Storia d'Italia dall'età napoleonica al Fascismo

 

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 L'Italia sotto il dominio napoleonico

Verso la fine Settecento sulla scena politica italiana si affacciò Napoleone Bonaparte. Questi nel 1796, comandò, come generale, la campagna italiana, al fine di far abbandonare al Regno di Sardegna la Prima coalizione, creata contro lo stato francese, e per far arretrare gli austriaci. Gli scontri iniziarono il 9 aprile, contro i piemontesi e nel breve volgere di due settimane Vittorio Amedeo III di Savoia fu costretto a firmare l'armistizio. Il 15 maggio poi il generale francese entrò a Milano, venendo accolto come un liberatore. Successivamente respinse le controffensive austriache e continuò ad avanzare, fino ad arrivare in Veneto nel 1797. Qui si verificò anche un episodio di ribellione a causa dell'oppressione francese chiamato Pasque Veronesi, che tenne occupato Napoleone per circa una settimana. Con il diretto intento di danneggiare il pontefice fu proclamata nel 1797 la Repubblica Anconitana con capitale Ancona che fu poi unita alla Repubblica Romana: il tutto ebbe però breve durata, poiché nel 1800 lo Stato Pontificio fu ripristinato.

A ottobre del 1797 venne firmato il Trattato di Campoformio con il quale la Repubblica di Venezia fu annessa allo stato austriaco. Il trattato riconobbe anche l'esistenza della Repubblica Cisalpina, la quale comprendeva Lombardia, Emilia-Romagna oltre a piccole parti di Toscana e Veneto, mentre il Piemonte venne annesso alla Francia provocando qualche moto di ribellione. Nel 1802 venne poi denominata Repubblica Italiana, con Napoleone Bonaparte, già Primo Console della Francia, in qualità di Presidente.

Il 2 dicembre 1804 Napoleone fu incoronato Imperatore dei francesi. In conformità col nuovo assetto monarchico francese Napoleone divenne anche Re d'Italia, tramutando la Repubblica italiana in Regno d'Italia. Questa decisione lo mise in contrasto con l'Imperatore del neonato Impero austriaco Francesco I che, essendo prima di tutto Imperatore dei Romani, risultava de iure pure Re d'Italia. La situazione si risolse con la guerra contro la Terza coalizione: l'Austria venne sconfitta (2 dicembre 1805) e il trattato di Presburgo (26 dicembre 1805) pose di fatto fine al Sacro Romano Impero che verrà però sciolto solo nel 1807. L'anno successivo Bonaparte riuscì a conquistare il Regno di Napoli affidandolo al fratello e consegnandolo nel 1808 a Gioacchino Murat. Inoltre Napoleone riservò alle sorelle Elisa e Paolina i principati di Massa, Carrara e Guastalla. Proprio nel 1808 il Regno d'Italia subì un ampliamento con le annessioni di Toscana e Marche.

Nel 1809, Bonaparte occupò Roma, in seguito a contrasti con il papa, che l'aveva scomunicato, e per mantenere in efficienza il proprio stato, relegandolo prima a Savona e poi in Francia. Nella campagna di Russia, che Napoleone intraprese nel 1812, fu determinante l'appoggio degli abitanti della penisola italiana, ma questa si risolse con una sconfitta e molti italiani trovarono la morte. Dopo la fallimentare campagna di Russia gli altri stati europei si riorganizzarono, coalizzandosi tra loro e sconfiggendo Bonaparte a Lipsia. I suoi stessi alleati, primo tra tutti Murat, lo abbandonarono alleandosi con l'Austria. Ormai abbandonato dagli alleati e sconfitto a Parigi il 6 aprile 1814 Napoleone fu costretto ad abdicare e venne mandato in esilio all'Isola d'Elba. Sfuggito alla sorveglianza riuscì a ritornare in Francia e a riprendere il potere. Guadagnò nuovamente l'appoggio di Murat, il quale tentò di esortare, senza successo, gli italiani a combattere con il Proclama di Rimini. Sconfitto Bonaparte, anche Murat venne vinto e ucciso. I regni creati in Italia scomparvero ed iniziò quindi il periodo storico della Restaurazione.

La Restaurazione (1815-48)

Con la Restaurazione ritornarono sul trono gran parte dei sovrani precedenti al periodo napoleonico. Il regno di Sardegna che durante l'invasione napoleonica era rientrato nei confini insulari, riottenne tutti gli Stati di terraferma ed in più s'ingrandi con l'annessione della Repubblica di Genova, mentre Lombardia, Veneto, Istria e Dalmazia andarono all'Austria. Si ricostituirono i ducati di Parma e Modena, lo Stato della Chiesa, mentre il Regno di Napoli tornò ai Borbone.

Il Regno di Sardegna

La storia d'Italia è indissolubilmente legata alla storia dello Stato che la unificò sotto un'unica guida, il Regno di Sardegna. Fu creato sulla carta da Papa Bonifacio VIII nel 1297, con la denominazione di Regno di Sardegna e Corsica[45] per risolvere la crisi politica e diplomatica tra corona d'Aragona e ducato d'Angiò sulla Sicilia (la guerra del vespro). La realizzazione concreta del Regno di Sardegna vedrà dapprima la guerra dei catalano-aragonesi contro i pisani, poi contro il Regno di Arborea. Per oltre cento anni l'Isola fu teatro di una sanguinosa guerra prima di essere unificata definitivamente nel 1420.
Con il matrimonio tra Ferdinando II di Aragona con Isabella di Castiglia a Valladolid il 17 ottobre 1469, il Regno di Sardegna fu aggregato alla corona di Spagna e con il matrimonio della loro figlia Giovanna con Filippo d'Asburgo e la nascita di Carlo V, passò agli Asburgo, prima di Spagna, poi da quelli d'Austria (1708). A seguito della guerra di successione spagnola e del trattato dell'Aia (20 febbraio 1720), il Regno fu ceduto a Vittorio Amedeo II di Savoia, che ne divenne il diciassettesimo sovrano. Il 29 novembre 1847 gli Stati che componevano la corona di Casa Savoia si fusero insieme (Fusione perfetta) mantenendo la denominazione di Regno di Sardegna. Il 4 marzo 1848 Carlo Alberto promulgò lo Statuto fondamentale del Regno che ha retto lo Stato italiano fino al 1º gennaio 1948, quando entrò in vigore l'attuale Costituzione.

I Savoia

Umberto Biancamano nel 1032 ottenne dall'imperatore Corrado II la signoria della Savoia, della Moriana e d'Aosta. Attraverso varie successioni ereditarie, i Savoia ingrandirono nel tempo i loro territori a cavallo tra le Alpi Occidentali. Prima conti, poi duchi, nel 1416 ottennero pure il titolo nominale (senza territori) di re di Gerusalemme lasciato in eredità da Carlotta di Lusignano. Riuscirono abilmente nel XVII e nel XVIII secolo a difendersi dalle mire espansionistiche della Francia mantenendo tenacemente la loro autonomia. Da quando poi Emanuele Filiberto I di Savoia spostò la capitale da Chambéry a Torino per meglio difendersi dagli attacchi nemici, la dinastia prese le redini della storia italiana mantenendo il dominio sul ducato prima e sul Regno di Sardegna poi, fino alla unità d'Italia.
Nel 1720 Vittorio Amedeo II di Savoia assunse il titolo regio, divenendo il diciassettesimo sovrano del Regno di Sardegna. I Savoia vennero allora a pieno titolo annoverati fra le grandi casate d'Europa, fregiandosi dei titoli nominali di Re di Cipro, di Gerusalemme, d'Armenia, e dei titoli effettivi di duchi di Savoia, di Monferrato, Chiablese, Aosta e Genova; principi di Piemonte ed Oneglia; marchesi di Saluzzo, Susa, Ivrea, Ceva, Maro, Oristano, Sezana; conti di Moriana, Genova, Nice, Tenda, Asti, Alessandria, Goceano; baroni di Vaud e di Faucigny; signori di Vercelli, Pinerolo, Tarantasia, Lumellino, Val di Sesia; principi e vicari perpetui del Sacro Romano Impero in Italia. Il 17 marzo 1861 ottennero la corona di Re d'Italia. Nel 1936 Vittorio Emanuele III di Savoia fu proclamato Imperatore d'Etiopia, e nel 1939 Re d'Albania.

I moti carbonari

Con la Restaurazione, che aveva portato al ritorno degli antichi sovrani e alla cessione di regioni italiane all'Austria, si svilupparono forti ideali patriottici. Nacque così la Carboneria e si diffuse proprio nelle regioni cedute agli austriaci e in Romagna, grazie anche a Piero Maroncelli. I primi moti carbonari nella penisola italiana vi furono nel 1820-21 e colpirono il Regno di Napoli nel luglio 1820 e il Piemonte nel marzo 1821. A Napoli il sovrano fu costretto a cedere la costituzione, obiettivo dei carbonari, ma l'intervento degli austriaci riportò tutto come prima, e stessa cosa nel Regno di Sardegna. Contemporaneamente nel Regno lombardo-veneto vi furono molti processi, i più famosi al conte Federico Confalonieri, a Silvio Pellico e Piero Maroncelli.
Nonostante le sconfitte subite la carboneria non si sciolse e si ripresentò sulla scena politica nel 1830, in particolare nel Ducato di Modena e nello Stato Pontificio, venendo per la seconda volta repressa. Il risultato fu il decadimento della carboneria e la nascita della Giovine Italia, movimento anch'esso segreto fondato da Giuseppe Mazzini nel 1831. Dopo aver trovato una discreta adesione Mazzini decise di organizzare i primi moti in terra sabauda, ma questi vennero scoperti ancor prima di iniziare e fallirono. Nonostante ciò il Re Carlo Alberto di Savoia cambiò la sua linea politica e alcuni anni dopo, nel 1848 concesse la costituzione, nota come Statuto Albertino, temendo reazioni pericolose alla monarchia. Prima di questo si verificarono altri tentativi. Il più noto è quello dei Fratelli Bandiera, italiani appartenenti alla marina austriaca che tentarono di sollevare il sud, ma vennero catturati, anche grazie alla popolazione che li riteneva briganti, e fucilati.

Risorgimento

Dopo le guerre napoleoniche, spinte nazionali e nazionalistiche appoggiate dai Savoia, che videro in queste l'opportunità di allargare il proprio Regno di Sardegna, portarono ad una serie di guerre di indipendenza contro l'Impero austro-ungarico. Nel 1848 si verificarono varie insurrezioni nei domini sottoposti agli austro-ungarici, in particolare a Venezia e Milano (famose appunto le cinque giornate di Milano, che si conclusero il 22 marzo con la vittoria della popolazione locale e l'abbandono da parte del maresciallo austriaco Josef Radetzky della città). Visti i successi ottenuti dalle due città Carlo Alberto di Savoia decise, con l'appoggio bellico di altri stati italiani (Stato della Chiesa, il Granducato di Toscana e il Regno delle Due Sicilie), di entrare in azione il 23 marzo dando inizio alla prima guerra di indipendenza italiana. L'inizio del conflitto fu favorevole agli stati italici, con varie vittorie, a Pastrengo, la Battaglia di Santa Lucia a Verona, poi Peschiera e Goito. Il ritiro dalla guerra del papa, che temeva una reazione religiosa austriaca che avrebbe potuto provocare uno scisma, e di Ferdinando II di Borbone decretò però l'insuccesso della guerra, che si risolse con un nulla di fatto: gli austriaci recuperarono le città perse (l'ultima a cadere fu Venezia nell'agosto 1849) e il 4 agosto Carlo Alberto firmò l'armistizio; fu quindi costretto ad abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II.


Seconda guerra d'indipendenza

Nel 1852 divenne primo ministro del Regno Sabaudo Camillo Benso Conte di Cavour, il quale attuò numerose riforme economiche al fine di rendere il regno di Sardegna più moderno, aumentando le ferrovie, ampliando il porto di Genova e favorendo la nascita dell'industria, fino ad allora inesistente nel Paese. Nel 1855 il Regno di Sardegna, sotto indicazione di Cavour, partecipò alla guerra di Crimea, inviando 18.000 uomini. Questa partecipazione permise al regno sabaudo di essere presente al congresso di Parigi l'anno seguente dove il primo ministro attaccò il comportamento austriaco e si creò simpatie tra inglesi, francesi e prussiani. Ricevuti pareri favorevoli all'azione da Napoleone III, nel 1858 i due strinsero un accordo segreto a Plombières, con il quale i francesi avrebbero sostenuto i Savoia in caso di attacco austriaco a patto che fossero gli austriaci ad attaccare: se i Piemontesi avessero conquistato Lombardia e Veneto, in cambio avrebbero ceduto alla Francia la Savoia e Nizza. Adottando un comportamento provocatorio nei confronti degli austriaci Cavour riuscì nell'intento di farsi dichiarare guerra, dando inizio alla seconda guerra di indipendenza italiana, che iniziò il 29 aprile 1859. Dopo alcuni iniziali successi austriaci, la guerra volse in favore del Piemonte, che fu vittorioso, grazie al sostegno di Napoleone III, a Montebello (20 maggio), Palestro (30 maggio), Turbigo, Magenta e Milano (5 giugno), occupando così la Lombardia. Proprio quando il Piemonte si stava accingendo a occupare il Veneto, tuttavia, Napoleone III cominciò le trattative, a insaputa dei piemontesi, che terminarono con la cessione della Lombardia. Gli accordi di Plombières prevedevano però la conquista del Veneto e Cavour deluso dovette comunque cedere, provocando varie proteste, Savoia e Nizza. Terminata la seconda guerra di indipendenza alcuni ducati (Modena, Parma, Emilia, Romagna e Toscana) vollero unirsi allo stato sabaudo. Il Regno di Sardegna comprendeva a questo punto i territori delle attuali regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Sardegna, Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria e Toscana, mentre rimanevano esclusi quelli di Umbria, Marche e Lazio, sottoposti al dominio pontificio, oltre al sud.

