STALIN: "Dei Principi del
Leninismo"
Lezioni tenute all'Università Sverdlov nella prima settimana
dell'aprile 1924
www.storiologia.it/stalin2/doc0080.htm
Chi era Stalin
STALIN, che significa "acciaio", è l'ultimo di vari
pseudonomi assunti durante la clandestinità rivoluzionaria da
JOSIF VISSARIJONOVIC DZUGASVILIJ.
Tutti i futuri capi bolscevichi provenivano dalla nobiltà,
dalla borghesia o dall'intelligenzija.
STALIN invece nasce a Gori un piccolo borgo rurale non
lontano da Tiblisi in Georgia il 21 dicembre 1879, da una
miserabile famiglia di contadini servi. Su questo lembo dell'impero
russo che fa quasi parte del vicino Oriente, la popolazione - quasi
tutta cristiana - contava non più di 750.000 anime. La
Georgia sotto gli zar, era soggetta a una progressiva
russificazione.
Come quasi tutti i georgiani, anche la famiglia DZUGASVILI erano
poveri, senza istruzione, analfabeti, ma non avevano
conosciuto la schiavitù che opprimeva tanti russi,
poichè non dipendevano da un singolo padrone, ma dallo Stato.
Quindi pur essendo servi, non erano una proprietà privata di
qualcuno. Il nonno e il padre erano nati braccianti, poi si misero a
fare i ciabattini. Quanto alla madre, EKATERINA GELADZE, pare che
non fosse georgiana, perchè -cosa rarissima nella zona- aveva
i capelli rossi. Pare che appartenesse agli Osseti, una tribù
montanara di origine iraniana. Nel 1875 la coppia lasciò la
campagna e si stabilì a Gori, un villaggio di circa 5000
abitanti. In affitto occuparono un tugurio, un unica stanza con una
sola finestra. L'anno dopo misero al mondo un figlio, ma
morì subito dopo, ne nacque un altro nel 1877 ma mori anche
questo in tenera età; più fortuna l' ebbe il
terzo figlio, Josif.
Nella più peggiore indigenza questo unico figlio cresce in un
ambiente miserabile. Il padre invece di reagire diventa un
alcolizzato e nei momenti d'ira picchia senza ragione moglie e
figlio, che benchè fanciullo in una di queste liti non
esitò a lanciargli addosso un coltello da cucina. Per due
volte mentre il fanciullo faceva le elementari gli
impedì due volte di frequentarla per fargli fare anche a lui
il ciabattino. La situazione divenuta in casa insostenibile spinse
il dissoluto uomo a cambiare aria. Se ne andò di casa a
lavorare a Tiflis in una fabbrica di scarpe e pare che di soldi a
casa non ne mandava di certo. Se li beveva tutti, e la
sua dipartita terrena non poteva che concludersi in una osteria, in
una rissa fra ubriachi qualcuno il coltello invece di lanciarlo
(come aveva fatto suo figlio) lo mise in mezzo al suo costato;
finì morto sotto un tavolo.
Rimase solo la madre a provvedere alla sopravvivenza del suo unico
figlio, orfano a 11 anni, che fra l'altro si ammalò prima di
vaiolo (che lascia i terribili segni), poi, per un
incidente si prese una terribile infezione del sangue che fu curata
alla meno peggio, lasciandogli dei postumi nel braccio sinistro, che
rimase offeso. Il ragazzino sopravvisse alla prima malattia e
uscì dalla seconda in un modo stupefacente, addirittura divenne bello e robusto, tanto che con un certo orgoglio
il ragazzo scherzandoci sopra iniziò a dire che lui era
forte, era d'acciaio (stal - stalin).
D'acciaio era però stata la madre. Rimasta sola, prima
iniziò a cucire per qualche vicino, per guadagnarsi da
vivere, poi (la donna che aveva dato alla luce l'uomo contro
l'accumulo del capitale) iniziò ad "accumulare un capitale"
fino al punto da comprarsi una modernissima macchina da cucire che
gli fece aumentare ulteriormente il capitale e naturalmente ad avere
qualche ambizioni per il figlio. Riuscì così, finite
le quattro classi elementari - che il ragazzo impiegò sei
anni per terminarle - a fargli frequentare la scuola religiosa
ortodossa di Gori, l'unica scuola "superiore" esistente nel
villaggio, riservata a pochi.
L'ambizione della madre trasferì al figlio una volontà
anche questa d'acciaio. Il ragazzo dagli altri alunni della scuola
subito si distinse nei cinque anni di frequenza per intelligenza,
volontà, memoria, e come per incanto anche in prestanza
fisica. O la miseria o la disperazione provata da fanciullo
compirono questo miracolo della volontà. Ne fu
colpito anche il direttore della scuola di Gori, che suggerì
alla madre (che non desiderava altro che solo questo, pensarlo
prete) di farlo entrare nell'autunno del 1894 (a quindici
anni) al seminario teologico di Tiflis, che il ragazzo
frequentò fino al maggio del 1899, quando - con tanta
disperazione della madre (nel 1937 prima di morire non se ne dava
ancora pace - famosa una sua intervista ) - ne fu
espulso. Il futuro capo di un immenso Paese che
diventerà "L'Impero dei senza Dio" (Pio XII), e che
farà chiudere tutte le chiese, non aveva di certo la
vocazione per fare il prete.
Il giovane dopo aver speso una buona dose di quella forte
determinazione che aveva in corpo per dimenticare il suo
ambiente di miseria e disperazione adolescenziale, iniziò ad
usare questa volontà per quelli che erano nelle medesime
condizioni. Mentre frequentava il seminario si era introdotto nelle
riunioni clandestine dei lavoratori della ferrovia di Tiflis. Una
città che stava diventando il centro del fermento nazionale
di tutta la Georgia, con gli ideali politici liberali della
popolazione presi a prestito dall'Europa occidentale.
Nel 1888, uno studioso inglese, sir Wardrop, così descrisse
la nascita di questo nazionalismo in Georgia: "Non vi é
nessun altro esempio di un popolo -se si eccettua il Giappone- che
passi direttamente dal feudalesimo al liberalismo". E per
liberalismo intendeva nazionalismo (quello che poi si
chiamerà socialismo georgiano); é questo il
movimento che il giovane Stalin incontrò nelle riunioni
clandestine mentre frequentava il seminario; iniziò a
parteciparvi, ne divenne un militante, poi quando si
trasformò in un evidente agitatore (col nome di battaglia il
Koba) con una scusa, per liberarsene, nella primavera del
1899 fu cacciato dal seminario.
L'intera evoluzione nella formazione del giovane era però
già avvenuta nei due anni precedenti. Al "credo"
evangelico e a quello "socialista georgiano" si era infiltrato il
"credo" di Marx e di Engels. Soprattutto proprio nei giovani e
a capo di questi neofiti l'ex seminarista, ora votato
più solo alla politica attiva, perfino brutale.
La conversione all'ideologia marxista del ventenne
Stalin, fu immediata, totale e definitiva. Proprio per la
giovane età lui la concepisce a suo modo: grossolana
ma in un modo così sanguigno che si infervorisce fino
al tal punto che, a pochi mesi dalla cacciata dal seminario,
viene sbattuto fuori anche dall'organizzazione del
movimento nazionalista georgiano. E si racconta, per avere
calunniato i capi -più anziani di lui-
dell'organizzazione (Una tattica che il ventenne, futuro
"dittatore", non abbandonerà più).
Nel 1902 Stalin é' costretto ad abbandonare Tiflis. Si
trasferisce a Batum, sul Mar Nero. Ricomincia a fare l'agitatore, ma
guida un gruppetto di autonomi, scavalcando Ccheidze, il capo dei
socialdemocratici georgiani. Nell' aprile del 1902 in una
manifestazione di scioperanti degenerata in una
rivolta con scontri con la polizia, Stalin è accusato di
averla organizzata, e finisce in galera per un anno a Kutaisi,
poi nel 1903 viene deportato ed esiliato in Siberia, a
Novaja Uda, a più di 6000 chilometri dalla Georgia.
Nella permanenza in cella conosce un famoso agitatore
marxista, Uratadze, seguace del fondatore del marxismo
georgiano Zordanija. E se all'agitatore
Koba, ora ventriquattrenne, dell'ideologia marxista, gli
mancava qualcosa, in cella la trovò. Il compagno - che
prima d'allora ne ignorava l'esistenza, - ne rimase molto
impressionato. " Piccolo (1,63), il volto segnato dal
vaiolo, barba e capelli sempre lunghi, l'insignificante nuovo venuto
era un duro, energico, ma imperturbabile, non si
arrabbiava, non imprecava, non gridava, non rideva mai, aveva un
carattere glaciale. Non era di certo l'affabile ed elegante Stalin
che vedo ora" scriverà molti anni dopo Uratadze. Il Koba era
già diventato Stalin, il "ragazzo d'acciaio" anche in
politica!
Fra le altre cose, legge l'Inskra (la Scintilla)
il famoso giornale clandestino con gli articoli di Lenin, e legge il
suo opuscolo del 1902, Che fare? , quello che doveva gettare
le basi del Bolscevismo.
Nel 1903 si era già tenuto il secondo congresso del partito,
con l'episodio della defezione di un giovane ventitreenne,
seguace di Lenin, LEV TROCHIJ, che passò nelle
file degli avversari accusando Lenin di "giacobinismo".
Improvvisamente Stalin dalla Siberia ricompare libero all'inizio del
1904 in Transcaucasia. E' un inspiegabile ritorno. Sia
amici che nemici - iniziano a pensare che facesse parte della
polizia segreta; che magari con un accordo era stato mandato in
Siberia in mezzo ad altri detenuti solo per riferire cosa bolliva in
pentola.
Passano poche settimane e Stalin fa già parte
della fazione bol-scevica (maggioritaria) che fa capo a Lenin.
L'altra fazione era la men-scevica, cioè la
minoritaria, che pure era in prevalenza fatta di georgiani,
cioè suoi amici marxisti prima a Tiflis poi a Batum.
C'é poi una fantomatica lettera al carcere di Lenin
inviata proprio nel 1903 quando Stalin era in galera. (l'uomo in
carcere aveva fatto velocissimi progressi! - visto che l'
amico di cella affermava che prima era del tutto sconosciuto).
Lenin gli comunicava che c'era stata una scissione e che
bisognava scegliere tra le due fazioni. E lui scelse la sua.
Come accennato sopra, Stalin, dal carcere va in Siberia, dove ci
sono i deportati politici, ci resta pochi mesi, torna
libero e prepotentemente ricompare sulla scena politica.
Passano pochi mesi e come delegato partecipa alla
conferenza nazionale del partito Bolscevico, in Finlandia. Qui
avviene l'incontro con Lenin, che cambierà totalmente
la vita al Koba georgiano, e la farà cambiare
anche alla Russia, che non dimentichiamolo, da Paese
arretrato e caotico come era la Russia zarista, il dittatore
lo trasforma nella seconda potenza industriale del mondo. Su
quella militare per vincere alla pari la "grande partita" contro il
nazismo, ci restano due lapidari commenti di De Gaulle "Senza
di lui avremmo perso, e lui senza di noi non avrebbe vinto", e
quello di Churchill: "Per vincere avevo una sola scelta:
quella di allearmi col diavolo".
Tutto quello che segue ora, in sintesi si trova su queste poche
pagine, ma milioni di pagine di storia parlano di lui e altre
milioni su di lui saranno scritte. Di volta in volta Stalin appare
come un genio e come un mostro, uno spietato, ma capace riformatore
e un sinistro sterminatore di popoli.
Sottraendo una valutazione dall'impeto delle opposte fazioni,
è certo, che al di là di ogni discussione e di ogni
giudizio, la personalità e l'opera di Stalin hanno avuto nel
bene come nel male, una influenza determinante nel corso della
storia contemporanea, pari alla Rivoluzione Francese e a Napoleone.
Influenza che come è noto si è prolungata oltre la sua
morte e la fine del suo potere politico.
Lo stalinismo, infatti, fu espressione di grandi
forze storiche e di volontà collettive. Stalin rimase al
potere trent'anni, e nessun capo può governare così a
lungo se la società non gli assicura il consenso. Le polizie,
i tribunali, le persecuzioni possono servire ma non bastano per
governare così a lungo. La maggior parte della popolazione
voleva lo Stato forte. Tutta l'intelligentija russa
(dirigenti, professionisti, tecnici, militari ecc.) che era stata
ostile o estranea alla rivoluzione, riteneva Stalin un capo in grado
di assicurare una crescita della società, e gli
concesse tutto l'appoggio. Non molto diverso da quell'appoggio
che la stessa intelligentija e la grande borghesia tedesca diede a
Hitler. ( Così come in Italia a Mussolini)
Anche Stalin trasformò il potere in una dittatura, ma anche
questo regime, come quello hitleriano, fu grandemente favorito
da comportamenti collettivi di..... stampo fascista anche se
era uno comunista e l'altro nazista.
L' Italia nel ventennio non fu immune da un
regime dittatoriale "stalinista" (il termine divenne
perfino sinonimo di dittatura), ce lo conferma un autorevole
personaggio; e chi meglio di lui! (che da Stalin aveva a sua
volta copiato il Capitalismo di stato e l'Autarchia")
. "Stalin davanti alla catastrofe del sistema di Lenin,
é diventato segretamente un fascista. Essendo lui un
semibarbaro non usa ("come noi" - Ndr) l'olio di ricino, ma fa
piazza pulita con i sistemi che usava Gengis Kan. In un modo e
nell'altro sta rendendo un commendevole servizio al fascismo". Lo
scrive BENITO MUSSOLINI, sul Popolo d'Italia, il 5 marzo del 1938
!!!!
Con questa frase forse abbiamo sicuramente dato un dispiacere
sia ai fascisti che ai comunisti.
Quello che forse non vogliono capire molti ingenui
idealisti -di ogni ideologia-, é che tutti, anche i
socialisti, i comunisti, i proletari, possono dar vita a
regimi fascisti, dittatoriali, tirannici, come i vecchi regimi,
chiamati feudali, monarchici, imperialistici,
cesaropapisti, papali, serenissimi, o come i nuovi....
chiamati liberali.
Karl Popper su quest'ultimo "regime", esprimeva il
timore che nel mondo moderno possono emergere governanti
solo potenti ma del tutto incompetenti, e che alla fine
anche loro non sapendo cos'altro fare per rimanere in sella al
"nuovo moderno cavallo", con ogni mezzo (ad alcuni questi non
mancano) si trasformano in dittatori, causando gravi danni ai
popoli, nè più nè meno come i grandi tiranni;
forse addirittura peggiori, e senza nemmeno compromettersi.
Con la potenza economica, alcuni non si sporcano nemmeno
più le mani. Dietro le spalle hanno le impalbabili
"Società finanziarie", il "totalitarismo economico", i
"monopoli della produzione e della informazione". Dittatura
è!
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Dei principi del
leninismo
VERSIONE
ORIGINALE - 160 PAGINE
PREMESSA - I PRINCIPI DEL LENINISMO
" I principii del leninismo: vasto argomento. Occorrerebbe un libra
intero per esaurirlo. Anzi, occorrerebbe una serie di libri.
È naturale, quindi, che le mie lezioni non potranno essere
un'esposizione esauriente del leninismo. Nel migliore dei casi,
potranno essere soltanto un riassunto conciso dei principii del
leninismo. Ciononostante, ritengo utile fare questo riassunto per
fissare alcuni punti di partenza fondamentali, indispensabili per
uno studio proficuo del leninismo.
Esporre i principii del leninismo, non vuol ancora dire esporre i
principii della concezione del mondo di Lenin. La concezione del
mondo di Lenin e i principii del leninismo non sono, per l'ampiezza,
la stessa cosa. Lenin é un marxista e la base della sua
concezione del mondo é, naturalmente, il marxismo. Ma da
questo non deriva affatto che una esposizione del leninismo debba
partire dall'esposizione dei principii del marxismo. Esporre il
leninismo significa esporre ciò che vi é di
particolare e di nuovo nell'opera di Lenin, ciò che Lenin ha
apportato al tesoro comune del marxismo e che naturalmente é
legato al suo nome. Soltanto in questo senso parlerò nelle
mie lezioni dei principii del leninismo.
Dunque, che cosa è il leninismo?
Gli uni dicono che il leninismo è l'applicazione del marxismo
alle condizioni originali della situazione russa. In questa
definizione vi è una parte di verità, ma essa é
ben lontana dal contenere tutta la verità. Lenin ha
effettivamente applicato il marxismo alla situazione russa e l'ha
applicato in modo magistrale. Ma se il leninismo non fosse che
l'applicazione del marxismo alla situazione originale della Russia,
sarebbe un fenomeno puramente nazionale e soltanto nazionale,
puramente russo e soltanto russo. Invece noi sappiamo che il
leninismo é un fenomeno internazionale, che ha le sue radici
in tutta l'evoluzione internazionale e non soltanto un fenomeno
russo. Ecco perché penso che questa definizione pecca di
unilateralità.
Altri dicono che il leninismo é la rinascita degli elementi
rivoluzionari del marxismo del decennio 1840-1850, per distinguerlo
dal marxismo degli anni successivi, divenuto, a loro avviso,
moderato, non più rivoluzionario. A prescindere dalla sciocca
e banale divisione della dottrina di Marx in due parti, una
rivoluzionaria e una moderata, bisogna riconoscere che anche questa
definizione, del tutto insufficiente e insoddisfacente, contiene una
parte di verità. Questa parte di verità consiste nel
fatto che Lenin ha effettivamente risuscitato il contenuto
rivoluzionario del marxismo, ch'era stato sotterrato dagli
opportunisti della II Internazionale. Ma questa non é che una
parte della verità. La verità intera é che il
leninismo non solo ha risuscitato il marxismo, ma ha fatto ancora un
passo avanti, sviluppando ulteriormente il marxismo nelle nuove
condizioni del capitalismo e della lotta di classe del proletariato.
Che cosa é dunque, in ultima analisi, il leninismo?
Il leninismo é il marxismo dell'epoca dell'imperialismo e
della rivoluzione proletaria. Più esattamente: il leninismo
é la teoria e la tattica della rivoluzione proletaria in
generale, la teoria e la tattica della dittatura del proletariato in
particolare. Marx ed Engels militarono nel periodo prerivoluzionario
(ci riferiamo alla rivoluzione proletaria), quando l'imperialismo
non si era ancora sviluppato, nel periodo di preparazione dei
proletari alla rivoluzione, nel periodo in cui la rivoluzione
proletaria non era ancora diventata una necessità pratica
immediata. Lenin invece, discepolo di Marx e di Engels,
militò nel periodo di pieno sviluppo dell'imperialismo, nel
periodo dello scatenamento della rivoluzione proletaria, quando la
rivoluzione proletaria aveva già trionfato in un paese, aveva
distrutto la democrazia borghese e aperto l'éra della
democrazia proletaria, l'éra dei Soviet.
Ecco perché il leninismo é lo sviluppo ulteriore del
marxismo.
Si mette spesso in rilievo il carattere straordinariamente
combattivo, straordinariamente rivoluzionario del leninismo.
Ciò é del tutto giusto. Ma questa caratteristica del
leninismo si spiega con due motivi: in primo luogo, col fatto che il
leninismo é sorto dalla rivoluzione proletaria, e non
può non portarne l'impronta; in secondo luogo, col fatto che
esso é cresciuto e si é rafforzato nella lotta contro
l'opportunismo della II Internazionale, lotta che fu ed é
condizione necessaria preliminare per il successo della lotta contro
il capitalismo. Non bisogna dimenticare che fra Marx ed Engels da
una parte, e Lenin dall'altra, si stende un intero periodo di
dominio incontrastato dell'opportunismo della Il Internazionale. La
lotta spietata contro l'opportunismo non poteva non essere uno dei
compiti più importanti del leninismo.
INDICE DEI CAPITOLI
Cap. I. LE RADICI STORICHE DEL LENINISMO -
Cap. II. IL METODO
Cap. III. LA TEORIA -
Cap. IV. LA DITTATURA DEL PROLETARIO
Cap. V. LA QUESTIONE CONTADINA -
Cap. VI. LA QUESTIONE NAZIONALE
Cap. VII. STRATEGIA E TATTICA -
Cap. VIII. IL PARTITO
Cap. IX. LO STILE NEL LAVORO
I
LE RADICI STORICHE DEL LENINISMO
Il leninismo sorse e si formò nelle condizioni esistenti nel
periodo dell'imperialismo, quando le contraddizioni del capitalismo
erano giunte al punto più alto, quando la rivoluzione
proletaria era diventata. un problema pratico immediato, quando il
precedente periodo di preparazione della classe operaia alla
rivoluzione si era chiuso, e si era entrati nel nuovo periodo
dell'assalto diretto al capitalismo.
Lenin chiamava l'imperialismo «capitalismo morente».
Perché? Perché l'imperialismo porta le contraddizioni
del capitalismo all'ultimo termine, ai limiti estremi, oltre i quali
comincia la rivoluzione.
Di queste contraddizioni, tre devono essere considerate come le
più importanti.
La prima contraddizione é la contraddizione tra il lavoro e
il capitale. L'imperialismo é l'onnipotenza, nei paesi
industriali, dei trust e dei sindacati monopolisti, delle banche e
dell'oligarchia finanziaria Nella lotta contro questa onnipotenza, i
metodi abituali della classe operaia, - sindacati e cooperative,
partiti parlamentari e lotta parlamentare, - si son rivelati
assolutamente insufficienti. O abbandonarsi alla mercé del
capitale, vegetare all'antica e scendere sempre più in basso,
o impugnare una nuova arma: così l'imperialismo pone il
problema alle masse innumerevoli del proletariato. L'imperialismo
avvicina la classe operaia alla rivoluzione.
La seconda contraddizione é la contraddizione fra i diversi
gruppi finanziari e le diverse potenze imperialiste nella loro lotta
per le fonti di materie prime e per i territori altrui.
L'imperialismo é esportazione di capitale verso le fonti di
materie prime, lotta accanita per il possesso esclusivo di queste
fonti, lotta per una nuova spartizione del mondo già diviso,
lotta che viene condotta con particolare asprezza, dai gruppi
finanziari nuovi e dalle potenze in cerca di un "posto al
sole», contro i vecchi gruppi e le potenze che non vogliono a
nessun costo abbandonare il bottino. Questa lotta accanita tra
diversi gruppi di capitalisti é degna di nota perché
racchiude in sé, come elemento inevitabile, le guerre
imperialiste, le guerre per la conquista di territori altrui. Questa
circostanza, a sua volta, é degna di nota perché porta
all'indebolimento reciproco degl'imperialisti, all'indebolimento
della posizioni del capitalismo in generale, perché avvicina
il momento della rivoluzione proletaria, perché rende
praticamente necessaria questa rivoluzione.
La terza contraddizione é la contraddizione tra un pugno di
nazioni «civili» dominanti e centinaia di milioni di
uomini appartenenti ai popoli coloniali e dipendenti del mondo.
L'imperialismo é lo sfruttamento più spudorato,
l'oppressione più inumana di centinaia di milioni di abitanti
degli immensi paesi coloniali e dipendenti. Spremere dei
sopraprofitti: ecco lo scopo di questo sfruttamento e di questa
oppressione. Ma per sfruttare questi paesi l'imperialismo é
costretto a costruirvi delle ferrovie, delle fabbriche, delle
officine, a crearvi , dei centri industriali e commerciali.
L'apparire di una classe di proletari, il sorgere di uno strato di
intellettuali indigeni, il risveglio di una coscienza nazionale, il
rafforzarsi del movimento per l'indipendenza: tali sono gli effetti
inevitabili di questa «politica». L'incremento dei
movimento rivoluzionario in tutte le colonie e in tutti i paesi
dipendenti, senza eccezione, ne fornisce la prova evidente. Questa
circostanza é importante per il proletariato perché
mina alle radici le posizioni del capitalismo, trasformando le
colonie e i paesi dipendenti da riserve dell'imperialismo in riserve
della rivoluzione proletaria.
Tali sono, in generale, le principali contraddizioni
dell'imperialismo, che hanno trasformato il «florido»
capitalismo di una volta in capitalismo morente.
L'importanza della guerra imperialista, scatenatasi dieci anni fa;
consiste, tra l'altro, nel fatto che essa ha raccolto in un sol
fascio tutte queste contraddizioni e le ha gettate sul piatto della
bilancia, accelerando e facilitando le battaglie rivoluzionarie del
proletariato.
L'imperialismo, in altri termini, non solo ha fatto sì che la
rivoluzione proletaria é diventata una necessità
pratica, ma ha pure creato le condizioni favorevoli per l'assalto
diretto alle fortezze del capitalismo.
Tale é la situazione internazionale che ha generato il
leninismo.
Tutto ciò va benissimo, si dirà; ma che c'entra la
Russia, la quale certo non era e non poteva essere il paese classico
dell'imperialismo? Che c'entra Lenin, il quale ha lavorato
soprattutto in Russia e per la Russia? Perché mai proprio la
Russia é diventata il focolaio del leninismo, la patria della
teoria e della pratica della rivoluzione proletaria?
Per il fatto che la Russia era il punto nodale di tutte queste
contraddizioni dell'imperialismo.
Per il fatto che la Russia era, più di qualsiasi altro paese,
gravida di rivoluzione, e perciò essa soltanto era in grado
di risolvere queste contraddizioni per via rivoluzionaria.
Innanzi tutto, la Russia zarista era un focolaio di ogni genere di
oppressione, - e capitalistica, e coloniale, e militare, -
esercitata nella forma più barbara e più inumana. Chi
non sa che in Russia l'onnipotenza del capitale si fondeva col
potere dispotico dello zarismo, l'aggressività del
nazionalismo russo con la ferocia dello zarismo verso i popoli non
russi, lo sfruttamento di intere regioni, - della Turchia, della
Persia, della Cina, - con la conquista di queste regioni da parte
dello zarismo, con le guerre volte a conquistarle? Lenin aveva
ragione di dire che lo zarismo era un «imperialismo feudale
militare». Lo zarismo concentrava in sé i lati
più negativi dell'imperialismo, elevati al quadrato.
E non basta. La Russia zarista era un'immensa riserva
dell'imperialismo occidentale non soltanto nel senso che dava libero
accesso al capitale straniero, il quale teneva in pugno settori
decisivi dell'economia russa, come i combustibili e la metallurgia,
ma anche nel senso che poteva mettere al servizio degl'imperialisti
dell'Occidente milioni di soldati. Ricordate l'esercito russo di
dodici milioni di uomini, che ha versato il suo sangue sui fronti
della guerra imperialista per assicurare favolosi profitti ai
capitalisti anglo-francesi.
Ancora. Lo zarismo non era soltanto il cane da guardia
dell'imperialismo nell'Europa orientale, era anche un'agenzia
dell'imperialismo occidentale per estorcere alla popolazione
centinaia di milioni pel pagamento degli interessi dei prestiti che
gli erano stati concessi a Parigi, a Londra, a Berlino e a
Bruxelles.
Infine, lo zarismo era l'alleato più fedele dell'imperialismo
occidentale nella spartizione della Turchia, della Persia, della
Cina, ecc. Chi non sa che la guerra imperialista é stata
condotta dallo zarismo in unione con gli imperialisti dell'Intesa,
che la Russia é stata un elemento essenziale di questa
guerra?
Ecco perché gli interessi dello zarismo e dell'imperialismo
occidentale si intrecciavano e si fondevano, in ultima analisi,
nell'unico gomitolo degli interessi dell'imperialismo. Poteva
l'imperialismo occidentale rassegnarsi alla perdita di un
così potente appoggio in Oriente e di un così ricco
serbatoio di forze e di mezzi, quale era la vecchia Russia zarista e
borghese, senza impegnare tutte le proprie forze per condurre una
lotta a morte contro la rivoluzione in Russia, allo scopo di
difendere e conservare lo zarismo? Evidentemente, non poteva!
Ma da questo deriva che chiunque voleva battere lo zarismo
inevitabilmente alzava la mano contro l'imperialismo, chiunque
insorgeva contro lo zarismo doveva insorgere anche contro
l'imperialismo, poiché chi voleva rovesciare lo zarismo
doveva abbattere anche l'imperialismo, se voleva realmente non solo
vincere lo zarismo, ma debellarlo definitivamente. La rivoluzione
contro lo zarismo si collegava, perciò, alla rivoluzione
contro l'imperialismo e doveva trasformarsi in rivoluzione
proletaria.
