un'unità nazionale ancora più elitaria da parte della Germania: le classi popolari e piccolo-borghesi non hanno avuto alcun ruolo. Anche nell'estensione dei diritti sociali – sebbene molto avanzati – l'iniziativa è tutta a carico dei vertici statali: Bismark concede agli operai molti vantaggi, riducendo lo spazio di iniziativa politica della sinistra e rafforzando l'identità nazionale. L'organizzazione complessiva dello stato tedesco è maniacale, quasi a livello militare, e la sua crescita è impressionante.
Inoltre il rapporto tra autorità e popolazione in Italia era molto più arcaico: solo repressione! In Germania esisteva una tradizione paternalistica dei Junker (grandi proprietari terrieri) molto radicata.
 
GERARCHIA DI POTERE

ITALIA

•  Borghesia

•  Proprietari terrieri

 
GERMANIA

•  Agro-militari (Junker)

•  Borghesia

 
Non solo l'importanza della borghesia è invertita ma anche la natura di proprietari terrieri e borghesia è molto diversa. Inoltre in Germania i contadini non sono disperati e nullatenenti come in molte regioni italiane. Non ci sono leghe, insurrezioni e manifestazioni socialisteggianti. Perché? In Germania ai primi dell'800 le terre sono state distribuite in piccoli e medi lotti. Il Junker risiede nel villaggio dove abitano i “suoi” lavoratori: il rapporto è più diretto e meno violento. In Italia, specialmente al sud, il “signore” vive in città, lontano dai campi, delegando a intermediari la gestione e confidando nel metodo repressivo.
Lo sterminio degli ebrei

La SHOAH (lo sterminio degli ebrei)

Breve cronologia di come si "crea" il contesto politico e culturale in cui matura la spaventosa tragedia dell'olocausto.

1922 Italia. Va al potere Benito Mussolini che fonda un regime basato sulla violenza e sulla gerarchia. Il sistema delle squadre speciali del partito (camicie nere) piace molto a Hitler che ne prenderà spunto.
1923 Germania. Un giovane pittore, ex combattente della I guerra mondiale, tenta un colpo di stato e viene arrestato. In prigione scrive una specie di programma politico. Era Adolf Hitler e il suo libro, il Mein Kampf, descrive abbastanza bene cosa vuol fare della Germania e dell'Europa.
1933 Hitler vince le elezioni e diventa capo del governo.
1933-1935 Tutte le opposizioni vengono messe fuori legge, le libertà democratiche sospese, un pacchetto completo di leggi stabiliscono norme di comportamento degli abitanti tedeschi di razza ebraica. (Leggi di Norimberga). Nota: erano vietati i rapporti sessuali tra ariani ed ebrei, per impedire la contaminazione razziale.
1938 Avviato un programma di eliminazione della popolazione handicappata e malata di mente. L'opposizione della chiesa e dei cittadini fa retrocedere il governo. Intanto si diffondono campi di lavoro e reclutamento per gli oppositori politici del regime e persone sgradite alla civiltà germanica.
In politica estera la Germania si annette tutti i territori con cittadini tedeschi: Austria, Renania, Cecoslovacchia.
1939 Aggressione della Polonia. La questione ebraica diventa pressante. Si fa strada l'idea di trovare una “SOLUZIONE FINALE”.
1939-1941 Quando la guerra sembra andare bene la questione degli ebrei resta sullo sfondo: vengono rinchiusi in ghetti (Varsavia) o eliminati sul posto (Kiev). Quando ogni possibilità di trasferimento coatto diventa impossibile viene pianificata l'eliminazione sistematica di tutti gli ebrei d'Europa.
1942 Soluzione finale
Campi di lavoro per gestire gli schiavi slavi e gli ebrei abili al lavoro. Gli altri smistati verso campi di sterminio, costruiti appositamente per l'eliminazione di massa (Auschiwtz era un campo misto di lavoro e di sterminio, gli altri erano Majadnaek, Chelmno, Belzec, Treblinka e Sobibor, tutti in territorio polacco). Tra il '42 e il '44 i campi lavorarono a pieno ritmo.
In tutta l'Europa occupata una macchina burocratica molto sofisticata andava a cercare gli ebrei quasi uno a uno, casa per casa: leggi, procedure, uffici, funzionari erano predisposti esclusivamente per la gestione della soluzione finale.
A fine '44, quando la guerra era segnata, il progetto fu abbandonato. Il 27 gennaio 1945 il campo di Auschwitz, fu conquistato dalle forze armate sovietiche in rapido avanzamento verso Berlino.