Spedizione dei Mille e nascita del regno d'Italia

Nel 1860 venne organizzata la spedizione dei Mille, guidata da Giuseppe Garibaldi. Partiti da Quarto il 5 maggio, sbarcarono l'11 a Marsala. Mentre Garibaldi, insieme ai picciotti siciliani conquistava l'isola, nella parte continentale del Regno delle due Sicilie il Comitato per l'Unità Nazionale di Napoli preparava la strada alla conquista della capitale: il 18 agosto dello stesso anno, con l'insurrezione di Potenza, la Basilicata, guidata dal governo prodittatoriale di Giacinto Albini, dichiarò la sua annessione al Regno d'Italia. Il giorno seguente Garibaldi passò lo stretto di Messina. Il 7 settembre Garibaldi entrò trionfalmente a Napoli, abbandonata dal re Francesco II di Borbone in favore di Gaeta. La sconfitta finale dei borbonici avvenne sul Volturno il 1º ottobre 1860. Il 21 ottobre si tennero i plebisciti che decretarono l'annessione dei territori delle Due Sicilie al Regno Sabaudo.
Il parlamento sabaudo decise allora di proclamare il 17 marzo 1861 il Regno d'Italia, estendendo lo statuto albertino a tutto il Regno e consegnando la corona a Vittorio Emanuele II e ai suoi eredi. Nell'occasione Cavour scriveva:
    
« La legalità costituzionale ha consacrato l'opera di giustizia e riparazione che ha restituito l'Italia a se stessa. A partire da questo giorno, l'Italia afferma a voce alta di fronte al mondo la propria esistenza. Il diritto che le apparteneva di essere indipendente e libera [...] l'Italia lo proclama solennemente oggi. »
    (Cavour, da una lettera a Vittorio Emanuele Taparelli d'Azeglio, 17 marzo 1861)

Per completare l'unità tuttavia mancavano ancora Veneto e Friuli, Roma, Trentino-Alto Adige e Venezia Giulia.

Terza guerra d'indipendenza

Per conquistare Veneto e Friuli nel 1866 il Regno d'Italia dichiarò guerra all'Austria alleandosi con la Prussia e dando così inizio alla terza guerra di indipendenza. Le sconfitte però furono molte, le più famose a Custoza e Lissa. Gli unici successi vennero ottenuti da Garibaldi in Trentino. La vittoria prussiana, però, fu d'aiuto all'Italia, che ricevette dalla Francia (che, a sua volta, aveva ottenuto dalla Prussia grazie alla vittoria di quest'ultima sull'Austria a Sadowa) il Veneto e parte del Friuli-Venezia Giulia.
Mancava Roma e per due volte Giuseppe Garibaldi ne tentò la conquista con i suoi volontari: nel 1862 e nel 1867, venendo fermato nel primo caso dalle truppe italiane, nel secondo dall'esercito francese, che anche nel 1862 aveva costretto l'esercito regio a intervenire. La caduta del secondo impero francese, conseguenza della vittoria prussiana nella guerra franco-prussiana, tolse al papato la protezione di Napoleone III, detronizzato, e permise alle forze italiane di espugnare Roma il 20 settembre 1870 in seguito alla Breccia di Porta Pia. Ciò determinò tuttavia una profonda frattura tra Stato italiano e Chiesa, formalmente sanatasi poi con i Patti Lateranensi del 1929.

Storia d'Italia dall'unità a oggi

L'Italia liberale (1861-1914)

Il Regno d'Italia (1861-1946) nacque nel 1861 dopo l'esito della seconda guerra di indipendenza e dopo i plebisciti degli altri territori conquistati. Con la prima convocazione del Parlamento italiano del 18 febbraio 1861 e la successiva proclamazione del 17 marzo, Vittorio Emanuele II fu il primo re d'Italia (1861-1878). La popolazione, rispetto all'originario Regno di Sardegna, quintuplicò. Istituzionalmente e giuridicamente, il Regno d'Italia venne configurandosi come un ingrandimento del Regno di Sardegna. Ciò, ed anche l'aver a modello la struttura della Francia, comportò quella che viene chiamata la piemontesizzazione del Paese ed un assetto fortemente accentrato, tanto che lo stesso presidente Giorgio Napolitano ha dichiarato che oggi occorre «superare il vizio di origine del centralismo statale di impronta piemontese».
Il neonato Stato, una monarchia costituzionale, si ritrovò, fin dai primi tempi, a tentare di risolvere problemi di standardizzazione delle leggi, di mancanza di risorse a causa delle casse statali vuote per le spese belliche, di creazione di una moneta unica per tutta la penisola e più in generale problemi di gestione per tutte le terre improvvisamente acquisite. A questi problemi, se ne aggiungevano altri, come ad esempio l'analfabetismo e la povertà diffusa, nonché la mancanza di infrastrutture. La questione che tenne banco nei primi anni della riunificazione d'Italia fu la questione meridionale ed il brigantaggio antisabaudo delle regioni meridionali (soprattutto tra il 1861 e il 1869). Ulteriore elemento di fragilità era costituito dall'ostilità della Chiesa cattolica e del clero nei confronti del nuovo Stato, ostilità che si sarebbe rafforzata dopo il 1870 e la presa di Roma (questione romana).

La destra storica

La Destra storica, composta principalmente dall'alta borghesia e dai proprietari terrieri, formò il nuovo governo, che ebbe come primi obiettivi il completamento dell'unificazione nazionale, la costruzione del nuovo stato (per il quale si scelse un modello centralista) e il risanamento finanziario mediante nuove tasse che produssero scontento popolare e accentuarono il brigantaggio, represso con la forza. In politica estera, la Destra storica mantenne la tradizionale alleanza con la Francia, anche se le due nazioni si scontrarono in diverse questioni, prime fra tutte l'annessione del Veneto e la presa di Roma. Nel 1876 il governo venne esautorato per la prima volta non per autorità regia, bensì dal Parlamento (rivoluzione parlamentare). Ebbe così inizio l'epoca della Sinistra storica, guidata da Agostino Depretis. Finiva un'epoca: solo pochi anni dopo, Vittorio Emanuele II morì, e sul trono gli successe Umberto I.

La sinistra storica

La Sinistra abbandonò l'obiettivo del pareggio di bilancio e avviò delle politiche di democratizzazione e ammodernamento del paese, investendo nell'istruzione pubblica e allargando il suffragio, e avviando una politica protezionistica di investimenti in infrastrutture e sviluppo dell'industria nazionale coll'intervento diretto dello stato nell'economia. Per ciò che concerne la politica estera Depretis abbandonò l'alleanza con la Francia, a causa della conquista da parte dello stato d'oltralpe della Tunisia. L'Italia entrò quindi nella Triplice Alleanza, alleandosi con la Germania e l'Impero austro-ungarico. Favorì lo sviluppo del colonialismo italiano, innanzitutto con l'occupazione di Massaua in Eritrea.

Dal 1901 al 1914 la storia e la politica italiana fu fortemente influenzata dai governi guidati da Giovanni Giolitti.

L'epoca giolittiana

Come neo-presidente del Consiglio si trovò a dover affrontare, prima di tutto, l'ondata di diffuso malcontento che la politica Crispina aveva provocato con l'aumento dei prezzi. Ed è con questo primo confronto con le parti sociali che si evidenziò la ventata di novità che Giolitti portò nel panorama politico a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. Non più repressione autoritaria, bensì accettazione delle proteste e quindi degli scioperi, purché non violenti né politici, con lo scopo (riuscito) di portare i socialisti nell'arco parlamentare. Gli interventi più importanti di Giolitti furono la legislazione sociale e sul lavoro, il suffragio universale maschile, la nazionalizzazione delle ferrovie e delle assicurazioni, la riduzione del debito statale, lo sviluppo delle infrastrutture e dell'industria. In politica estera, ci fu il riavvicinamento dell'Italia alla Triplice intesa di Francia, Regno Unito e Russia. Fu continuata la politica coloniale nel Corno d'Africa, e dopo la guerra italo-turca, furono occupate Libia e Dodecaneso. Giolitti fallì nel suo tentativo di arginare il nazionalismo come aveva costituzionalizzato i socialisti, e non riuscì quindi a impedire l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale e quindi l'ascesa del fascismo.

L'avventura coloniale

Il Corno d'Africa

L'inizio del regno vide l'Italia impegnata anche in una serie di guerre di espansione coloniale. L'occupazione cominciò nel novembre 1869 quando il padre lazzarista Giuseppe Sapeto avviò le trattative per l'acquisto della Baia di Assab, negoziazione appoggiata dai governi di Sinistra di Depretis e da una compagnia privata guidata da Raffaele Rubattino, ma che si concluse solo nel 1882 a causa delle contestazioni del governo egiziano, che rivendicava anch'esso il possesso della baia.
Quando gli egiziani si ritirarono dal Corno d'Africa nel 1884, i diplomatici italiani strinsero un accordo con la Gran Bretagna per l'occupazione del porto di Massaua che assieme ad Assab formò i cosiddetti possedimenti italiani nel mar Rosso. Dal 1890 assunsero la denominazione ufficiale di Colonia Eritrea. L'interesse per la fondazione di colonie italiane continuò anche durante i governi di Francesco Crispi. La città di Massaua diventò il punto di partenza per un progetto che sarebbe dovuto sfociare nel controllo del Corno d'Africa.
Attraverso i commercianti e gli studiosi italiani che frequentavano la zona, già dagli anni sessanta, l'Italia cercò di penetrare all'interno dell'Etiopia (all'epoca retta dal Negus Neghesti (Re dei Re, cioè Imperatore) Giovanni IV, ma con la presenza di un stato relativamente autonomo nei territori del sud, retto da Menelik II), cercando di dividere i due Negus. Nel 1889 l'Italia ottenne, tramite un accordo da parte del Console italiano di Aden con i Sultani che governavano la zona, i protettorati su Obbia e su Migiurtinia. Nel 1892 il Sultano di Zanzibar concesse in affitto i porti del Benadir (fra cui Mogadiscio e Brava) alla società commerciale "Filonardi". Il Benadir, sebbene gestito da una società privata, fu sfruttato dal Regno d'Italia come base di partenza per delle spedizioni esplorative verso le foci del Giuba e dell'Omo, e per ottenere il protettorato sulla città di Lugh.
A seguito della sconfitta e della morte dell'Imperatore Giovanni IV in una guerra contro i dervisci sudanesi (1889), l'esercito italiano occupò parte dell'altopiano etiopico, compresa la città di Asmara, sulla base di precedenti accordi fatti con Menelik il quale, con la morte del rivale, era riuscito a farsi riconoscere Negus Neghesti. Con il trattato che seguì, Menelik accettò la presenza degli italiani sull'altopiano etiope e riconobbe nell'Italia l'interlocutore privilegiato con gli altri paesi europei. Quest'ultimo riconoscimento fu interpretato dagli italiani come l'accettazione di un protettorato e negli anni seguenti sarà fonte di discordie fra i due paesi.
La politica di progressiva conquista dell'Etiopia si concretizzò con la campagna d'Africa Orientale (1895-1896) e terminò con la sconfitta nella battaglia di Adua (1º marzo 1896). Fu uno dei pochi successi della resistenza africana al colonialismo europeo del XIX secolo. Anche dopo questa cocente sconfitta la politica coloniale nel Corno d'Africa continuò con il protettorato sulla Somalia, dichiarata colonia nel 1905.