In Russia si scatenava pertanto la più grande rivoluzione
popolare, a capo della quale si trovava il proletariato più
rivoluzionario del mondo, che disponeva di un alleato
dell'importanza dei contadini rivoluzionari della Russia. Vi
é bisogno di dimostrare che tale rivoluzione non poteva
fermarsi a mezza strada, che in caso di successo essa doveva
procedere oltre, innalzando la bandiera dell'insurrezione contro
l'imperialismo?
Ecco perché la Russia doveva diventare il punto nodale delle
contraddizioni dell'imperialismo, non solo nel senso che queste
contraddizioni si rivelavano proprio in Russia più che in
ogni altro paese, per il loro carattere particolarmente scandaloso e
particolarmente intollerabile, e non solo perché la Russia
era il punto d'appoggio principale dell'imperialismo d'Occidente,
costituendo un legame tra il capitale finanziario dell'Occidente e
le colonie dell'Oriente, ma anche perché solo in Russia
esisteva una forza reale, capace di risolvere le contraddizioni
dell'imperialismo per via rivoluzionaria.
Ma da questo deriva che la rivoluzione, in Russia, non poteva non
diventare proletaria, che essa non poteva non prendere fin dai primi
giorni del suo sviluppo un carattere internazionale, che essa non
poteva quindi non scuotere le basi stesse dell'imperialismo
mondiale.
Potevano i comunisti russi, in questa situazione, contenere il loro
lavoro nel quadro strettamente nazionale della rivoluzione russa?
Evidentemente no! Al contrario, tutta la situazione, tanto interna
(profonda crisi rivoluzionaria), quanto esterna (guerra), li
spingeva a uscire, nel corso del loro lavoro, da questo quadro, a
trasportare la lotta sull'arena internazionale, a mettere a nudo le
piaghe dell'imperialismo, a dimostrare l'ineluttabilità della
catastrofe del capitalismo, a battere il social-sciovinismo e il
social-pacifismo e, infine, ad abbattere il capitalismo nel proprio
paese e a forgiare per il proletariato una nuova arma di lotta, - la
teoria e la tattica della rivoluzione proletaria, allo scopo di
facilitare ai proletari di tutti i paesi il compito
dell'abbattimento del capitalismo. I comunisti russi non potevano,
del resto, agire in altro modo, poiché solo seguendo questa
via si poteva contare su alcune modificazioni della situazione
internazionale, atte a garantire la Russia dalla restaurazione del
regime borghese.
Ecco perché la Russia é diventata il focolaio del
leninismo, e il capo dei comunisti russi, Lenin, ne é
diventato il creatore.
Per la Russia e per Lenin «é avvenuto» qualche
cosa di simile a quel che, tra il 1840 e il 1850, «era
avvenuto» per la Germania e per Marx ed Engels. Come la Russia
al principio del secolo XX, la Germania era allora gravida della
rivoluzione borghese. Nel «Manifesto dei Comunisti»,
Marx scriveva allora che:
«Sulla Germania rivolgono i comunisti specialmente la loro
attenzione, perché la Germania é alla vigilia della
rivoluzione borghese, e perché essa compie tale rivoluzione
in condizioni di civiltà generale europea più
progredite e con un proletariato molto più sviluppato che non
avessero l'Inghilterra nel secolo XVII e la Francia nel XVIII; per
cui la rivoluzione borghese tedesca non può essere che
l'immediato preludio di una rivoluzione proletaria».
In altri termini, il centro del movimento rivoluzionario si spostava
verso la Germania.
Non vi può esser dubbio che appunto questa circostanza,
segnalata da Marx nel passo sopra riportato, fu probabilmente la
causa per cui appunto la Germania fu la patria del socialismo
scientifico e i capi del proletariato tedesco, - Marx ed Engels, -
ne furono i creatori.
Lo stesso, ma in misura ancora maggiore, si deve dire della Russia
dell'inizio del secolo XX. La Russia si trovava in questo periodo
alla vigilia di una rivoluzione borghese; ma doveva compiere questa
rivoluzione quando le condizioni dell'Europa erano più
progredite, il proletariato più sviluppato che nel caso della
Germania (senza parlare dell'Inghilterra e della Francia) e tutti i
dati indicavano che questa rivoluzione sarebbe stata il lievito e il
preludio della rivoluzione proletaria. Non si può reputare
accidentale il fatto che già nel 1902, quando la rivoluzione
russa era soltanto all'inizio, Lenin scrivesse nel suo opuscolo
«Che fare?» queste parole profetiche:
«La storia pone oggi a noi (cioè ai marxisti russi. G.
St.) un compito immediato, il più rivoluzionario di tutti i
compiti immediati del proletariato di qualsiasi altro
paese»... "L'adempimento di questo compito, la distruzione del
baluardo più potente della reazione non soltanto europea, ma
anche asiatica, farebbe del proletariato russo l'avanguardia del
proletariato rivoluzionario internazionale" ,(Vol. IV, p. 382 ed.
russa).
------
In altri termini, il centro del movimento rivoluzionario doveva
spostarsi verso la Russia.
È noto che il corso della rivoluzione in Russia ha più
che confermato questa predizione di Lenin.
C'é dunque da meravigliarsi che un paese, il quale ha fatto
una tale rivoluzione ed ha un tale proletariato, sia stato la patria
della teoria e della tattica della rivoluzione proletaria?
C'é da meravigliarsi che il capo di questo proletariato,
Lenin, sia diventato in pari tempo il creatore di questa teoria e di
questa tattica e il capo del proletariato internazionale?
II
IL METODO
Ho già detto che fra Marx ed Engels da una parte e Lenin
dall'altra, si stende tutto il periodo del dominio dell'opportunismo
della II Internazionale. Aggiungerò, per precisare, che non
si tratta di un dominio formale dell'opportunismo, bensì di
un dominio di fatto. Formalmente, a capo della II Internazionale vi
erano dei marxisti «ortodossi», come Kautsky ed altri.
In realtà, però, l'attività fondamentale della
II Internazionale si svolgeva sulla linea dell'opportunismo. Gli
opportunisti si adattavano alla borghesia in virtù della loro
natura adattabile, piccolo-borghese; gli «ortodossi», a
loro volta, si adattavano agli opportunisti nell'interesse del
«mantenimento dell'unità» con gli opportunisti,
nell'interesse della «pace nel partito». Il risultato
era il dominio dell'opportunismo, poiché si creava tra la
politica della borghesia e la politica degli «ortodossi»
una catena ininterrotta.
Si era in un periodo di sviluppo relativamente pacifico del
capitalismo, in un periodo, per così dire, di anteguerra, in
cui le contraddizioni catastrofiche dell'imperialismo non erano
ancora arrivate a manifestarsi in tutta la loro evidenza, gli
scioperi economici degli operai e i sindacati si sviluppavano
più o meno «normalmente», la lotta elettorale e i
gruppi parlamentari riportavano successi «da far girar la
testa», le forme legali di lotta erano portate alle stelle e
si pensava di poter «uccidere» il capitalismo con la
legalità, - in un periodo, insomma, in cui i partiti della II
Internazionale s'imbastardivano e non si voleva pensare seriamente
alla rivoluzione, alla dittatura del proletariato, all'educazione
rivoluzionaria delle masse.
Invece di una teoria rivoluzionaria coerente, - affermazioni
teoriche contraddittorie e frammenti di teoria, staccati dalla lotta
rivoluzionaria vivente delle masse e trasformatisi in dogmi
rinsecchiti. Per salvare le apparenze, certo, ci si richiamava alla
teoria di Marx, ma per spogliarla del suo vivente spirito
rivoluzionario.
Invece di una politica rivoluzionaria, - filisteismo smidollato e
politicantismo gretto, diplomazia parlamentare e combinazioni
parlamentari. Per salvare le apparenze, certo, si approvavano
risoluzioni e parole d'ordine «rivoluzionarie», ma per
passarle agli archivi.
Invece di educare e istruire il partito nella giusta tattica
rivoluzionaria sulla base dell'esperienza dei suoi propri errori, si
eludevano accuratamente, si mascheravano e si mettevano in disparte
le questioni spinose. Per salvare le apparenze, certo, non ci si
esimeva dal parlarne, ma per concludere l'affare con una qualsiasi
risoluzione «di caucciù».
Tali erano la fisionomia, il metodo di lavoro e l'arsenale della II
Internazionale.
Frattanto si avvicinava un nuovo periodo di guerre imperialiste e di
battaglie rivoluzionarie del proletariato. I vecchi metodi di lotta
si rivelavano manifestamente insufficienti, impotenti, di fronte
all'onnipotenza dal capitale finanziario.
Era necessario rivedere tutto il lavoro della II Internazionale,
tutto il suo metodo di lavoro, dare il bando al filisteismo, alla
ristrettezza mentale, al politicantismo, al tradimento, al
social-sciovinismo, al social-pacifismo. Era necessario verificare
tutto l'arsenale della, II Internazionale, buttare via tutto quel
che vi era di arrugginito e di antiquato, forgiare nuove sorta di
armi. Senza questo lavoro preliminare era inutile partire in guerra
contro il capitalismo. Senza questo lavoro il proletariato rischiava
di trovarsi, di fronte alle nuove battaglie rivoluzionarie,
insufficientemente armato, o addirittura del tutto disarmato.
L'onore di questa revisione generale, di questa ripulitura generale
delle stalle d'Augia della II Internazionale, é toccato al
leninismo.
Ecco in quale situazione é sorto e si é forgiato il
metodo del leninismo.
A che cosa si riducono le esigenze di questo metodo?
Innanzi tutto, alla verifica dei dogmi teorici della II
Internazionale nel fuoco della lotta rivoluzionaria delle masse, nel
fuoco della pratica vivente, cioé al ristabilimento della
perduta unità fra la teoria e la pratica, alla eliminazione
della rottura tra di esse, poiché solo così si
può formare un partito veramente proletario, armato di una
teoria rivoluzionaria.
In secondo luogo, alla verifica della politica dei partiti della II
Internazionale, partendo non dalle loro parole d'ordine e dalle loro
risoluzioni (a cui non si può prestar fede), bensì dai
loro atti, dalle loro azioni, poiché solo così si
può conquistare e meritare la fiducia delle masse proletarie.
In terzo luogo, alla riorganizzazione di tutto il lavoro del partito
per dargli una nuova impronta rivoluzionaria, nel senso
dell'educazione e della preparazione delle masse alla lotta
rivoluzionaria, poiché solo così si possono preparare
le masse alla rivoluzione proletaria.
In quarto luogo, all'autocritica dei partiti proletari, alla loro
educazione e istruzione partendo dall'esperienza dei loro propri
errori, poiché solo così si possono formare dei veri
quadri e dei veri dirigenti del partito.
Queste sono le basi, questa é l'essenza del metodo del
leninismo.
Come é stato applicato in pratica questo metodo?
- Gli opportunisti della II Internazionale professano una serie di
dogmi teorici, che ripetono come il rosario. Vediamone alcuni.
* * Dogma primo: circa le condizioni della presa del potere da parte
del proletariato. Gli opportunisti asseriscono che il proletariato
non può e non deve prendere il potere se non é
maggioranza nel paese. Prove non ne danno, non essendo possibile,
né dal punto di vista teorico, né dal punto di vista
pratico, giustificare questa tesi assurda. Ammettiamo che sia vero,
risponde Lenin a quei signori della II Internazionale. Ma ove si
produca una situazione storica (guerra, crisi agraria, ecc.) in cui
il proletariato, pur essendo la minoranza della popolazione, abbia
la possibilità di raggruppare attorno a sé l'enorme
maggioranza delle masse lavoratrici, perché esso non dovrebbe
prendere il potere? Perché il proletariato non dovrebbe
approfittare della situazione internazionale e interna favorevole
per spezzare il fronte del capitale e affrettare il crollo generale?
Non ha forse detto Marx, sin dal 1850, che la rivoluzione proletaria
tedesca si sarebbe trovata in «eccellenti» condizioni,
se fosse stato possibile assicurare alla rivoluzione proletaria
l'appoggio «per così dire, di una seconda edizione
della guerra dei contadini»? Non é forse noto a tutti
che a quell'epoca, in Germania, i proletari erano relativamente meno
numerosi che, per esempio, in Russia nel 1917? La pratica della
rivoluzione proletaria russa non ha forse dimostrato che questo
dogma, caro agli eroi della II Internazionale, é privo di
ogni significato vitale per il proletariato? Non é forse
chiaro che l'esperienza della lotta rivoluzionaria delle masse batte
in breccia e fa a pezzi questo dogma rinsecchito?
* * Dogma secondo: il proletariato non può conservare il
potere, se non possiede una quantità sufficiente di quadri
già pronti di intellettuali e di amministratori, capaci di
assicurare la gestione del paese. Prima bisogna formare questi
quadri sotto il capitalismo e in seguito prendere il potere.
Ammettiamo che sia vero, risponde Lenin; ma perché non si
può procedere in senso opposto: incominciare a prendere il
potere, creare le condizioni favorevoli allo sviluppo del
proletariato, e poi andare avanti, con gli stivali delle sette
leghe, per elevare il livello culturale delle masse lavoratrici, per
formare numerosi quadri di dirigenti e amministratori reclutati fra
gli operai? La pratica russa non ha forse dimostrato che i quadri
dirigenti reclutati fra gli operai crescono sotto il potere
proletario cento volte più rapidamente e meglio che sotto il
potere del capitale? Non é forse chiaro che la pratica della
lotta rivoluzionaria delle masse manda spietatamente in pezzi anche
questo dogma teorico degli opportunisti?
* * Dogma terzo: il metodo dello sciopero generale politico non
può essere accettato dal proletariato, perché
teoricamente é inconsistente (si veda la critica di Engels),
praticamente é pericoloso (può turbare il corso
normale della vita economica del paese, può vuotare le casse
dei sindacati) e non può sostituire le forme di lotta
parlamentari, che sono la forma principale della lotta di classe del
proletariato. Bene, rispondono i leninisti. Ma, innanzi tutto,
Engels non ha criticato qualsiasi sciopero generale, ma solo una
specie determinata di sciopero generale, lo sciopero generale
economico degli anarchici, preconizzato dagli anarchici in luogo
della lotta politica -del proletariato. Che c'entra il metodo dello
sciopero generale politico? In secondo luogo, da chi e dove é
stato provato che la lotta parlamentare sia la principale forma di
lotta del proletariato? La storia del movimento rivoluzionario non
dimostra forse che la lotta parlamentare é soltanto una
scuola, un ausilio per l'organizzazione della lotta
extraparlamentare del proletariato, che le questioni fondamentali
del movimento operaio in regime capitalistico si risolvono con la
forza, con la lotta diretta delle masse proletarie, con lo sciopero
generale, con l'insurrezione? In terzo luogo, dove é stata
presa la questione della sostituzione alla lotta parlamentare del
metodo dello sciopero generale politico? Dove e quando gli assertori
dello sciopero generale politico hanno tentato di sostituire alle
forme parlamentari di lotta le forme di lotta extraparlamentari? In
quarto luogo, la rivoluzione russa non ha forse dimostrato che lo
sciopero generale politico é la più grande scuola
della rivoluzione proletaria e un mezzo insostituibile di
mobilitazione e di organizzazione delle più grandi masse del
proletariato alla vigilia dell'assalto alle fortezze del
capitalismo? Cosa c'entrano i lamenti ipocriti sulla
disorganizzazione del corso normale della vita economica e sulle
casse dei sindacati? Non é forse chiaro che la pratica della
lotta rivoluzionaria distrugge anche questo dogma degli
opportunisti? Ecc. ecc.
Ecco perché Lenin diceva che «la teoria rivoluzionaria
non é un dogma», che «essa si forma
definitivamente solo in stretto rapporto con la pratica di un
movimento veramente rivoluzionario e veramente di massa» (in
«La malattia infantile»), perché la teoria deve
servire alla pratica, perché «la teoria deve rispondere
alle questioni poste dalla pratica» (in «Gli amici del
popolo»), perché essa deve venir confermata dai dati
della pratica.
Quanto alle parole d'ordine politiche e alle decisioni politiche dei
partiti della II Internazionale, basta ricordare ciò che
é capitato alla parola d'ordine "guerra alla guerra", per
comprendere tutta l'ipocrisia, tutto il putridume della pratica
politica di questi partiti, che ammantano la loro attività
controrivoluzionaria di parole d'ordine e di risoluzioni
rivoluzionarie pompose. Tutti ricordano la pomposa manifestazione
della II Internazionale al Congresso di Basilea, in cui
gl'imperialisti furono minacciati di tutti gli orrori
dell'insurrezione se avessero osato scatenare la guerra, e venne
formulata la minacciosa parola d'ordine: «Guerra alla
guerra». Ma chi non ricorda che qualche tempo dopo, allo
scoppio della guerra, la risoluzione di Basilea fu passata agli
archivi e agli operai si dette una nuova parola d'ordine:
massacrarsi a vicenda per la gloria della patria capitalista?
Non é forse chiaro che le parole d'ordine e le risoluzioni
rivoluzionarie non valgono un quattrino se non sono corroborate
dall'azione? Basta paragonare la politica leninista di
trasformazione della guerra imperialista in guerra civile alla
politica di tradimento seguita dalla Il Internazionale durante la
guerra, per comprendere tutta la trivialità dei politicanti
dell'opportunismo, tutta la grandezza del metodo leninista. Non
posso fare a meno di riportare qui un passo del libro di Lenin
«La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky», in
cui egli sferza duramente il tentativo opportunista del capo della
II Internazionale K. Kautsky di giudicare i partiti non dalle loro
azioni, ma dalle loro parole d'ordine e dai loro documenti di carta:
«Kautsky fa una politica tipicamente piccolo-borghese,
filistea, quando s'immagina ... che il fatto di lanciare una parola
d'ordine cambi la realtà. Tutta la storia della democrazia
borghese mette a nudo questa illusione: per ingannare il popolo, i
democratici borghesi hanno sempre lanciato e sempre lanciano ogni
sorta di "parole d'ordine". Si tratta di controllare la loro
sincerità, di mettere a confronto le parole con i fatti, di
non appagarsi della frase idealistica o ciarlatanesca, ma di cercar
di scoprire la realtà di classe» (Vol. XXIII, p. 377
ed. russa).
E non parlo della paura dell'autocritica, che é propria dei
partiti della II Internazionale, della loro abitudine di nascondere
i propri errori, di mettere a tacere le questioni spinose, di
nascondere le proprie deficienze, dando falsamente a intendere che
tutto va per il meglio, il che soffoca il pensiero vivo e intralcia
l'educazione rivoluzionaria del partito sulla base dell'esperienza
dei suoi propri errori. Lenin ha posto in ridicolo e messo alla
gogna questa abitudine. Ecco che cosa scriveva Lenin nel suo
opuscolo «La malattia infantile» a proposito
dell'autocritica dei partiti proletari:
«L'atteggiamento di un partito politico verso i suoi errori
è uno dei criteri più importanti e più sicuri
per giudicare se un partito è serio, se adempie di fatto i
suoi doveri verso la propria classe e verso le masse lavoratrici.
Riconoscere apertamente un errore, scoprirne le cause, analizzare la
situazione che lo ha generato, studiare attentamente i mezzi per
correggerlo: questo è indizio della serietà di un
partito; questo si chiama adempiere il proprio dovere, educare e
istruire la classe, e, quindi, le masse" (Vol. XXV, p. 200 ed.
russa.)
Taluni dicono che lo svelare i propri errori e l'autocritica sono
cose pericolose per il partito, perché possono essere
utilizzate dall'avversario contro il partito del proletariato. Lenin
considerava prive di serietà e completamente sbagliate simili
obiezioni. Ecco che cosa egli diceva a questo proposito, già
nel 1904, nell'opuscolo «Un passo avanti», quando il
nostro partito era ancora debole e poco numeroso:
«Essi (cioè gli avversari dei marxisti. G. St.) si
agitano e manifestano una gioia maligna quando osservano le nostre
discussioni; essi tenteranno certamente di servirsi per i loro fini
di passi staccati dell'opuscolo dove tratto delle deficienze e delle
lacune del nostro partito. I marxisti russi sono già
sufficientemente temprati alle battaglie per non lasciarsi
commuovere da questi colpi di spillo, per continuare, malgrado
ciò, il loro lavoro di autocritica e di smascheramento
spietate, dei propri difetti, che saranno sicuramente e
inevitabilmente superati con lo sviluppo del movimento operaio"
(Vol. VI. p. 161 ed. russa).
Sono questi, in generale, i tratti caratteristici del metodo del
leninismo.
Ciò che si trova nel metodo di Lenin, si trovava già,
sostanzialmente, nella dottrina di Marx che, secondo le parole di
Marx stesso, é «critica e rivoluzionaria nella sua
essenza». E proprio questo spirito critico
e rivoluzionario che penetra da cima a fondo il metodo di Lenin.
Ma non sarebbe giusto pensare che il metodo di Lenin sia una
semplice restaurazione di ciò che ha dato Marx. In
realtà, il metodo di Lenin non é soltanto la
restaurazione, ma é anche la concretizzazione e lo sviluppo
ulteriore del metodo critico e rivoluzionario di Marx, della sua
dialettica materialistica.
III
LA TEORIA
Di questo tema tratterò tre questioni:
a) l'importanza della teoria per il movimento proletario,
b) la critica della «teoria» della spontaneità e
c) la teoria della rivoluzione proletaria.
1) Importanza della teoria. Alcuni credono che il leninismo sia il
prevalere della pratica sulla teoria, nel senso che l'essenziale in
esso sia la traduzione in atto delle tesi marxiste,
l'«applicazione» di queste tesi e che, nei riguardi
della teoria, il leninismo sia, secondo loro, abbastanza noncurante.
È noto che Plekhanov schernì più volte la
«noncuranza» di Lenin per la teoria e specialmente per
la filosofia. È noto, d'altra parte, che la teoria non
é molto nelle grazie di molti leninisti pratici d'oggigiorno,
a causa soprattutto dell'enorme quantità di lavoro pratico
cui la situazione li costringe a sobbarcarsi. Devo dichiarare che
questa opinione più che strana su Lenin e sul leninismo
é completamente falsa e non corrisponde per niente alla
realtà, che la tendenza dei pratici a infischiarsi della
teoria contraddice a tutto lo spirito del leninismo ed é
grave di seri pericoli per la nostra causa.
La teoria é l'esperienza del movimento operaio di tutti i
paesi, considerata sotto l'aspetto generale. Naturalmente la teoria
diventa priva di oggetto se non viene collegata con la pratica
rivoluzionaria, esattamente allo stesso modo che la pratica diventa
cieca se non si rischiara la strada con la teoria rivoluzionaria. Ma
la teoria può diventare un'enorme forza del movimento operaio
se viene elaborata in unione indissolubile con la pratica
rivoluzionaria, poiché essa e soltanto essa può dare
al movimento sicurezza, capacità di orientamento e
comprensione del legame intimo degli avvenimenti circostanti,
poiché essa e soltanto essa può aiutare la pratica a
comprendere non soltanto come e in qual direzione si muovono le
classi nel momento presente, ma anche come e in quale direzione esse
devono muoversi nel prossimo avvenire. È stato proprio Lenin
che ha detto e ripetuto decine di volte la nota tesi che:
«Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere
movimento rivoluzionario» («Che fare?», Vol. IV,
p. 380 ed. russa).
Più d'ogni altro, Lenin comprendeva la grande importanza
della teoria, specialmente per un partito come il nostro, in
considerazione della funzione che gli é toccata, di
combattente d'avanguardia del proletariato internazionale, in
considerazione della complicata situazione interna e internazionale
che lo circonda. Prevedendo questa funzione particolare del nostro
partito sin dal 1902, egli riteneva necessario, sin d'allora,
ricordare che:
«Solo un partito guidato da una teoria d'avanguardia
può adempiere la funzione di combattente d'avanguardia»
(Ibidem).
Non occorre dimostrare che oggi, la predizione di Lenin sulla
funzione del nostro partito essendosi già realizzata, questa
tesi di Lenin acquista una particolare forza e un'importanza
particolare.
Forse la prova più lampante della grande importanza che Lenin
attribuiva alla teoria dovrebbe essere cercata nel fatto che Lenin
stesso si assunse il compito estremamente importante di
generalizzare, secondo la filosofia materialistica, tutte le
conquiste più importanti fatte dalla scienza nel periodo da
Engels a Lenin, e di criticare a fondo le correnti
antimaterialistiche fra i marxisti. Engels diceva che «il
materialismo deve prendere un nuovo aspetto a ogni nuova grande
scoperta». E' noto che per la sua epoca questo compito fu
assolto proprio da Lenin con la sua opera poderosa
«Materialismo ed empiriocriticismo». È noto che
Plekhanov, pur tanto incline a schernire la «noncuranza»
di Lenin per la filosofia, non ebbe l'animo di accingersi seriamente
all'adempimento di questo compito.
2) Critica della «teoria» della spontaneità,
ossia della funzione dell'avanguardia nel movimento. La
«teoria» della spontaneità é la teoria
dell'opportunismo, la teoria del culto della spontaneità del
movimento operaio, la teoria della negazione di fatto della funzione
dirigente dell'avanguardia della classe operaia, del partito della
classe operaia.
La teoria del culto della spontaneità é decisamente
ostile al carattere rivoluzionario del movimento operaio, non vuole
che il movimento si diriga secondo la linea della lotta contro le
basi del capitalismo, vuole che il movimento segua esclusivamente la
linea delle rivendicazioni che possono essere «attuate»,
«accettate» dal capitalismo, é totalmente
favorevole alla «linea della minore resistenza». La
teoria della spontaneità é l'ideologia del
tradunionismo.
La teoria del culto della spontaneità é decisamente
ostile a che venga dato al movimento spontaneo un carattere
cosciente, metodico, non vuole che il partito marci davanti alla
classe operaia, che il partito elevi le masse sino a renderle
coscienti, non vuole che il partito prenda la direzione del
movimento; essa ritiene che gli elementi coscienti non debbano
impedire al movimento di andare per la sua strada, essa vuole che il
partito si limiti a registrare il movimento spontaneo e a
trascinarsi alla sua coda. La teoria della spontaneità
é la teoria della sottovalutazione della funzione
dell'elemento cosciente nel movimento, l'ideologia del
«codismo», la base logica dell'opportunismo di ogni
sorta.
Praticamente questa teoria, apparsa sulla scena prima ancora della
prima rivoluzione russa, aveva come conseguenza che i suoi seguaci,
i cosiddetti «economisti», negavano la necessità
di un partito operaio indipendente in Russia, prendevano posizione
contro la lotta rivoluzionaria della classe operaia per
l'abbattimento dello zarismo, predicavano nel movimento una politica
tradunionista e mettevano, in generale, il movimento operaio sotto
l'egemonia della borghesia liberale.
La lotta della vecchia «Iskra» e la brillante critica
della teoria del «codismo», che venne fatta
nell'opuscolo di Lenin «Che fare?», non solo sconfissero
il cosiddetto «economismo», ma crearono pure le basi
teoriche di un movimento veramente rivoluzionario della classe
operaia russa.
Senza questa lotta non sarebbe neanche stato possibile pensare alla
creazione in Russia di un partito operaio indipendente e a una sua
funzione dirigente nella rivoluzione.
Ma la teoria del culto della spontaneità non é un
fenomeno unicamente russo. Essa ha la più larga diffusione,
é vero, in forma alquanto diversa, in tutti i partiti della
II Internazionale, senza eccezione. Alludo alla cosiddetta teoria
«delle forze produttive», ridotta a una banalità
dai capi della II Internazionale, teoria che, com'essi l'hanno
ridotta, giustifica tutto e concilia tutti, constata i fatti e li
spiega quando tutti ne hanno già fin sopra i capelli, ma,
dopo averli constatati, non va più in là. Marx ha
detto che la dottrina materialistica non può limitarsi a
spiegare il mondo, che essa deve anche trasformarlo. Ma Kautsky e C.
non arrivano sino a questo, preferiscono fermarsi alla prima parte
della formula di Marx. Ecco un esempio, fra i tanti,
dell'applicazione di questa «teoria». Dicono che, prima
della guerra imperialista, i partiti della II Internazionale avevano
minacciato di dichiarare «guerra alla guerra» se gli
imperialisti avessero scatenato la guerra. Dicono che, allo scoppio
della guerra, questi stessi partiti passarono agli archivi la parola
d'ordine «guerra alla guerra» e applicarono la parola
d'ordine opposta di «guerra per la patria imperialista».