 

Olocausto: perché?


Questa sezione è la elaborazione di alcune lezioni fatte in classe, ed ha perciò un taglio didattico. Talvolta anche le spiegazioni possono essere rivolte esplicitamente ai ragazzi.

 

 

La mia preoccupazione era allontanare l'idea che l'olocausto si interiorizzi come qualcosa di estraneo alla nostra identità; un male assoluto, commesso da mostri, talmente orrendo da non poter essere compreso né spiegato.

Schema indicativo delle domande chiave per cercare il significato della memoria della shoah:

Tutta colpa di Hitler??

Le responsabilità della popolazione sono enormi ma non per l'adesione al progetto politico del nazismo (alternativa radicale alla democrazia e ai valori della società borghese: uguaglianza, libertà, solidarietà) bensì per INDIFFERENZA. Alcune indagini hanno descritto un riscontro di questo tipo:

 

5% tedeschi entusiasti di Hitler
69% indifferenti
21% dubbio e smarrimento
5% decisa opposizione
E' il 90% di cittadini passivi a permettere a un gruppo ristretto di fanatici criminali di realizzare lo sterminio.

Perché proprio gli ebrei?

Erano tradizionalmente malvisti in molti strati popolari, per ragioni religiose e culturali, e si prestavano perfettamente a simboleggiare tutto ciò che c'era di odioso, terribile e minaccioso del mondo: un CAPRO ESPIATORIO perfetto. Era molto semplice e molto efficace dal punto di vista propagandistico. Il “nemico” della società, la causa di tutti i mali era materiale, non ideale come poteva essere il comunismo o il capitalismo. Indicando nell'ebreo il male assoluto, il regime nazista personificava l'odio per il comunismo, il capitalismo, l'internazionalismo, la modernità.

Peraltro non possiamo e dobbiamo dimenticare che i campi di concentramento e di sterminio non hanno riguardato solamente gli ebrei. Il totale dei morti nei campi infatti potrebbe superare i dieci milioni se aggiungiamo tutti i perseguitati dal regime nazista: zingari, oppositori politici (anarchici e comunisti), testimoni di geova, handicappati, emarginati sociali.

Un buco nero dell'umanità, un regresso della civiltà?

In realtà no. Il nazismo è l'espressione della civiltà moderna, dell'industrializzazione, dello sviluppo della scienza, della tecnica e della cultura storica. I gerarchi nazisti erano persone normali, non mostri. Himmler, il capo delle SS, amava gli animali e la famiglia. Tutti erano amanti della buona musica e delle arti. L'eccezionalità e la mostruosità dello sterminio degli ebrei sta proprio nella sua modernità: nella burocrazia, nella impersonalità dei compiti, nell'alta tecnologia utilizzata, nell'enfasi sugli aspetti medici, tecnici e scientifici. Non è una violenza da barbari primitivi.

Cosa voleva fare Hitler?

Il progetto di Hitler era di ridisegnare la mappa etnica dell'Europa secondo una concezione del mondo divisa in razze. Gli ariani avrebbero dominato; gli slavi sarebbero stati gli schiavi addetti ai lavori forzati, tutto l'est ridotto ad una colonia della Germania da sfruttare e i popoli raggruppati e spostati a seconda delle etnie. Gli ebrei esiliati in un'isola africana (avevano pensato al Madagascar) oppure eliminati del tutto.

L'eccezionalità dei campi di sterminio

Il progetto tragico di Hitler si realizzò effettivamente in delle aree limitate e nascoste chiamati Lager. La specificità era l'organizzazione interna che portava alla distruzione morale dei prigionieri. Quello che fa considerare Auschwitz “il male assoluto” è la capacità di pianificare l'annientamento dell'uomo prima di mandarlo nelle camere a gas. I tre milioni di ebrei, comunisti e zingari uccisi nei campi non soffrivano più, non speravano più, non sognavano più quando andavano a fare l'ultima doccia.

Non può ripetersi ??

Siccome non è stato un evento fatto da mostri, ma una eccezionale combinazioni di fattori delle società moderne, non è affatto escluso che qualcosa di simile si ripeta. Le recenti guerre a sfondo etnico - come la guerra in Jugoslavia - in un certo senso ci ricordano tragicamente l'attualità della storia della shoah.