Altre colonie acquisite nel primo ventennio del novecento

Nel 1901, come a molte altre potenze straniere, fu garantito all'Italia una concessione commerciale nell'area della città di Tientsin (l'odierna Tianjin) in Cina. La concessione italiana, di 46 ettari, fu una delle minori concessioni concesse dall'Impero cinese alle potenze europee e, alla fine della prima guerra mondiale, si espanse inglobando la concessione austriaca nella stessa città. I termini di tale concessione vennero ridiscussi, e infine la stessa concessione venne di fatto sospesa, a seguito di un accordo tra la Repubblica Sociale Italiana e il governo filo-giapponese della Repubblica di Nanchino (che inglobò la concessione) nel 1943. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, la guarnigione italiana a Tientsin combatté contro i giapponesi, ma dovette poi arrendersi e pagare con la prigionia in Corea. La concessione di Tientsin, così come i quartieri commerciali italiani a Shanghai, Hankou e Pechino, furono formalmente soppressi con il trattato di pace del 1947. Dopo una breve guerra contro l'Impero ottomano nel 1911, l'Italia acquisì il controllo della Tripolitania e della Cirenaica, ottenendo il riconoscimento internazionale a seguito al Trattato di Losanna (1912). Le mire italiane sulla Libia, vennero appoggiate dalla Francia, che vedeva di buon occhio l'occupazione di quel territorio in funzione anti-inglese. Con il fascismo, alla Libia venne attribuito l'appellativo di quarta sponda, quando in realtà per gran parte degli anni venti fu impegnata in una sanguinosa pacificazione della colonia.

Tra l'aprile e l'agosto del 1912, durante la fase conclusiva della guerra in Libia contro l'Impero ottomano, l'Italia decise di occupare dodici isole del mar Egeo sottoposte al dominio turco: il cosiddetto Dodecaneso. A seguito del Trattato di Losanna (1912), l'Italia poté mantenere l'occupazione militare del Dodecaneso fino a quando l'esercito turco non avesse abbandonato completamente l'area libica. Questo processo avvenne lentamente, anche perché alcuni ufficiali ottomani decisero di collaborare con la resistenza libica, per cui l'occupazione del Dodecaneso venne mantenuta nei fatti fino al 21 agosto 1915, giorno in cui l'Italia, entrata nella prima guerra mondiale assieme le forze dell'Intesa, riprese le ostilità contro l'Impero ottomano.
Durante la guerra e l'occupazione italiana di Adalia l'isola di Rodi fu sede di un'importante base navale per le forze marine britanniche e francesi. Dopo la vittoria nella prima guerra mondiale, il Regno d'Italia intendeva consolidare formalmente la propria presenza nell'area dell'Egeo e lungo le coste turche. Tramite un accordo con il governo greco all'interno del Trattato di Sèvres del 1919, si stabilì che Rodi diventasse italiana anche dal punto di vista formale, mentre le altre undici isole sarebbero passate alla Grecia, come la totalità delle altre isole del mar Egeo. In cambio, l'Italia avrebbe ottenuto dallo stato greco il controllo della parte sud-ovest dell'Anatolia (Occupazione italiana di Adalia), che si estendeva da Konya fino ad Alanya e che comprendeva il bacino carbonifero di Adalia. La sconfitta dei Greci nella guerra contro la Repubblica di Turchia nel 1922, rese impossibile l'accordo e l'Italia mantenne l'occupazione di fatto delle isole fino a quando, con il Trattato di Losanna (1923), l'amministrazione dell'arcipelago non le fu riconosciuto internazionalmente.
L'isola di Saseno fu occupata il 30 ottobre 1914 dal Regno d'Italia, fino a quando, dopo la prima guerra mondiale, il 18 settembre 1920, grazie ad un accordo italo-albanese (accordo di Tirana del 2 agosto 1920, in cambio delle pretese italiane su Valona) e ad un accordo con la Grecia, entrò a far parte dell'Italia che la voleva per la sua posizione strategica. Fece prima parte della provincia di Zara (dal 1920 al 1941), poi nel 1941 entrò a far parte della provincia di Cattaro (Dalmazia). Occupata dai tedeschi nel settembre del 1943 e dai partigiani albanesi nel maggio del 1944, l'isola venne restituita all'Albania per effetto del Trattato di Parigi del 10 febbraio (1947). Oggi sull'isola esiste un deposito e una caserma della Guardia Costiera aperta nel 1997 per reprimere i traffici illeciti tra l'Italia e l'Albania e restano le installazioni (incluso un faro e varie fortificazioni) costruite durante la precedente occupazione italiana.

Dalla Sirte al Ciad

Uno dei tentativi di creare un Impero coloniale oltre il Corno d'Africa era quello di un'espansione che andasse dal mare Mediterraneo al golfo di Guinea. Il progetto non venne mai esplicitato pubblicamente, ma fu chiaro durante le trattative per il Trattato di Versailles (1919), dopo la prima guerra mondiale, che causò frizioni diplomatiche con la Francia. Per realizzare questa intenzione, avendo già formale possesso della Libia, il corpo diplomatico italiano chiese di avere la colonia tedesca del Camerun e cercò di ottenere, come compenso per la partecipazione alla guerra mondiale, il passaggio del Ciad dalla Francia all'Italia. Il progetto fallì quando il Camerun venne assegnato alla Francia e l'Italia ottenne solamente l'Oltregiuba, oltre a una ridefinizione dei confini tra la Libia e ed il Ciad, possedimento francese.
Una delle richieste italiane durante il Trattato di Versailles dopo la prima guerra mondiale fu quella di annettere la Somalia Francese e il Somaliland in cambio della rinuncia alla partecipazione nella ripartizione delle colonie tedesche tra le forze dell'Intesa. Il tentativo non ebbe seguito. Fu l'ultima manovra dello stato liberale, prima del fascismo, relativa alla penetrazione nel Corno d'Africa.

Fatti di sangue durante il dominio coloniale italiano

A seguito dell'uccisione di civili e militari italiani in Libia ed Etiopia, durante il dominio coloniale italiano in Africa furono commesse (anche se in misura inferiore a quanto fatto - ad esempio - da inglesi e francesi) alcune atrocità e crimini contro l'umanità.

L'Italia nella prima guerra mondiale (1915-1918)

L'iniziale neutralità

Nella prima guerra mondiale l'Italia rimase inizialmente neutrale, per poi scendere al fianco degli alleati il 23 maggio 1915 dopo la firma del segreto Patto di Londra. L'accordo prevedeva che l'Italia entrasse in guerra al fianco dell'Intesa entro un mese, ed in cambio avrebbe ottenuto, in caso di vittoria, il Trentino, l'Alto Adige, la Venezia Giulia, l'Istria, con l'esclusione di Fiume, parte della Dalmazia.
Per quanto riguarda le colonie, l'Italia avrebbe conquistato l'arcipelago del Dodecaneso (occupato, ma non annesso a colonia dopo la guerra italo-turca), la base di Valona in Albania, il bacino carbonifero di Adalia in Turchia, nonché un'espansione delle colonie africane, a scapito della Germania (l'Italia in Africa possedeva già Libia, Somalia ed Eritrea).

1915-1918

Lo stato italiano decise di entrare in guerra il 24 maggio 1915.

Il comando dell'esercito venne affidato al generale Luigi Cadorna, che aveva come obiettivo il raggiungimento di Vienna passando per Lubiana. All'alba del 24 maggio il Regio Esercito sparò il primo colpo di cannone contro le postazioni austro-ungariche asserragliate a Cervignano del Friuli che, poche ore più tardi, divenne la prima città conquistata. All'alba dello stesso giorno la flotta austro-ungarica bombardò la stazione ferroviaria di Manfredonia; alle 23:56, bombardò Ancona. Lo stesso 24 maggio cadde il primo soldato italiano, Riccardo di Giusto. Il fronte aperto dall'Italia ebbe come teatro le Alpi, dallo Stelvio al mare Adriatico. Lo sforzo principale per sfondare il fronte fu concentrato nella regione delle valli Isonzo, in direzione di Lubiana. Dopo un'iniziale avanzata italiana, gli austro-ungarici ricevettero l'ordine di trincerarsi e resistere. Si arrivò così a una guerra di posizione simile a quella che si stava svolgendo sul fronte occidentale. La guerra continuò con pochi risultati e molte perdite nel corso del 1915, 1916, 1917.

Nell'ottobre 1917 la Russia abbandonò il conflitto a causa della rivoluzione comunista. Le truppe degli Imperi Centrali furono spostate dal fronte orientale a quello occidentale. Visti gli esiti dell'ultima offensiva italiana e i rinforzi provenienti dal fronte orientale, austro-ungarici e tedeschi decisero di tentare l'avanzata e il 24 ottobre ruppero il fronte convergendo su Caporetto e accerchiando la 2ª Armata comandata dal generale Luigi Capello. L'unica armata resistita al disastro fu la 3ª, guidata da Emanuele Filiberto di Savoia, cugino di Re Vittorio Emanuele III.
La rottura del fronte di Caporetto provocò il crollo delle postazioni italiane lungo l'Isonzo, con la ritirata delle armate schierate dall'Adriatico fino alla Valsugana, in Trentino, mentre gli austriaci avanzarono per 150 km in direzione sud-ovest raggiungendo Udine in soli quattro giorni. La disfatta portò alla destituzione di Capello, ritenuto il principale responsabile della sconfitta, e di Cadorna, quest'ultimo sostituito dal maresciallo Armando Diaz nel ruolo di capo di stato maggiore; ma fu anche la cagione di un elevato malcontento nelle truppe, che portò a frequenti disordini, molti dei quali terminati con sommarie fucilazioni. Gli austro-ungarici fermarono gli attacchi in attesa della primavera del 1918, preparando un'offensiva che li avrebbe dovuti portare a penetrare nella pianura veneta. Tale offensiva arrivò il 15 giugno: l'esercito dell'Impero attaccò con 66 divisioni nella battaglia del solstizio (15-23 giugno 1918), che vide gli italiani resistere all'assalto. Gli austro-ungarici persero le loro speranze, visto che il paese era ormai a un passo dal tracollo, assillato dall'impossibilità di continuare a sostenere lo sforzo bellico sul piano economico e su quello sociale, data l'incapacità dello Stato di farsi garante dell'integrità dello stato multinazionale asburgico. Con i popoli dell'impero asburgico sull'orlo della rivoluzione, l'Italia anticipò di un anno l'offensiva prevista per il 1919 per impegnare le riserve austro-ungariche ed impedire loro la prosecuzione dell'offensiva sul fronte francese. Da Vittorio Veneto, il 23 ottobre partì l'offensiva. Gli italiani avanzarono rapidamente in Veneto, Friuli e Cadore e il 29 ottobre l'Austria-Ungheria si arrese. Il 3 novembre, a Villa Giusti, presso Padova l'esercito dell'Impero firmò l'armistizio.

Esito

L'Italia completò la sua riunificazione nazionale acquisendo il Trentino-Alto Adige, la Venezia Giulia, l'Istria, alcuni territori del Friuli ancora irredenti e la città di Trieste. Queste regioni avevano fatto parte, fino ad allora, della Cisleitania nell'ambito dell'Impero austro-ungarico (ad eccezione della città di Fiume, incorporata nel Regno d'Italia nel 1924 e posta in Transleitania). Inoltre al Regno d'Italia furono assegnate alcune compensazioni territoriali in Africa, come l'Oltregiuba in Somalia. Ma il prezzo fu altissimo: 651.010 soldati, 589.000 civili per un totale di 1.240.000 morti su di una popolazione di soli 36 milioni, con la più alta mortalità nella fascia di età compresa tra 20 e 24 anni.