Dicono che il risultato di questo cambiamento di parole d'ordine fu
il massacro di milioni di operai. Ma sarebbe un errore pensare che
ci siano dei colpevoli di questo fatto, che qualcuno abbia tradito o
venduto la classe operaia. Niente affatto! Tutto é accaduto
come doveva accadere. Prima di tutto perché l'Internazionale
é uno «strumento di pace» e non di guerra. In
secondo luogo perché, dato il «livello delle forze
produttive» esistente in quel tempo, non era possibile fare
niente di diverso. La «colpa» é delle
«forze produttive». La «teoria delle forze
produttive» del signor Kautsky «ce» lo spiega con
precisione. E chi non crede a questa «teoria» non
é marxista. La funzione dei partiti? La loro importanza nel
movimento? Ma che può mai fare il partito contro un fattore
così decisivo come il «livello delle forze
produttive»?...
Di cosiffatti esempi di falsificazione del marxismo se ne potrebbero
citare a iosa.
Non occorre dimostrare che questo «marxismo»
falsificato, destinato a coprire le vergogne dell'opportunismo, non
é che una varietà europea di quella stessa teoria del
«codismo» contro la quale Lenin combatteva già
nel periodo anteriore alla prima rivoluzione russa.
Non occorre dimostrare che la distruzione di questa falsificazione
teorica é condizione preliminare per la creazione di partiti
veramente rivoluzionari in Occidente.
3) La teoria della rivoluzione proletaria. La teoria leninista della
rivoluzione proletaria ha come punto di partenza tre tesi
fondamentali.
Tesi prima. Il dominio del capitale finanziaro nei paesi
capitalistici progrediti; l'emissione di valori, che é una
delle principali operazioni del capitale finanziario; l'esportazione
di capitali verso le sorgenti di materie prime, che é una
delle basi dell'imperialismo; l'onnipotenza dell'oligarchia
finanziaria, conseguenza del dominio del capitale finanziario, -
tutto ciò mette a nudo il carattere brutalmente parassitario
del capitalismo monopolistico, rende cento volte più
sensibile il giogo dei trust e sindacati capitalistici, accresce la
collera della classe operaia contro le basi del capitalismo, conduce
le masse alla rivoluzione proletaria come unica via di salvezza
(vedi Lenin, «L'imperialismo»).
Da ciò una prima conclusione: acutizzazione della crisi
rivoluzionaria nei singoli paesi capitalistici, sviluppo nelle
«metropoli» degli elementi di un'esplosione sul fronte
interno, sul fronte proletario.
Tesi seconda. L'accresciuta esportazione di capitali nei paesi
coloniali e dipendenti; l'estensione delle «sfere
d'influenza» e dei possedimenti coloniali fino a comprendere
tutto il globo; la trasformazione del capitalismo in un sistema
mondiale di asservimento finanziario e di oppressione coloniale
dell'immensa maggioranza della popolazione del globo ad opera di un
gruppo di paesi «progrediti», - tutto ciò, da una
parte ha fatto delle economie nazionali singole e dei singoli
territori nazionali gli anelli di una catena unica, chiamata
economia mondiale, d'altra parte ha diviso la popolazione del globo
in due campi: un pugno di paesi capitalistici
«progrediti» che sfruttano e opprimono vasti paesi
coloniali e dipendenti e un'enorme maggioranza di paesi coloniali e
dipendenti, costretti alla lotta per liberarsi dal giogo
dell'imperialismo (Vedi Lenin. «L'imperialismo»).
Da ciò una seconda conclusione: acutizzazione della crisi
rivoluzionaria nei paesi coloniali, sviluppo dello spirito di
rivolta contro l'imperialismo sul fronte esterno, coloniale.
Tesi terza. Il monopolio delle «sfere d'influenza» e
delle colonie, lo sviluppo ineguale dei diversi paesi capitalistici,
che determina una lotta accanita per una nuova spartizione del mondo
tra i paesi che si sono già impossessati dei territori e i
paesi che vogliono ricevere la «parte» loro, le guerre
imperialiste, unico mezzo per ristabilire «l'equilibrio»
spezzato, - tutto ciò porta a un inasprimento della lotta su
di un terzo fronte, un fronte intercapitalistico, il che indebolisce
l'imperialismo e agevola l'unione contro l'imperialismo dei due
fronti precedenti, del fronte rivoluzionario proletario e del fronte
della lotta per la liberazione delle colonie (Vedi Lenin.
«L'imperialismo»).
Da ciò una terza conclusione: ineluttabilità delle
guerre nell'epoca dell'imperialismo, inevitabilità della
coalizione della rivoluzione proletaria in Europa con la rivoluzione
coloniale in Oriente in un unico fronte mondiale della rivoluzione
contro il fronte mondiale dell'imperialismo.
Tutte queste conclusioni vengono raccolte da Lenin in una sola
conclusione generale, secondo cui "l'imperialismo è la
vigilia della rivoluzione socialista" («L'imperialismo»,
Vol. XIX, p. 71, ed. russa).
Di conseguenza cambia il modo stesso di affrontare il problema della
rivoluzione proletaria, del suo carattere, della sua ampiezza, della
sua profondità, cambia lo schema della rivoluzione in
generale.
Prima si analizzavano di solito le premesse della rivoluzione
proletaria partendo dall'esame della situazione economica di questo
o di quel paese singolo. Oggi questo metodo non basta più.
Oggi bisogna trattare la questione partendo dall'esame della
situazione economica di tutti o della maggior parte dei paesi,
dall'esame dello stato dell'economia mondiale, perché i paesi
singoli e le singole economie nazionali hanno cessato di essere
delle unità sufficienti a sé stesse, sono diventati
anelli di una catena unica che si chiama economia mondiale,
perché il vecchio capitalismo «civile» si
é trasformato nell'imperialismo, e l'imperialismo é il
sistema mondiale dell'asservimento finanziario e dell'oppressione
coloniale dell'enorme maggioranza della popolazione del globo da
parte di un pugno di paesi «progrediti».
Prima si era soliti parlare dell'esistenza o della mancanza delle
condizioni oggettive per la rivoluzione proletaria in paesi singoli
o, più esattamente, in questo o in quel paese sviluppato.
Oggi questo punto di vista non é più sufficiente. Oggi
si deve parlare dell'esistenza delle condizioni oggettive per la
rivoluzione in tutto il sistema dell'economia imperialista mondiale,
considerato come un unico assieme. L'esistenza, in seno a questo
sistema, di alcuni paesi non abbastanza sviluppati industrialmente
non può costituire un ostacolo insormontabile alla
rivoluzione, se il sistema, nel suo assieme, o, meglio, in quanto
sistema complessivo, é già maturo per la rivoluzione.
Prima si era soliti parlare della rivoluzione proletaria in questo o
in quel paese sviluppato come di una entità singola,
sufficiente a sé stessa, opposta a un fronte nazionale
singolo del capitale, come al proprio antipodo. Oggi questo punto di
vista non é più sufficiente. Oggi si deve parlare di
rivoluzione proletaria mondiale, perché i differenti fronti
nazionali del capitale son divenuti gli anelli di una catena unica,
che si chiama fronte mondiale dell'imperialismo, a cui deve essere
opposto il fronte generale del movimento rivoluzionario di tutti i
paesi.
Prima si considerava la rivoluzione proletaria come il risultato del
solo sviluppo interno di un dato paese. Oggi questo punto di vista
non é più sufficiente. Oggi bisogna considerare la
rivoluzione proletaria innanzi tutto come il risultato dello
sviluppo delle contraddizioni nel sistema mondiale
dell'imperialismo, come il risultato della rottura della catena del
fronte mondiale imperialistico in questo o in quel paese.
Dove incomincerà la rivoluzione? Dove può essere
spezzato prima il fronte del capitale? In quale paese?
Là dove l'industria é più sviluppata, dove il
proletariato costituisce la maggioranza, dove c'é più
civiltà, dove c'é più democrazia, - si
rispondeva di solito una volta.
No, - obietta la teoria leninista della rivoluzione, - non
obbligatoriamente là dove l'industria è più
sviluppata, ecc. Il fronte del capitale si spezzerà là
dove la catena dell'imperialismo é più debole,
perché la rivoluzione proletaria é il risultato della
rottura della catena del fronte imperialistico mondiale nel suo
punto più debole, e può quindi avvenire che il paese
che ha incominciato la rivoluzione, il paese che ha spezzato il
fronte del capitale, sia capitalisticamente meno sviluppato di altri
paesi, più sviluppati, rimasti, però, nel quadro del
capitalismo.
Nel 1917 la catena del fronte imperialistico mondiale era più
debole in Russia che in altri paesi. E là essa si é
spezzata, aprendo la via alla rivoluzione proletaria. Perché?
Perché in Russia si scatenava una grandiosa rivoluzioni
popolare, alla testa della quali marciava un proletariato
rivoluzionario, che aveva per sé un alleato così serio
come i milioni e milioni di contadini oppressi e sfruttati dai
grandi proprietari fondiari. Perché in Russia la rivoluzione
aveva per avversario un rappresentante così ripugnante
dell'imperialismo, quale era lo zarismo, privo di ogni
autorità morale, giustamente odiato da tutta la popolazioni.
La catena era più debole in Russia, sebbene la Russia fosse
capitalisticamente meno sviluppata che, per esempio, la Francia
e la Germania, l'Inghilterra o l'America.
Dove si spezzerà la catena nel prossimo avvenire? Ancora una
volta, là dove essa é più debole. Non é
escluso chi la catena si possa spezzare, per esempio, in India.
Perché? Perché ivi esiste un giovane proletariato
rivoluzionario combattivo, che ha un alleato come il movimento di
liberazione nazionale, alleato incontestabilmente potente e
incontestabilmente serio. Perché ivi la rivoluzione ha contro
di sé un avversario, a tutti noto, quale l'imperialismo
straniero, privo di autorità morali e giustamente odiato da
tutte le masse sfruttate e oppresse dell'India.
È anche del tutto possibile che la catena si spezzi in
Germania. Perché? Perché i fattori che agiscono, per
esempio, in India, incominciano ad agire anche in Germania, pur
essendo evidente che l'immensa
differenza esistente tra il livello di sviluppo dell'India e quello
della Germania non potrà non dare la propria impronta al
corso e all'esito della rivoluzione in quest'ultimo paese.
Ecco perché Lenin dice che:
"I paesi capitalistici dell'Europa occidentale compiranno la loro
evoluzione verso il socialismo ... non attraverso una "maturazione"
uniforme del socialismi in essi, ma attraverso lo sfruttamento di
alcuni Stati da parte di altri, attraverso lo sfruttamento del primo
Stato vinto nella guerra imperialista, unito allo sfruttamento di
tutto l'Oriente. Ma l'Oriente, d'altra parte, è entrato
definitivamente nel movimento rivoluzionario appunto in seguito a
questa prima guerra imperialista, ed è stato trascinato
definitivamente nel turbine generale del movimento rivoluzionario
mondiale» («Meglio meno, ma meglio», Vol. XXVII,
pp. 415-416 ed. russa).
In breve: la catena del fronte imperialistico, di regola, si deve
spezzare là dove gli anelli della catena sono più
deboli e, in ogni caso, non obbligatoriamente là dove il
capitalismo é più sviluppato, dove i proletari sono il
tanto per cento, i contadini il tanto per cento e così via.
Ecco perché i calcoli statistici sulla percentuale del
proletariato nella popolazione di questo o di quel paese singolo
perdono, relativamenti alla soluzione del problema della rivoluzione
proletaria, quell'importanza eccezionale che loro attribuivano
volentieri i bacchettoni della II Internazionale, che non hanno
capito l'imperialismo e temono la rivoluzione come la peste.
Proseguiamo. Gli eroi della II Internazionale affermavano (e
continuano ad affermare) che, tra la rivoluzione democratica
borghese da una parte e la rivoluzione proletaria dall'altra,
c'é un abisso, o, per lo meno, una muraglia cinese, e per cui
l'una é separata dall'altra da un intervallo più o
meno lungo, durante il quale la borghesia, arrivata al potere,
sviluppa il capitalismo, mentre il proletariato raccoglie le forze e
si prepara alla «lotta decisiva» contro il capitalismo.
Quest'intervallo viene di solito valutato a molti decenni, se non di
più. Non occorre dimostrare che questa «teoria»
della muraglia cinese é, nel periodo dell'imperialismo, priva
di ogni valore scientifico, che essa non é e non può
essere altro che un mezzo per coprire e mascherare le brame
controrivoluzionarie della borghesia. Non occorre dimostrare che,
nelle condizioni esistenti nel periodo dell'imperialismo, gravido di
collisioni e di guerre, alla «vigilia della rivoluzione
socialista», quando il capitalismo «fiorente» si
trasforma in capitalismo «morente» (Lenin) e il
movimento rivoluzionario si sviluppa in tutti i paesi del mondo,
quando l'imperialismo si allea con tutte le forze reazionarie, senza
eccezione, persino con lo zarismo e con il regime feudale, rendendo
così inevitabile la coalizione di tutte le forze
rivoluzionarie, dal movimento proletario in Occidente fino al
movimento di liberazione nazionale in Oriente, quando la distruzione
delle sopravvivenze del regime feudale diventa impossibile senza una
lotta rivoluzionaria contro l'imperialismo, - non occorre dimostrare
che la rivoluzione democratica borghese, in un paese più o
meno sviluppato, deve, in queste condizioni, avvicinarsi alla
rivoluzione proletaria, che la prima deve trasformarsi nella
seconda.
La storia della rivoluzione in Russia ha dimostrato con evidenza che
questa affermazione é giusta e incontestabile. Non a caso
Lenin, fin dal 1905, alla vigilia della prima rivoluzione russa,
presentava, nel suo opuscolo «Due tattiche», la
rivoluzione democratica borghese e la rivoluzione socialista come
due anelli di una sola catena, come un quadro unico, un quadro
d'assieme del processo della rivoluzione russa:
«Il proletariato deve condurre a termine la rivoluzione
democratica legando a sè la massa dei contadini, per
schiacciare con la forza la resistenza dell'autocrazia e paralizzare
l'instabilità della borghesia. Il proletariato deve fare la
rivoluzione socialista legando a sè la massa degli elementi
semiproletari della popolazione, per spezzare con la forza la
resistenza della borghesia e paralizzare l'instabilità dei
contadini e della piccola borghesia. Tali sono i compiti del
proletariato, compiti che i seguaci della nuova "Iskra" presentano
in modo così ristretto in tutti i loro ragionamenti e
risoluzioni sull'estensione della rivoluzione» («Due
tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione
democratica», Vol. VIII, p. 96 ed. russa).
E non parlo di altri lavori, più recenti, di Lenin, in cui
l'idea della trasformazione della rivoluzione borghese in
rivoluzione proletaria appare, con maggior rilievo che in «Due
tattiche», come una delle pietre angolari della teoria
leninista della rivoluzione.
Certi compagni, a quanto pare, credono che Lenin sia giunto a
quest'idea soltanto nel 1916 e che fino ad allora avesse pensato che
la rivoluzione in Russia sarebbe rimasta nel quadro borghese, che il
potere, quindi, sarebbe passato dalle mani dell'organo della
dittatura del proletariato e dei contadini nelle mani della
borghesia e non del proletariato. Dicono che quest'affermazione sia
penetrata persino nella nostra stampa comunista. Debbo dire che
quest'affermazione é assolutamente falsa, che essa non
corrisponde per niente alla realtà.
Potrei riferirmi al noto discorso di Lenin al III congresso del
partito (1905), nel quale egli qualificava la dittatura del
proletariato e dei contadini, la vittoria cioè della
rivoluzione democratica, non come "l'organizzazione dell'ordine", ma
come "l'organizzazione della guerra" ("Sulla partecipazione della
socialdemocrazia al governo rivoluzionario provvisorio», Vol.
VII, p. 264 ed. russa).
Potrei riferirmi, inoltre, ai noti articoli di Lenin «Sul
governo provvisorio» (1905) dove Lenin, tracciando le
prospettive dello sviluppo della rivoluzione russa, pone davanti al
partito il compito di «fare in modo che la rivoluzione russa
non sia un movimento di alcuni mesi, ma un movimento di molti anni,
che essa non metta capo soltanto ad alcune piccole concessioni da
parte di coloro che detengono il potere, ma al rovesciamento
completo di costoro», e dove egli, sviluppando questa
prospettiva e collegandola con la rivoluzione in Europa, continua:
«Se a ciò si perverrà, - allora ... allora
l'incendio rivoluzionario darà fuoco all'Europa; l'operaio
europeo, stanco della reazione borghese, si leverà a sua
volta e ci mostrerà "come si deve fare"; allora l'ondata
rivoluzionaria dell'Europa eserciterà il suo contraccolpo
sulla Russia e di un'epoca di alcuni anni rivoluzionari farà
un'epoca di alcuni decenni rivoluzionari...» («La
socialdemocrazia e il governo rivoluzionario provvisorio».
ib., p. 191).
Potrei riferirmi ancora al noto articolo di Lenin, pubblicato nel
novembre 1915, in cui egli scrive:
«Il proletariato lotta e lotterà con abnegazione per la
conquista del potere, per la repubblica, per la confisca delle terre
..., per la partecipazione delle ,,masse popolari non proletarie"
alla liberazione della Russia borghese "imperialismo" feudale
militare (= zarismo). E di questa liberazione della Russia borghese
dallo zarismo, dal potere dei proprietari fondiari sulla terra, il
proletariato approfitterà immediatamente, non per aiutare i
contadini agiati nella loro lotta contro gli operai agricoli, ma per
condurre a termine la rivoluzione socialista in unione coi proletari
d'Europa» («Due linee della rivoluzione», Vol.
XVIII, p. 318 ed. russa).
Potrei riferirmi, infine, a un noto passo dell'opuscolo di Lenin
«La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky», in
cui egli, riferendosi al passo sopra citato di "Due tattiche",
relativo all'estensione della rivoluzione russa, giunge a questa
conclusione:
«È avvenuto proprio così come avevamo detto. Il
corso della rivoluzione ha confermato la giustezza del nostro
ragionamento. Da principio, insieme a" tutti" i contadini, contro la
monarchia, contro i proprietari fondiari, contro il regime
medioevale (e pertanto la rivoluzione resta borghese, democratica
borghese). In seguito, insieme ai contadini poveri, insieme ai
semiproletari, insieme a tutti gli sfruttati, contro il capitalismo,
compresi i contadini ricchi, i kulak, gli speculatori, e pertanto la
rivoluzione diventa socialista. Tentar di innalzare artificialmente
una muraglia cinese tra l'una e l'altra, di separarle l'una
dall'altra con qualche cosa che non sia il grado di preparazione del
proletariato e il grado della sua unione con i contadini poveri,
è il peggiore pervertimento del marxismo, la riduzione del
marxismo a una banalità, la sostituzione ad esso del
liberalismo» (Vol. XXIII, p. 391 ed. russa).
E mi pare che basti.
Va bene, ci si dirà, ma, se é così,
perchè Lenin ha combattuto l'idea della «rivoluzione
permanente ininterrotta)»?
Perché Lenin proponeva di «esaurire» le
capacità rivoluzionarie dei contadini e utilizzare sino
all'ultimo la loro energia rivoluzionaria per la liquidazione
completa dello zarismo, per il passaggio alla rivoluzione
proletaria, mentre i partigiani della «rivoluzione
permanente» non comprendevano l'importanza della funzione dei
contadini nella rivoluzione russa, sottovalutavano la potenza
dell'energia rivoluzionaria dei contadini, sottovalutavano la forza
e la capacità del proletariato russo di trarre dietro a
sé i contadini, e rendevano difficile la liberazione dei
contadini dall'influenza della borghesia e il loro raggruppamento
attorno al proletariato.
Perché Lenin proponeva di coronare l'opera della rivoluzione
col passaggio del potere al proletariato, mentre i partigiani della
rivoluzione «permanente» pensavano di cominciare
direttamente col potere del proletariato, non comprendendo che in
questo modo essi chiudevano gli occhi su un'«inezia» del
genere delle sopravvivenze feudali e non tenevano conto di una forza
seria come i contadini russi, non comprendendo che una tale politica
non poteva che ostacolare la conquista dei contadini da parte del
proletariato.
Lenin combatteva, dunque, i partigiani della rivoluzione
«permanente» non perché essi sostenessero la
continuità della rivoluzione, giacché Lenin stesso
sosteneva il punto di vista della rivoluzione ininterrotta, ma
perché sottovalutavano la funzione dei contadini, che sono la
più grande riserva del proletariato, e perché non
comprendevano l'idea dell'egemonia del proletariato
.
L'idea della rivoluzione «permanente» non é
un'idea nuova. La espose per la prima volta Marx verso il 1850, nel
suo noto «Indirizzo» alla «Lega dei
Comunisti». Da questo documento i nostri
«permanentisti» presero l'idea della rivoluzione
ininterrotta. Bisogna però osservare che i nostri
«permanentisti», nel prenderla da Marx, l'hanno alquanto
modificata, e modificandola l'hanno «rovinata» e resa
inadatta all'uso pratico. C'é voluta la mano esperta di Lenin
per correggere questo errore, prendere l'idea della rivoluzione
ininterrotta di Marx nella sua forma pura e farne una delle pietre
angolari della sua teoria della rivoluzione.
Ecco che cosa dice Marx a proposito della rivoluzione ininterrotta
nel suo «Indirizzo», dopo aver enumerato una serie di
rivendicazioni democratiche rivoluzionarie, alla realizzazione delle
quali egli chiama i comunisti:
" Mentre i piccoli borghesi democratici, realizzando il maggior
numero possibile delle rivendicazioni sopra indicate vogliono
terminare al più presto la rivoluzione, i nostri interessi e
i nostri compiti consistono nel rendere la rivoluzione ininterrotta
sino a che tutte le classi più o meno possidenti non siano
eliminate dal potere, sino a che il proletariato non abbia
conquistato il potere dello Stato, sino a che le associazioni dei
proletari non solo in un paese, ma in tutti i paesi dominanti del
mondo, non si siano sviluppate al punto che venga meno la
concorrenza fra i proletari di questi paesi, e sino a che, almeno le
forze produttive
decisive non siano concentrate nelle mani dei proletari».
In altri termini:
a) Marx, contrariamente ai piani dei nostri
«permanentisti» russi, non proponeva affatto di
incominciare la rivoluzione, nella Germania del 1850-1860,
direttamente col potere proletario;
b) Marx proponeva solamente di coronare la rivoluzione con il potere
proletario di Stato, sbalzando, passo a passo, una frazione della
borghesia dopo l'altra dalle vette del potere, per scatenare, dopo
l'avvento del proletariato al potere, la rivoluzione in tutti i
paesi. Ciò corrisponde perfettamente a tutto ciò che
Lenin ha insegnato e a tutto ciò che Lenin ha realizzato, nel
corso della nostra rivoluzione, seguendo la propria teoria della
rivoluzione proletaria nelle condizioni esistenti nel periodo
dell'imperialismo.
Ne risulta che i nostri «permanentisti» russi non solo
hanno sottovalutato la funzione dei contadini nella rivoluzione
russa e l'importanza dell'idea dell'egemonia del proletariato, ma
hanno anche modificato (in peggio) l'idea della rivoluzione
«permanente» di Marx, rendendola inadatta all'uso
pratico.
Ecco perché Lenin scherniva la teoria dei nostri
«permanentisti» chiamandola «originale» e
«magnifica», -e accusandoli di non voler
«riflettere sulle ragioni per le quali la vita, per un intero
decennio, era passata oltre questa magnifica teoria senza tenerne
conto» (Articolo di Lenin scritto nel 1915, dieci anni dopo
l'apparizione in Russia della teoria dei
«permanentisti»: - «Due linee della
rivoluzione», Vol. XVIII, p. 317 ed. russa).
Ecco perché Lenin considerava questa teoria come
semimenscevica, dicendo che essa «prende dai bolscevichi
l'appello alla lotta rivoluzionaria decisiva del proletariato e alla
conquista del potere politico da parte di esso, e dai menscevichi la
„negazione" della funzione dei contadini» (Ved. l'articolo di
Lenin «Due linee della rivoluzione», ibidem).
Ecco qual'é il pensiero di Lenin circa la trasformazione
della rivoluzione democratica borghese in rivoluzione proletaria,
circa l'utilizzazione della rivoluzione borghese per il passaggio
«immediato» alla rivoluzione proletaria.
Proseguiamo. Prima si considerava impossibile la vittoria della
rivoluzione in un solo paese, perché si riteneva che per
vincere la borghesia fosse necessaria l'azione comune del
proletariato di tutti i paesi avanzati o almeno della maggior parte
di essi. Oggi questo punto di vista non corrisponde più alla
realtà. Oggi bisogna ammettere la possibilità di una
tale vittoria, perché il carattere ineguale, a sbalzi, dello
sviluppo dei diversi paesi capitalistici nel periodo
dell'imperalismo, lo sviluppo delle catastrofiche contraddizioni
interne dell'imperialismo, che generano delle guerre inevitabili, lo
sviluppo del movimento rivoluzionario in tutti i paesi del mondo, -
tutto ciò determina non solo la possibilità, ma
l'inevitabilità della vittoria del proletariato in singoli
paesi. La storia della rivoluzione in Russia ne fornisce una prova
diretta. Bisogna soltanto ricordare che l'abbattimento della
borghesia può essere realizzato con successo soltanto nel
caso in cui esistano certe condizioni assolutamente indispensabili,
mancando le quali non si può neanche pensare alla presa del
potere da parte del proletariato.
Ecco che cosa dice Lenin a proposito di queste condizioni nel suo
opuscolo «La malattia infantile»:
«La legge fondamentale della rivoluzione, confermata da tutte
le rivoluzioni e particolarmente da tutte e tre le rivoluzioni russe
del secolo XX, consiste in questo: per la rivoluzione non è
sufficiente che le masse sfruttate e oppresse siano coscienti
dell'impossibilità di vivere come per il passato e reclamino
dei cambiamenti; per la rivoluzione è necessario che gli
sfruttatori non possano più vivere e governare come per
l'innanzi. Soltanto quando gli "strati inferiori" non vogliono
più vivere come per il passato e gli "strati superiori" non
possono più andare avanti come prima, soltanto allora la
rivoluzione può vincere. In altri termini, questa
verità si esprime così: la rivoluzione non è
possibile senza una crisi di tutta la nazione (che coinvolga
sfruttati e sfruttatori). Per la rivoluzione bisogna, dunque, in
primo luogo, che la maggioranza degli operai (o per lo meno la
maggioranza degli operai coscienti, pensanti, politicamente attivi)
comprenda pienamente la necessità della rivoluzione e sia
pronta ad affrontare la morte per essa; in secondo luogo, che le
classi dirigenti attraversino una crisi di governo che trascini
nella politica anche le masse più arretrate. .., indebolisca
il, governo e renda possibile ai rivoluzionari il rapido
rovesciamento di esso» (Vol. XXV, p. 222 ed. russa).
Ma abbattere il potere della borghesia e instaurare il potere del
proletariato in un solo paese non vuol ancora dire assicurare la
vittoria completa del socialismo. Consolidato il proprio potere e
tratti dietro a sé i contadini, il proletariato del paese
vittorioso può e deve edificare la società socialista.
Ma significa forse che con ciò esso arriverà alla
vittoria completa, definitiva del socialismo, cioé che esso
può, con le forze di un solo paese, consolidare
definitivamente il socialismo e garantire completamente il paese
dall'intervento straniero e, quindi, dalla restaurazione? No, non
significa questo. Per questo é necessaria la vittoria della
rivoluzione almeno in alcuni paesi. Perciò lo sviluppo e
l'appoggio della rivoluzione negli altri paesi é un compito
essenziale della rivoluzione vittoriosa. Perciò la
rivoluzione del paese vittorioso deve considerarsi non come una
entità sufficiente a sé stessa, ma come un ausilio,
come un mezzo atto ad accelerare la vittoria del proletariato negli
altri paesi.