 

E noi che c'entriamo?

L'attualità di questa brutta storia si può individuare lungo due binari, che accompagnano spesso le società contemporanee: il razzismo e l'indifferenza.

1) Il razzismo.

Dal diario di Anna Frank ‘Se un cristiano compie una cattiva azione la responsabilità é soltanto sua, se un ebreo compie una cattiva azione, la responsabilità ricade su tutti gli ebrei". La shoah è stata la combinazione della NORMALITA' indotta dall'organizzazione burocratica e dall'obbedienza e indifferenza alle direttive superiori e dall'ORRORE di una concezione dello straniero/diverso come non-umano. Questo porre l'ebreo al di là dell'umano ha funzionato come anestetico per la coscienza.

2) Indifferenza.

La chiusura nella vita privata e il disinteresse per la vita sociale e politica è uno dei fattori causali della tragedia. Per questo c'è la giornata della memoria. Non basta “non dimenticare” bisogna prendere coscienza che l'abbandono dei valori portanti della nostra civiltà (libertà individuale, uguaglianza, solidarietà) unita alla diffusione di idee razziste e violente può - in certi momenti storici - portare a forme simili di sterminio di massa. Non è un meccanismo irripetibile. I momenti storici a rischio si verificano quando le istituzioni perdono di stabilità e di legittimità. Se non è lo Stato a codificare i principi entro un quadro coerente di leggi e relazioni tra le parti il rischio di scivolare in fenomeni simili al nazifascismo c'è, proprio alla luce della “non mostruosità” del “non anacronismo”. Ovvero la nostra civiltà – mentalità comune, cultura di massa, capacità tecnologica, scientifica, di organizzazione – produce la democrazia, i diritti dell'uomo e tutto il resto, ma può produrre anche ideologie di superiorità della razza e pianificazione di una qualche “soluzione finale”.

La seconda guerra

La Seconda Guerra Mondiale
Non ci sono dubbi sui responsabili della seconda guerra mondiale: Adolf Hitler. Naturalmente le cose sono un po' più complicate, comunque si può riassumere il percorso verso la guerra in alcuni passaggi fondamentali fatti dai paesi aggressori e non fatti dalle democrazie occidentali che in tutti i modi volevano evitare un altro conflitto.
Invasione giapponese della Manciuria nel 1931; l'invasione italiana dell'Etiopia; denuncia del Trattato di Versailles e riarmo tedesco (1935); invasione della Renania (1936); guerra civile spagnola (1936); occupazione dell'Austria e della Cecoslovacchia (1938). Infine il trattato di non aggressione tra Germania e Unione Sovietica (1939).
Dall'altra parte, in senso negativo, i paesi democratici riuniti nella Società delle Nazioni sono stati colpevoli per non essere intervenuti nelle aggressioni di Manciuria e Etiopia. I particolare Francia e Gran Bretagna sono rimaste a guardare quando erano ancora nettamente più forti della Germania; prima non intervenendo nella guerra di Spagna, poi permettendo a Hitler di annettere Austria, Cecoslovacchia (fallimento della Conferenza di Monaco nel 1938).

Tecnicamente la IIGM si spiega nel tentativo della Germania di fare un blietzgrieg (guerra lampo) per conquistare l'Europa centrale e occidentale. L'occupazione della Polonia realizzata in tre settimane causò la dichiarazione di guerra di Francia e Gran Bretagna. Nell'estate 1940 le truppe della Wairmarch conquistarono il Belgio, l'Olanda, la Francia, la Norvegia e la Danimarca. Tutte furono occupate mentre la Francia ebbe una zona controllata dal governo collaborazionista di Vichy. L'Italia entrò nel conflitto nel giugno '40 dichiarando guerra alla Francia quando questa era già stata sconfitta dalle truppe naziste.
Da un punto di vista pratico la guerra in Europa era finita.
La Germania non poteva invadere la Gran Bretagna – c'era il mare e la RAF Royal Air Force – ma era altrettanto improbabile che l'esercito britannico potesse sbarcare sul continente e sconfiggere i tedeschi. Hitler non si accontentò e rilanciò immediatamente scatenando la guerra area sui cieli britannici (operazione "Leone Marino").

L'attacco dell'aviazione nazista sulle città inglesi segna una pagina leggendaria nella storia del popolo britannico.