Il ventennio fascista

Nascita del fascismo e marcia su Roma

Dopo la prima guerra mondiale la situazione interna italiana era precaria: le casse statali erano quasi vuote anche perché la lira durante il conflitto aveva perso buona parte del suo valore, a fronte di un costo della vita aumentato di almeno il 450%. Scarseggiavano le materie prime e le industrie faticavano a convertire la produzione bellica in produzione di pace e ad assorbire l'abbondanza di manodopera accresciuta dai soldati di ritorno dal fronte. Inoltre, il paese, con la sua economia basata sull'agricoltura, perse una grossa fetta della sua forza-lavoro causando la rovina di moltissime famiglie. Per questi motivi nessun ceto sociale era soddisfatto, e soprattutto tra i benestanti s'insinuò il timore di una possibile rivoluzione comunista, sull'esempio russo. L'estrema fragilità socio-economica portò spesso a disordini, che il più delle volte venivano stroncati con metodi sbrigativi e sanguinari dalle forze armate.
Inoltre il Trattato di Versailles (1919) non aveva portato a nessun vantaggio importante all'Italia: infatti il patto (memorandum) di Londra, che prevedeva l'annessione all'Italia della Dalmazia, non venne rispettato. In base al principio di autodeterminazione dei popoli, propugnato dal presidente americano Woodrow Wilson, la Dalmazia venne annessa al neocostituito Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, con l'eccezione di Zara (a maggioranza italiana) e dell'isola di Lagosta, che con altre tre isole vennero annesse all'Italia.
Tra gli strati sociali più scontenti e più soggetti alle suggestioni ed alla propaganda nazionalista che, a seguito del Trattato di Pace, si infiammò ed alimentò il mito della vittoria mutilata, emersero le organizzazioni di reduci ed in particolare quelle che raccoglievano gli ex-arditi (truppe scelte d'assalto), presso le quali, al malcontento generalizzato, si aggiungeva il risentimento causato dal non aver ottenuto un adeguato riconoscimento per i sacrifici, il coraggio e lo sprezzo del pericolo dimostrati in anni di duri combattimenti al fronte.
Tale era il contesto nel quale il 23 marzo 1919 Benito Mussolini fondò a Milano il primo fascio di combattimento, un nuovo movimento che espresse la volontà di «trasformare, se sarà inevitabile anche con metodi rivoluzionari, la vita italiana», autodefinendosi partito dell'ordine e riuscendo così a guadagnarsi la fiducia dei ceti più ricchi e conservatori, contrari a ogni agitazione e alle rivendicazioni sindacali che caratterizzarono il cosiddetto biennio rosso. Il momento pareva propizio per Mussolini, ed un forte contingente di 50.000 squadristi venne radunato nell'alto Lazio e mosse contro la Capitale, il 26 ottobre 1922. Mentre l'Esercito si preparava a fronteggiare il colpo di mano fascista (con Badoglio principale sostenitore della linea dura) il re Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto di stato d'emergenza, costringendo alle dimissioni il presidente del consiglio Luigi Facta ed il suo governo. Le camicie nere marciarono sulla Capitale il 28 ottobre, senza incontrare alcuna resistenza. Il 30 ottobre, dopo la marcia su Roma, il re incaricò Mussolini di formare il nuovo governo.
Il fascismo diventa dittatura

Una volta eletto Presidente del Consiglio, Mussolini decise di rafforzare il proprio potere. In vista delle elezioni del 6 aprile 1924 Mussolini fece approvare una nuova legge elettorale (c.d. Legge Acerbo) che avrebbe dato i tre quinti dei seggi alla lista che avesse raccolto il 40% dei voti. Il listone guidato da Mussolini ottenne il 64,9% dei voti. Il 30 maggio 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti prese la parola alla Camera contestando i risultati delle elezioni. Il 10 giugno 1924 Matteotti venne rapito e ucciso. Il 3 gennaio 1925 alla Camera Mussolini recitò il famoso discorso in cui si assunse ogni responsabilità per i fatti avvenuti:
    
« Dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi. »

Con questo discorso Mussolini si era dichiarato dittatore. Nel biennio 1925-1926 vennero emanati una serie di provvedimenti liberticidi: furono sciolti tutti i partiti e le associazioni sindacali non fasciste, venne soppressa ogni libertà di stampa, di riunione o di parola, venne ripristinata la pena di morte e venne creato un Tribunale speciale con amplissimi poteri, in grado di mandare al confino con un semplice provvedimento amministrativo le persone sgradite al regime.
Politica interna

Il fascismo in politica interna tentò di contrastare la svalutazione della lira con misure quali la messa in commercio di pane con meno farina, l'aggiunta di alcool alla benzina, l'aumento delle ore di lavoro da 8 a 9 senza variazioni di salario, l'istituzione della tassa sul celibato, la riduzione dei prezzi dei giornali, dei biglietti e dei francobolli ecc. L'11 febbraio 1929 furono firmati i Patti lateranensi, che stabilirono il mutuo riconoscimento tra il Regno d'Italia e lo Stato della Città del Vaticano. Con la ratifica del concordato la religione cattolica divenne la religione di stato in Italia, fu istituito l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole e fu riconosciuta la sovranità e l'indipendenza della Santa Sede. Il fascismo tentò inoltre di rendere "pura" la lingua italiana italianizzando i prestiti linguistici e i toponimi stranieri in Valle d'Aosta e in Trentino Alto-Adige. Inoltre viene imposto l'uso del voi al posto del lei, considerato straniero.

L'11 ottobre 1935 l'Italia venne sanzionata per l'invasione dell'Etiopia. Le sanzioni in vigore dal 18 novembre consistono essenzialmente nell'embargo. In realtà fu soltanto la Gran Bretagna a osservare le regole imposte dalle sanzioni. In seguito all'embargo, la propaganda politica spinse affinché si consumassero solo prodotti italiani. Fu in pratica la nascita dell'autarchia, secondo la quale tutto doveva essere prodotto e consumato all'interno dello stato. Per esempio venne sostituito: la lana con il lanital (la lana di caseina), la benzina con il carburante nazionale (benzina con l'85% di alcool) mentre il caffè venne sostituito con il "caffè" d'orzo. Le sanzioni all'Italia avvicinarono Mussolini a Adolf Hitler, il dittatore nazista tedesco. Ben presto i due dittatori strinsero un'alleanza, che venne consolidata dalla promulgazione, nel 1938, da parte di Mussolini delle leggi razziali che privarono di molti diritti civili e politici gli Ebrei (e tutte le altre "razze inferiori"): molti persero il lavoro solo perché Ebrei.

La politica estera e l'Impero

A seguito della completa conquista della Libia, avvenuta alla fine degli anni venti, Mussolini manifestò l'intenzione di dare un Impero all'Italia e l'unico territorio rimasto libero da ingerenze straniere era l'Abissinia, nonostante fosse membro della Società delle Nazioni. Il progetto d'invasione iniziò all'indomani della conclusione degli accordi sul trattato di amicizia e si concluse con l'ingresso dell'esercito italiano ad Addis Abeba il 5 maggio 1936.

Quattro giorni dopo venne proclamata la nascita dell'Impero italiano e l'incoronazione di Vittorio Emanuele III come Imperatore d'Etiopia (con il titolo di Qesar, anziché quello di Negus Neghesti). Con la conquista di gran parte dell'Etiopia si procedette ad una ristrutturazione delle colonie del Corno d'Africa. Somalia, Eritrea ed Abissinia vennero riunite nel vicereame dell'Africa Orientale Italiana (AOI). Il progetto coloniale terminò con l'occupazione britannica dei territori soggetti al dominio italiano nel 1941. Dal 1938 in Europa si iniziò a respirare aria di guerra: Hitler aveva già annesso l'Austria e i Sudeti e con la successiva Conferenza di Monaco gli venne dato il lasciapassare per l'annessione di tutta la Cecoslovacchia mentre Mussolini, dopo l'Etiopia, stava cercando nuovi obiettivi per non perdere il passo dell'alleato tedesco. La vittima designata venne trovata nell'Albania. In due soli giorni (7-8 aprile 1939), con l'ausilio di 22.000 uomini e 140 carri armati, Tirana fu conquistata. Vittorio Emanuele III divenne anche re d'Albania. Il 22 maggio 1939 venne firmato il Patto d'acciaio tra Germania e Italia.

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Storia d'Italia (1861-1939)

Lo stato italiano nacque nel 1861 dopo l'esito della seconda guerra di indipendenza e dopo i plebisciti nei diversi territori conquistati o annessi. Con la prima convocazione del Parlamento italiano del 18 febbraio 1861 e la successiva proclamazione del 17 marzo, Vittorio Emanuele II di Savoia divenne il primo re d'Italia (1861-1878).

La popolazione, rispetto all'originario Regno di Sardegna, quintuplicò. Istituzionalmente e giuridicamente, il Regno d'Italia venne configurandosi come un ingrandimento del Regno di Sardegna, esso fu infatti una monarchia costituzionale. Il neonato Stato quindi si ritrovò, fin dai primi tempi, a tentare di risolvere problemi di standardizzazione delle leggi, di mancanza di risorse a causa delle casse statali vuote per le spese belliche, di creazione di una moneta unica per tutta la penisola e, più in generale, problemi di gestione per tutte le terre improvvisamente acquisite. Difficoltà cui si aggiungevano altre carenze strutturali, come ad esempio l'analfabetismo e la povertà diffusa, nonché la mancanza di infrastrutture.

Le questioni che tennero banco nei primi anni dopo l'unificazione d'Italia furono la disastrosa situazione economica del Mezzogiorno ed il brigantaggio antisabaudo delle regioni meridionali (soprattutto tra il 1861 e il 1869): il problema divenne noto come la "questione meridionale". Ulteriore elemento di fragilità per il giovane regno italiano fu l'ostilità della chiesa e del clero cattolico nei suoi confronti, ostilità che si sarebbe rafforzata dopo il 1870 e la presa di Roma assumendo anche in questo caso la denominazione di "questione romana".

La destra storica

La Destra storica, composta principalmente dall'alta borghesia e dai proprietari terrieri, formò il nuovo governo, che ebbe come primi obiettivi il completamento dell'unificazione nazionale, la costruzione del nuovo stato (per il quale si scelse un modello centralista) e il risanamento finanziario mediante nuove tasse che produssero scontento popolare e accentuarono il brigantaggio, represso con la forza.

In politica estera, la Destra storica mantenne la tradizionale alleanza con la Francia, anche se le due nazioni si scontrarono in diverse questioni, prime fra tutte l'annessione del Veneto e la presa di Roma.

Nel 1876 il governo venne esautorato per la prima volta non per autorità regia, bensì dal Parlamento (rivoluzione parlamentare). Ebbe così inizio l'epoca della Sinistra storica, guidata da Agostino Depretis. Finiva un'epoca: solo pochi anni dopo, Vittorio Emanuele II morì, e sul trono gli successe Umberto I.

La sinistra storica

La Sinistra abbandonò l'obiettivo del pareggio di bilancio e avviò delle politiche di democratizzazione e ammodernamento del paese, investendo nell'istruzione pubblica e allargando il suffragio, e avviando una politica protezionistica di investimenti in infrastrutture e sviluppo dell'industria nazionale coll'intervento diretto dello stato nell'economia.

Per ciò che concerne la politica estera Depretis abbandonò l'alleanza con la Francia, a causa della conquista da parte dello stato d'oltralpe della Tunisia. L'Italia entrò quindi nella Triplice Alleanza, alleandosi con la Germania e l'Impero austro-ungarico. Favorì lo sviluppo del colonialismo italiano, innanzitutto con l'occupazione di Massaua in Eritrea.

L'epoca giolittiana

Dal 1901 al 1914 la storia e la politica italiana fu fortemente influenzata dai governi guidati da Giovanni Giolitti.

Come neo-presidente del Consiglio si trovò a dover affrontare, prima di tutto, l'ondata di diffuso malcontento che la politica Crispina aveva provocato con l'aumento dei prezzi. Ed è con questo primo confronto con le parti sociali che si evidenziò la ventata di novità che Giolitti portò nel panorama politico a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. Non più repressione autoritaria, bensì accettazione delle proteste e quindi degli scioperi, purché non violenti né politici, con lo scopo (riuscito) di portare i socialisti nell'arco parlamentare.

Gli interventi più importanti di Giolitti furono la legislazione sociale e sul lavoro, il suffragio universale maschile, la nazionalizzazione delle ferrovie e delle assicurazioni, la riduzione del debito statale, lo sviluppo delle infrastrutture e dell'industria.

In politica estera, ci fu il riavvicinamento dell'Italia alla Triplice intesa di Francia, Regno Unito e Russia. Fu continuata la politica coloniale nel Corno d'Africa, e dopo la guerra italo-turca, furono occupate Libia e Dodecaneso. Giolitti fallì nel suo tentativo di arginare il nazionalismo come aveva costituzionalizzato i socialisti, e non riuscì quindi a impedire l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale e quindi l'ascesa del fascismo.

L'avventura coloniale

Il Corno d'Africa

L'inizio del regno vide l'Italia impegnata anche in una serie di guerre di espansione coloniale. L'occupazione cominciò nel novembre 1869 con il padre lazzarista Giuseppe Sapeto che avviò le trattative per l'acquisto della Baia di Assab. Il governo egiziano contestò tale acquisizione e rivendicò il possesso della baia: da ciò seguì una lunga controversia che si concluse solo nel 1882 dopo tre tentativi. L'iniziativa fu appoggiata dai governi di sinistra di Agostino Depretis e da una compagnia private guidata da Raffaele Rubattino. Il 10 marzo 1882 il governo italiano acquistò il possedimento di Assab, che il 5 luglio dello stesso anno diventò ufficialmente italiano.

Oltre all'acquisizione di Assab da parte della società Rubattino, lo stato italiano cercò di occupare il porto di Zeila, a quel tempo controllato dagli egiziani, ma con esito negativo. Quando gli egiziani si ritirarono dal Corno d'Africa nel 1884, i diplomatici italiani fecero un accordo con la Gran Bretagna per l'occupazione del porto di Massaua che assieme ad Assab formò i cosiddetti possedimenti italiani nel mar Rosso. Dal 1890 assunsero la denominazione ufficiale di Colonia Eritrea.

L'interesse per la fondazione di colonie italiane continuò anche durante i governi di Francesco Crispi. La città di Massaua diventò il punto di partenza per un progetto che sarebbe dovuto sfociare nel controllo del Corno d'Africa. Agli inizi degli anni ottanta questa zona era abitata da popolazioni etiopiche, dancale, somale e oromo, autonome oppure soggette a dominatori. All'epoca i signori della zona erano gli egiziani (lungo le coste del mar Rosso), alcuni sultanati (i più importanti furono gli Harar, gli Obbia, e i Zanzibar), emiri o capi tribali. Diverso il caso dell'Etiopia, allora retta dal Negus Neghesti (Re dei Re, cioè Imperatore) Giovanni IV, ma con la presenza di uno stato relativamente autonomo nei territori del sud, retto da Menelik II.