Lenin espresse questo pensiero in due parole, dicendo che il compito
della rivoluzione vittoriosa consiste nel realizzare «il
massimo del realizzabile in un solo paese per sviluppare,
appoggiare, svegliare la rivoluzione in tutti i paesi»
(«La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky»,
Vol. XXIII, p. 385 ed. russa).
Questi sono, a grandi linee, i tratti caratteristici della teoria
leninista della rivoluzione proletaria.
IV
LA DITTATURA DEL PROLETARIATO
Di questo tema tratterò tre questioni fondamentali:
a) la dittatura del proletariato, strumento della rivoluzione
proletaria;
b) la dittatura del proletariato, dominio del proletariato sulla
borghesia;
e) il potere dei Soviet, forma statale della dittatura del
proletariato.
1) La dittatura del proletariato, strumento della rivoluzione
proletaria. La questione della dittatura proletaria é
anzitutto la questione del contenuto essenziale della rivoluzione
proletaria. La rivoluzione proletaria, il suo movimento, la sua
estensione, le sue conquiste, prendono carne ed ossa solo attraverso
la dittatura del proletariato. La dittatura del proletariato
é lo strumento della rivoluzione proletaria, il suo organo,
il suo punto di appoggio più importante, creato allo scopo-
in primo luogo, di schiacciare la resistenza degli sfruttatori
abbattuti e di consolidare le conquiste della rivoluzione e, in
secondo luogo, di condurre a termine la rivoluzione proletaria, di
condurre la rivoluzione fino alla vittoria completa del socialismo.
La rivoluzione può vincere la borghesia, abbatterne il
potere, anche senza la dittatura del proletariato, ma la rivoluzione
non può schiacciare la resistenza borghese, salvaguardare la
vittoria e procedere oltre verso la vittoria definitiva del
socialismo se a un certo momento del suo sviluppo non crea un organo
speciale: la dittatura del proletariato, suo appoggio fondamentale.
«La questione fondamentale della rivoluzione é la
questione del potere» (Lenin). Ciò vuol forse dire che
tutto si riduca alla presa del potere, alla conquista del potere?
No, non vuol dir questo. La presa del potere é solo l'inizio
dell'opera. La borghesia, rovesciata in un paese, resta ancora a
lungo, per molte ragioni, più forte del proletariato che l'ha
rovesciata. Quindi tutto sta nel conservare il potere, nel
consolidarlo, nel renderlo invincibile. Che cosa occorre per
raggiungere questo scopo? È necessario adempiere per lo meno
tre compiti principali, che si presentano alla dittatura del
proletariato «il giorno dopo» la vittoria:
a) spezzare la resistenza dei proprietari fondiari e dei capitalisti
rovesciati ed espropriati dalla rivoluzione, liquidare i loro
tentativi d'ogni sorta di restaurare il potere del capitale;
b) organizzare il lavoro costruttivo raccogliendo tutti i lavoratori
attorno al proletariato e svolgere questo lavoro in modo da
preparare la liquidazione, la soppressione delle classi;
e) armare la rivoluzione, organizzare l'esercito della rivoluzione
per la lotta contro i nemici esterni, per la lotta contro
l'imperialismo.
La dittatura del proletariato é necessaria per risolvere, per
adempiere questi compiti.
«Il passaggio dal capitalismo al comunismo abbraccia, - dice
Lenin, - un'intera epoca storica. Finchè essa non sia
terminata, gli sfruttatori conservano inevitabilmente la speranza in
una restaurazione, e questa speranza si traduce in tentativi di
restaurazione. Anche dopo la prima disfatta seria, gli sfruttatori
rovesciati, che non si aspettavano di esserlo, che non ci credevano,
che non ne ammettevano neanche l'idea, si scagliano nella battaglia
con energia decuplicata, con furiosa passione, con odio cento volte
più intenso, per riconquistare il ,,paradiso" perduto alle
loro famiglie, che vivevano una vita così dolce e che la
,,canaglia popolare" condanna ora alla rovina e alla miseria (o a un
lavoro ,,ordinario"...) E a rimorchio dei capitalisti sfruttatori si
trascina la grande massa della piccola borghesia la quale, come
attestano decenni di esperienza storica di tutti i paesi, oscilla ed
esita, oggi marcia al seguito del proletariato, domani si spaventa
delle difficoltà della rivoluzione, è presa da panico
alla prima sconfitta o al primo scacco degli operai, cade in preda
al nervosismo, non sa dove batter la testa, piagnucola, passa da un
campo all'altro» («La rivoluzione proletaria e il
rinnegato Kautsky», Vol. XXIII, p. 355 ed. russa).
E la borghesia ha le sue ragioni per fare dei tentativi di
restaurazione, perché, dopo esser stata rovesciata, essa
resta ancora a lungo più forte del proletariato che l'ha
rovesciata.
«Se gli sfruttatori, - dice Lenin, - sono battuti soltanto in
un paese, ed è questa naturalmente la regola, poichè
la rivoluzione simultanea in parecchi paesi è una rara
eccezione, essi restano tuttavia più forti degli
sfruttati» (Ib., p. 354).
In che cosa consiste la forza della borghesia rovesciata?
"In primo luogo, «nella forza dei capitale internazionale,
nella forza e nella solidità dei legami internazionali della
borghesia» («La malattia infantile di sinistra" nel
comunismo», Vol. XXV, p. 173 ed. russa).
"In secondo luogo, nel fatto che «ancora per lungo tempo dopo
la rivoluzione gli sfruttatori conservano inevitabilmente una serie
di enormi vantaggi di fatto: rimangono loro il denaro (che non si
può sopprimere immediatamente), una certa quantità di
beni mobili, spesso considerevoli; rimangono loro le relazioni, la
pratica organizzativa e amministrativa, la conoscenza di tutti i
"segreti" dell'amministrazione (consuetudini, procedimenti, mezzi,
possibilità), rimangono loro un'istruzione più
elevata, strette relazioni con l'alto personale tecnico (che vive e
pensa da borghese), rimane loro una conoscenza infinitamente
superiore dell'arte militare (il che è molto importante),
ecc. ecc.» ("La rivoluzione proletaria e il rinnegato
Kautsky", Vol. XXIII, p. 354 ed. russa).
"In terzo luogo, «nella forza dell'abitudine, nella forza
della piccola produzione; poichè, per disgrazia, la piccola
produzione esiste tuttora in misura molto, molto grande, e la
piccola produzione genera il capitalismo e la borghesia di continuo,
ogni giorno, ogni ora, in modo spontaneo e in vaste
proporzioni» ... poichè «sopprimere le classi non
vuol dire soltanto cacciare i proprietari fondiari e i capitalisti,
- ciò che noi abbiamo fatto con relativa facilità, -
ma vuol anche dire eliminare i piccoli produttori di merci che
è impossibile cacciare, impossibile schiacciare, con i quali
bisogna trovare un'intesa, che si possono (e si devono) trasformare,
rieducare solo con un lavoro di organizzazione molto lungo, molto
lento e molto prudente» («La malattia infantile»,
Vol. XXV, pp. 173 e 189 ed. russa).
Ecco perché Lenin dice che:
«La dittatura del proletariato è la guerra più
eroica e più implacabile della classe nuova contro un nemico
più potente, contro la borghesia, la cui resistenza è
decuplicata dal fatto di essere stata rovesciata»; che
«la dittatura del proletariato é una lotta tenace,
cruenta e incruenta, violenta e pacifica, militare ed economica,
pedagogica e amministrativa, contro le forze e le tradizioni della
vecchia società» (Ib., pp. 173 e 190).
Non occorre dimostrare che adempiere tali compiti in breve volger di
tempo, che realizzare tutto questo in alcuni anni, é cosa
assolutamente impossibile. Perciò bisogna considerare la
dittatura del proletariato, il passaggio dal capitalismo al
comunismo, non come un breve periodo di atti e decreti
«ultrarivoluzionari», ma come un'intera epoca storica,
piena di guerre civili e di conflitti esterni, di tenace lavoro
organizzativo e di edificazione economica, di avanzate e di
ritirate, di vittorie e di sconfitte. Quest'epoca storica é
necessaria non soltanto per creare le premesse economiche e
culturali della vittoria completa del socialismo, ma anche per dare
al proletariato la possibilità, in primo luogo, di educare e
temprare sé stesso come forza capace di dirigere il paese e,
in secondo luogo, di rieducare e trasformare gli strati
piccoloborghesi in modo da assicurare l'organizzazione della
produzione socialista.
«Voi dovete, - diceva Marx agli operai, - passare attraverso
quindici, venti, cinquant'anni di guerre civili e di battaglie
internazionali, non solo per trasformare i rapporti esistenti, ma
anche per trasformarvi voi stessi e rendervi atti al dominio
politico" («Rivelazioni sul processo dei comunisti a
Colonia», pp. 32-33 ed. tedesca, Mosca 1940).
Continuando e sviluppando il pensiero di Marx, Lenin scrive:
«Durante la dittatura del proletariato bisognerà
rieducare milioni di contadini e di piccoli proprietari, centinaia
di migliaia di impiegati, di funzionari, di intellettuali borghesi,
subordinarli tutti allo Stato proletario e alla direzione
proletaria, vincere le loro abitudini e tradizioni borghesi»,
così come sarà necessario "... rieducare... nel corso
di una lunga lotta, sul terreno della dittatura del proletariato, i
proletari stessi, che dei loro propri pregiudizi piccolo-borghesi
non si liberano di punto in bianco, per miracolo, per ingiunzione
della madonna e neppure per ingiunzione di una parola d'ordine, di
una risoluzione, di un decreto, ma soltanto nel corso di una lotta
di massa lunga e difficile contro le influenze piccolo-borghesi di
massa» («La malattia infantile», Vol. XXV, pp. 248
e 247 ed. russa).
2) La dittatura del proletariato, potere del proletariato sulla
borghesia. Da quanto abbiamo detto appare ormai che la dittatura del
proletariato non é un semplice cambiamento di uomini al
governo, un mutamento di «gabinetto», ecc., che lasci
intatto il vecchio ordinamento economico e politico. I menscevichi e
gli opportunisti di tutti i paesi, che temono la dittatura come il
fuoco e che, per paura, sostituiscono al concetto di dittatura il
concetto di «presa del potere», riducono di solito la
«presa del potere» a un cambiamento di
«gabinetto», all'apparizione al potere di un nuovo
ministero composto di uomini del tipo di Scheidemann e Noske,
MacDonald e Henderson. Non occorre spiegare che siffatti e analoghi
cambiamenti di gabinetto non hanno niente di comune con la dittatura
del proletariato, con la conquista del vero potere da parte del vero
proletariato. Quando i MacDonald e gli Scheidemann sono al potere,
ma rimane intatto il vecchio ordine borghese, i cosiddetti loro
governi non possono essere nient'altro che un apparato al servizio
della borghesia, nient'altro che una copertura delle piaghe
dell'imperialismo, nient'altro che uno strumento nelle mani della
borghesia contro il movimento rivoluzianario delle masse oppresse e
sfruttate. Questi governi sono necessari al capitale come un
paravento, nel momento in cui gli é scomodo, svantaggioso,
difficile sfruttare e opprimere le masse senza servirsi di un
paravento. Certo, l'apparizione di tali governi é un sintomo
che «a casa loro» (cioé a casa dei capitalisti),
«sullo Scipca» (1) non regna la calma, ma i governi di
tal genere, malgrado ciò, non cessano di essere, pur sotto
mentite spoglie, governi del capitale.
(1) «Sullo Scipca regna la calma»: - espressione russa,
riferentesi alla guerra russo-turca dei 1877-1878. Durante gli
scontri sul Passo dello Scipca i russi subirono gravi perdite, ma lo
Stato maggiore dell'esercito zarista diceva nei suoi Comunicati:
«Sullo Scipca regna la calma».
Dal governo di Macdonald o di Scheidemann alla conquista del potere
da parte del proletariato, la distanza é grande come dalla
terra al cielo. La dittatura del proletariato non é un
cambiamento di governo, ma un nuovo Stato, con nuovi organi del
potere al centro e alla base, é lo Stato del proletariato,
sorto sulle rovine del vecchio Stato, dello Stato della borghesia.
La dittatura del proletariato sorge non sulla base dell'ordine
borghese, bensì nel corso della sua demolizione, dopo il
rovesciamento della borghesia, nel corso dell'espropriazione dei
proprietari fondiari e dei capitalisti, nel corso della
socializzazione dei mezzi e degli strumenti essenziali della
produzione, nel corso della rivoluzione proletaria violenta. La
dittatura del proletariato é un potere rivoluzionario che si
appoggia sulla violenza contro la borghesia.
Lo Stato é una macchina nelle mani della classe dominante per
lo schiacciamento della resistenza dei suoi nemici di classe. Sotto
questo aspetto, la dittatura del proletariato non differisce per
nulla, in sostanza, dalla dittatura di qualsiasi altra classe,
poiché lo Stato proletario é una macchina per lo
schiacciamento della borghesia. C'é però una
differenza sostanziale. Essa consiste nel fatto che tutti gli Stati
di classe esistiti fino ad oggi erano la dittatura di una minoranza
sfruttatrice sulla maggioranza sfruttata, mentre la dittatura del
proletariato é la dittatura della maggioranza sfruttata sulla
minoranza sfruttatrice.
In poche parole: la dittatura del proletariato è il potere
del proletariato sulla borghesia, potere che non è limitato
dalla legge, poggia sulla violenza e gode la simpatia e l'appoggio
delle masse lavoratrici
e Sfruttate (Lenin, «Stato e rivoluzione»).
Di qui scaturiscono due deduzioni fondamentali:
Prima deduzione. La dittatura del proletariato non può essere
una democrazia «integrale», una democrazia per tutti, e
per i ricchi e per i poveri; la dittatura del proletariato
«deve essere uno Stato democratico in modo nuovo, per i
proletari e i non possidenti in generale, e dittatoriale in modo
nuovo, contro la borghesia ...» (Lenin, «Stato e
rivoluzione», Vol. XXI, p. 393 ed. russa). I discorsi di
Kautsky e C. sull'eguaglianza universale, sulla democrazia
«pura», sulla democrazia «perfetta», ecc.
sono una copertura borghese del fatto incontestabile che
l'eguaglianza tra sfruttati e sfruttatori é impossibile. La
teoria della democrazia «pura» é la teoria
dell'aristocrazia operaia addomesticata e mantenuta dai briganti
imperialisti. Essa é stata creata per coprire le piaghe del
capitalismo, per abbellire l'imperialismo e dargli una forza morale
nella lotta contro le masse sfruttate. Non vi sono e non vi possono
essere, in regime capitalista, vere «libertà» per
gli sfruttati, non fosse altro per il solo fatto che i locali, le
tipografie, i depositi di carta, ecc., necessari per l'utilizzazione
delle «libertà», sono un privilegio degli
sfruttatori.
Non c'é né vi può essere, in regime
capitalista, un'effettiva partecipazione delle masse sfruttate alla
direzione del paese, non fosse altro per il solo fatto che anche nei
regimi più democratici, in regime capitalista, i governi non
ricevono il potere dal popolo, ma dai Rothschild e dagli Stinnes,
dai Rockefeller e dai Morgan. La democrazia, in regime capitalista,
é una democrazia capitalista, é la democrazia della
minoranza sfruttatrice, si basa sulla limitazione dei diritti della
maggioranza sfruttata ed é diretta contro questa maggioranza.
Soltanto sotto la dittatura del proletariato sono possibili vere
«libertà» per gli sfruttati e una vera
partecipazione dei proletari e dei contadini al governo del paese.
La democrazia, sotto la dittatura del proletariato, é una
democrazia proletaria, é la democrazia della maggioranza
sfruttata, si basa sulla limitazione dei diritti della minoranza
sfruttatrice ed é diretta contro questa minoranza.
Seconda deduzione. La dittatura del proletariato non può
sorgere come risultato di uno sviluppo pacifico della società
borghese e della democrazia borghese; essa può sorgere
soltanto come risultato della demolizione della macchina statale
borghese, dell'esercito borghese, dell'apparato amministrativo
borghese, della polizia borghese.
«La classe operaia non può impossessarsi puramente e
semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla
in moto per i suoi propri fini», - scrivono Marx ed Engels
nella prefazione al "Manifesto del Partito comunista". La
rivoluzione proletaria non deve «... trasferire da una mano ad
un'altra la macchina militare e burocratica, come è avvenuto
fino ad ora, ma deve demolirla. .. - tale è la condizione
previa di ogni rivoluzione veramente popolare sul Continente»,
- dice Marx nella sua lettera a Kugelmann del 1871.
La frase restrittiva di Marx relativa al Continente ha fornito agli
opportunisti e ai menscevichi di tutti i paesi un pretesto per
strillare che Marx ammetteva, dunque, la possibilità della
trasformazione pacifica della democrazia borghese in democrazia
proletaria, almeno per certi paesi che non fanno parte del
Continente europeo (Inghilterra, America). Effettivamente Marx
ammetteva questa possibilità, e aveva delle ragioni per
ammetterla per l'Inghilterra e l'America del 1870-1880, quando non
esisteva ancora il capitalismo monopolistico, non esisteva
l'imperialismo e non esistevano ancora, in quei paesi, per le
condizioni speciali del loro sviluppo, né una burocrazia,
né un militarismo sviluppati. Così stavano le cose
prima dell'apparizione di un imperialismo sviluppato. Ma in seguito,
trenta o quarant'anni-dopo, quando la situazione in questi paesi
cambiò radicalmente, quando l'imperialismo si sviluppò
e abbracciò tutti i paesi capitalistici senza eccezione,
quando il militarismo e la burocrazia apparvero anche in Inghilterra
e in America, quando le condizioni particolari che consentivano
un'evoluzione pacifica dell'Inghilterra e dell'America furono
scomparse, la riserva formulata per questi paesi doveva cadere da
sé.
«Attualmente, - scrive Lenin, - nel 1917, nell'epoca della
prima grande guerra imperialista, questa riserva di Marx cade:
l'Inghilterra e l'America che erano, - in tutto il mondo, - le
maggiori e le ultime rappresentanti della "libertà"
anglo-sassone per quanto riguarda l'assenza di militarismo e di
burocrazia, sono precipitate interamente nel lurido, sanguinoso
pantano, comune a tutta Europa, delle istituzioni militari e
burocratiche che tutto sottomettono a sè e tutto comprimono.
Oggi, in Inghilterra e in America, la condizione previa di ogni
rivoluzione veramente popolare" é la demolizione, la
distruzione della macchina statale" "pronta" (in questi paesi
portata nel 1914-1917 a una perfezione "europea", imperialistica)"
(Lenin, «Stato e rivoluzione», Vol. XXI, p. 395 ed
russa).
In altri termini, la legge della rivoluzione violenta del
proletariato, la legge della demolizione della macchina statale
della borghesia come condizione previa di questa rivoluzione,
é legge ineluttabile del movimento rivoluzionario dei paesi
imperialisti di tutto il mondo.
Certo, in un avvenire lontano, se il proletariato vincerà nei
principali paesi capitalistici e se l'attuale accerchiamento
capitalistico sarà sostituito da un accerchiamento
socialista, una via «pacifica» di sviluppo sarà
del tutto possibile per alcuni paesi capitalistici, in cui i
capitalisti, di fronte a una situazione internazionale
«sfavorevole», giudicheranno opportuno fare essi stessi
«volontariamente» delle concessioni serie al
proletariato. Ma questa supposizione riguarda solo un futuro lontano
ed eventuale. Per il futuro prossimo questa supposizione non ha
nessuno, assolutamente nessun fondamento.
Per questo Lenin ha ragione quando dice:
«La rivoluzione proletaria è impossibile senza la
distruzione violenta della macchina statale borghese e la sua
sostituzione con una nuova» (Lenin, «La rivoluzione
proletaria e il rinnegato Kautsky», Vol. XXIII, p. 342 ed.
russa).
3) Il potere dei Soviet, forma statale della dittatura del
proletariato. La vittoria della dittatura del proletariato significa
lo schiacciamento della borghesia, la demolizione della macchina
statale borghese, la sostituzione alla democrazia borghese della
democrazia proletaria. Questo é chiaro. Ma quali sono le
organizzazioni per mezzo delle quali può essere compiuta
quest'opera immensa? Che le vecchie forme di organizzazione del
proletariato, sorte sulla base del parlamentarismo borghese, non
sono sufficienti per questo lavoro, é cosa fuori dubbio.
Quali sono dunque le nuove forme di organizzazione del proletariato,
capaci di adempiere la funzione di affossatori della macchina
statale borghese, capaci non solo di demolire questa macchina e non
solo di sostituire la democrazia borghese con la democrazia
proletaria, ma anche di costituire la base del potere statale
proletario?
Questa nuova forma di organizzazione del proletariato sono i Soviet.
In che cosa consiste la forza dei Soviet rispetto alle vecchie forme
di organizzazione?
Nel fatto che i Soviet sono le più larghe organizzazioni di
massa del proletariato, in quanto essi e soltanto essi abbracciano
tutti gli operai, senza eccezione.
Nel fatto che i Soviet sono le sole organizzazioni di massa che
abbracciano tutti gli oppressi e gli sfruttati, operai e contadini,
soldati e marinai, e nelle quali, perciò, la direzione
politica della lotta delle masse da parte della loro avanguardia,
-da parte del proletariato, si può realizzare più
facilmente e nel modo più completo.
Nel fatto che i Soviet sono gli organi più potenti della
lotta rivoluzionaria delle masse, dei movimenti politici delle
masse, dell'insurrezione delle masse, gli organi capaci di spezzare
l'onnipotenza del capitale finanziario e dei suoi satelliti
politici.
Nel fatto che i Soviet sono organizzazioni dirette delle masse
stesse, cioé le più democratiche e, quindi, quelle che
hanno la più grande autorità tra le masse, a cui
agevolano al massimo grado la partecipazione all'organizzazione e al
governo del nuovo Stato, quelle che sviluppano al massimo grado
l'energia rivoluzionaria, l'iniziativa, le facoltà creatrici
delle masse nella lotta per la distruzione del vecchio regime, nella
lotta per un regime nuovo, proletario.
Il potere sovietico é l'unificazione e l'integrazione dei
Soviet locali in una sola organizzazione statale generale, in una
organizzazione statale del proletariato come avanguardia delle masse
sfruttate e oppresse e come classe dominante, é la loro
unificazione nella Repubblica dei Soviet.
L'essenza del potere sovietico consiste nel fatto che le
organizzazioni più vaste e più rivoluzionarie proprio
di quelle classi che erano oppresse dai capitalisti e dai
proprietari fondiari, sono ora «la base permanente e unica di
tutto il potere statale, di tutto l'apparato dello Stato » ;
che « proprio quelle masse che anche nelle repubbliche
borghesi più democratiche», pur essendo uguali davanti
alla legge, «di fatto venivano escluse, con mille espedienti e
sotterfugi, dalla partecipazione alla vita politica e dal godimento
dei diritti e delle libertà democratiche, sono chiamate a
partecipare in modo permanente e sicuro e, per di più, in
modo decisivo, alla gestione democratica dello Stato» (Lenin,
«Tesi e rapporto sulla democrazia borghese e sulla dittatura
proletaria», Vol. XXIV, p. 13 ed. russa).
Ecco perché il potere sovietico é una forma nuova di
organizzazione statale, diversa in linea di principio della vecchia
forma democratica borghese e parlamentare, é un tipo nuovo di
Stato, adatto non ai fini dello sfruttamento e dell'oppressione
delle masse lavoratrici, ma ai fini della loro completa liberazione
da qualsiasi oppressione e sfruttamento, ai fini della dittatura del
proletariato,
Lenin ha ragione quando dice che con l'avvento del potere sovietico
«l'epoca del parlamentarismo democratico borghese é
finita, é incominciato un nuovo capitolo della storia
mondiale: l'epoca della dittatura proletaria».
In che cosa consistono i tratti caratteristici del potere sovietico?
Nel fatto che il potere sovietico é, fra tutte le
organizzazioni statali possibili finché esisteranno le
classi, quella che ha il più spiccato carattere di massa, la
più democratica, perché, essendo l'arena dell'alleanza
e della collaborazione degli operai e dei contadini sfruttati nella
loro lotta contro gli sfruttatori, e appoggiandosi nel suo lavoro su
quest'alleanza e su questa collaborazione, esso é, per questo
fatto stesso, il potere della maggioranza della popolazione sulla
minoranza, lo Stato di questa maggioranza, l'espressione della sua
dittatura.
Nel fatto che il potere sovietico é, in una società
divisa in classi, la più internazionalista fra tutte le
organizzazioni statali perché, distruggendo ogni oppressione
nazionale e appoggiandosi sulla collaborazione delle masse
lavoratrici delle diverse nazionalità, esso agevola, per
questo fatto stesso, l'unificazione di queste masse in un'unica
unione statale.
Nel fatto che il potere sovietico, per la sua struttura stessa,
agevola la direzione delle masse oppresse e sfruttate da parte
dell'avanguardia di queste masse, da parte del proletariato, che
é il nucleo più coeso e più cosciente dei
Soviet.
«L'esperienza di tutte le rivoluzioni e di tutti i movimenti
-delle classi oppresse, l'esperienza del movimento socialista
mondiale c'insegna, - dice Lenin, - che soltanto il proletariato
é in grado di unificare e condurre al suo seguito gli strati
arretrati e dispersi della popolazione lavoratrice e
sfruttata» (lb., p. 14). La struttura del potere sovietico
facilita la realizzazione degli insegnamenti di quest'esperienza.
Nel fatto che il potere sovietico, riunendo il potere legislativo e
il potere esecutivo in una sola organizzazione statale e sostituendo
alle circoscrizioni elettorali a base territoriale le unità
produttive, le officine e le fabbriche, collega in maniera diretta
gli operai e le masse lavoratrici in generale agli apparati
amministrativi dello Stato, insegna loro a governare il paese.
Nel fatto che soltanto il potere sovietico é capace di
sottrarre l'esercito alla sottomissione al comando borghese e di
trasformarlo, da strumento di oppressione del popolo com'esso
é in regime borghese, in uno strumento di liberazione del
popolo dal giogo della borghesia nazionale e straniera.
Nel fatto che «solo l'organizzazione sovietica dello Stato
é in grado di spezzare realmente d'un colpo e di distruggere
definitivamente il vecchio apparato, cioé l'apparato
amministrativo e giudiziario borghese» (Ibidem).
Nel fatto che solo la forma sovietica di Stato, facendo partecipare
in modo continuo e incondizionato le organizzazioni di massa dei
lavoratori e degli sfruttati al governo dello Stato, é in
grado di preparare quella estinzione dello Stato, che é uno
degli elementi essenziali della futura società senza Stato,
della società comunista.
La Repubblica dei Soviet é, dunque, la forma politica cercata
e finalmente trovata, nel quadro della quale deve essere condotta a
termine l'emancipazione economica del proletariato, deve essere
ottenuta la vittoria completa del socialismo.
La Comune di Parigi fu l'embrione di questa forma. Il potere
sovietico ne é lo sviluppo e il coronamento.
Ecco perché Lenin dice che:
«La Repubblica dei Soviet dei deputati operai, soldati e
contadini non é soltanto la forma di un tipo più
elevato di istituzioni democratiche, ... ma è anche l'unica'
forma capace di assicurare il passaggio al socialismo con le minori
sofferenze possibili» (Lenin, «Tesi sull'Assemblea
costituente», vol. XXII, p. 131 ed. russa).
V
LA QUESTIONE CONTADINA
Di questo tema tratterò quattro questioni:
a) l'impostazione del problema;
b) i contadini durante la rivoluzione democratica borghese;
c) i contadini durante la rivoluzione proletaria;
d) i contadini dopo il consolidamento del potere sovietico.
1) Impostazione del problema. Alcuni pensano che l'essenziale nel
leninismo sia la questione contadina, che il punto di partenza del
leninismo sia la questione dei contadini, della loro funzione, del
loro peso specifico. Ciò é assolutamente falso. La
questione essenziale del leninismo, il suo punto di partenza, non
é la questione contadina, ma quella della dittatura del
proletariato, delle condizioni della conquista e del consolidamento
di questa dittatura. La questione contadina, come questione di un
alleato del proletariato nella sua lotta per il potere, é una
questione derivata.