Nelle colonie la guerra era ancora molto fluida. Truppe inglesi sottrassero aree coloniali agli italiani impegnando l'Africa Korps di Erwin Rommel in un duro confronto nel continente africano.
La guerra fu riaccesa dall'invasione hitleriana dell'Urss il 22 giugno 1941, la data decisiva della seconda guerra mondiale.
Nella mentalità di qualunque generale quella mossa appare completamente insensata: il doppio fronte a oriente e a occidente è l'incubo di ogni esercito!
Ma nel disegno di Hitler la conquista della Russia era un tassello fondamentale per ottenere grandi risorse e masse di schiavi per la macchina industriale e militare germanica. Inoltre la forza dell'Unione Sovietica era sconosciuta e certamente sottovalutata [1].
All'inizio sembrava che Hitler avesse ragione: ai primi di ottobre le forze naziste erano alle porte di Mosca; Stalin si era trasferito all'interno e la capitale sembrava sul punto di crollare. L'esercito russo però resistette e ben presto i tedeschi dovettero ripiegare.
La resistenza alle porte di Mosca (Operazione Barbarossa) è indicata da alcuni storici come il capitolo decisivo della guerra; il fallimento di una rapida vittoria in terra russa ha compromesso le capacità di tenuta dell'esercito tedesco nel lungo periodo. L'estate successiva fu tentato un nuovo sfondamento da sud (operazione Blu) con la migliore armata dell'esercito e 500.000 uomini. A Stalingrado si attestò la resistenza russa. Nell'inverno 1942-43 si decisero le sorti della guerra; 1 milione di morti a Stalingrado valsero la resa della VI armata di Von Paulus. Da quel momento iniziò la controffensiva sovietica che portò l'armata rossa a Vienna, Praga e Berlino.

Nel frattempo la guerra si era estesa fino a diventare planetaria. Il Giappone approfittò delle colonie francesi rimaste senza madrepatria e occupò tutta l'area del sud est asiatico, suscitando grande risentimento negli Stati Uniti che imposero severe restrizioni economiche al Giappone, totalmente dipendente dal commercio marittimo. Fu questo contrasto che portò – il 7 dicembre 1941 – all'attacco di Pearl Harbor.
Gli Stati Uniti condussero la "loro" guerra nel Pacifico, ma contribuirono attivamente alla controffensiva britannica in Europa. La scelta di Hitler di dichiarare guerra (anche) agli Stati Uniti appare, ancora una volta, strategicamente assurda.
Di fatto con la battaglia di Stalingrado e l'entrata in guerra dell'arsenale bellico Usa la guerra - a inizio '43 - era segnata; i destini dei contendenti era segnato, c'era da stabilire i modi e i tempi. Gli alleati inziarono a riconquistare i territori, seppur molto lentamente, intorno al dicktat della "resa senza condizioni". Questa formula, sicuramente giusta in linea di principio, portò ad un'ultima fase della guerra dettata dalla spietatezza assoluta: da una parte gli alleati che bombardavano a tappetto le città sotto controllo nazista (tra cui l'Italia) e si disinteressavano dei lager; dall'altra l'esercito tedesco - supportato dalle SS - che oppose una strenua resistenza riversando sulle popolazioni civili l'onta della sconfitta. Da qui la serie sconvolgente di stragi che portarono il numero delle vittime ad una cifra vicino o superiore ai cinquanta milioni!!! Tra le stragi che vale la pena ricordare c'è quella di Dresda - città rasa al suolo dall'aviazione americana -  in cui in una sola notte si contarono circa centomila morti (con armi convenzionali) e i tanti eccidi a freddo delle popolazioni civili: Marzabotto, Santa di Stazzema, Fosse ardeatine eccetera.
A guerra in corso i paesi vincitori tennero una serie di conferenze per decidere l'assetto del dopoguerra; Churchill, Stalin e Roosevelt si trovarono a Teheran nel 1943, a Mosca nell'autunno 1944, a Yalta all'inizio del 1945, a Postdam nella Germania occupata nell'agosto 1945.
La Germania trattò la resa ai primi di maggio, il Giappone accettò la sconfitta nell'agosto dopo lo sgancio di due bombe atomiche nelle città di Hiroshima e Nagasaki.

 
[1] Il Giappone ebbe uno scontro nel 1939 con l'Armata Rossa in un conflitto non dichiarato e ne uscì malconcio. Forse anche per questo il Giappone non dichiarò guerra all'Urss ma solamente a Usa e Gran Bretagna.