Attraverso i commercianti e gli studiosi italiani che frequentavano la zona, già dagli anni sessanta, l'Italia cercò di dividere i due Negus al fine di penetrare, prima politicamente e poi militarmente, all'interno dell'Etiopia. Tra i progetti ci fu l'occupazione della città santa di Harar, l'acquisto di Zeila dai britannici e l'affitto del porto di Chisimaio, posto alla foce del Giuba, in Somalia. Tutti e tre i progetti non si conclusero positivamente.

Nel 1889 l'Italia ottenne, tramite un accordo da parte del Console italiano di Aden con i Sultani che governavano la zona, i protettorati su Obbia e su Migiurtinia. Nel 1892 il Sultano di Zanzibar concesse in affitto i porti del Benadir (fra cui Mogadiscio e Brava) alla società commerciale "Filonardi". Il Benadir, sebbene gestito da una società privata, fu sfruttato dal Regno d'Italia come base di partenza per delle spedizioni esplorative verso le foci del Giuba e dell'Omo, e per ottenere il protettorato sulla città di Lugh.

A seguito della sconfitta e della morte dell'Imperatore Giovanni IV in una guerra contro i dervisci sudanesi (1889), l'esercito italiano occupò una parte dell'altopiano etiopico, compresa la città di Asmara, sulla base di precedenti accordi fatti con Menelik il quale, con la morte del rivale, era riuscito a farsi riconoscere Negus Neghesti, cioè “Re di Re” (“Imperatore”). Con il trattato che seguì, Menelik accettò la presenza degli italiani sull'altopiano etiope e riconobbe nell'Italia l'interlocutore privilegiato con gli altri paesi europei. Quest'ultimo riconoscimento fu interpretato dagli italiani come l'accettazione di un protettorato e negli anni seguenti sarà fonte di discordie fra i due paesi.

La politica di progressiva conquista dell'Etiopia si concretizzò con la campagna d'Africa Orientale (1895-1896) e terminò con la sconfitta di Adua (1º marzo 1896). Fu uno dei pochi successi della resistenza africana al colonialismo europeo del XIX secolo. Anche dopo questa cocente sconfitta la politica coloniale nel Corno d'Africa continuò con il protettorato sulla Somalia, dichiarata colonia nel 1905.

Dalla Sirte al Ciad

Uno dei tentativi di creare un Impero coloniale oltre il Corno d'Africa era quello di un'espansione che andasse dal mare Mediterraneo al golfo di Guinea. Il progetto non venne mai esplicitato pubblicamente, ma fu chiaro durante le trattative per il Trattato di Versailles (1919), dopo la prima guerra mondiale, che causò frizioni diplomatiche con la Francia. Per realizzare questa intenzione, avendo già formale possesso della Libia, il corpo diplomatico italiano chiese di avere la colonia tedesca del Camerun e cercò di ottenere, come compenso per la partecipazione alla guerra mondiale, il passaggio del Ciad dalla Francia all'Italia. Il progetto fallì quando il Camerun venne assegnato alla Francia e l'Italia ottenne solamente l'Oltregiuba, oltre a una ridefinizione dei confini tra la Libia e ed il Ciad, possedimento francese.

Una delle richieste italiane durante il Trattato di Versailles dopo la prima guerra mondiale fu quella di annettere la Somalia Francese e il Somaliland in cambio della rinuncia alla partecipazione nella ripartizione delle colonie tedesche tra le forze dell'Intesa. Il tentativo non ebbe seguito. Fu l'ultima manovra dello “stato liberale”, prima del fascismo, relativa alla penetrazione nel Corno d'Africa.

Colonie italiane

Eritrea (1884 - 1941)

L'area del mar Rosso fu una delle zone che suscitò il maggior interesse dei governi della Sinistra italiana.

Primo nucleo della futura colonia Eritrea fu l'area commerciale stabilita dalla società Rubattino nel 1870 presso la baia di Assab. Abbandonata per quasi dieci anni, fu poi acquistata dallo stato italiano agli inizi degli anni ottanta e assieme al porto di Massaua, occupato nel 1884, compose i possedimenti italiani del mar Rosso.

Con il Trattato di Uccialli i possedimenti italiani vennero estesi nell'entroterra fino alle sponde del fiume Mareb. Di conseguenza il 1º gennaio 1890 fu istituzionalizzato il possesso di quei territori con la creazione di una colonia retta da un Governatore e avente capoluogo la città di Asmara (climaticamente più confortevole per gli italiani rispetto a Massaua).

La massima espansione dei suoi confini fu raggiunta agli inizi del 1896, quando il Governatore della colonia, Oreste Baratieri dovette tramutare in realtà il progetto di occupazione dell'entroterra etiopico. Nel 1894 aveva fatto occupare la città sudanese di Cassala, allora possedimento derviscio, mentre nel 1895 durante la campagna d'Africa Orientale, occupò ampie zone del Tigray, comprendenti la città di Axum. A seguito della sconfitta nella battaglia di Adua, i confini della colonia ritornarono ad essere quelli stabiliti dal Trattato e tali rimasero fino alla guerra d'Etiopia.

Primo governatore non militare fu Ferdinando Martini a quel tempo convinto sostenitore della necessità per lo stato italiano di possedere colonie. A costui toccò il compito di ristabilire contatti pacifici con l'Etiopia, di migliorare i rapporti fra italiani e popolazioni indigene e di creare un corpo di funzionari che portasse avanti l'amministrazione della colonia. Fu grazie alla sua politica che la colonia ebbe degli Ordinamenti Organici e dei codici coloniali.

La Somalia (1890 - 1941)

La prima penetrazione italiana in Somalia fu stabilita nel sud del paese africano tra il 1889 e il 1890 come protettorato. Fu dichiarata colonia nel 1905. Nel giugno 1925 la sfera di influenza italiana venne estesa fino ai territori dell'Oltregiuba e le isole Giuba, fino ad allora parte del Kenya inglese e cedute come ricompensa per l'entrata in guerra a fianco degli Alleati durante la prima guerra mondiale.

Tientsin, Cina (1901 - 1943)

Nel 1901, come a molte altre potenze straniere, fu garantito all'Italia una concessione commerciale nell'area della città di Tientsin (l'odierna Tianjin) in Cina. La concessione italiana, di 46 ettari, fu una delle minori concessioni concesse dal Celeste impero alle potenze europee. Dopo la fine della prima guerra mondiale la concessione austriaca nella stessa città fu inglobata in quella italiana. I termini di tale concessione vennero ridiscussi, e infine la stessa concessione venne di fatto sospesa, a seguito di un accordo tra la Repubblica Sociale Italiana e il governo filo-giapponese della Repubblica di Nanchino (che inglobò la concessione) nel 1943. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, la guarnigione italiana a Tientsin combatté contro i giapponesi, ma dovette poi arrendersi e pagare con la prigionia in Corea. La concessione di Tientsin, così come i quartieri commerciali italiani a Shanghai, Hankow e Pechino, furono formalmente soppressi con il trattato di pace del 1947.

Libia (1911 - 1943)

Dopo una breve guerra contro l'Impero ottomano nel 1911, l'Italia acquisì il controllo della Tripolitania e della Cirenaica, ottenendo il riconoscimento internazionale a seguito degli accordi del Trattato di Losanna. Le mire italiane sulla Libia, vennero appoggiate dalla Francia, che vedeva di buon occhio l'occupazione di quel territorio in funzione anti-inglese. Con il fascismo, alla Libia venne attribuito l'appellativo di quarta sponda, quando in realtà per gran parte degli anni venti fu impegnata in una sanguinosa pacificazione della colonia (durante la quale si fece ricorso ai gas asfissianti e alle deportazioni di massa).

Il Dodecaneso (1912 - 1943)

Tra l'aprile e l'agosto del 1912, durante la fase conclusiva della guerra in Libia contro l'Impero Ottomano, l'Italia decise di occupare dodici isole del mar Egeo sottoposte al dominio turco: il cosiddetto Dodecaneso. A seguito del Trattato di Losanna, l'Italia poté mantenere l'occupazione militare delle dodici isole fino a quando l'esercito turco non avesse abbandonato completamente l'area libica. Questo processo avvenne lentamente, anche perché alcuni ufficiali ottomani decisero di collaborare con la resistenza libica, per cui l'occupazione dell'area nel mar Egeo venne mantenuta nei fatti fino al 21 agosto 1915, giorno in cui l'Italia, entrata nella prima guerra mondiale assieme le forze dell'Intesa, riprese le ostilità contro l'Impero Ottomano.

Durante la guerra e l'occupazione italiana di Adalia l'isola di Rodi fu sede di un'importante base navale per le forze marine britanniche e francesi.

Dopo la vittoria nella prima guerra mondiale, il Regno d'Italia intendeva consolidare formalmente la propria presenza nell'area dell'Egeo e lungo le coste turche. Tramite un accordo con il governo greco all'interno del Trattato di Sèvres del 1919, si stabilì che Rodi diventasse italiana anche dal punto di vista formale, mentre le altre undici isole sarebbero passate alla Grecia, come la totalità delle altre isole del mar Egeo. In cambio, l'Italia avrebbe ottenuto dallo stato greco il controllo della parte sud-ovest dell'Anatolia (Occupazione italiana di Adalia), che si estendeva da Konya fino ad Alanya e che comprendeva il bacino carbonifero di Adalia. La sconfitta dei greci nella guerra contro la Repubblica di Turchia nel 1922, rese impossibile l'accordo e l'Italia mantenne l'occupazione di fatto delle isole fino a quando, con il Trattato di Losanna del 1923, l'amministrazione dell'arcipelago non le fu riconosciuto internazionalmente.

Saseno (1914-1920)

L'isola di Saseno fu occupata il 30 ottobre 1914 dal Regno d'Italia, fino a quando, dopo la prima guerra mondiale, il 18 settembre 1920, grazie ad un accordo italo-albanese (accordo di Tirana del 2 agosto 1920, in cambio delle pretese italiane su Valona) e ad un accordo con la Grecia, entrò a far parte dell'Italia che la voleva per la sua posizione strategica.

Fece prima parte della provincia di Zara (dal 1920 al 1941), poi nel 1941 entrò a far parte della provincia di Cattaro (Dalmazia). Occupata dai tedeschi nel settembre del 1943 e dai partigiani albanesi nel maggio del 1944, l'isola venne restituita all'Albania per effetto del Trattato di Parigi del 10 febbraio (1947).

Oggi sull'isola esiste un deposito e una caserma della Guardia Costiera aperta nel 1997 per reprimere i traffici illeciti tra l'Italia e l'Albania e restano le installazioni (incluso un faro e varie fortificazioni) costruite durante la precedente occupazione italiana.

Fatti di sangue durante il dominio coloniale italiano

A seguito dell'uccisione di civili e militari italiani in Libia ed Etiopia[1], durante il dominio coloniale italiano in Africa furono commesse (anche se in misura inferiore a quanto fatto - ad esempio - da inglesi e francesi[2]) alcune atrocità e crimini contro l'umanità[3][4].

L'Italia nella prima guerra mondiale (1915-1918)

L'iniziale neutralità

Nella prima guerra mondiale l'Italia rimase inizialmente neutrale, per poi scendere al fianco degli alleati il 23 maggio 1915 dopo la firma del segreto Patto di Londra.

L'accordo prevedeva che l'Italia entrasse in guerra al fianco dell'Intesa entro un mese, ed in cambio avrebbe ottenuto, in caso di vittoria, il Trentino, il Tirolo fino al Brennero (Alto Adige), la Venezia Giulia, l'intera penisola istriana, con l'esclusione di Fiume, una parte della Dalmazia.

Per quanto riguarda i possedimenti coloniale l'Italia avrebbe conquistato l'arcipelago del Dodecaneso (occupato, ma non annesso a colonia dopo la guerra italo-turca), la base di Valona in Albania, il bacino carbonifero di Adalia in Turchia, nonché un'espansione delle colonie africane, a scapito della Germania (l'Italia in Africa possedeva già Libia, Somalia ed Eritrea).
1915

Lo stato italiano decise di entrare in guerra il 24 maggio 1915.

L'Isonzo vicino a Caporetto

Il comando dell'esercito venne affidato al generale Luigi Cadorna, che aveva come obiettivo il raggiungimento di Vienna passando per Lubiana[5]. All'alba del 24 maggio il Regio Esercito sparò il primo colpo di cannone contro le postazioni austro-ungariche asserragliate a Cervignano del Friuli che, poche ore più tardi, divenne la prima città conquistata. All'alba dello stesso giorno la flotta austro-ungarica bombardò la stazione ferroviaria di Manfredonia; alle 23:56, bombardò Ancona. Lo stesso 24 maggio cadde il primo soldato italiano, Riccardo di Giusto.