Questa circostanza, però, non le toglie nulla della grande
importanza, della palpitante attualità che essa ha, senza
dubbio, per la rivoluzione proletaria. È noto che una seria
elaborazione della questione contadina nelle file dei marxisti russi
incominciò precisamente alla vigilia della prima rivoluzione
(1905), quando il problema dell'abbattimento dello zarismo e della
realizzazione dell'egemonia del proletariato si poneva davanti al
partito in tutta la sua ampiezza, e il problema di stabilire chi
sarebbe stato alleato del proletariato nell'imminente rivoluzione
borghese aveva assunto un carattere di palpitante attualità.
È pure noto che la questione contadina in Russia assunse un
carattere ancor più attuale durante la rivoluzione
proletaria, allorché, partendo dal problema della dittatura
del proletariato, della conquista e del mantenimento di essa, si
arrivò a porre il problema degli alleati del proletariato
nell'imminente rivoluzione proletaria. E la cosa si capisce: chi
marcia e si prepara a prendere il potere, non può non
interessarsi della questione dei propri alleati effettivi.
In questo senso, la questione contadina é una parte della
questione generale della dittatura del proletariato ed é,
come tale, una delle questioni più palpitanti del leninismo.
L'atteggiamento indifferente e persino apertamente negativo dei
partiti della II Internazionale verso la questione contadina non si
spiega soltanto con le speciali condizioni di sviluppo
dell'Occidente. Esso si spiega soprattutto col fatto che questi
partiti non hanno fiducia nella dittatura del proletariato, hanno
paura della rivoluzione e non pensano a portare il proletariato al
potere. E chi ha paura della rivoluzione, chi non vuole portare i
proletari al potere, non può interessarsi del problema degli
alleati del proletariato nella rivoluzione; per lui il problema
degli alleati é privo d'interesse, privo di attualità.
L'atteggiamento ironico degli eroi della II Internazionale verso la
questione contadina é considerato da loro come indice di
belle maniere, indice di marxismo «genuino». In
realtà, in tale atteggiamento non c'é ombra di
marxismo, perché l'indifferenza, alla vigilia della
rivoluzione proletaria, per una questione di tanta importanza
qual'é la questione contadina, é il correlativo della
negazione della dittatura del proletariato, é un indice
innegabile di tradimento aperto del marxismo.
La questione si pone così: sono già esaurite, oppure
no, le possibilità rivoluzionarie che si nascondono in seno
alla massa contadina in conseguenza di determinate condizioni della
sua esistenza, e se non sono esaurite, esiste una speranza, una
ragione di utilizzare queste possibilità per la rivoluzione
proletaria, di fare dei contadini, della loro maggioranza sfruttata,
non più una riserva della borghesia, come furono durante le
rivoluzioni borghesi dell'Occidente e come continuano a essere
tuttora, ma una riserva del proletariato, un suo alleato?
Il leninismo risponde a questa domanda affermativamente, cioé
nel senso di riconoscere l'esistenza di capacità
rivoluzionarie nella maggioranza dei contadini, e nel senso di
ritenere possibile utilizzare queste capacità nell'interesse
della dittatura proletaria. La storia di tre rivoluzioni in Russia
conferma pienamente le conclusioni del leninismo a questo proposito.
Di qui la conclusione pratica circa la necessità di
sostenere, di sostenere obbligatoriamente le masse lavoratrici dei
contadini nella loro lotta contro l'asservimento e lo sfruttamento,
nella loro lotta per sbarazzarsi dell'oppressione e della miseria.
Ciò non vuol dire, naturalmente, che il proletariato debba
appoggiare qualsiasi movimento contadino. Si tratta di appoggiare
quel movimento e quella lotta dei contadini che, direttamente o
indirettamente, agevolino il movimento di emancipazione del
proletariato, che in una maniera o in un'altra portino acqua al
mulino della rivoluzione proletaria, che contribuiscano a fare dei
contadini una riserva e un alleato della classe operaia.
2) I contadini durante la rivoluzione democratica borghese. Questo
periodo abbraccia l'intervallo di tempo che va dalla prima
rivoluzione russa (1905) alla seconda (febbraio 1917) inclusa.
Tratto caratteristico di questo periodo é la liberazione dei
contadini dall'influenza della borghesia liberale, il distacco dei
contadini dai cadetti, la svolta dei contadini verso il
proletariato, verso il partito bolscevico. La storia di questo
periodo é la storia della lotta tra i cadetti e i bolscevichi
(proletariato) per i contadini.
( Cadetti»: borghesia liberale - Cadetti = abbreviazione di
«costituzionali democratici». Così si chiamava il
partito della borghesia liberale monarchica russa. I cadetti si
chiamavano pure partito «della libertà popolare».
II partito dei cadetti venne fondato in ottobre 1905 (N.d.R.).
Il periodo delle Dume decise dell'esito di questa lotta,
poiché il periodo delle quattro Dume fu una lezione di cose
per i contadini, e questa lezione mostrò loro all'evidenza
che essi non avrebbero ricevuto dalle mani dei cadetti nè la
terra, né la libertà, che lo zar era interamente ligio
ai grandi proprietari fondiari e i cadetti sostenevano lo zar, che
la sola forza sull'appoggio della quale i contadini potevano contare
erano gli operai delle città, il proletariato. La guerra
imperialista non fece che confermare gl'insegnamenti di questo
periodo delle Dume, rese completo il distacco dei contadini dalla
borghesia, rese completo l'isolamento della borghesia liberale,
perché gli anni della guerra dimostrarono quanto fosse vana,
illusoria, la speranza di ottenere la pace dallo zar e dai suoi
alleati borghesi. Senza le lezioni pratiche del periodo della Durra.
l'egemonia del proletariato sarebbe stata impossibile.
Così si creò l'alleanza degli operai e dei contadini
nella rivoluzione democratica borghese. Così si
realizzò l'egemonia (direzione) del proletariato nella lotta
comune per l'abbattimento dello zarismo, egemonia che portò
alla Rivoluzione di febbraio del 1917.
Le rivoluzioni borghesi d'Occidente (Inghilterra, Francia, Germania,
Austria) seguirono, com'é noto, un'altra via. In queste
rivoluzioni l'egemonia non appartenne al proletariato, che per la
sua debolezza non rappresentava e non poteva rappresentare una forza
politica indipendente, ma alla borghesia liberale. Ivi i contadini
non ricevettero la liberazione dal regime feudale dalle mani del
proletariato, che era poco numeroso e disorganizzato, ma dalle mani
della borghesia. Ivi i contadini marciarono contro il vecchio regime
insieme alla borghesia liberale. Ivi i contadini costituivano una
riserva della borghesia e la rivoluzione portò, in
conseguenza di ciò, a un enorme aumento del peso politico
della borghesia.
In Russia, al contrario, la rivoluzione borghese dette risultati
diametralmente opposti. La rivoluzione, in Russia, non portò
a un rafforzamento, ma ad un indebolimento della borghesia come
forza politica, non ad un aumento delle sue riserve politiche, ma
alla perdita della sua riserva fondamentale, alla perdita dei
contadini. La rivoluzione borghese in Russia spinse in primo piano
non la borghesia liberale, ma il proletariato rivoluzionario,
raccogliendo attorno ad esso milioni e milioni di contadini.
Questo spiega, tra l'altro, il fatto che la rivoluzione borghese in
Russia si é trasformata in rivoluzione proletaria in un
periodo di tempo relativamente breve. L'egemonia del proletariato fu
il germe della dittatura del proletariato, costituì il
passaggio alla dittatura proletaria.
Come si spiega questo fenomeno originale della rivoluzione russa, il
quale non ha precedenti nella storia delle rivoluzioni borghesi in
Occidente? Da che proviene questa originalità?
Essa si spiega col fatto che la rivoluzione borghese si
sviluppò in Russia in un momento in cui le condizioni della
lotta di classe erano più sviluppate che in Occidente, col
fatto che il proletariato russo era già riuscito, in quel
momento, a costituirsi in forza politica indipendente, mentre la
borghesia liberale, spaventata dallo spirito rivoluzionario del
proletariato, aveva perduto ogni parvenza di spirito rivoluzionario
(soprattutto dopo gl'insegnamenti del 1905) e si era alleata con lo
zar e coi grandi proprietari fondiari contro la rivoluzione, contro
gli operai e i contadini.
Occorre tener conto delle seguenti circostanze che hanno determinato
l'originalità della rivoluzione borghese russa:
a) La concentrazione inaudita dell'industria russa alla vigilia
della rivoluzione. È noto, per esempio, che nelle aziende con
più di 500 operai lavorava in Russia il 54% del totale degli
operai, mentre, in un
paese sviluppato come l'America settentrionale, nelle aziende di
grandezza analoga non lavorava che il 33°/e del totale degli
operai. Non occorre dimostrare che questa sola circostanza, data
l'esistenza di un partito rivoluzionario come il partito dei
bolscevichi, aveva fatto della classe operaia russa la più
grande forza della vita politica del paese;
b) Le forme scandalose di sfruttamento nelle officine, unite
all'intollerabile regime poliziesco degli aguzzini dello zar:
circostanza che trasformava ogni sciopero serio degli operai in un
atto politico di enorme importanza e temprava la classe operaia come
forza rivoluzionaria fino all'ultimo;
c) La fiacchezza politica della borghesia russa, diventata, dopo la
rivoluzione dei 1905, servilismo verso il regime zarista e aperto
atteggiamento controrivoluzionario, il che si spiega non solo con lo
spirito rivoluzionario del proletariato russo che aveva respinto la
borghesia russa nelle braccia dello zarismo, ma anche con la
dipendenza diretta di questa borghesia dalle ordinazioni dello
Stato;
d) L'esistenza delle più scandalose e intollerabili
sopravvivenze del regime feudale nella campagna, a cui si aggiungeva
l'onnipotenza del proprietario fondiario: circostanza che spinse i
contadini nelle braccia della rivoluzione;
e) Lo zarismo, che comprimeva tutte le forze vive ed esasperava, col
suo arbitrio, il giogo del capitalista e del proprietario fondiario:
circostanza che faceva confluire in un'unica fiumana rivoluzionaria
la lotta degli operai e dei contadini;
f) la guerra imperialista, che fuse tutte queste contraddizioni
della vita politica della Russia in una profonda crisi
rivoluzionaria e dette alla rivoluzione una formidabile forza
propulsiva.
Dove potevano batter la testa i contadini in queste condizioni?
Presso chi cercare un appoggio contro l'onnipotenza del proprietario
fondiario, contro il potere arbitrario dello zar, contro la guerra
funesta che li rovinava economicamente? Presso la borghesia
liberale? Ma questa era loro nemica: la lunga esperienza di tutte e
quattro le Dume lo dimostrava. Presso i socialisti-rivoluzionari? I
socialisti-rivoluzionari, certo, sono «migliori» dei
cadetti, e hanno un programma più «conveniente»,
quasi contadino, ma che cosa possono dare i
socialisti-rivoluzionari, dal momento che pensano di appoggiarsi
solo sui contadini e sono deboli nella città, donde innanzi
tutto l'avversario attinge le sue forze? Dov'é la nuova forza
che non si arresterà davanti a nessun ostacolo, né
nella campagna, né nella città, che marcerà
arditamente in prima fila nella lotta contro lo zar e il
proprietario fondiario, che aiuterà i contadini a liberarsi
dall'asservimento, dalla fame di terra, dall'oppressione, dalla
guerra? Esisteva in Russia, in generale, una forza simile?
Sì, esisteva. Questa forza era il proletariato russo, che
già nel 1905 aveva mostrato la sua potenza, la sua
capacità di condurre la lotta sino all'ultimo, il suo
coraggio, il suo spirito rivoluzionario.
In ogni caso, un'altra forza simile non esisteva e non si sarebbe
potuto trovarla da nessuna parte.
Ecco perché i contadini, dopo essersi scostati dai cadetti e
accostati ai socialisti-rivoluzionari, finirono per comprendere la
necessità di mettersi sotto la direzione di un capo
rivoluzionario così valoroso, quale era il proletariato
russo.
Queste sono le circostanze che determinarono l'originalità
della rivoluzione borghese russa.
3) I contadini durante la rivoluzione proletaria. Questo periodo
abbraccia l'intervallo di tempo che corre dalla Rivoluzione di
febbraio (1917) a quella di Ottobre (1917). Questo periodo é
relativamente breve, otto mesi in tutto, ma questi otto mesi, dal
punto di vista della formazione politica e dell'educazione
rivoluzionaria delle masse, possono bene esser paragonati a interi
decenni di sviluppo costituzionale normale, perché sono otto
mesi di rivoluzione. Il tratto caratteristico di questo periodo
é l'aumento dello spirito rivoluzionario dei contadini, il
crollo delle loro illusioni sui socialisti-rivoluzionari, il loro
distacco dai socialisti-rivoluzionari, la nuova svolta dei
contadini, che tendono a stringersi direttamente attorno al
proletariato, unica forza rivoluzionaria sino all'ultimo, capace di
portare il paese alla pace. La storia di questo periodo é la
storia della lotta tra i socialisti-rivoluzionari (democrazia
piccolo-borghese) e i bolscevichi (democrazia proletaria) per i
contadini, per la conquista della maggioranza dei contadini. La
sorte di questa lotta fu decisa dal periodo della coalizione, dal
periodo del governo di Kerenski, dal rifiuto dei
socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi di confiscare la terra
dei grandi proprietari fondiari, dalla lotta dei
socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi per continuare la guerra,
dall'offensiva di giugno al fronte, dalla pena di morte per i
soldati, dalla rivolta di Kornilov.
Se prima, nel periodo precedente, la questione essenziale della
rivoluzione -era stata quella del rovesciamento dello zar e del
potere dei grandi proprietari fondiari, ora, nel periodo successivo
alla Rivoluzione di febbraio, quando non v'era più zar, ma la
guerra interminabile stremava l'economia nazionale dopo aver
rovinato completamente i contadini, la liquidazione della guerra
diventava il problema fondamentale della rivoluzione. Il centro di
gravità si era spostato in modo manifesto dalle questioni di
carattere puramente interno a una questione fondamentale, quella
della guerra. «Finire la guerra», «uscire dalla
guerra», era il grido generale del paese esausto e,
soprattutto, dei contadini.
Ma per uscire dalla guerra era necessario rovesciare il Governo
provvisorio, era necessario rovesciare il potere della borghesia,
era necessario rovesciare il potere dei socialisti-rivoluzionari e
dei menscevichi, perché essi, ed essi soltanto, si sforzavano
di far durare la guerra fino alla «vittoria finale».
Altra via di uscita dalla guerra, all'infuori del rovesciamento
della borghesia, in pratica, non esisteva.
Si ebbe una rivoluzione nuova, una rivoluzione proletaria,
perchè precipitò dal potere l'ultima frazione della
borghesia imperialista, la frazione di estrema sinistra, il partito
dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi, per creare un potere
nuovo, proletario, il potere dei Soviet, per portare al potere il
partito del proletariato rivoluzionario, il partito dei bolscevichi,
il partito della lotta rivoluzionaria contro la guerra imperialista,
per una pace democratica. La maggioranza dei contadini
appoggiò la lotta degli operai per la pace, per il potere dei
Soviet.
Altra via di uscita per i contadini non esisteva. Altra via di
uscita non poteva esistere.
Il periodo del governo di Kerenski fu, in tal modo, una grandiosa
lezione di cose per le masse lavoratrici contadine, poiché
dimostrò all'evidenza che, finché il potere fosse
rimasto nelle mani dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi,
il paese non sarebbe uscito dalla guerra e i contadini non avrebbero
ricevuto né terra, né libertà; dimostrò
che i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari differivano dai
cadetti solo per i loro discorsi dolciastri e per le loro promesse
ipocrite, ma di fatto perseguivano la stessa politica imperialista,
la politica dei cadetti; dimostrò che il solo potere capace
di rimettere il paese in carreggiata non poteva essere che il potere
dei Soviet. L'ulteriore prolungarsi della guerra non fece che
confermare la giustezza di questa lezione, stimolò la
rivoluzione e spinse le masse di milioni di contadini e di soldati a
stringersi direttamente attorno alla rivoluzione proletaria.
L'isolamento dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi divenne
un fatto irrevocabile. Senza le lezioni pratiche del periodo della
coalizione la dittatura del proletariato sarebbe stata impossibile.
Queste sono le circostanze che hanno agevolato il processo di
trasformazione della rivoluzione borghese in rivoluzione proletaria.
Così si venne formando la dittatura del proletariato in
Russia.
4) I contadini dopo il consolidamento del potere sovietico. Se
prima, nel primo periodo della rivoluzione, si era trattato
principalmente di rovesciare lo zarismo, e in seguito, dopo la
Rivoluzione di febbraio, si era trattato, prima di tutto, di uscire
dalla guerra imperialista mediante l'abbattimento della borghesia,
ora invece, liquidata la guerra civile e consolidato il potere
sovietico, passavano al primo piano i problemi dell'edificazione
economica. Rafforzare e sviluppare l'industria nazionalizzata,
collegare a tal fine l'industria con l'economia contadina attraverso
il commercio regolato dallo Stato, sostituire al prelevamento delle
derrate eccedenti l'imposta in natura, allo scopo di arrivare in
seguito, diminuendo progressivamente l'imposta in natura, allo
scambio dei prodotti dell'industria coi prodotti dell'agricoltura;
rianimare il commercio e sviluppare la cooperazione facendo
partecipare a quest'ultima milioni di contadini: - ecco come Lenin
tracciava i compiti dell'edificazione economica per la costruzione
delle basi dell'economia socialista.
Si dice che questi compiti possono rivelarsi superiori alle forze di
un paese contadino come la Russia. Alcuni scettici dicono persino
che essi sono puramente utopistici, irrealizzabili, perché i
contadini sono contadini, cioé piccoli produttori, e non
possono perciò essere utilizzati per organizzare le
fondamenta della produzione socialista.
Ma gli scettici s'ingannano, perché non tengono conto di
alcune circostanze che hanno, nel caso in questione, un'importanza
decisiva. Vediamo le principali di queste circostanze.
In primo luogo. Non si possono confondere i contadini dell'Unione
Sovietica con i contadini dell'Occidente. I contadini che sono
passati attraverso la scuola di tre rivoluzioni, che hanno lottato
contro lo zar e il potere della borghesia insieme al proletariato e
sotto la direzione del proletariato, i contadini che hanno ottenuto
la terra e la pace dalla rivoluzione proletaria e sono diventati,
per questo, una riserva del proletariato, questi contadini non
possono non essere diversi dai contadini che hanno combattuto
durante la rivoluzione borghese sotto la direzione della borghesia
liberale, che hanno ricevuto la terra dalle mani di questa borghesia
e sono diventati, per questo, una riserva della borghesia. Non
occorre dimostrare che i contadini sovietici, abituati ad apprezzare
l'amicizia politica e la collaborazione politica del proletariato,
debitori della loro libertà a quest'amicizia e a questa
collaborazione, non possono non costituire un materiale
straordinariamente favorevole per la collaborazione economica col
proletariato.
Engels diceva che «la conquista del potere politico da parte
del partito socialista é diventata un compito del prossimo
avvenire», che «allo scopo di conquistarlo, il partito
deve incominciare ad andare dalla città alla campagna e
diventare una forza nella campagna» (Engels, «La
questione contadina»). Egli scriveva queste parole nell'ultimo
decennio del secolo scorso a proposito dei contadini occidentali.
E'forse necessario dimostrare che i comunisti russi, i quali hanno
svolto a questo proposito un lavoro colossale nel corso di tre
rivoluzioni, son già riusciti a crearsi nelle campagne
un'influenza e un appoggio quale i nostri compagni d'Occidente non
osano neanche sognare? Come si può negare che questa
circostanza non può non facilitare in modo radicale la
collaborazione economica fra la classe operaia e i contadini della
Russia?
Gli scettici continuano a parlare dei piccoli contadini come di un
elemento incompatibile con l'edificazione socialista. Ma ascoltate
che cosa dice Engels a proposito dei piccoli contadini di Occidente:
«Noi siamo decisamente per il piccolo contadino; faremo tutto
il possibile per rendergli la vita più tollerabile, per
facilitargli il passaggio all'associazione se egli vi si
deciderà. Anzi, nel caso che egli non sia ancora in grado di
prendere questa decisione, ci sforzeremo di dargli quanto più
tempo sarà possibile perchè egli rifletta sul suo
palmo di terra. Agiremo così non solo perchè riteniamo
possibile il passaggio dalla nostra parte del piccolo contadino che
lavora per conto suo, ma anche per interesse diretto di partito.
Quanto maggiore sarà il numero dei contadini che non
lasceremo discendere sino al livello dei proletari e che attireremo
a noi mentre sono ancora contadini, tanto più rapida e facile
sarà la trasformazione sociale. Per questa trasformazione non
abbiamo nessun bisogno di attendere che la produzione capitalistica
si sia dappertutto sviluppata sino alle sue ultime conseguenze, sino
a che l'ultimo piccolo artigiano e l'ultimo piccolo contadino non
siano caduti vittime della grande produzione capitalistica. I
sacrifici materiali che si dovranno consentire sui fondi pubblici
nell'interesse dei contadini possono sembrare, dal punto di vista
dell'economia capitalistica, uno sperpero; ma costituiranno invece
un eccellente impiego di capitale, perchè faranno risparmiare
somme forse dieci volte superiori nelle spese necessarie per la
trasformazione della società nel suo assieme. In questo senso
noi possiamo, quindi, essere molto generosi coi contadini»
(Engels, «La questione contadina»).
Così parlava Engels a proposito dei contadini dell'Occidente.
Ma non é forse chiaro che quanto diceva Engels non può
in nessun altro luogo essere realizzato in modo così facile e
completo come nel paese della dittatura del proletariato? Non
é chiaro che solo nella Russia sovietica possono sin d'ora e
completamente essere realizzati e «il passaggio dalla nostra
parte del piccolo contadino che lavora per Conto proprio», e i
«sacrifici materiali» indispensabili a questo scopo, e
la «generosità verso i contadini» necessaria a
questo fine? Non é chiaro che queste e altre misure analoghe
a favore dei contadini già vengono applicate in Russia?
Com'é possibile negare che questa circostanza, a sua volta,
deve facilitare e far avanzare l'edificazione economica del paese
dei Soviet?
In secondo luogo. Non si può confondere l'economia agricola
della Russia con l'economia agricola dell'Occidente. Quivi lo
sviluppo dell'economia agricola segue la linea abituale del
capitalismo, che provoca una profonda differenziazione dei
contadini, con grandi proprietà e latifondi capitalistici
privati a un estremo e col pauperismo, la miseria e la
schiavitù del salariato all'estremo opposto. Quivi la
disgregazione e la decomposizione, in conseguenza di ciò,
sono del tutto naturali. Non così in Russia. Da noi lo
sviluppo dell'economia agricola non può seguire questa via,
non foss'altro perché l'esistenza del potere sovietico e la
nazionalizzazione dei principali mezzi e strumenti di produzione non
permettono tale sviluppo. In Russia lo sviluppo dell'economia
agricola deve seguire un'altra via, la via dell'ingresso di milioni
di contadini piccoli e medi nelle cooperative, la via dello
sviluppo, nelle campagne, di un movimento cooperativo di massa,
appoggiato dallo Stato per mezzo di crediti a condizioni di favore.
Lenin indicava giustamente, negli articoli sulla cooperazione, che
lo sviluppo dell'economia agricola doveva battere da noi una strada
nuova, la strada della partecipazione della maggioranza dei
contadini all'edificazione socialista per mezzo della cooperazione,
la strada dell'introduzione graduale del principio del collettivismo
nell'agricoltura, prima nel campo della vendita e poi nel campo
della produzione dei prodotti agricoli.
Estremamente interessanti a questo proposito sono alcuni fatti nuovi
che si constatano nelle campagne, in relazione col lavoro della
cooperazione agricola. È noto che in seno all'Unione delle
cooperative agricole si sono create nuove grandi organizzazioni
secondo i rami dell'economia agricola, per il lino, per le patate,
per il burro, ecc., e che esse hanno un grande avvenire. Il Centro
cooperativo del lino, per esempio, comprende tutta una rete di
cooperative di produzione di contadini coltivatori di lino. Esso
s'interessa di fornire ai contadini semi e strumenti di produzione,
in seguito acquista dagli stessi contadini tutta la produzione del
lino e la vende all'ingrosso sul mercato; assicura ai contadini la
partecipazione ai profitti e in questo modo, per mezzo dell'Unione
delle cooperative agricole, collega l'economia contadina
all'industria di Stato. Come chiamare questa forma di organizzazione
della produzione? Secondo me, essa é un sistema di grande
produzione socialista di Stato a domicilio, nei campo
dell'agricoltura. Parlo qui di sistema di produzione socialista di
Stato a domicilio, per analogia col sistema capitalistico del lavoro
a domicilio, nel campo, per esempio, della produzione tessile, dove
gli artigiani, che ricevevano dal capitalista le materie prime e gli
strumenti di produzione e gli vendevano tutta la loro produzione,
erano, di fatto, degli operai semisalariati a domicilio. Questo
é uno dei molti indizi che mostrano per quale via deve
svilupparsi da noi l'economia agricola. E non parlo di altri indizi
dello stesso genere negli altri rami dell'agricoltura.
Non occorre dimostrare che l'enorme maggioranza dei contadini si
metterà volentieri su questa nuova via di sviluppo,
respingendo quella dei latifondi capitalistici privati e della
schiavitù del salariato, che è la via della miseria e
della rovina.
Ecco che cosa dice Lenin circa le vie di sviluppo della nostra
economia agricola:
«Il potere dello Stato su tutti i grandi mezzi di produzione,
il potere dello Stato nelle mani del proletariato, l'alleanza di
questo proletariato con milioni e milioni di contadini poveri e
poverissimi, la garanzia della direzione dei contadini da parte del
proletariato, ecc., non è forse questo tutto ciò che
occorre per potere, con la cooperazione, con la sola cooperazione,
che noi una volta consideravamo dall'alto in basso come affare da
bottegai e che ora, durante la Nep, abbiamo ancora il diritto, in un
certo senso, di considerare allo stesso modo, non è forse
questo tutto ciò che è necessario per condurre a
termine la costruzione di una società socialista integrale?
Questo non é ancora la costruzione della società
socialista, ma è tutto ciò che è necessario e
sufficiente per condurne a termine la costruzione» (Lenin,
"Della cooperazione», Vol. XXVII, p. 392 ed. russa).
Parlando poi della necessità di appoggiare finanziariamente e
in altro modo la cooperazione, come «nuovo principio di
organizzazione della popolazione» e nuovo «regime
sociale» sotto la dittatura del proletariato, Lenin prosegue:
" Ogni regime sociale sorge solo con l'appoggio finanziario di una
classe determinata. E' inutile ricordare quante centinaia e
centinaia di milioni di rubli costò il sorgere del
capitalismo "libero". Ora dobbiamo comprendere e mettere in pratica
questa verità: che attualmente il regime sociale che dobbiamo
appoggiare in modo straordinario è il regime cooperativo. Ma
dobbiamo appoggiarlo nel vero senso della parola, cioè,
quest'appoggio non è sufficiente intenderlo come appoggio di
una forma qualsiasi di cooperazione; quest'appoggio dev'essere
inteso come appoggio di quella cooperazione, alla quale partecipano
veramente le vere masse della popolazione» (lb., p. 393).
Che cosa dicono tutti questi fatti?
Che gli scettici hanno torto.
Che ha ragione il leninismo, il quale considera le masse lavoratrici
dei contadini come una riserva del proletariato.
Che il proletariato al potere può e deve utilizzare questa
riserva per saldare l'industria con l'agricoltura, far progredire
l'edificazione socialista e assicurare alla dittatura del
proletariato quella base indispensabile, senza la quale non é
possibile passare all'economia socialista.
VI
LA QUESTIONE NAZIONALE
Di questo tema tratterò due questioni principali:
a) l'impostazione del problema,
b)il movimento di liberazione dei popoli oppressi e la rivoluzione
proletaria.
1) Impostazione del problema. Nel corso degli ultimi due decenni, la
questione nazionale ha subito una serie di modificazioni della
più grande importanza. La questione nazionale nel periodo
della II Internazionale e la questione nazionale nel periodo del
leninismo sono ben lontane dall'essere la stessa cosa. Esse
differiscono profondamente l'una dall'altra, non solo per
l'ampiezza, ma anche per il loro carattere intrinseco.