Il comando delle forze armate italiane fu affidato al generale Luigi Cadorna. Il fronte aperto dall'Italia ebbe come teatro le Alpi, dallo Stelvio al mare Adriatico. Lo sforzo principale per sfondare il fronte fu concentrato nella regione delle valli Isonzo, in direzione di Lubiana. Dopo un'iniziale avanzata italiana, gli austro-ungarici ricevettero l'ordine di trincerarsi e resistere. Si arrivò così a una guerra posizione simile a quella che si stava svolgendo sul fronte occidentale: l'unica differenza consisteva nel fatto che, mentre sul fronte occidentale le trincee erano scavate nel fango, sul fronte italiano erano scavate nelle rocce e nei ghiacciai delle Alpi fino ed oltre i 3.000 metri di altitudine. Nelle ultime battaglie dell'Isonzo, combattute alla fine del 1915, le perdite italiane ammontarono a oltre 60.000 morti e più di 150.000 feriti, equivalenti a circa un quarto delle forze mobilitate.

1916

L'inizio del 1916 fu caratterizzato dalla quinta battaglia dell'Isonzo che non portò ad nessun risultato. In scontri che seguirono gli austro-ungarici sfondarono in Trentino, occupando l'altopiano di Asiago. Questa offensiva fu fermata a fatica dall'Esercito italiano che reagì con una controffensiva respingendo il nemico fino all'altopiano del Carso. Lo scontro fu chiamato battaglia degli Altipiani.

Il 4 agosto 1916 fu conquistata Gorizia che, pur non essendo di importanza strategica, fu presa a caro prezzo (20.000 morti e 50.000 feriti). Anche le ultime tre battaglie combattute nell'anno non portarono a nessun guadagno strategico a fronte però di 37.000 morti e 88.000 feriti.

Oltre la conquista di Gorizia, l'unico guadagno territoriale fu l'avanzamento del fronte di qualche chilometro in Trentino.

1917

Il 18 agosto 1917 iniziò la più imponente offensiva italiana nel conflitto, con 600 battaglioni e 5.200 pezzi d'artiglieria (a fronte, rispettivamente dei 250 e 2.200 austriaci). Nonostante lo sforzo la battaglia non portò a nessun acquisto territoriale né tantomeno alla conquista di postazioni strategie. Ingente fu il prezzo pagato con il sangue (30.000 morti, 110.000 feriti e 20.000 tra dispersi o prigionieri).

Nell'ottobre 1917 la Russia abbandonò il conflitto a causa della rivoluzione comunista. Le truppe degli Imperi Centrali furono spostate dal fronte orientale a quello occidentale.

Visti gli esiti dell'ultima offensiva italiana e i rinforzi provenienti dal fronte orientale, austro-ungarici e tedeschi decisero di tentare l'avanzata.

Il 24 ottobre gli austro-ungarici e i tedeschi ruppero il fronte convergendo su Caporetto e accerchiarono la 2a Armata comandato dal generale Luigi Capello. Il generale Capello e Luigi Cadorna da tempo avevano il sospetto di un probabile attacco, ma sottovalutarono le notizie e l'effettiva capacità offensiva delle forze nemiche. Gli austriaci avanzarono per 150 km in direzione sud-ovest raggiungendo Udine in soli quattro giorni. L'unica armata che resistette al disastro[6] fu la 3a, guidata da Emanuele Filiberto di Savoia, cugino di Re Vittorio Emanuele III.

La rottura del fronte di Caporetto provocò il crollo delle postazioni italiane lungo l'Isonzo, con la ritirata delle armate schierate dall'Adriatico fino alla Valsugana, in Trentino. I 350.000 soldati dislocati lungo il fronte si diedero a una ritirata disordinata assieme a 400.000 civili che scappavano dalle zone invase. Ingenti furono le perdite di materiale bellico. Inizialmente si tentò di fermare il ripiegamento portando il nuovo fronte lungo il fiume Tagliamento, con scarso successo, poi al fiume Piave, dove, l'11 novembre 1917, la ritirata ebbe fine anche grazie al diniego di Re Vittorio Emanuele III alla proposta di indietreggiare fino al Mincio.

A seguito della disfatta, il generale Cadorna, nel comunicato emesso il 29 ottobre 1917, indicò, in modo errato e strumentale «la mancata resistenza di reparti della II armata» come la motivazione dello sfondamento del fronte da parte dell'esercito austro-ungarico. In seguito Cadorna, invitato a far parte della Conferenza interalleata a Versailles, venne sostituito dal generale Armando Diaz, l'8 novembre 1917, dopo che la ritirata si stabilizzò definitivamente sulla linea del Monte Grappa e del Piave.

La disfatta portò alcune conseguenze: Cadorna venne rimosso dall'incarico e sostituito dal maresciallo Armando Diaz nel ruolo di capo di stato maggiore. Oltre a Cadorna perse il posto anche il generale Luigi Capello, ritenuto principale responsabile della sconfitta. Un altro effetto della disfatta l'elevato malcontento nelle truppe. I disordini furono frequenti, e molti si concludevano con sommarie fucilazioni.

1918

La severa disciplina di Cadorna, i lunghi mesi in trincea e il disastro di Caporetto avevano fiaccato l'esercito. Per i militari più religiosi furono anche determinanti le parole di papa Benedetto XV sull'”inutile strage”. Diaz, per fronteggiare questi problemi e per raggiungere la vittoria, cambiò completamente strategia. Innanzitutto alleggerì la disciplina ferrea. Secondariamente, essendo il nuovo fronte meglio difendibile di quello lungo l'Isonzo, puntò ad azioni mirate alla difesa del territorio nazionale, piuttosto che a sterili ma sanguinosi contrattacchi. Ciò il compattamento delle truppe e della nazione, presupposto per la vittoria finale. Già nel 1917 furono chiamata alle armi la classe dei nati nel 1899 (i cosiddetti “Ragazzi del '99”).

Gli austro-ungarici fermarono gli attacchi in attesa della primavera del 1918, preparando un'offensiva che li avrebbe dovuti portare a penetrare nella pianura veneta.

L'offensiva austro-ungarica arrivò il 15 giugno: l'esercito dell'Impero attaccò con 66 divisioni nella battaglia del solstizio (15 - 23 giugno 1918), che vide gli italiani resistere all'assalto. Gli austro-ungarici persero le loro speranze, visto che il paese era ormai a un passo dal tracollo, assillato dall'impossibilità di continuare a sostenere lo sforzo bellico sul piano economico e su quello sociale, data l'incapacità dello Stato di farsi garante dell'integrità dello stato multinazionale asburgico. Con i popoli dell'impero asburgico sull'orlo della rivoluzione, l'Italia anticipò di un anno l'offensiva prevista per il 1919 per impegnare le riserve austro-ungariche ed impedire loro la prosecuzione dell'offensiva sul fronte francese.
   
« La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S. M. il Re Duce Supremo, l'Esercito italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. [...]
I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza. »
   
(comunicato del Comando Supremo ("Bollettino della Vittoria"))

Da Vittorio Veneto, il 23 ottobre partì l'offensiva, con condizioni climatiche pessime. Gli italiani avanzarono rapidamente in Veneto, Friuli e Cadore e il 29 ottobre l'Austria-Ungheria si arrese. Il 3 novembre, a Villa Giusti, presso Padova l'esercito dell'Impero firmò l'armistizio; i soldati italiani entrarono a Trento mentre i bersaglieri sbarcarono a Trieste, chiamati dal locale comitato di salute pubblica, che però aveva richiesto lo sbarco di truppe dell'Intesa. Il giorno seguente, mentre il generale Armando Diaz annunciava la vittoria, venivano occupate Rovigno, Parenzo, Zara, Lissa e Fiume. Quest'ultima pur non prevista tra i territori nei quali sarebbero state inviate forze italiane venne occupata, come previsto da alcune clausole dell'Armistizio, in seguito agli eventi del 30 ottobre 1918 quando il Consiglio Nazionale, insediatosi nel municipio dopo la fuga degli ungheresi, aveva proclamato, sulla base dei principi wilsoniani, l'unione della città all'Italia.

L'esercito italiano forzò comunque la linea del Trattato di Londra intendendo occupare anche Lubiana, ma fu fermato poco oltre Postumia dalle truppe serbe. I cinque reparti della Marina entravano a Pola. Il giorno seguente venivano inviati altri mezzi a Sebenico che diventava la sede principale del Governo Militare della Dalmazia.

L'ultimo caduto italiano è stato il caporalmaggiore Giuseppe Pezzarossa di 19 anni appartenente alla 1º Sezione Mantova, colpito da una pallottola in fronte alle ore 15 del 30 ottobre 1918 a sud di Udine.

L'esito del conflitto

L'Italia completò la sua riunificazione nazionale acquisendo il Trentino-Alto Adige, la Venezia Giulia, l'Istria ed alcuni territori del Friuli ancora irredenti. Queste regioni avevano fatto parte, fino ad allora, della Cisleitania nell'ambito dell'Impero austro-ungarico (ad eccezione della città di Fiume, incorporata nel Regno d'Italia nel 1924 e posta in Transleitania).
L'Italia nel 1924, con le province di Fiume, di Pola e di Zara

Inoltre al Regno d'Italia furono assegnate alcune compensazioni territoriali in Africa, come l'Oltregiuba in Somalia.

Ma il prezzo fu altissimo: 651.010 soldati, 589.000 civili per un totale 1.240.000 morti su di una popolazione di soli 36 milioni, con la più alta mortalità nella fascia di età compresa tra 20 e 24 anni.[7][8][9]

Le conseguenze sociali ed economiche furono pesantissime: l'Italia con la sua economia basata sull'agricoltura perse una grossa fetta della sua forza-lavoro causando la rovina di moltissime famiglie.

Tuttavia, l'Italia non vide riconosciuti i diritti territoriali acquisiti sulla Dalmazia con l'intervento a fianco degli alleati: in base al Patto di Londra con cui aveva negoziato la propria entrata in guerra, l'Italia avrebbe dovuto ottenere la Dalmazia settentrionale incluse le città di Zara, Sebenico e Tenin.

Infatti, in base al principio della nazionalità propugnato dal presidente americano Woodrow Wilson, la Dalmazia venne annessa al neocostituito Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, con l'eccezione di Zara (a maggioranza italiana) e dell'isola di Lagosta, che con altre tre isole vennero annesse all'Italia.

Questo rifiuto degli Alleati di mantenere gli impegni sottoscritti nel Patto di Londra creò numerose tensioni nella politica italiana del primo dopoguerra, ed uno dei maggiori beneficiati fu Benito Mussolini con il suo "Fascismo".

Il Fascismo

Le origini

Dopo la Grande Guerra la situazione interna italiana era precaria: il trattato di pace firmato a Versailles non aveva portato a nessun vantaggio importante all'Italia. Non furono accolte nemmeno le richieste più moderate.

Le casse statali erano quasi vuote anche perché la lira durante il conflitto aveva perso buona parte del suo valore, a fronte di un costo della vita aumentato di almeno il 450%. Scarseggiavano le materie prime e le industrie faticavano a convertire la produzione bellica in produzione di pace e ad assorbire l'abbondanza di manodopera accresciuta dai soldati di ritorno dal fronte.

Per questi motivi nessun ceto sociale era soddisfatto, e soprattutto tra i benestanti s'insinuò il timore di una possibile rivoluzione comunista, sull'esempio russo. L'estrema fragilità socio-economica portò spesso a disordini, che il più delle volte venivano stroncati con metodi sbrigativi e sanguinari dalle forze armate.

Nascita del fascismo

Tra gli strati sociali più scontenti e più soggetti alle suggestioni ed alla propaganda nazionalista che, a seguito del Trattato di Pace, si infiammò ed alimentò il mito della vittoria mutilata, emersero le organizzazioni di reduci ed in particolare quelle che raccoglievano gli ex-arditi (truppe scelte d'assalto), presso le quali, al malcontento generalizzato, si aggiungeva il risentimento causato dal non aver ottenuto un adeguato riconoscimento per i sacrifici, il coraggio e lo sprezzo del pericolo dimostrati in anni di duri combattimenti al fronte.

Con la fine della Prima guerra mondiale ed essendo l'Italia risultata vittoriosa nel conflitto, alla conferenza di pace di Parigi richiese che venisse applicato alla lettera il patto (memorandum) di Londra, che preveda l'annessione anche della Dalmazia così non fu a causa del parere contrario del presidente americano Wilson. La Francia inoltre non vedeva di buon occhio una Dalmazia italiana poiché avrebbe consentito all'Italia di controllare i traffici provenienti dal Danubio. Il risultato fu che le potenze dell'Intesa alleate dell'Italia opposero un rifiuto e ritrattarono quanto promesso nel 1915.
Incontro tra Benito Mussolini e Gabriele D'Annunzio, il poeta attivo nella Prima guerra mondiale ed anche nella lotta per l'indipendenza di Fiume

L'Italia fu divisa sul da farsi, e Vittorio Emanuele Orlando abbandonò per protesta la conferenza di pace di Parigi. Le potenze vincitrici furono così libere di disegnare il nuovo confine orientale dell'Italia senza che essa presenziasse, e applicarono il trattato di Londra secondo il loro giudizio; la Dalmazia, che pure fu occupata militarmente dall'Italia dalla fine della prima guerra mondiale alla prima conferenza di pace di Parigi, fu assegnata al neonato regno dei Serbi, Croati, e Sloveni, la Jugoslavia.

Fu questo il contesto nel quale il 23 marzo 1919 Benito Mussolini fondò a Milano il primo fascio di combattimento, adottando simboli che sino ad allora avevano contraddistinto gli arditi, come le camicie nere e il teschio.

Il nuovo movimento espresse la volontà di "trasformare, se sarà inevitabile anche con metodi rivoluzionari, la vita italiana" autodefinendosi partito dell'ordine riuscendo così a guadagnarsi la fiducia dei ceti più ricchi e conservatori, contrari a ogni agitazione e alle rivendicazioni sindacali, nella speranza che la massa d'urto dei "fasci di combattimento" si potesse opporre alle agitazioni promosse dai socialisti e dai cattolici popolari.

Al neonato movimento mancava inizialmente una base ideologica ben delineata e lo stesso Mussolini non s'era in un primo tempo schierato a favore di questa o quell'altra idea, ma semplicemente contro tutte le altre. Nelle sue intenzioni il fascismo avrebbe dovuto rappresentare la "terza via".
Gli anni dello squadrismo
Roma, devastazione di una sede sindacale con falò sulla strada delle carte e suppellettili ivi rinvenute (1920)

Nel movimento, oltre agli arditi, confluirono anche futuristi, nazionalisti, ex combattenti d'ogni arma ma anche elementi di dubbia moralità. Appena 20 giorni dopo la fondazione dei Fasci le neonate squadre d'azione si scontrarono con i socialisti e assaltarono la sede del giornale socialista L'Avanti!, devastandola: l'insegna del giornale fu divelta e portata a Mussolini come trofeo. Era l'inizio della guerra civile.

Nel giro di qualche mese le squadre fasciste si diffusero in tutta Italia dando al movimento una forza paramilitare. Per due anni l'Italia fu percorsa da nord a sud dalle violenze dei movimenti politici rivoluzionari contrapposti di fascismo e bolscevismo che iniziarono a contendersi il campo, sotto lo sguardo di uno stato pressoché incapace di reagire tanto agli scioperi e alle occupazioni delle fabbriche da parte bolscevica, quanto alle "spedizioni punitive" degli squadristi.

Il 12 novembre 1921 nasceva il Partito Nazionale Fascista (PNF), trasformando il movimento in partito e accettando alcuni compromessi legalitari e costituzionali con le forze moderate. In quel periodo il PNF giunse ad avere ben 300.000 iscritti (nel momento di massima espansione il PSI aveva superato di poco i 200.000 iscritti) forte anche dell'appoggio dei latifondisti emiliani e toscani. Proprio in queste regioni le squadre guidate dai ras furono più determinate a colpire i sindacalisti e i socialisti, intimidendoli con la famigerata pratica del manganello e dell'olio di ricino, o addirittura commettendo omicidi che restavano il più delle volte impuniti. In questo clima di violenze, alle elezioni del 15 maggio 1921 i fascisti ottennero a sorpresa 35 seggi.

Marcia su Roma e primi anni di governo

Dopo il Congresso di Napoli, in cui 40.000 camicie nere inneggiarono a marciare su Roma, Mussolini diede seguito ai suoi piani insurrezionali contro il debole governo italiano: il momento pareva propizio, ed un forte contingente di 50.000 squadristi venne radunato nell'alto Lazio e condotto da un quadrumvirato, composto da Italo Balbo (uno dei ras più famosi), Emilio De Bono (comandante della Milizia), Cesare Maria De Vecchi (un generale non sgradito al Quirinale) e Michele Bianchi (segretario del partito fedelissimo di Mussolini che, invece, rimase prudentemente a Milano), mosse contro la Capitale, il 26 ottobre 1922. Mentre l'Esercito si preparava a fronteggiare il colpo di mano fascista (con Badoglio principale sostenitore della linea dura) il re Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto di stato d'emergenza, costringendo alle dimissioni il presidente del consiglio Luigi Facta ed il suo governo. Le camicie nere marciarono sulla Capitale il 28 ottobre, senza incontrare alcuna resistenza ed effettuando anche qualche azione violenta contro i comunisti e i socialisti della città.

Il 30 ottobre, dopo la marcia su Roma, il re incaricò Benito Mussolini di formare il nuovo governo. Il capo del fascismo lasciò Milano per Roma, ed immediatamente si mise all'opera. A soli 39 anni Mussolini diveniva presidente del consiglio, il più giovane nella storia dell'Italia unita.

Il nuovo governo comprendeva elementi dei partiti moderati di centro e di destra e militari, e - ovviamente - molti fascisti.

Fra le prime iniziative intraprese dal nuovo corso politico vi fu il tentativo di "normalizzazione" delle squadre fasciste - che in molti casi continuavano a commettere violenze -, provvedimenti a favore dei mutilati e degli invalidi di guerra, drastiche riduzioni della spesa pubblica, la riforma della scuola (Riforma Gentile), la firma degli accordi di Washington sul disarmo navale, e l'accettazione dello status quo col regno di Iugoslavia circa le frontiere orientali e la protezione della minoranza italiana in Dalmazia.
Il fascismo diventa dittatura
Giacomo Matteotti

In vista delle elezioni del 6 aprile 1924 Mussolini fece approvare una nuova legge elettorale (c.d. "Legge Acerbo") che avrebbe dato i tre quinti dei seggi alla lista che avesse raccolto il 40% dei voti. La campagna elettorale si tenne in un clima di tensione senza precedenti con intimidazioni e pestaggi. Il listone guidato da Mussolini ottenne il 64,9% dei voti.

Il 30 maggio 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti prese la parola alla Camera contestando i risultati delle elezioni. Il 10 giugno 1924 Matteotti venne rapito e ucciso.

L'opposizione rispose a questo avvenimento ritirandosi sull'Aventino (Secessione aventiniana), ma la posizione di Mussolini tenne fino a quando il 16 agosto il corpo decomposto di Matteotti fu ritrovato nei pressi di Roma. Uomini quali Ivanoe Bonomi, Antonio Salandra e Vittorio Emanuele Orlando esercitarono allora pressioni sul re affinché Mussolini fosse destituito ma Vittorio Emanuele III appellandosi allo Statuto Albertino replicò: «Io sono sordo e cieco. I miei occhi e i miei orecchi sono la Camera e il Senato» e quindi non intervenne.

Ciò che accadde esattamente la notte di San Silvestro del 1924 non sarà forse mai accertato. Il 3 gennaio 1925 alla Camera Mussolini recitò il famoso discorso in cui si assunse ogni responsabilità per i fatti avvenuti:
   
« Dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi. »

Con questo discorso Mussolini si era dichiarato dittatore. Nel biennio 1925-1926 vennero emanati una serie di provvedimenti liberticidi: vennero sciolti tutti i partiti e le associazioni sindacali non fasciste, venne soppressa ogni libertà di stampa, di riunione o di parola, venne ripristinata la pena di morte e venne creato un Tribunale speciale con amplissimi poteri, in grado di mandare al confino con un semplice provvedimento amministrativo le persone sgradite al regime.

La crisi economica

Il primo grosso problema che la dittatura dovette affrontare fu la pesante svalutazione della lira. La ripresa produttiva successiva alla fine della prima guerra mondiale portò effetti negativi quali la carenza di materie prime dovuta alla forte richiesta e ad un'eccessiva produttività rapportata ai bisogni reali della popolazione. Nell'immediato, i primi segni della crisi furono un generale aumento dei prezzi, l'aumento della disoccupazione, una diminuzione dei salari e la mancanza di investimenti in Italia e nei prestiti allo stato.

Per risolvere il problema, come in Germania, venne deciso di stampare ulteriore moneta per riuscire a ripagare i debiti di guerra contratti con Stati Uniti e Gran Bretagna. Ovviamente questo non fece altro che aumentare il tasso di inflazione e far perdere credibilità alla lira, che si svalutò pesantemente nei confronti di dollaro e sterlina.

Le mosse per contrastare la crisi non si fecero attendere: venne messo in commercio un tipo di pane con meno farina, venne aggiunto alcool alla benzina, vennero aumentate le ore di lavoro da 8 a 9 senza variazioni di salario, venne istituita la tassa sul celibato, vennero aumentati tutti i possibili prelievi fiscali, venne vietata la costruzione di case di lusso, vennero aumentati i controlli tributari, vennero ridotti i prezzi dei giornali, bloccati gli affitti e ridotti i prezzi dei biglietti ferroviari e dei francobolli.

La conciliazione con la Chiesa

L'11 febbraio 1929 furono firmati i Patti lateranensi, che stabilirono il mutuo riconoscimento tra il Regno d'Italia e lo Stato della Città del Vaticano.

Il rapporto tra Stato e Chiesa era precedentemente disciplinato dalla cosiddetta legge delle Guarentigie approvata unilateralmente dal Parlamento italiano il 13 maggio 1871 dopo la presa di Roma, questa legge non venne mai riconosciuta dai pontefici.

Tra fascismo e Chiesa ci fu sempre un rapporto ostico: Mussolini si era sempre dichiarato ateo ma sapeva benissimo che per governare in Italia non si poteva andare contro la Chiesa e i cattolici. La Chiesa dal canto suo, pur non vedendo di buon occhio il fascismo, lo preferiva di gran lunga all'ideologia comunista.

Alla soglia del potere Mussolini affermò (giugno 1921) che «il fascismo non pratica l'anticlericalismo» e alla vigilia della marcia su Roma informò la Santa Sede che non avrebbe avuto nulla da temere da lui e dai suoi uomini.

Con la ratifica del concordato la religione cattolica divenne la religione di stato in Italia, fu istituito l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole e fu riconosciuta la sovranità e l'indipendenza della Santa Sede.
Imprese propagandistiche
Italo Balbo

All'inizio degli anni trenta la dittatura si era ormai stabilizzata ed era fondata su radici solide. I bambini, così come tutto il resto della popolazione, erano inquadrati in organizzazioni di partito, ogni opposizione era stroncata sul nascere, la stampa era profondamente asservita al fascismo.

Fu in questo clima che vennero organizzate diverse imprese aeronautiche. Dopo le crociere di massa nel mediterraneo e la prima trasvolata dell'Atlantico meridionale (1931), nel 1933 il quadrumviro della marcia su Roma, Italo Balbo, organizzò la seconda e più famosa trasvolata dell'Atlantico settentrionale per commemorare il decennale dell'istituzione della Regia Aeronautica (28 marzo 1923). A bordo di 25 idrovolanti SIAI-Marchetti S.55X dal 1º luglio al 12 agosto 1933 Balbo e i suoi uomini compirono la traversata fino a New York e ritorno attraversando tutte le maggiori nazione europee e buona parte degli Stati Uniti. Per l'epoca fu un'impresa epica che diede al giovane ferrarese una fama addirittura superiore a quella di Mussolini.
Gli anni del consenso

Nel 1929 l'autarchia entrò anche nel linguaggio. Furono infatti bandite tutte le parole straniere da ogni comunicazione scritta ed orale: ad esempio chiave inglese diventò chiave morsa, cognac diventò arzente, ferry-boat diventò treno-battello pontone. Conseguentemente vennero rinominate tutte le città con nome francofono dell'Italia nord-occidentale e con nome tedescofono dell'Italia nord-orientale: secondo la toponomastica fascista, per fare un paio di esempi, Courmayeur diventò Cormaiore e Kaltern diventò Caldaro. Inoltre si scoprì che anche l'uso del lei aveva origini straniere, perciò venne inaugurata una campagna per la sostituzione del lei con il voi, capeggiata dal segretario del partito Achille Starace.

L'11 ottobre 1935 l'Italia venne sanzionata per l'invasione dell'Etiopia. Le sanzioni in vigore dal 18 novembre consistevano in:

    Embargo sulle armi e sulle munizioni
    Divieto di dare prestiti o aprire crediti in Italia
    Divieto di importare merci italiane
    Divieto di esportare in Italia merci o materie prime indispensabili all'industria bellica

Paradossalmente, nell'elenco delle merci sottoposte ad embargo mancano petrolio e i semilavorati.

In realtà fu soltanto la Gran Bretagna a osservare le regole imposte dalle sanzioni. La Germania hitleriana così come gli Stati Uniti furono i primi due paesi a schierarsi apertamente verso l'Italia, garantendo la possibilità di acquistare qualunque bene. La Russia rifornì di nafta l'esercito italiano per tutta la durata del conflitto, ed anche la Polonia si dimostrò piuttosto aperta.