Prima, la questione nazionale si riduceva di solito a un gruppo
ristretto di problemi che riguardavano, per lo più, le
nazioni «civili». Irlandesi, ungheresi, polacchi,
finlandesi, serbi e alcune altre nazionalità dell'Europa:
questo era il gruppo di popoli, privati dell'eguaglianza di diritti,
delle cui sorti s'interessavano gli eroi della II Internazionale.
Decine e centinaia di milioni di uomini appartenenti ai popoli
dell'Asia e dell'Africa, che subivano il giogo nazionale nelle sue
forme più brutali e più feroci, di solito non venivano
presi in considerazione. Non ci si decideva a mettere sullo stesso
piano bianchi e negri, «civili» e «non
civili». Due o tre risoluzioni agrodolci e vuote, che si
sforzavano con cura di eludere il problema della liberazione delle
colonie, ecco tutto quello di cui potevano vantarsi gli uomini della
II Internazionale. Oggi, questa doppiezza e queste mezze misure,
nella questione nazionale, si debbono considerare come liquidate. Il
leninismo ha smascherato questa disparità scandalosa: ha
abbattuto la barriera che separava bianchi e negri, europei e
asiatici, schiavi dell'imperialismo «civili» e
«non civili», collegando, in questo modo, il problema
nazionale al problema delle colonie. Così la questione
nazionale si é trasformata, da questione particolare interna
di uno Stato singolo, in questione generale e internazionale,
é diventata il problema mondiale della liberazione dal giogo
dell'imperialismo dei popoli oppressi dei paesi dipendenti e delle
colonie.
Prima, il principio dell'autodecisione delle nazioni di solito
veniva interpretato in modo erroneo, venendo ridotto non di rado al
diritto delle nazioni all'autonomia. Alcuni capi della II
Internazionale erano persino giunti a trasformare il diritto
all'autodecisione nel diritto all'autonomia culturale, cioé
nel diritto delle nazioni oppresse di avere le loro proprie
istituzioni culturali, lasciando tutto il potere politico nelle mani
della nazione dominante. Questo fatto aveva come conseguenza che
l'idea dell'autodecisione correva il rischio di cambiarsi da
strumento di lotta contro le annessioni in un mezzo per giustificare
le annessioni. Oggi, questa confusione si deve considerare come
superata. Il leninismo ha ampliato il concetto dell'autodecisione,
interpretandolo come diritto dei popoli oppressi dei paesi
dipendenti e delle colonie alla separazione completa, diritto delle
nazioni a esistere come Stato indipendente. In questo modo é
stata esclusa la possibilità di giustificare le annessioni
interpretando il diritto all'autodecisione come diritto
all'autonomia. Quanto al principio dell'autodecisione, esso é
stato trasformato, in questo modo, da strumento per ingannare le
masse quale fu senza dubbio nelle mani dei social-sciovinisti
durante la guerra imperialista mondiale, in strumento per
smascherare tutte le bramosie imperialistiche e le macchinazioni
sciovinistiche di ogni genere, in uno strumento di educazione
politica delle masse nello spirito dell'internazionalismo.
Prima, il problema delle nazioni oppresse veniva considerato, di
solito, come un problema puramente giuridico. Proclamazione solenne
dell'«eguaglianza nazionale», dichiarazioni innumerevoli
sull'«eguaglianza delle nazioni»: ecco di che cosa si
accontentavano i partiti della II Internazionale, mentre tenevano
nascosto il fatto che, sotto l'imperialismo, quando un gruppo di
nazioni (la minoranza) vive dello sfruttamento di un altro gruppo di
nazioni, l'«eguaglianza delle nazioni» non é che
una presa in giro dei popoli oppressi. Oggi questa concezione
giuridico-borghese della questione nazionale si deve considerare
come smascherata. Dalle altezze delle dichiarazioni pompose il
leninismo ha fatto scendere la questione nazionale sulla terra,
affermando che le dichiarazioni sull'«eguaglianza delle
nazioni», non corroborate con l'appoggio diretto da parte dei
partiti proletari della lotta di liberazione dei popoli oppressi,
sono soltanto delle dichiarazioni
vuote e menzognere. In questo modo il problema delle nazioni
oppresse é diventato il problema dell'appoggio, dell'aiuto
effettivo e continuo alle nazioni oppresse nella loro lotta contro
l'imperialismo, per l'eguaglianza reale delle nazioni, per la loro
esistenza come Stato indipendente.
Prima, la questione nazionale veniva considerata, in modo
riformista, come una questione a sé stante, indipendente,
senza rapporto con la questione generale del potere del capitale,
dell'abbattimento dell'imperialismo, della rivoluzione proletaria.
Si ammetteva tacitamente che la vittoria del proletariato in Europa
fosse possibile senza un'alleanza diretta con il movimento di
liberazione nelle colonie, che la questione nazionale e coloniale
potesse venir risolta in sordina, «automaticamente»,
all'infuori della grande via della rivoluzione proletaria, senza una
lotta rivoluzionaria contro l'imperialismo. Oggi questo punto di
vista controrivoluzionario si deve considerare come smascherato. Il
leninismo ha provato, e la guerra imperialista e la rivoluzione in
Russia hanno confermato, che la questione nazionale può
essere risolta soltanto in legame con la rivoluzione proletaria e
sul suo terreno, che la via della vittoria della rivoluzione in
Occidente passa attraverso l'alleanza rivoluzionaria col movimento
antimperialistico di liberazione delle colonie e dei paesi
dipendenti. La questione nazionale é parte della questione
generale della rivoluzione proletaria, parte della questione della
dittatura del proletariato.
Il problema si pone così: sono già esaurite, oppure
no, le possibilità rivoluzionarie esistenti in seno al
movimento rivoluzionario di liberazione dei paesi oppressi, e se non
sono esaurite, esiste una speranza, una ragione di utilizzare queste
possibilità per la rivoluzione proletaria, di fare dei paesi
dipendenti e coloniali non più una riserva della borghesia
imperialista, ma una riserva del proletariato rivoluzionario, un suo
alleato?
Il leninismo risponde a questa domanda affermativamente, cioé
nel senso di riconoscere l'esistenza di capacità
rivoluzionarie in seno al movimento di liberazione nazionale dei
paesi oppressi e nel senso di ritenere possibile utilizzarle
nell'interesse del rovesciamento del nemico comune, l'imperialismo.
Il meccanismo di sviluppo dell'imperialismo, la guerra imperialista
e la rivoluzione in Russia confermano pienamente le conclusioni del
leninismo a questo proposito.
Di qui la necessità dell'appoggio, dell'appoggio deciso e
attivo, da parte del proletariato, al movimento di liberazione
nazionale dei popoli oppressi e dipendenti.
Ciò non vuol dire, naturalmente, che il proletariato debba
appoggiare qualsiasi movimento nazionale, sempre e dappertutto, in
tutti i singoli casi concreti. Si tratta di appoggiare quei
movimenti nazionali che tendono a indebolire, ad abbattere
l'imperialismo e non a consolidarlo e a conservarlo. Vi sono dei
casi in cui i movimenti nazionali di singoli paesi oppressi cozzano
con gli interessi dello sviluppo del movimento proletario. Si
capisce che in questi casi non si può parlare di appoggio. La
questione dei diritti delle nazioni non é una questione
isolata e a sé stante, ma é una parte della questione
generale della rivoluzione proletaria, é una parte
subordinata al tutto ed esige di essere considerata da un punto di
vista d'assieme.
Marx, tra il 1840 e il 1850, era favorevole al movimento nazionale
dei polacchi e degli ungheresi, e contrario al movimento nazionale
dei cechi e degli slavi del sud. Perché? Perché i
cechi e gli slavi del sud erano allora «popoli
reazionari», «avamposti russi» in Europa,
avamposti dell'assolutismo, mentre polacchi e ungheresi erano
«popoli rivoluzionari» in lotta contro l'assolutismo.
Perché l'appoggio del movimento nazionale dei cechi e degli
slavi del sud avrebbe significato allora appoggio indiretto dello
zarismo, il più pericoloso nemico del movimento
rivoluzionario in Europa.
" Le singole rivendicazioni della democrazia, - dice Lenin, -
compresa l'auto
decisione, non sono un assoluto, ma una particella dell'assieme del
movimento democratico (e oggi: dell'assieme del movimento
socialista) mondiale. È possibile che in singoli casi
determinati la particella sia in contraddizione col tutto, e allora
bisogna respingerla" («Bilancio della discussione
sull'autodecisione», Vol. XlX, pp. 257-258 ed. russa).
Così si presenta la questione dei movimenti nazionali singoli
e dell'eventuale carattere reazionario di questi movimenti, se,
naturalmente, non si considerano questi movimenti da un punto di
vista formale, dal punto di vista dei diritti astratti, ma
concretamente, dai punto di vista degl'interessi del movimento
rivoluzionario.
Lo stesso si deve dire circa il carattere rivoluzionario dei
movimenti nazionali in generale. Il carattere incontestabilmente
rivoluzionario dell'immensa maggioranza dei movimenti nazionali
é altrettanto relativo e originale, quanto é relativo
e originale l'eventuale carattere reazionario di alcuni movimenti
nazionali singoli. Nelle condizioni dell'oppressione imperialistica,
il carattere rivoluzionario del movimento nazionale non implica
affatto obbligatoriamente l'esistenza di elementi proletari nel
movimento, l'esistenza di un programma rivoluzionario o repubblicano
del movimento, l'esistenza di una base democratica del movimento. La
lotta dell'emiro afghano per l'indipendenza dell'Afghanistan
é oggettivamente una lotta rivoluzionaria, malgrado il
carattere monarchico delle concezioni dell'emiro e dei suoi seguaci,
poiché essa indebolisce, disgrega, scalza l'imperialismo,
mentre la lotta di certi «ultra» democratici e
«socialisti» «rivoluzionari» e repubblicani
dello stampo, ad esempio, di Kerenski e Tsereteli, Renaudel e
Scheidemann, Cernov e Dan, Henderson e Clynes durante la guerra
imperialista, era una lotta reazionaria, perché aveva come
risultato di abbellire artificialmente, di consolidare, di far
trionfare l'imperialismo.
La lotta dei mercanti e degli intellettuali borghesi egiziani per
l'indipendenza dell'Egitto é, per le stesse ragioni, una
lotta oggettivamente rivoluzionaria, quantunque i capi del movimento
nazionale egiziano siano borghesi per origine e appartenenza social
e quantunque essi siano contro il socialismo, mentre la lotta del
governo operaio inglese per mantenere la situazione di dipendenza
dell'Egitto é, per le stesse ragioni, una lotta reazionaria,
quantunque i membri di questo governo siano proletari per origine e
appartenenza sociale e quantunque essi siano «per» il
socialismo. E non parlo del movimento nazionale degli altri paesi
coloniali e dipendenti, più grandi, come l'India e la Cina,
ogni passo dei quali sulla via della loro liberazione, anche se
contravviene alle esigenze della democrazia formale, é un
colpo di maglio assestato all'imperialismo, ed é
perciò incontestabilmente un passo rivoluzionario.
Lenin ha ragione quando afferma che il movimento nazionale dei paesi
oppressi si deve considerare non dal punto di vista della democrazia
formale, ma dal punto di vista dei risultati effettivi nel bilancio
generale della lotta contro l'imperialismo, cioé «non
isolatamente, ma su scala mondiale» (lb. p. 257).
2) Il movimento di liberazione dei popoli oppressi e la rivoluzione
proletaria. Nel risolvere la questione nazionale, il leninismo parte
dalle tesi seguenti:
a) il mondo é diviso in due campi; da una parte un pugno di
nazioni civili, che detengono il capitale finanziario e sfruttano
l'enorme maggioranza della popolazione del globo; dall'altra i
popoli oppressi e sfruttati delle colonie e dei paesi dipendenti,
che costituiscono questa maggioranza;
b ) le colonie e i paesi dipendenti, oppressi e sfruttati dal
capitale finanziario, costituiscono un'immensa riserva e la
più cospicua sorgente di forze dell'imperialismo;
c) la lotta rivoluzionaria dei popoli oppressi dei paesi dipendenti
e coloniali contro l'imperialismo é l'unica via della loro
liberazione dall'oppressione e dallo sfruttamento;
d) i principali paesi coloniali e dipendenti si sono già
messi sulla via del movimento di liberazione nazionale, il quale non
può non condurre alla crisi del capitalismo mondiale;
e) gl'interessi del movimento proletario nei paesi avanzati e del
movimento di liberazione nazionale nelle colonie esigono l'unione di
questi due aspetti del movimento rivoluzionario in un fronte comune
di lotta contro il nemico comune, contro l'imperialismo;
f) la vittoria della classe operaia nei paesi avanzati e la
liberazione dei popoli oppressi dal giogo dell'imperialismo non sono
possibili senza la formazione e il consolidamento di un fronte
rivoluzionario comune;
g) la formazione di un fronte rivoluzionario comune non é
possibile senza l'appoggio diretto e deciso, da parte del
proletariato dei paesi oppressori, del movimento di liberazione dei
popoli oppressi, contro il «patrio» imperialismo,
perché «non può esser libero un popolo che
opprime altri popoli» (Marx) ;
h) questo appoggio consiste nel difendere, sostenere, applicare la
parola d'ordine del diritto delle nazioni alla separazione,
all'esistenza come Stato indipendente;
i) senza l'applicazione di questa parola d'ordine é
impossibile organizzare l'unione e la collaborazione delle nazioni
in un'economia mondiale unica, base materiale della vittoria del
socialismo;
l ) quest'unione non può essere che volontaria, non
può sorgere che sulla base della fiducia reciproca e di
reciproci rapporti fraterni fra i popoli.
Di qui due aspetti, due tendenze nella questione nazionale: la
tendenza alla liberazione politica dai ceppi dell'imperialismo e
alla creazione di Stati nazionali indipendenti, tendenza generata
dall'oppressione imperialistica e dallo sfruttamento coloniale, e la
tendenza all'avvicinamento economico delle nazioni, che sorge con la
formazione di un mercato mondiale e di un'economia mondiale.
«Nel corso del suo sviluppo il capitalismo, - dice Lenin, -
conosce nella questione nazionale due tendenze storiche. La prima
consiste nel risveglio della vita nazionale e dei movimenti
nazionali, nella lotta contro ogni oppressione nazionale, nella
creazione di Stati nazionali. La seconda consiste nello sviluppo e
nella moltiplicazione di ogni sorta di relazioni fra le nazioni,
nella demolizione delle barriere nazionali, nella creazione
dell'unità internazionale del capitale, della vita economica
in generale, della politica, della scienza, ecc. Entrambe queste
tendenze sono una legge universale del capitalismo. La prima prevale
all'inizio dei suo sviluppo, la seconda caratterizza il capitalismo
maturo, in marcia verso la sua trasformazione in società
socialista" (Marx, Note critiche sulla questione nazionale»,
Vol. XVII, pp. 139-140 ed. russa).
Per l'imperialismo queste due tendenze rappresentano una
contraddizione insuperabile, perché l'imperialismo non
può vivere senza sfruttare e mantenere con la forza le
colonie nel quadro di un «tutto unico», perché
l'imperialismo può avvicinare le nazioni soltanto seguendo la
via delle annessioni e delle conquiste coloniali, senza le quali,
generalmente parlando, esso é inconcepibile.
Per il comunismo, invece, queste tendenze non sono che due aspetti
di una causa unica, la causa dell'emancipazione dei popoli oppressi
dal giogo dell'imperialismo, perché il comunismo sa che
l'unione dei popoli in un'economia mondiale unica non é
possibile che sulla base della fiducia reciproca e di un accordo
liberamente consentito, che il processo di formazione di un'unione
volontaria dei popoli passa attraverso la separazione delle colonie
dal «tutto unico» imperialistico, attraverso la loro
trasformazione in Stati indipendenti.
Di qui la necessità di una lotta tenace, incessante, decisa,
contro lo sciovinismo da grande potenza che é proprio dei
«socialisti» delle nazioni dominanti (Inghilterra,
Francia, America, Italia, Giappone, ecc.), i quali non vogliono
combattere contro i propri governi imperialisti, non vogliono
appoggiare la lotta che i popoli oppressi delle «loro»
colonie conducono per liberarsi dall'oppressione e costituirsi in
Stati indipendenti.
Senza questa lotta non è concepibile educare la classe
operaia delle nazioni dominanti nello spirito di un reale
internazionalismo, nello spirito di un avvicinamento alle masse
lavoratrici dei paesi dipendenti e delle colonie, nello spirito di
una preparazione reale della rivoluzione proletaria. La rivoluzione
in Russia non avrebbe vinto, e Kolciak e Denikin non sarebbero stati
battuti, se il proletariato russo non avesse goduto della simpatia e
dell'appoggio dei popoli oppressi dell'ex impero russo. Ma per
conquistare la simpatia e l'appoggio di questi popoli, esso dovette,
prima di tutto, spezzare le catene dell'imperialismo russo e
liberare questi popoli dall'oppressione nazionale, senza di che
sarebbe stato impossibile consolidare il potere sovietico, dar vita
a un vero internazionalismo, creare quella mirabile organizzazione
di collaborazione dei popoli che si chiama Unione delle Repubbliche
Socialiste Sovietiche e che é il prototipo vivente della
futura unione dei popoli in una economia mondiale unica.
Di qui la necessità della lotta contro l'isolamento, la
grettezza, il particolarismo nazionale dei socialisti dei paesi
oppressi, che non vogliono vedere più in là del loro
campanile nazionale e non comprendono il legame che unisce il
movimento di emancipazione del loro paese al movimento proletario
dei paesi dominanti.
Senza questa lotta non si può difendere la politica
indipendente dei proletariato delle nazioni oppresse, non si
può difendere la sua solidarietà di classe col
proletariato dei paesi dominanti nella lotta per abbattere il nemico
comune, per abbattere l'imperialismo; senza questa lotta non sarebbe
possibile l'internazionalismo.
Questa é la via che si deve seguire per educare le masse
lavoratrici delle nazioni dominanti e delle nazioni oppresse nello
spirito dell'internazionalismo rivoluzionario.
Ecco ciò che dice Lenin a proposito di questo duplice aspetto
del lavoro dei comunisti per educare gli operai nello spirito
dell'internazionalismo:
«Può questa educazione ... essere concretamente la
stessa per le grandi nazioni che ne opprimono altre e per le nazioni
piccole e oppresse? per le nazioni che ne annettono altre e per le
nazioni annesse?
Evidentemente, no. La marcia verso un fine unico: verso
l'eguaglianza completa, l'avvicinamento più stretto e
l'ulteriore fusione di tutte le nazioni, procede qui, evidentemente,
per differenti vie concrete, allo stesso modo, per esempio, che il
tragitto per arrivare a un punto situato al centro di una pagina va
verso sinistra se si parte da uno dei margini e verso destra se si
parte dal margine opposto. Se il socialista di una grande nazione
che ne opprime e ne annette delle altre, predicando la fusione delle
nazioni in generale, dimenticherà anche solo per un istante
che il "suo" Nicola II, il "suo" Guglielmo, Giorgio, Poincaré
e compagnia sono essi pure per la fusione con le piccole nazioni
(mediante l'annessione), - che Nicola II è per la "fusione"
con la Galizia, Guglielmo II per la "fusione" col Belgio, ecc., --
un tal socialista finirà per essere, in teoria, un
dottrinario ridicolo e, in pratica, un manutengolo
dell'imperialismo.
Il centro di gravità dell'educazione internazionalista degli
operai nei paesi oppressori deve risiedere immancabilmente nella
propaganda e nella difesa da parte loro della libertà dei
paesi oppressi di separarsi. Senza questo non v'è
internazionalismo. Noi abbiamo il diritto e l'obbligo di trattare da
imperialista e da furfante ogni socialista di un paese oppressore
che non faccia questa propaganda. Si tratta di una rivendicazione
incondizionata, quantunque fino all'avvento del socialismo la
separazione sia possibile e „realizzabile" in un caso su mille...
Al contrario, il socialista di una piccola nazione deve porre il
centro di gravità dell'agitazione sulla seconda parola della
nostra formula generale: "volontaria unione" delle nazioni. Egli
può, senza trasgredire i suoi doveri di internazionalista,
essere e per l'indipendenza politica della sua nazione, e per
l'inclusione di essa in un vicino Stato X, Y, 7,, ecc. Ma in ogni
caso egli deve lottare contro la grettezza delle piccole nazioni, il
loro isolamento, il loro particolarismo, lottare Perchè si
tenga conto del tutto, dell'assieme del movimento, perchè
l'interesse particolare venga subordinato all'interesse generale.
Coloro che non hanno approfondito la questione trovano
"contraddittorio" che i socialisti dei paesi oppressori insistano
sulla "libertà di separazione" e i socialisti delle nazioni
oppresse sulla "libertà di unione". Ma se si riflette un Poco
si vede che un'altra via per arrivare all'internazionalismo e alla
fusione delle nazioni, un'altra via per raggiungere questo scopo
partendo dalla situazione attuale, non c'è e non può
esserci» (Lenin, "Bilancio della discussione
sull'autodecisione», Vol. XIX, pp. 261-262 ed. russa).
VII
STRATEGIA E TATTICA
Di questo tema tratterò sei questioni:
a) la strategia e la tattica, scienza della direzione della lotta di
classe del proletariato;
b) le tappe della rivoluzione e la strategia;
c) i flussi e i riflussi del movimento e la tattica;
d) la direzione strategica;
e) la direzione tattica;
f) riformismo e rivoluzionarismo.
1) La strategia e la tattica, scienza della direzione della lotta di
classe del proletariato. Il periodo del dominio della II
Internazionale fu in prevalenza il periodo della formazione e
dell'istruzione degli eserciti proletari, in una situazione di
sviluppo più o meno pacifico. Fu il periodo in cui il
parlamentarismo era la forma prevalente della lotta di classe. I
problemi relativi ai grandi conflitti di classe, alla preparazione
del proletariato alle battaglie rivoluzionarie, ai mezzi per
conquistare la dittatura del proletariato, non erano allora, a
quanto sembrava, all'ordine del giorno. Il compito si riduceva a
utilizzare tutte le vie di sviluppo legale per la formazione e
l'istruzione degli eserciti proletari, a utilizzare ii
parlamentarismo tenendo conto di una situazione in cui il
proletariato rimaneva e, a quanto sembrava, doveva rimanere
all'opposizione. Non occorre dimostrare che in un simile periodo e
con una tale concezione dei compiti del proletariato non poteva
esistere né una strategia completa, né una tattica
approfondita. Esistevano dei frammenti, delle idee staccate sulla
tattica e sulla strategia; ma una tattica e una strategia non
esistevano.
Il peccato mortale della II Internazionale non consiste nell'aver
applicato a suo tempo la tattica dell'utilizzazione delle forme
parlamentari di lotta, ma nell'aver sopravvalutato l'importanza di
queste forme, fino a considerarle quasi come le sole esistenti,
cosicché, quando sopraggiunse il periodo delle battaglie
rivoluzionarie aperte e la questione delle forme di lotta
extraparlamentari diventò la più importante, i partiti
della II Internazionale si sottrassero ai nuovi compiti, non li
riconobbero.
Soltanto nel periodo successivo, periodo di azioni aperte del
proletariato, periodo della rivoluzione proletaria, quando il
problema del
rovesciamento della borghesia diventò un problema pratico
immediato, quando la questione delle riserve del proletariato
(strategia) diventò una delle questioni più
palpitanti, quando tutte le forme di lotta e d'organizzazione, -
parlamentari ed extraparlamentari (tattica), - si manifestarono nel
modo più netto, soltanto in questo periodo poterono esser
elaborate una strategia completa e una tattica approfondita della
lotta del proletariato. Le idee geniali di Marx e di Engels sulla
tattica e sulla strategia, che gli opportunisti della II
Internazionale avevano sotterrato, furono riportate alla luce del
sole da Lenin proprio in questo periodo. Ma Lenin non si
limitò a restaurare le singole tesi tattiche di Marx e di
Engels. Egli le sviluppò e le completò con idee e tesi
nuove, raccogliendo il tutto in un sistema di regole e di principii
direttivi atti a guidare la lotta di classe del proletariato. Degli
scritti di Lenin come «Che fare?», «Due
tattiche», «L'imperialismo», «Stato e
rivoluzione», «La rivoluzione proletaria e il rinnegato
Kautsky», «La malattia infantile», costituiscono,
incontestabilmente, un apporto preziosissimo al tesoro comune del
marxismo, al suo arsenale rivoluzionario. La strategia e la tattica
del leninismo sono la scienza della direzione della lotta
rivoluzionaria del proletariato.
2) Le tappe della rivoluzione e la strategia. La strategia ha per
oggetto di fissare, in una determinata tappa della rivoluzione, la
direzione del colpo principale del proletariato, di elaborare un
corrispondente piano di disposizione delle forze rivoluzionarie
(riserve principali e secondarie) e di lottare per l'attuazione di
questo piano durante tutto il corso di quella tappa della
rivoluzione.
La nostra rivoluzione ha già percorso due tappe e dopo la
Rivoluzione d'ottobre é entrata nella terza. Conformemente a
ciò si é modificata la strategia.
Prima tappa. 1903-febbraio 1917. Scopo: rovesciare lo zarismo,
liquidare completamente le sopravvivenze medioevali. Forza
fondamentale della rivoluzione: - il proletariato. Riserva
immediata: - i contadini. Direzione del colpo principale: isolamento
della borghesia monarchica liberale, che si sforza di attrarre a
sé i contadini e di liquidare la rivoluzione per mezzo di
un'intesa con lo zarismo. Piano di disposizione delle forze:
alleanza della classe operaia con i contadini. «Il
proletariato deve condurre a termine la rivoluzione democratica
legando a sé la massa dei contadini, per schiacciare con la
forza la resistenza dell'autocrazia e paralizzare
l'instabilità della borghesia» (Lenin, «Due
tattiche della socialdemocrazia», Vol. VIII, p. 96 ed. russa).
Seconda tappa. Marzo 1917-ottobre 1917. Scopo: abbattere
l'imperialismo in Russia e uscire dalla guerra imperialista. Forza
fondamentale della rivoluzione: - il proletariato. Riserva
immediata: - i contadini poveri. Il proletariato dei paesi vicini
come riserva probabile. Il prolungarsi della guerra e la crisi
dell'imperialismo come circostanza favorevole. Direzione del colpo
principale: isolare la democrazia piccolo-borghese (menscevichi,
socialisti-rivoluzionari), che si sforza di attrarre a sé le
masse lavoratrici dei contadini e di finire la rivoluzione per mezzo
di un'intesa con l'imperialismo. Piano di disposizione delle forze:
alleanza del proletariato con i contadini poveri. «Il
proletariato deve fare a rivoluzione socialista legando a sé
la massa degli elementi semiproletari della popolazione, per
spezzare con la forza la resistenza della borghesia e paralizzare
l'instabilità dei contadini e della piccola borghesia»
(Ibidem).
Terza tappa. E' incominciata dopo la Rivoluzione di ottobre. Scopo:
consolidare la dittatura del proletariato in un solo paese e
servirsene come punto d'appoggio per abbattere l'imperialismo in
tutti i paesi. La rivoluzione esce dai limiti di un solo paese;
l'epoca della rivoluzione mondiale é incominciata. Forze
fondamentali della rivoluzione: la dittatura del proletariato in un
paese, il movimento rivoluzionario del proletariato in tutti i
paesi. Riserve principali: le masse di semiproletari e di piccoli
contadini nei paesi progrediti, il movimento di liberazione nelle
colonie e nei paesi dipendenti. Direzione del colpo principale:
isolare la democrazia piccolo-borghese, isolare i partiti della II
Internazionale, che sono il principale punto di appoggio della
politica dell'intesa con l'imperialismo. Piano di disposizione delle
forze: alleanza della rivoluzione proletaria con il movimento di
liberazione delle colonie e dei paesi dipendenti.
La strategia si occupa delle forze fondamentali della rivoluzione e
delle loro riserve. Essa cambia col passare della rivoluzione da una
tappa a un'altra e rimane sostanzialmente immutata per tutto il
corso di una tappa determinata.