In questo periodo l'Italia tutta si strinse intorno a Mussolini. La Gran Bretagna venne etichettata col termine di perfida Albione, e le altre potenze furono etichettate come nemiche perché impedivano all'Italia il raggiungimento di un posto al sole. Ritornò in voga il patriottismo e la propaganda politica spinse affinché si consumassero solo prodotti italiani. Fu in pratica la nascita dell'autarchia, secondo la quale tutto doveva essere prodotto e consumato all'interno dello stato. Tutto ciò che non poteva essere prodotto per mancanza di materie prime venne sostituito: il tè con il carcadè, il carbone con la lignite, la lana con il lanital (la lana di caseina), la benzina con il carburante nazionale (benzina con l'85% di alcool) mentre il caffè venne abolito perché «fa male» e sostituito con il "caffè" d'orzo.

La guerra civile in Spagna.

Il 18 luglio 1936 scoppiò in Spagna la guerra civile fra le sinistre del Fronte Popolare, al potere dalle elezioni del 1936, e la Falange, una forza ideologicamente paragonabile al fascismo che grazie all'appoggio della Chiesa cattolica spagnola, al contributo militare della Germania e dell'Italia portò il potere nelle mani di Francisco Franco.

Allo scoppio delle ostilità oltre 60.000 volontari accorsero da 53 nazioni in aiuto dei repubblicani mentre Mussolini e Hitler fornirono in via ufficiosa l'appoggio alla Falange. In questo contesto non di rado italiani combattenti nelle due parti si scontrarono in una vera e propria lotta fratricida. Gli italiani accorsi a combattere per la Seconda Repubblica Spagnola erano fra i più numerosi, per nazionalità superati solo da tedeschi e francesi.

L'Italia si scopre francamente razzista

Il 14 luglio 1938 il fascismo scrisse una delle pagine più vergognose della storia d'Italia: in quel giorno infatti fu pubblicato sui maggiori quotidiani nazionali il "Manifesto della razza". In questa sorta di tavola redatta da cinque cattedratici (Arturo Donaggio, Franco Savorgnan, Edoardo Zavattari, Nicola Pende e Sabato Visco) e da cinque assistenti universitari (Leone Franci, Lino Businco, Lidio Cipriani, Guido Landra e Marcello Ricci) venne fissata la «posizione del fascismo nei confronti dei problemi della razza».

I dieci imperativi categorici erano:

    Le razze umane esistono
    Esistono grandi razze e piccole razze
    Il concetto di razza è un concetto puramente biologico
    La popolazione dell'Italia attuale è nella maggioranza ariana e la sua civiltà è ariana
    È una leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici
    Esiste ormai una pura "razza italiana"
    È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti
    È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d'Europa (Occidentali) da una parte e gli Orientali e gli Africani dall'altra
    Gli ebrei non appartengono alla razza italiana
    I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo

Con questo manifesto si dava il via a quel processo che portò alla promulgazione delle leggi razziali.
L'alleanza con la Germania Nazista

Dal 1938 in Europa si iniziò a respirare aria di guerra: Hitler aveva già annesso l'Austria e i Sudeti e con la successiva Conferenza di Monaco gli venne dato il lasciapassare per l'annessione di tutta la Cecoslovacchia, mentre Mussolini dopo l'Etiopia stava cercando nuove prede per non perdere il passo dell'alleato d'oltralpe.

La vittima designata venne trovata nell'Albania. In due soli giorni (7-8 aprile 1939) con l'ausilio di 22.000 uomini e 140 carri armati Tirana fu conquistata.

Il 22 maggio tra Germania e Italia venne firmato il Patto d'acciaio. Tale patto assumeva che la guerra fosse imminente, e legava l'Italia in un'alleanza stretta con la Germania. Alcuni membri del governo italiano si opposero, e lo stesso Galeazzo Ciano, firmatario per l'Italia, definì il patto una «vera e propria dinamite»

L'Impero

A partire dal 1926-27 l'Albania entrò gradualmente nella sfera d'influenza dell'Italia ma solo nell'aprile del 1939 fu occupata militarmente da questo paese che le impose come sovrano Vittorio Emanuele III.

Nel 1928, inoltre, gli italiani cominciarono a penetrare in Etiopia, divenuta ormai il principale interesse del fascismo, e gli etiopi ad attaccare il territorio italiano in Eritrea. L'incidente più importante, però, avvenne a Ual Ual, nel 1934, e Mussolini lo usò in seguito per giustificare la sua guerra contro lo stato etiopico.

Mussolini, quindi, nel gennaio 1935 prese accordi con il ministro degli esterni francese, Pierre Laval per assicurarsi un sostegno diplomatico contro l'Etiopia.[10] Pochi mesi più tardi la società delle nazioni riconobbe la buona fede di entrambi i Paesi, ma prima l'Etiopia, che presentò ricorso a marzo dello stesso anno, e l'Italia poi, con una dichiarazione del duce a Cagliari non erano soddisfatti.

Il 2 ottobre del 1935, poi Mussolini dichiarò guerra all'Etiopia (Guerra d'Etiopia) e il giorno successivo iniziarono le operazioni, con un doppio attacco italiano proveniente sia dalle basi eritree, sotto il comando di De Bono, che da quelle somale, sotto al guida di Graziani. Contemporaneamente la Società delle Nazioni decise di sanzionare l'Italia per aver attaccato uno stato membro, con pesanti ripercussioni sull'economia italiana[11]. In poco tempo gli italiani avanzarono e sconfissero ripetutamente le truppe abissine. A novembre Pietro Badoglio sostituì De Bono e il 7 maggio 1936 l'Etiopia venne sconfitta ed entrò a fare parte del Regno d'Italia, divenuto Impero. Vittorio Emanuele III assunse infatti il titolo di “Imperatore d'Etiopia”.

La guerra d'Etiopia e la nascita dell'Impero

Il fascismo cercò innanzitutto di presentarsi in maniera diversa nei confronti dell'Etiopia cercando di attuare un trattato di amicizia con l'amministrazione del reggente Haile Selassie. Tale accordo si concretizzò nel 1928. In questa fase la colonia eritrea, sotto l'amministrazione del Governatore Jacopo Gasparini cercò di ottenere un protettorato sullo Yemen e creare una base per un impero coloniale sulla penisola araba, ma Mussolini non volle inimicarsi la Gran Bretagna e fermò il progetto.

A seguito della completa conquista della Libia, avvenuta alla fine degli anni venti, Mussolini manifestò l'intenzione di dare un Impero all'Italia e l'unico territorio rimasto libero da ingerenze straniere era l'Abissinia, nonostante fosse membro della Società delle Nazioni. Il progetto d'invasione iniziò all'indomani della conclusione degli accordi sul trattato di amicizia e si concluse con l'ingresso dell'esercito italiano ad Addis Abeba il 5 maggio 1936. Quattro giorni dopo venne proclamata la nascita dell'Impero italiano e l'incoronazione di Vittorio Emanuele III come Imperatore d'Etiopia (con il titolo di Qesar, anziché quello di Negus Neghesti).

Con la conquista di gran parte dell'Etiopia si procedette ad una ristrutturazione delle colonie del Corno d'Africa. Somalia, Eritrea ed Abissinia vennero riunite nel vicereame dell'Africa Orientale Italiana (AOI). Il progetto coloniale terminò con l'occupazione britannica dei territori soggetti al dominio italiano nel 1941.

Le colonie durante il fascismo

Durante il fascismo l'Eritrea fu oggetto di un ambizioso progetto di modernizzazione, voluto dal Governatore Jacopo Gasparini, che cercò di tramutarla in un importante centro per la commercializzazione dei prodotti e materie prime. La colonia Eritrea venne inglobata nell'Africa Orientale Italiana nel 1936, diventando uno dei sei governi in cui era diviso il vicereame. Nel 1941 la colonia venne occupata, insieme al resto dell'Africa Orientale Italiana, dalle truppe britanniche.

All'inizio della seconda guerra mondiale, nel maggio 1940 le truppe italiane occuparono la Somalia britannica (Somaliland), che fu amministrativamente incorporata nella Somalia italiana. Nei primi mesi del 1941 le truppe inglesi occuparono tutta la Somalia italiana e riconquistarono anche il Somaliland. Dopo l'invasione da parte delle truppe alleate nella seconda guerra mondiale la Somalia Italiana fu consegnata all'Italia in amministrazione fiduciaria decennale nel 1950.

Nel 1934, Tripolitania e Cirenaica vennero riunite per formare la colonia di Libia, nome utilizzato 1.500 anni prima da Diocleziano per indicare quei territori. L'Italia perse il controllo sulla Libia, quando le forze italo-tedesche si ritirarono in Tunisia nel 1943. Dopo la fine della guerra, la Libia venne provvisoriamente amministrata dalla Gran Bretagna fino al conseguimento definitivo dell'indipendenza nel 1951.

Negli anni venti e trenta l'amministrazione del dodecaneso da un lato portò degli ammodernamenti, come la costruzione di ospedali e acquedotti, ma si distinse anche per il tentativo di italianizzare con diversi provvedimenti le dodici isole, i cui abitanti erano a maggioranza di lingua greca, con la presenza di una minoranza turca ed ebraica. Nel settembre 1943 dopo l'Armistizio di Cassibile, i soldati del Terzo Reich occuparono le isole. L'8 maggio del 1945 le forze britanniche presero possesso dell'isola di Rodi e tramutarono il Dodecaneso in un protettorato. Con il Trattato di Parigi (1947), gli accordi fra Grecia e Italia stabilirono il possesso formale delle isole da parte dello stato greco, che assunse pieno controllo amministrativo solamente nel 1948.

Durante il regime fascista fu ampliati i possedimenti coloniali. Oltre a Eritrea, Somalia, Libia, dodecaneso e la concessione di Tientsin, entrarono nella sfera d'influenza italiana la già citata Etiopia, l'Albania.

Etiopia (1936 - 1941)

L'Abissinia (l'odierna Etiopia) fu conquistata dalle truppe italiane, comandate dal generale Pietro Badoglio dopo la guerra del 1935-1936. La vittoria fu annunciata il 9 maggio 1936, il Re d'Italia Vittorio Emanuele III assunse il titolo di Imperatore d'Etiopia, Mussolini quello di Fondatore dell'Impero, e a Badoglio fu concesso il titolo di Duca di Addis Abeba.

Con la conquista dell'Etiopia, i possedimenti italiani in Africa orientale (Etiopia, Somalia ed Eritrea) furono unificati sotto il nome di Africa Orientale Italiana A.O. I., e posti sotto il governo di un Viceré.

L'Etiopia fu la colonia italiana, insieme all'Eritrea, più interessata dalla costruzione di nuove strade, grandi infrastrutture (ponti, ecc.) e anche dalla sistemazione delle città, specie della capitale Addis Abeba secondo un piano regolatore prestabilito (nuovi quartieri, una nuova ferrovia). La breve presenza italiana, di soli 5 anni, e le difficoltà di pacificazione della zona, non permise la sistemazione totale della città, che sarebbe dovuta essere il fiore all'occhiello del colonialismo italiano. Tuttavia, quale membro della Lega delle Nazioni, l'Italia ricevette la condanna internazionale per l'occupazione dell'Etiopia, che era uno stato membro.

Nei primi mesi del 1941 le truppe inglesi sconfissero gli italiani ed occuparono l'Etiopia, anche se alcuni focolai di resistenza italiana si mantennero attivi a Gondar fino all'autunno del 1941. Inoltre si ebbe anche una guerriglia italiana durata fino al 1943. Gli inglesi reinsediarono il deposto Negus, Haile Selassie, esattamente cinque anni dopo la sua cacciata.

Albania (1939 - 1943)

L'Albania era sotto la sfera di influenza italiana dagli anni venti, e l'isola di Saseno davanti Valona era parte integrante del Regno d'Italia dai tempi della Pace di Parigi (1919). Dopo alterne vicende, l'Albania venne occupata militarmente da truppe italiane nel 1939. Alla base di questa decisione, vi fu il tentativo di Mussolini di controbilanciare l'alleanza con la sempre più potente Germania nazista di Hitler, dopo l'occupazione dell'Austria e della Cecoslovacchia. L'invasione dell'Albania, iniziata il 7 aprile 1939 fu completata in cinque giorni. Il re Zog si rifugiò a Londra.

Vittorio Emanuele III ottenne la corona albanese, e venne insediato un governo fascista guidato da Shefqet Verlaci. Le forze dell'esercito albanese vennero incorporate in quello italiano.

Nel 1941 vennero uniti all'Albania il Kosovo, alcune piccole aree del Montenegro ed una parte della Macedonia (territori già iugoslavi).

La resistenza contro l'occupazione italiana inizió nell'estate 1942 e si fece più violenta e organizzata nel 1943: nell'estate del 1943 le montagne interne erano difatti sotto il controllo diretto della resistenza albanese guidata da Enver Hoxha. Nel settembre 1943 dopo la caduta di Mussolini, il controllo sull'Albania venne assunto dalla Germania nazista.