3) I flussi e i riflussi del movimento e la tattica. La tattica ha
per oggetto di fissare la linea di condotta del proletariato per un
periodo relativamente breve di flusso o di riflusso del movimento,
di slancio o di depressione della rivoluzione, di lottare per
l'applicazione di questa linea sostituendo forme nuove alle vecchie
forme di lotta e di organizzazione, nuove parole d'ordine alle
vecchie, coordinando queste
forme, ecc. Se la strategia si propone lo scopo, per esempio, di
vincere la guerra contro lo zarismo o contro la borghesia, di
condurre a termine la lotta contro lo zarismo o la borghesia, la
tattica si prefigge degli scopi meno essenziali, poiché si
sforza di vincere non la guerra nel suo insieme, ma queste o quelle
battaglie, questi o quei combattimenti, di condurre con successo
queste o quelle campagne, queste o quelle azioni, corrispondenti
alla situazione concreta di un determinato periodo di slancio o di
depressione della rivoluzione. La tattica é una parte della
strategia, le é subordinata e la serve.
La tattica cambia secondo i flussi e i riflussi. Mentre durante la
prima tappa della rivoluzione (1903-febbraio 1917) il piano
strategico rimaneva immutato, la tattica, durante questo periodo,
cambiò parecchie volte. Nel periodo 1903-1905 la, tattica del
partito era offensiva, perché esisteva un flusso
rivoluzionario, il movimento rivoluzionario seguiva una linea
ascendente e la tattica doveva basarsi su questo fatto. In relazione
a ciò, anche le forme di lotta erano rivoluzionarie,
rispondenti alle esigenze del flusso della rivoluzione. Scioperi
politici locali, manifestazioni politiche, sciopero politico
generale, boicottaggio della Duma, insurrezione, parole d'ordine
rivoluzionarie di lotta, - tali furono le forme di lotta che si
succedettero le une alle altre in quel periodo. In legame con le
forme di lotta cambiarono allora anche le forme di organizzazione.
Comitati di fabbrica e d'officina, comitati rivoluzionari di
contadini, comitati di sciopero, Soviet di deputati operai, partito
operaio più o meno legale, - tali erano le forme di
organizzazione in quel periodo.
Nel periodo 1907-1912 il partito fu costretto a passare a una
tattica di ritirata, perché ci trovavamo di fronte a una
depressione del movimento rivoluzionario, a un riflusso della
rivoluzione, e la tattica non poteva non tener conto di questo
fatto. In relazione a ciò cambiarono tanto le forme di lotta
quanto le forme di organizzazione. Invece del boicottaggio della
Duma, partecipazione alla Duma; invece delle azioni rivoluzionarie
aperte extraparlamentari, discorsi e lavoro alla Duma; invece degli
scioperi generali politici, scioperi economici parziali o anche
semplicemente la calma. E' chiaro che il partito dovette, in quel
periodo, passare all'attività clandestina, mentre le
organizzazioni rivoluzionarie di massa vennero sostituite da
organizzazioni legali culturali, di educazione, cooperative, di
mutuo soccorso, ecc.
Lo stesso si deve dire circa la seconda e la terza tappa della
rivoluzione, nel corso delle quali a tattica cambiò decine di
volte mentre i piani strategici rimanevano immutati.
La tattica si occupa delle forme di lotta e delle forme di
organizzazione del proletariato, della loro successione, della loro
coordinazione. In una determinata tappa della rivoluzione, la
tattica può cambiare parecchie volte, a seconda dei flussi o
dei riflussi, dello slancio o della depressione della rivoluzione.
4) La direzione strategica. Le riserve della rivoluzione possono
essere:
dirette: a) i contadini e, in generale, gli strati intermedi della
popolazione del proprio paese; b) il proletariato dei paesi vicini;
c) il movimento rivoluzionario nelle colonie e nei paesi dipendenti;
d) le conquiste e le acquisizioni della dittatura del proletariato,
a una parte delle quali il proletariato può temporaneamente
rinunciare, conservando però la superiorità nelle
forze, allo scopo di ottenere, a prezzo di questa rinuncia, una
tregua da un avversario potente;
indirette: a) le contraddizioni e i conflitti fra le classi non
proletarie del proprio paese, suscettibili di essere utilizzati dal
proletariato per indebolire l'avversario e rafforzare le proprie
riserve; b) le contraddizioni, i conflitti e le guerre (per esempio
la guerra imperialista) fra gli Stati borghesi ostili allo Stato
proletario, conflitti e guerre suscettibili di essere utilizzati dal
proletariato nel corso di una sua offensiva o di una manovra in caso
di ritirata forzata.
Sulle riserve del primo genere non é necessario soffermarsi,
perchè la loro importanza é nota a tutti, senza
eccezione. Per quanto riguarda le riserve del secondo genere, la cui
importanza non é sempre chiara, si deve dire che esse hanno
talora un'importanza di prim'ordine per la marcia della rivoluzione.
Mal si potrebbe, ad esempio, negare l'importanza enorme del
conflitto tra la democrazia piccolo-borghese
(socialisti-rivoluzionari) e la borghesia monarchica liberale
(cadetti) durante la prima rivoluzione e dopo di essa, conflitto
che, senza dubbio, contribuì a sottrarre i contadini
all'influenza della borghesia. Sarebbe ancora meno fondato negare
l'importanza enorme che ebbe la guerra a morte tra i gruppi
fondamentali degli imperialisti nel periodo della Rivoluzione
d'ottobre, allorché gli imperialisti, occupati a farsi la
guerra, non ebbero la possibilità di concentrare le forze
contro il giovane potere sovietico, e il proletariato, appunto per
questo, ebbe la possibilità di accingersi seriamente
all'organizzazione delle proprie forze e al consolidamento del
proprio potere, la possibilità di preparare lo schiacciamento
di Kolciak e di Denikin. È da supporre che adesso, mentre gli
antagonismi tra i gruppi imperialisti si approfondiscono sempre
più e una nuova guerra tra di loro diventa inevitabile, le
riserve di questo genere avranno per il proletariato un'importanza
sempre maggiore.
Il compito della direzione strategica consiste nell'utilizzare
giustamente tutte queste riserve per raggiungere lo scopo essenziale
della rivoluzione in una determinata tappa del suo sviluppo.
In che cosa consiste la giusta utilizzazione delle riserve?
Nell'adempimento di alcune condizioni indispensabili, di cui le
seguenti devono essere considerate capitali.
In primo luogo. Concentramento del grosso delle forze della
rivoluzione nel punto più vulnerabile dell'avversario nel
momento decisivo, quando la rivoluzione é già matura,
quando l'offensiva marcia a tutto vapore, quando l'insurrezione
batte alle porte e quando l'adunata delle riserve attorno
all'avanguardia é condizione decisiva per il successo. La
strategia del partito nel periodo aprile-ottobre 1917 può
essere considerata come un esempio di utilizzazione delle riserve in
questo modo. È fuori dubbio che il punto più
vulnerabile dell'avversario, in quel periodo, era la guerra.
È fuori dubbio che proprio su questa questione, considerata
come questione fondamentale, il partito radunò attorno
all'avanguardia proletaria le più grandi masse della
popolazione. La strategia del partito, in quel periodo, consistette
in questo: addestrare l'avanguardia alle azioni di strada per mezzo
di manifestazioni e dimostrazioni, e in pari tempo radunare attorno
all'avanguardia le riserve, per mezzo dei Soviet nell'interno del
paese e dei comitati di soldati al fronte. L'esito della rivoluzione
dimostrò che questa utilizzazione delle riserve era giusta.
Ecco cosa dice Lenin, parafrasando le note tesi di Marx e di Engels
sull'insurrezione, a proposito di questa condizione
dell'utilizzazione strategica delle forze della rivoluzione:
«Non giocare mai con l'insurrezione, ma, quando la si inizia,
mettersi bene in testa che bisogna andare sino in fondo. E'
necessario raccogliere nel punto decisivo, nel momento decisivo,
forze molto superiori a quelle del nemico, perché altrimenti
questo, meglio preparato e meglio organizzato, annienterà
gl'insorti. Una volta iniziata l'insurrezione, bisogna agire con la
più grande decisione e passare assolutamente, a qualunque
costo, all'offensiva. La difensiva è la morte
dell'insurrezione armata". Bisogna sforzarsi di prendere il nemico
alla sprovvista, di cogliere il momento in cui le sue truppe sono
disperse. Bisogna riportare ogni giorno (si potrebbe anche dire
"ogni ora", se si tratta di una sola città) dei successi, sia
pure di poca entità, conservando ad ogni costo la
"superiorità morale". (Lenin, «Consigli di un assente,
Vol. XXI, pp. 319-320 ed. russa).
In secondo luogo. Scelta del momento del colpo decisivo, del momento
per scatenare l'insurrezione, che deve essere quello in cui la crisi
é giunta al punto più alto, l'avanguardia é
pronta a battersi sino all'ultimo, le riserve sono pronte ad
appoggiare l'avanguardia e nel campo del nemico esiste il massimo
dello scompiglio.
"Si può considerare completamente matura la battaglia
decisiva, - dice Lenin, - se «tutte le forze di classe che ci
sono ostili si sono sufficientemente imbrogliate, si sono
sufficientemente azzuffate tra di loro, si sono sufficientemente
indebolite in una lotta superiore alle loro forze», se
«tutti gli elementi intermedi, a differenza della borghesia
esitanti, vacillanti, instabili, e cioé la piccola borghesia,
la democrazia piccolomborghese, si sono sufficientemente smascherati
di fronte al popolo, si sono sufficientemente screditati col loro
fallimento all'atto pratico»; se «nel proletariato
è sorta e si è potentemente affermata una tendenza di
massa ad appoggiare le azioni rivoluzionarie più decise,
più ardite e coraggiose contro la borghesia. Allora la
rivoluzione è davvero matura, allora, se abbiamo tenuto nel
debito conto tutte le condizioni sopra enunciate e se abbiamo scelto
bene il momento, la nostra vittoria è sicura»
(«La malattia infantile», Vol. XXV, p. 229 ed. russa).
Modello di questa strategia può essere considerata
l'organizzazione dell'insurrezione d'Ottobre.
Se non si tiene conto di questa condizione, si cade in un errore
pericoloso, chiamato «perdita del ritmo», che si ha
quando il partito ritarda sulla marcia del movimento o corre troppo
avanti, creando il pericolo di un insuccesso. Un esempio di questa
«perdita del ritmo», un esempio del modo come non
bisogna scegliere il momento dell'insurrezione, dev'essere
considerato il tentativo di una parte dei compagni di cominciare
l'insurrezione con l'arresto dei membri della Conferenza democratica
nel settembre 1917, quando si sentiva ancora della esitazione nei
Soviet, quando il fronte era ancora incerto del suo cammino e le
riserve non si erano ancora adunate attorno all'avanguardia.
In terzo luogo. Applicare fermamente la linea adottata, malgrado
tutte le difficoltà e le complicazioni che possono sorgere
sulla via che conduce alla meta, acciocché l'avanguardia non
perda di vista la meta essenziale della lotta, e le masse non si
disperdano mentre marciano verso questa meta e si sforzano di
raggrupparsi attorno all'avanguardia. Se non si tiene conto di
questa condizione, si cade in un grave errore, ben noto ai marinai
col nome di «perdita della rotta». Un esempio di questa
«perdita della rotta» dev'essere considerata l'errata
posizione del nostro partito, subito dopo la conferenza democratica,
quando esso decise di partecipare al Preparlamento. In quel momento
il partito sembrò aver dimenticato che il Preparlamento era
un tentativo della borghesia di sviare il paese dalla via dei Soviet
e incanalarlo in quella del parlamentarismo borghese, che la
partecipazione del partito a una simile istituzione poteva
imbrogliare tutte le carte e disorientare gli operai e i contadini,
che conducevano la lotta rivoluzionaria con la parola d'ordine:
«Tutto il potere ai Soviet». Quest'errore fu corretto
mediante l'uscita dei bolscevichi dal Preparlamento.
In quarto luogo. Manovrare con le riserve in modo da potersi
ritirare in buon ordine quando il nemico é forte, quando la
ritirata é inevitabile, quando é visibilmente dannoso
accettare la battaglia che il nemico vuole imporre e quando la
ritirata, dato il rapporto delle forze in presenza, é l'unico
mezzo per sottrarre l'avanguardia al colpo che la minaccia e
conservare le riserve.
«I partiti rivoluzionari, - dice Lenin, - debbono completare
la loro istruzione. Essi hanno imparato a condurre l'offensiva. Ora
bisogna comprendere la necessità di completare questa scienza
con la scienza della ritirata in buon ordine. Bisogna comprendere, -
e la classe rivoluzionaria impara a comprendere dalla propria amara
esperienza, -- che non si può vincere senza aver appreso la
scienza dell'offensiva e la scienza della ritirata» (Ib., p.
177).
Scopo di questa strategia é di guadagnar tempo, disgregare
l'avversario e accumular forze per passar poi all'offensiva.
Modello di questa strategia può essere considerata la
conclusione della pace di Brest, che permise al partito di guadagnar
tempo, di sfruttare i conflitti nel campo dell'imperialismo, di
disgregare le forze dell'avversario, di mantenere i legami coi
contadini e accumulare le forze per preparare l'offensiva contro
Kolciak e Denikin.
«Concludendo una pace separata, - diceva Lenin allora, - ci
liberiamo, il più che é possibile nell'attuale
situazione, da entrambi i gruppi imperialisti nemici, approfittiamo
della loro ostilità e della loro guerra, - che rende loro
difficile di mettersi d'accordo contro di noi, - e, approfittandone,
ci assicuriamo per un certo periodo le mani libere per proseguire e
consolidare la rivoluzione socialista» (Lenin, «Tesi
sulla questione della conclusione della pace separata», Vol.
XXII, p. 198 ed. russa).
«Ora, - scriveva Lenin tre anni dopo la pace di Brest-Litovsk,
- anche l'ultimo degl'imbecilli» vede «che "la pace di
Brest" fu una concessione che ha accresciuto le nostre forze e ha
frazionato quelle ell'imperialismo internazionale» (Lenin,
«Tempi nuovi, vecchi errori in forma nuova», Vol. XXVII,
p. 7 ed. russa).
Queste sono le condizioni principali che assicurano una giusta
direzione strategica.
5) La direzione tattica. La direzione tatticaé parte della
direzione strategica, alle esigenze e ai compiti della quale
é subordinata. Il compito della direzione tattica consiste
nell'esser padroni di tutte le forme di lotta e di organizzazione
del proletariato e nell'assicurare una loro giusta utilizzazione,
allo scopo di raggiungere, dato il rapporto di forze esistente, il
massimo dei risultati necessario alla preparazione del successo
strategico.
In che cosa consiste la giusta utilizzazione delle forme di lotta e
di organizzazione del proletariato?
Nell'adempimento di alcune condizioni indispensabili, di cui le
seguenti debbono essere considerate capitali.
In primo luogo. Mettere al primo piano precisamente quelle forme di
lotta e di organizzazione che, meglio corrispondendo alle condizioni
-del flusso o del riflusso del movimento, sono atte a facilitare e
assicurare lo spostamento delle masse verso posizioni
rivoluzionarie, lo spostamento di masse di milioni di uomini verso
il fronte della rivoluzione, il loro schieramento sul fronte della
rivoluzione.
Ciò che importa non é che l'avanguardia sia cosciente
dell'impossibilità di mantenere l'antico ordine di cose e
della ineluttabilità del suo rovesciamento. Ciò che
importa é che le masse, masse di milioni di uomini,
comprendano questa necessità e si mostrino pronte ad
appoggiare l'avanguardia. Ma questo le masse possono comprenderlo
solo attraverso la loro propria esperienza. Dare a masse di milioni
di uomini la possibilità di constatare, in base alla loro
esperienza, l'ineluttabilità del rovesciamento del vecchio
potere, impiegare tali mezzi di lotta e tali forme di organizzazione
che permettano alle masse di constatare in base all'esperienza la
giustezza delle parole d'ordine rivoluzionarie, - questo é il
compito da assolvere.
L'avanguardia si sarebbe staccata dalla classe operaia, e la classe
operaia avrebbe perduto il contatto con le masse se, a suo tempo, il
partito non avesse deciso di partecipare alla Duma, se non avesse
deciso di concentrare le forze nel lavoro parlamentare e di
sviluppare la lotta sulla base di questo lavoro, al fine di
permettere alle masse di constatare, per loro propria esperienza, la
nullità della Duma, la fallacia delle promesse dei cadetti,
l'impossibilità di un accordo con lo zarismo,
l'inevitabilità dell'alleanza dei contadini con la classe
operaia. Senza l'esperienza fatta dalle masse nel periodo della
Duma, lo smascheramento dei cadetti e l'egemonia del proletariato
sarebbero stati impossibili.
Il pericolo della tattica dell'otsovismo (1) consisteva nel fatto
ch'essa minacciava di creare un distacco tra l'avanguardia e le sue
riserve di milioni di uomini.
(1) «Otsovisti»: - (da otosvat = richiamare) si
chiamarono i seguaci di una corrente opportunista piccolo-borghese,
sorta nelle file del partito bolscevico negli anni della reazione
(1908-1912). Gli otsovisti esigevano il richiamo dalla Duma di Stato
dei deputati socialdemocratici e respingevano il lavoro nei
sindacati e nelle altre organizzazioni operaie legali)
II partito si sarebbe staccato dalla classe operaia e la classe
operaia avrebbe perduto la sua influenza tra le grandi masse dei
contadini e dei soldati se il proletariato avesse seguito i
comunisti di sinistra che lanciavano l'appello all'insurrezione
nell'aprile del 1917, quando i menscevichi e i
socialisti-rivoluzionari non avevano ancora avuto il tempo di
smascherarsi quali partigiani della guerra e dell'imperialismo,
quando le masse non avevano ancora avuto il tempo di constatare, per
loro propria esperienza, la fallacia dei discorsi dei menscevichi e
dei socialisti-rivoluzionari sulla pace, sulla terra, sulla
libertà. Senza l'esperienza fatta dalle masse nel periodo del
governo di Kerenski, i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari non
avrebbero potuto essere isolati e la dittatura del proletariato
sarebbe stata impossibile. Perciò la tattica della
«spiegazione paziente» degli errori dei partiti
piccolo-borghesi e della lotta aperta in seno ai Soviet era la sola
tattica giusta.
Il pericolo della tattica dei comunisti di sinistra consisteva nel
fatto ch'essa minacciava di fare del partito non più il capo
della rivoluzione proletaria, ma un gruppo di cospiratori vuoti e
inconsistenti.
«Con la sola avanguardia, - dice Lenin, - non si può
vincere. Gettare la sola avanguardia nella battaglia decisiva, prima
che tutta la classe, prima che le grandi masse abbiano preso una
posizione o di appoggio diretto dell'avanguardia o, almeno, di
benevola neutralità verso di essa. .. non sarebbe soltanto
una sciocchezza, ma anche un delitto. Ma affinchè
effettivamente tutta la classe, affinchè effettivamente le
grandi masse dei lavoratori e degli oppressi dal capitale giungano a
prendere tale posizione, la sola propaganda, la sola agitazione non
bastano. Per questo è necessaria l'esperienza politica delle
masse stesse. Tale è la legge fondamentale di tutte le grandi
rivoluzioni, confermata oggi con una forza e un rilievo sorprendenti
non solo dalla Russia, ma anche dalla Germania. Non solo le masse
russe incolte, spesso analfabete, ma anche le masse tedesche,
fornite di un alto grado di cultura e fra cui non vi sono
analfabeti, per volgersi risolutamente verso il comunismo hanno
dovuto constatare a loro spese tutta l'impotenza, tutta la mancanza
di carattere, tutta l'incapacità, tutto il servilismo davanti
alla borghesia, tutta l'abiezione del governo dei paladini della II
Internazionale, tutta l'inevitabilità della dittatura dei
reazionari estremi (Kornilov in Russia, Kapp e C. in Germania) come
unica alternativa alla dittatura del proletariato» (Lenin, "La
malattia infantile», Vol. XXV, p. 228 ed. russa).
In secondo luogo. Trovare, in ogni momento determinato, nella catena
degli avvenimenti, quell'anello particolare, aggrappandosi al quale
sarà possibile reggere tutta la catena e preparare le
condizioni del successo strategico.
Occorre scegliere, fra i vari compiti che si pongono al partito,
precisamente quel compito immediato la soluzione del quale é
il punto centrale e l'adempimento del quale assicura una felice
soluzione di tutti gli altri compiti immediati.
L'importanza di questa tesi si potrebbe dimostrare con due esempi,
di cui l'uno potrebbe esser preso dal passato lontano (periodo della
formazione del partito) e l'altro da un passato più recente
(periodo della Nep).
Nel periodo della formazione del partito, quando esisteva una
quantità innumerevole di circoli e di organizzazioni non
ancora collegate tra di loro, quando il primitivismo e questa
moltitudine di circoli corrodevano il partito da cima a fondo,
quando la confusione ideologica era il tratto caratteristico della
vita interna del partito, in quel periodo l'anello essenziale, il
compito fondamentale nella catena degli anelli e nella catena dei
compiti che stavano allora davanti al partito, era la creazione di
un giornale illegale per tutta la Russia. Perché?
Perché soltanto per mezzo di un giornale illegale per tutta
la Russia era possibile, nelle condizioni d'allora, creare un nucleo
coeso di partito, capace di raccogliere in un tutto unico i circoli
e le organizzazioni innumerevoli, di preparare le condizioni
dell'unità ideologica e tattica e porre così le basi
per la formazione di un vero partito.
Nel periodo del passaggio dalla guerra all'edificazione economica,
quando l'industria vegetava in preda alla disorganizzazione e
l'agricoltura soffriva della mancanza di prodotti industriali,
quando la saldatura dell'industria di Stato con l'economia contadina
era diventata la condizione essenziale del successo
dell'edificazione socialista, in quel periodo l'anello essenziale
della catena dello sviluppo, il compito fondamentale fra tutti gli
altri era lo sviluppo del commercio. Perché? Perché
durante la Nep (Nuova politica economica) la saldatura
dell'industria con l'economia contadina non era possibile altrimenti
che attraverso il commercio, perché durante la Nep la
produzione senza smercio era la morte dell'industria; perché
l'industria poteva estendersi solo attraverso una estensione dello
smercio dovuta allo sviluppo del commercio, perché solo dopo
essersi consolidati nel campo del commercio, solo dopo esser
diventati padroni del commercio, solo dopo esser diventati padroni
di quest'anello, si poteva sperare di saldare l'industria col
mercato contadino e di risolvere felicemente gli altri compiti
immediati, allo scopo di creare le condizioni per la costruzione
delle fondamenta dell'economia socialista.
«Non basta esser rivoluzionario e partigiano del socialismo, o
comunista in generale... - dice Lenin. - Bisogna saper trovare, in
ogni momento, quell'anello particolare della catena a cui
aggrapparsi con tutte le forze per reggere tutta la catena e
preparare solidamente il passaggio all'anello successivo»...
«Nel momento attuale ... quest'anello è la rianimazione
del commercio interno, a condizione che esso sia ben regolato
(diretto) da parte dello Stato. Il commercio: ecco "l'anello" nella
catena storica degli avvenimenti, delle forme transitorie della
nostra edificazione socialista negli anni 1921-1922, al quale ci si
deve aggrappare con tutte le forze".. .» (Lenin,
«L'importanza dell'oro oggi e dopo la vittoria totale del
socialismo», Vol. XXVII, p. 82 ed. russa).
Queste sono le condizioni principali che assicurano una giusta
direzione tattica.
6) Riformismo e rivoluzionarismo. In che cosa la tattica
rivoluzionaria si distingue dalla tattica riformista?
Alcuni pensano che il leninismo é contro le riforme, contro i
compromessi e gli accordi, in generale. Ciò é
assolutamente falso. I bolscevichi sanno, non meno di chicchessia,
che, in un certo senso, «ogni cosa che ti danno é
buona», sanno che, in determinate circostanze, le riforme in
generale, i compromessi e gli accordi in particolare, sono necessari
e utili.
«Condurre la guerra, - dice Lenin, - per il rovesciamento
della borghesia internazionale, guerra cento volte più
difficile, più lunga e più complicata della più
accanita delle guerre abituali fra gli Stati, e rinunziare in
anticipo a destreggiarsi, a sfruttare gli antagonismi di interessi
(sia pure temporanei) tra i propri nemici, rinunziare agli accordi e
ai compromessi con dei possibili alleati (sia pure temporanei, poco
sicuri, esitanti, condizionali), non è cosa sommamente
ridicola? Non è come se, nell'ardua scalata di un monte
ancora inesplorato e inaccessibile, si rinunziasse preventivamente a
fare talora degli zig-zag, a ritornare qualche volta sui propri
passi, a lasciare la direzione presa all'inizio per tentare
direzioni diverse?» (Lenin, «La malattia
infantile», Vol. XXV, p. 210 cd. russa).
Quel che conta, evidentemente, non sono le riforme o i compromessi e
gli accordi, ma é l'uso che si fa delle riforme e degli
accordi.
Per il riformista, la riforma é tutto; il lavoro
rivoluzionario, invece, serve così, tanto per parlarne, per
gettare polvere negli occhi. Perciò con la tattica
riformista, sino a che esiste il potere borghese, una riforma si
converte inevitabilmente in uno strumento di rafforzamento di questo
potere, in uno strumento di disgregazione della rivoluzione.
Per il rivoluzionario, invece, l'essenziale é il lavoro
rivoluzionario, non la riforma; per lui la riforma é soltanto
un prodotto accessorio della rivoluzione. Perciò con la
tattica rivoluzionaria, sino a che esiste il potere borghese, una
riforma si converte naturalmente in uno strumento di disgregazione
di questo potere, in uno strumento di rafforzamento della
rivoluzione, in un punto di appoggio per l'ulteriore sviluppo del
movimento rivoluzionario.
Il rivoluzionario accetta la riforma al fine di utilizzarla come un
appiglio per combinare il lavoro legale con il lavoro illegale, al
fine di servirsene come una copertura per il rafforzamento del
lavoro illegale che ha per oggetto la preparazione rivoluzionaria
delle masse al rovesciamento della borghesia.
Questa é l'essenza dell'utilizzazione rivoluzionaria delle
riforme e degli accordi nelle condizioni esistenti nel periodo
dell'imperialismo.
Il riformista, al contrario, accetta le riforme per rinunciare a
ogni lavoro illegale, sabotare la preparazione delle masse alla
rivoluzione e riposare all'ombra della riforma "concessa".
Questa é l'essenza della tattica riformista.
Così si presenta il problema delle riforme e degli accordi
nelle condizioni esistenti nel periodo dell'imperialismo.
Le cose cambiano però alquanto dopo l'abbattimento
dell'imperialismo, durante la dittatura del proletariato. In certi
casi, in certe condizioni, il potere proletario può trovarsi
costretto ad abbandonare provvisoriamente la via della
riedificazione rivoluzionaria dell'ordine di cose esistente e a
prender la via della sua trasformazione graduale, «la via
riformista, come dice Lenin nel suo articolo "L'importanza
dell'oro", la via dei movimenti aggiranti, la via delle riforme e
delle concessioni alle classi non proletarie, allo scopo di
disgregare queste classi e concedere alla rivoluzione una tregua,
allo scopo di raccogliere le proprie forze e preparare le condizioni
di una nuova offensiva. Non si può negare che questa via
é, in un certo senso, una via riformista. Bisogna però
ricordare che ci troviamo qui di fronte a una particolarità
fondamentale, la quale consiste nel fatto che la riforma emana in
questo caso dal potere proletario, ch'essa rafforza il potere
proletario, ch'essa gli procura la tregua necessaria, ch'essa
é destinata a disgregare non la rivoluzione, ma le classi non
proletarie.
La riforma, in queste condizioni, si trasforma, quindi, nel suo
apposto.
L'adozione di una tale politica da parte del potere proletario
diventa possibile perché e soltanto perché l'ampiezza
della rivoluzione é stata, nel periodo precedente, abbastanza
grande e ha quindi lasciato uno spazio sufficiente per poter battere
in ritirata, per sostituire alla tattica dell'offensiva la tattica
di una ritirata temporanea, la tattica dei movimenti aggiranti.
Se prima, dunque, sotto il potere borghese, le riforme erano un
prodotto accessorio della rivoluzione, ora, durante la dittatura del
proletariato, la sorgente delle riforme sta nelle conquiste
rivoluzionarie del proletariato, nelle riserve accumulate nelle mani
del proletariato e costituite da queste conquiste.
"Soltanto il marxismo, - dice Lenin, - ha determinato esattamente e
giustamente il rapporto tra le riforme e la rivoluzione. Marx poteva
vedere questo rapporto soltanto sotto uno dei suoi aspetti,
cioè nella situazione precedente una prima vittoria del
proletariato, sia pure di scarsa solidità e di scarsa durata,
sia pure in un solo paese. In quella situazione la base di un giusto
rapporto tra le riforme e la rivoluzione era questa: la riforma
è un prodotto accessorio della lotta di classe rivoluzionaria
del proletariato... Dopo la vittoria del proletariato almeno in un
solo paese, appare qualche cosa di nuovo nel rapporto tra le riforme
e la rivoluzione. In linea di principio le cose stanno come prima,
nella forma però sopravviene una modificazione che Marx
personalmente non poteva prevedere, ma di cui ci si può
render conto soltanto sulla base della filosofia e della politica
del marxismo... Dopo la vittoria, esse (vale a dire le riforme.
G.St, (pur continuando ad essere su scala internazionale lo stesso
"prodotto accessorio"), costituiscono inoltre, per il paese in cui
il proletariato ha vinto, una tregua necessaria e legittima nei casi
in cui le forze, dopo una tensione estrema, sono manifestamente
insufficienti per superare in modo rivoluzionario l'una o l'altra
tappa. La vittoria crea una tale "riserva di forze", che permette di
tener duro anche nel caso di una ritirata forzata, di tener duro
materialmente e moralmente (Lenin, "L'importanza dell'oro»,
Vol. XXVII, pp. 84-85 ed. russa).
VIIII
IL PARTITO
Nel periodo prerivoluzionario, nel periodo di sviluppo più o
meno pacifico, quando i partiti della II Internazionale erano la
forza dominante nel movimento operaio e le forme parlamentari di
lotta erano considerate le principali, - in quelle condizioni il
partito non aveva, né poteva avere, l'importanza seria e
decisiva che ha acquistato in seguito, in un periodo di grandi
battaglie rivoluzionarie. Difendendo la II Internazionale dagli
attacchi cui é fatta segno, Kautsky dice che i partiti della
II Internazionale sono strumenti di pace e non di guerra, che
appunto per questo essi non furono in grado di intraprendere
alcunché di serio durante la guerra, nel periodo delle azioni
rivoluzionarie del proletariato. Questo é perfettamente vero.
Ma che significa questo? Questo significa che i partiti della II
Internazionale non sono atti alla lotta rivoluzionaria del
proletariato, che essi non sono dei partiti di lotta del
proletariato, i quali conducano gli operai alla conquista del
potere, ma un apparato elettorale, adatto alle elezioni parlamentari
e alla lotta parlamentare. Così si spiega, del resto, il
fatto che, nel periodo del prevalere degli opportunisti della II
Internazionale, l'organizzazione politica fondamentale del
proletariato non fosse il partito, ma il gruppo parlamentare. E'
noto che in quel periodo il partito era, praticamente, un'appendice,
un elemento al servizio del gruppo parlamentare. Non occorre
dimostrare che, in tali condizioni e sotto la guida di un tal
partito, non si poteva nemmeno parlare di preparazione del
proletariato alla rivoluzione.
Si ebbe, tuttavia, un mutamento radicale con l'aprirsi del nuovo
periodo. Il nuovo periodo é quello dei conflitti di classe
aperti, é il periodo delle azioni rivoluzionarie del
proletariato, il periodo della rivoluzione proletaria, il periodo
della preparazione immediata delle forze all'abbattimento
dell'imperialismo, alla presa del potere da parte del proletariato.
Questo periodo pone di fronte al proletariato compiti nuovi: - la
riorganizzazione di tutto il lavoro del partito su una nuova base,
su una base rivoluzionaria, l'educazione degli operai nello spirito
della lotta rivoluzionaria per il potere, la preparazione e la
mobilitazione delle riserve, l'alleanza coi proletari dei paesi
vicini, la creazione di saldi legami con il movimento di liberazione
delle colonie e dei paesi dipendenti, ecc. ecc. Pensare che questi
nuovi compiti possano essere risolti con le forze dei vecchi partiti
socialdemocratici, educati nelle pacifiche condizioni del
parlamentarismo, significa condannarsi irrimediabilmente alla
disperazione, a una sconfitta sicura. Restare, quando si hanno tali
compiti sulle spalle, sotto la direzione dei vecchi partiti, vuol
dire ridursi a uno stato di disarmo completo. Non occorre dimostrare
che il proletariato non poteva rassegnarsi a tale situazione.
Di qui la necessità di un nuovo partito, di un partito
combattivo, di un partito rivoluzionario, abbastanza audace per
condurre i proletari alla lotta per il potere, abbastanza ricco di
esperienza per sapersi orientare nelle intricate condizioni di una
situazione rivoluzionaria, e abbastanza agile per evitare ogni sorta
di scogli subacquei sulla via che conduce alla meta.
Senza un tale partito, non si può nemmeno pensare ad
abbattere l'imperialismo, a conquistare la dittatura del
proletariato.
Questo nuovo partito é il partito del leninismo.
Quali sono le particolarità di questo nuovo partito?
1) Il partito, reparto di avanguardia della classe operaia. Il
partito deve essere, prima di tutto, il reparto di avanguardia della
classe operaia. Il partito deve assorbire tutti i migliori elementi
della classe operaia, la loro esperienza, il loro spirito
rivoluzionario, la loro devozione sconfinata alla causa del
proletariato. Ma per essere effettivamente il reparto di
avanguardia, il partito deve essere armato d'una teoria
rivoluzionaria, deve conoscere le leggi dei movimento, deve
conoscere le leggi della rivoluzione, Se no, non é in grado
di dirigere
la lotta del proletariato, di condurre dietro a sé il
proletariato. Il partito non può essere un vero partito se si
limita a registrare quel che la massa della classe operaia sente e
pensa, se si trascina alla coda del movimento spontaneo, se non sa
superare l'inerzia e l'indifferenza politica del movimento
spontaneo, se non sa elevarsi al disopra degl'interessi momentanei
del proletariato, se non sa elevare le masse al livello
degl'interessi di classe del proletariato. Il partito deve porsi
alla testa della classe operaia, deve vedere più lontano
della classe operaia, deve condurre dietro a sé il
proletariato e non trascinarsi alla coda del movimento spontaneo.
I partiti della II Internazionale, che predicano il «
codismo», sono agenti della politica borghese, che condanna il
proletariato alla funzione di strumento nelle mani della borghesia.
Soltanto un partito che si consideri come reparto di avanguardia del
proletariato e sia capace di elevare le masse al livello
degl'interessi di classe del proletariato, soltanto un tale partito
é in grado di distogliere la classe operaia dalla via del
tradunionismo e di trasformarla in forza politica indipendente. Il
partito é il capo politico della classe operaia.
Ho già parlato delle difficoltà della lotta della
classe operaia, delle complessità delle condizioni della
lotta, della strategia e della tattica, delle riserve e delle
manovre, dell'offensiva e della ritirata. Queste condizioni non sono
meno complesse, se pur non sono più complesse delle
condizioni di una guerra. Chi può orientarsi in queste
condizioni, chi può dare un giusto orientamento a una massa
di milioni di proletari? Non v'é esercito in guerra che possa
fare a meno di uno stato maggiore sperimentato, se non vuole
condannarsi alla disfatta. Non é chiaro che a maggior ragione
non può fare a meno di un tale stato maggiore il
proletariato, se non vuol darsi in pasto al suo nemico giurato? Ma
dove é questo stato maggiore? Questo stato maggiore
può essere soltanto il partito rivoluzionario del
proletariato. La classe operaia, senza un partito rivoluzionario,
é un esercito senza stato maggiore. Il partito é lo
stato maggiore di lotta del proletariato.
Ma il partito non può essere solo un reparto di avanguardia.
Esso deve essere, in pari tempo, un reparto, una parte della classe
operaia, parte intimamente legata ad essa con tutte le fibre della
sua esistenza. La distinzione fra l'avanguardia e la restante massa
della classe operaia, fra i membri del partito e i senza partito,
non può scomparire fino a che non saranno scomparse le
classi, fino a che il proletariato si accrescerà di elementi
provenienti da altre classi, fino a che la classe operaia, nel suo
insieme, sarà privata della possibilità di elevarsi al
livello del reparto d'avanguardia. Ma il partito cesserebbe di
essere il partito, se questa distinzione si trasformasse in rottura,
se esso si racchiudesse in sé stesso e si distaccasse dalle
masse senza partito. Il partito non può dirigere la classe se
non é legato con le masse senza partito, se non esiste una
saldatura tra il partito e le masse senza partito, se queste masse
non accettano la sua direzione, se il partito non gode tra le masse
di un credito morale e politico.
Recentemente sono stati ammessi nel nostro partito duecentomila
nuovi membri operai. Ed é degno di nota che non sono entrati
nel partito da sé, ma, piuttosto, vi sono stati inviati da
tutta la rimanente massa senza partito, che ha partecipato
attivamente all'ammissione dei nuovi membri e senza l'approvazione
della quale non sono stati ammessi, in generale, dei nuovi membri.
Questo fatto prova che le grandi masse degli operai senza partito
considerano il nostro partito come il loro partito, il partito che
é loro vicino e familiare, allo sviluppo e al rafforzamento
del quale sono legati i loro interessi vitali e alla direzione del
quale essi affidano volontariamente la loro sorte. Non occorre
dimostrare che senza questi vincoli morali inafferrabili che legano
il partito alle masse senza partito, il partito non potrebbe
diventare la forza decisiva della propria classe. Il partito
é parte inseparabile della classe operaia.
" Noi siamo, - dice Lenin, - il partito della classe, e
perciò quasi tutta la classe (e, in tempo di guerra,
nell'epoca della guerra civile, la classe tutt'intera) deve agire
sotto la direzione del nostro partito, deve stringersi il più
saldamente che è possibile attorno al nostro partito. Ma
sarebbe "manilovismo" (= fiacchezza, indolenza, vuota fantaticheria.
Da Manilov, uno dei personaggi delle "Anime morte" di Gogol. Ndr.) e
"codismo" pensare che, in regime capitalista, quasi tutta o tutta la
classe possa mai elevarsi alla coscienza e all'attività della
propria avanguardia, del proprio partito socialista. Nessun
socialista ragionevole ha mai posto in dubbio che, in regime
capitalista, neanche l'organizzazione sindacale (più
primitiva, più accessibile alla coscienza degli strati
arretrati) è in grado di abbracciare quasi tutta o tutta la
classe operaia. Dimenticare la distinzione che passa tra il reparto
di avanguardia e tutte le masse che gravitano verso di esso,
dimenticare il costante dovere del reparto di avanguardia di elevare
degli strati sempre più larghi fino a questo livello
dell'avanguardia, vorrebbe dire ingannar sè stessi, chiudere
gli occhi di fronte alla grandiosità dei nostri compiti,
restringere questi compiti" (Lenin, «Un passo avanti, due
indietro», Vol. VI, pp. 205-206 ed. russa).
2) Il partito, reparto organizzato della classe operaia. Il partito
non é soltanto il reparto di avanguardia della classe
operaia. Se vuole effettivamente dirigerne la lotta, esso dev'essere
in pari tempo anche il reparto organizzato della propria classe. In
regime capitalista i compiti del partito sono straordinariamente
grandi e vari. Il partito deve dirigere la lotta del proletariato in
condizioni straordinariamente difficili di sviluppo interno ed
esterno, deve condurre il proletariato all'offensiva quando la
situazione esige l'offensiva, deve sottrarre il proletariato ai
colpi di un avversario potente quando la situazione esige la
ritirata, deve infondere in masse di milioni di operai senza partito
disorganizzati lo spirito di disciplina e di metodo nella lotta, lo
spirito d'organizzazione e la fermezza. Ma il partito può
adempiere questi compiti soltanto se esso stesso é la
personificazione della disciplina e dell'organizzazione, se esso
stesso é un reparto organizzato del proletariato. Senza
queste condizioni, non si può nemmeno parlare di una vera
direzione, da parte del partito, di milioni di proletari. Il partito
é il reparto organizzato della classe operaia.
Il concetto del partito, come di un tutto organizzato, é
stato fissato nella nota formulazione data da Lenin al primo
articolo dello statuto del nostro partito, dove il partito viene
considerato come la somma delle sue organizzazioni e membri di
partito vengono considerati i membri di una delle organizzazioni del
partito. I menscevichi, che già nel 1903 si opponevano a
questa formula, proponevano in cambio di essa un
«sistema» di autoadesione al partito, un
«sistema» di estensione dell'« appellativo»
di membro del partito a ogni «professore» e
«collegiale», a ogni «simpatizzante» e
«scioperante», che sostenesse il partito in un modo o
nell'altro, pur senza aderire e senza voler aderire ad alcuna delle
organizzazioni del partito. Non occorre dimostrare che questo
«sistema» originale, se fosse prevalso nel nostro
partito, avrebbe inevitabilmente portato a un'invasione del partito
da parte di professori e di collegiali, lo avrebbe fatto degenerare
in una
«entità» mal definita, amorfa, disorganizzata,
sommersa dalla marea dei «simpatizzanti», che avrebbe
cancellato ogni frontiera tra il partito e la classe e sarebbe
venuta meno al compito del partito di elevare
le masse disorganizzate al livello dell'avanguardia. Né
occorre dire che, con un tale «sistema» opportunista, il
nostro partito non avrebbe potuto adempiere la sua funzione di
nucleo organizzatore della classe operaia nel corso della nostra
rivoluzione.
"Secondo il punto di vista di Martov, - dice Lenin, - le frontiere
del partito restano assolutamente indeterminate, poichè "ogni
scioperante" può "dichiararsi membro del partito". Quale
utilità presenta questo amorfismo? La larga diffusione di un
"appellativo". Il danno ch'essa reca è di dar corso all'idea
disorganizzatrice della confusione della classe col partito". (lb.,
p. 211).
Ma il partito non è solo la somma delle organizzazioni di
partito. Il partito é in pari tempo il sistema unico di
queste organizzazioni, la loro unione formale in un tutto unico, nel
quale esistono organi di direzione superiori e inferiori, nel quale
esiste una sottomissione della minoranza alla maggioranza, nel quale
esistono delle decisioni pratiche, obbligatorie per tutti i membri
del partito. Senza questa condizione, il partito non é in
grado di essere un tutto unico organizzato, capace di assicurare una
direzione organizzata e sistematica della lotta della classe
operaia.
«Prima, - dice Lenin, - il nostro partito non era un tutto
formalmente organizzato, ma soltanto una somma di gruppi
particolari, e perciò tra questi gruppi non potevano esservi
altri rapporti che di influenza ideologica. Oggi siamo diventati un
partito organizzato, e questo significa creazione di un potere,
trasformazione del prestigio delle idee nell'autorità del
potere, sottomissione delle istanze inferiori del partito alle
istanze superiori» (Ib., p. 291).
Il principio della sottomissione della minoranza alla maggioranza,
il principio della direzione del lavoro del partito da parte del
centro provoca non di rado attacchi da parte degli elementi
instabili, accuse di «burocratismo», di
«formalismo», ecc. Non occorre dimostrare che, se non
venissero applicati questi principii, il partito, come un tutto
unico, non potrebbe lavorare sistematicamente, né dirigere la
lotta della classe operaia. Nel campo dell'organizzazione, il
leninismo é l'applicazione inflessibile di questi principii.
La lotta contro questi principii Lenin la chiama «nichilismo
russo» e «anarchismo da gran signore», degno di
esser deriso e respinto.
Ecco che cosa dice Lenin di questi elementi instabili nel suo libro
«Un passo avanti»:
«Quest'anarchismo da gran signore è caratteristico del
nichilista russo. L'organizzazione del partito sembra a costui una
"fabbrica" mostruosa; la sottomissione della parte al tutto e della
minoranza alla maggioranza gli appare come una ,"servitu", ... la
divisione del lavoro, sotto la direzione di un centro, gli fa
lanciare degli strilli tragicomici contro la trasformazione degli
uomini in "viti e rotelle" ..., la sola menzione dello statuto di
organizzazione del partito suscita in lui una smorfia sdegnosa e la
sprezzante ... osservazione che si potrebbe benissimo anche fare a
meno dello statuto ... E' chiaro, mi pare, che gli strilli contro il
famoso burocratismo non servono ad altro che a mascherare il
malcontento per la composizione personale degli organismi centrali,
non sono che una foglia di fico... Tu sei un burocrate,
perchè sei stato nominato dal congresso non con il mio
consenso, ma contro di esso; tu sei un formalista, perchè ti
appoggi sulle decisioni formali del congresso e non sul mio
consenso; tu agisci in modo brutale e meccanico, perchè ti
richiami alla maggioranza "meccanica" del congresso del partito e
non tieni conto del mio desiderio di essere cooptato; tu sei un
autocrata, perchè non vuoi rimettere il potere nelle mani
della vecchia cricca'' (Ib., pp. 310 e 287).
Si tratta della «cricca» di Axelrod, Martov, Potressov e
degli altri, che noi si erano sottomessi alle decisioni del II
Congresso e accusavano Lenin di «burocratismo».
3) Il partito, forma suprema dell'organizzazione di classe del
proletariato. Il partito é il reparto organizzato della
classe operaia. Ma il partito non é l'unica organizzazione
della classe operaia. Il proletariato ha tutta una serie di altre
organizzazioni, senza le quali non può lottare con successo
contro il capitale: sindacati, cooperative, organizzazioni di
fabbrica e di officina, gruppi parlamentari, associazioni di donne
senza partito, stampa, organizzazioni culturali, educative,
federazioni giovanili, organizzazioni rivoluzionarie di
combattimento (durante le grandi battaglie rivoluzionarie), Soviet
dei deputati come forma di organizzazione statale (se il
proletariato é al potere), ecc. L'enorme maggioranza di
queste organizzazioni non sono organizzazioni di partito e soltanto
una parte di esse aderiscono direttamente al partito o ne sono una
ramificazione. Tutte queste organizzazioni sono, in condizioni
determinate, assolutamente necessarie alla classe operaia,
perché senza di esse é impossibile consolidare le
posizioni di classe del proletariato nei diversi campi della lotta,
perché senza di esse é impossibile temprare il
proletariato come forza chiamata a sostituire all'ordine borghese
l'ordine socialista.
Ma come organizzare una unità di direzione, data una tale
abbondanza di organizzazioni? Dov'é la garanzia che
l'esistenza di una molteplicità di organizzazioni non
renderà la direzione incoerente? Si potrebbe rispondere che
ognuna di queste organizzazioni fa il suo lavoro nel campo che le
é proprio e che, per conseguenza, esse non possono
disturbarsi a vicenda. Questo, naturalmente, é vero. Ma
é anche vero che tutte queste organizzazioni devono lavorare
in una sola direzione, perché esse servono una sola classe,
la classe dei proletari. Si domanda: chi determina la linea, la
direzione comune, secondo la quale tutte queste organizzazioni
debbono svolgere il loro lavoro? Qual'é l'organizzazione
centrale che non solo é capace, possedendo la necessaria
esperienza, di elaborare questa linea comune, ma ha anche la
possibilità, possedendo il prestigio sufficiente per farlo,
di stimolare tutte queste organizzazioni e mettere in pratica questa
linea, allo scopo di realizzare l'unità di direzione e di
escludere la possibilità di incoerenze?
Quest'organizzazione é il partito del proletariato.
Il partito ha tutti i requisiti per questa funzione, perché,
in primo luogo, il partito é il punto attorno al quale si
raccolgono i migliori elementi della classe operaia, che hanno
legami diretti con le organizzazioni proletarie senza partito e
molto spesso le dirigono; perché, in secondo luogo, il
partito, come punto attorno al quale si raccolgono i migliori
elementi della classe operaia, é la scuola migliore per la
formazione di capi della classe operaia, capaci di dirigere tutte le
forme di organizzazione della loro classe; perché, in terzo
luogo, il partito, in quanto é la scuola migliore dei capi
della classe operaia, é, per la sua esperienza e per il suo
prestigio, l'unica organizzazione capace di centralizzare la
direzione della lotta del proletariato e di trasformare quindi le
organizzazioni operaie senza partito, di qualsiasi genere esse
siano, in organi ausiliari e in cinghie di trasmissione che lo
colleghino con la classe. Il partito é la forma suprema
dell'organizzazione di classe del proletariato.
Questo non significa, s'intende, che le organizzazioni senza
partito, i sindacati, le cooperative, ecc., debbano essere
formalmente subordinate alla direzione del partito. La sola cosa che
importa é che i membri del partito che fanno parte di queste
organizzazioni e vi esercitano, senza dubbio, un'influenza, prendano
tutte le misure di persuasione affinché le organizzazioni
senza partito si avvicinino nel loro lavoro al partito del
proletariato e accettino di buon grado la sua direzione politica.
Ecco perché Lenin dice che il partito é "la forma
suprema dell'unione di classe dei proletari» e che la sua
direzione politica deve estendersi a tutte le altre forme di
organizzazione del proletariato (Lenin, «La malattia
infantile», Vol. XXV, p. 194).
Ecco perché la teoria opportunista dell'«indipendenza
» e «neutralità» delle organizzazioni senza
partito, teoria che genera i parlamentari indipendenti e i
giornalisti distaccati dal partito, i militanti sindacali gretti e i
cooperatori imborghesiti, é assolutamente incompatibile con
la teoria e con la pratica del leninismo.
4) Il partito, strumento della dittatura del proletariato. Il
partito é la forma suprema di organizzazione del
proletariato. Il partito é il fattore essenziale di direzione
in seno alla classe dei proletari e tra le organizzazioni di questa
classe. Ma da questo non deriva affatto che il partito si possa
considerare come fine a sé, come forza sufficiente a
sé stessa. Il partito non é solo la forma suprema
dell'unione di classe dei proletari, esso é, in pari tempo,
uno strumento nelle mani del proletariato, per la conquista della
dittatura, quando questa non é ancora stata conquistata, per
il consolidamento e l'estensione della dittatura, quando questa
é già stata conquistata. Il partito non avrebbe potuto
acquistare un'importanza così grande, né prevalere su
tutte le altre forme di organizzazione del proletariato, se il
proletariato non si fosse trovato davanti al problema del potere, se
le condizioni esistenti nel periodo dell'imperialismo,
l'inevitabilità delle guerre, l'esistenza della crisi, non
avessero richiesto la concentrazione di tutte le forze del
proletariato in un sol punto, l'accentramento in un sol punto di
tutti i fili del movimento rivoluzionario, allo scopo di rovesciare
la borghesia e conquistare la dittatura del proletariato. Il partito
é necessario al proletariato prima di tutto come stato
maggiore di combattimento, indispensabile per la conquista
vittoriosa del potere. È superfluo dimostrare che senza un
partito capace di raccogliere attorno a sé le organizzazioni
di massa del proletariato e di centralizzare nel corso della lotta
la direzione dell'assieme del movimento, il proletariato in Russia
non avrebbe potuto instaurare la sua dittatura rivoluzionaria.
Ma il partito é necessario al proletariato non solo per la
conquista della dittatura; ancor più esso gli é
necessario per mantenere la dittatura, per consolidarla ed
estenderla, nell'interesse della vittoria completa del socialismo.
"E' certo, - dice Lenin, - che ormai quasi tutti vedono che i
bolscevichi non si sarebbero mantenuti al potere, non dico due anni
e mezzo, ma nemmeno due mesi e mezzo, se non fosse esistita una
disciplina severissima, veramente ferrea, nel nostro partito, se il
partito non avesse avuto l'appoggio totale e pieno di abnegazione di
tutta la massa della classe operaia, cioè di tutto quanto vi
è in essa di pensante, di onesto, di devoto sino
all'abnegazione, di influente e capace di condurre dietro a
sè o attirare gli strati arretrati" (Lenin, "La malattia
infantile", Vol. XXV, p. 173 ed. russa).
Ma che cosa significa «mantenere» ed
«estendere» la dittatura? Significa infondere in masse
di milioni di proletari lo spirito di disciplina e di
organizzazione; significa creare nelle masse proletarie una
coesione, una barriera contro le influenze deleterie del carattere
piccolo-borghese e delle abitudini piccolo-borghesi; significa
rafforzare il lavoro di organizzazione dei proletari per la
rieducazione e la trasformazione degli strati piccolo-borghesi;
significa aiutare le masse proletarie a educare sé stesse
come forza capace di sopprimere le classi e di preparare le
condizioni per l'organizzazione della produzione socialista. Ma
realizzare tutto questo non é possibile senza un partito
forte per la sua coesione e la sua disciplina.
" La dittatura del proletariato, - dice Lenin, - è una lotta
tenace, cruenta e incruenta, violenta e pacifica, militare ed
economica, pedagogica e amministrativa, contro le forze e le
tradizioni della vecchia società. La forza dell'abitudine di
milioni e decine di milioni di uomini è la più
terribile delle forze. Senza un partito di ferro, temprato nella
lotta, senza un partito che goda la fiducia di tutto quanto vi
è di onesto nella sua classe, senza un partito che sappia
osservare lo stato d'animo delle masse e influenzarlo, è
impossibile condurre con successo una lotta simile» (lb., p.
190).
Il partito é necessario al proletariato per conquistare e
mantenere la dittatura. Il partito é lo strumento della
dittatura del proletariato. Da questo deriva che, con la scomparsa
delle classi, con l'estinguersi della dittatura del proletariato,
deve estinguersi anche il partito.
5) Il partito, unità di volontà, incompatibile con
l'esistenza di frazioni. La conquista e il mantenimento della
dittatura del proletariato non sono possibili senza un partito forte
per la sua coesione e la sua disciplina di ferro. Ma una disciplina
ferrea nel partito non é concepibile senza unità di
volontà, senza una completa e assoluta unità di azione
di tutti i membri del partito. Ciò non significa,
naturalmente che in questo modo si escluda la possibilità di
una lotta di opinioni in seno al partito. Al contrario, la
disciplina ferrea non esclude, anzi presuppone la critica e la lotta
di opinioni in seno al partito. A maggior ragione ciò non
significa che la disciplina debba esser «cieca». AI
contrario, la disciplina ferrea non esclude, anzi presuppone la
coscienza e la volontarietà della sottomissione,
perché solo una disciplina cosciente può essere
effettivamente una disciplina ferrea. Ma finita la lotta di
opinioni, esaurita la critica, presa una decisione, l'unità
di volontà e l'unità di azione di tutti i membri del
partito sono una condizione indispensabile, senza la quale non sono
concepibili né un partito unito, né una disciplina
ferrea nel partito.
«Nell'epoca attuale di guerra civile acuta, - dice Lenin, - il
partito comunista potrà adempiere il suo dovere soltanto se
sarà organizzato nel modo più centralizzato, se vi
regnerà una disciplina ferrea, confinante con la disciplina
militare, e se il centro del partito sarà un organo
autorevole di potere, fornito di ampi poteri, che goda la fiducia
generale dei membri del partito» (Lenin, «Condizioni
d'ammissione nell'internazionale comunista», ib., pp.
282-283).
Così va intesa la disciplina del partito nelle condizioni di
lotta anteriori alla conquista della dittatura.
Lo stesso si deve dire, ma in grado ancora maggiore, della
disciplina del partito dopo la conquista della dittatura.
«Chi indebolisce, sia pur di poco, dice Lenin, - la disciplina
ferrea del partito del proletariato (soprattutto durante la
dittatura del proletariato) aiuta in realtà la borghesia
contro il proletariato" («La malattia infantile», ib.,
p. 190).
Ne consegue che l'esistenza di frazioni non é compatibile
né con l'unità del partito, né con la sua
disciplina ferrea. Non occorre dimostrare che l'esistenza di
frazioni porta all'esistenza di parecchi centri, che l'esistenza di
parecchi centri significa la mancanza di un centro comune a tutto il
partito, la rottura della volontà unica, il rilassamento e la
disgregazione della disciplina, l'indebolimento e la decomposizione
della dittatura. Certo, i partiti della II Internazionale, che
lottano contro la dittatura del proletariato e non vogliono condurre
i proletari al potere, possono permettersi un liberalismo come
quello di dare libertà alle frazioni, perché essi non
hanno affatto bisogno di una disciplina ferrea. Ma i partiti
dell'Internazionale comunista, che organizzano il loro lavoro in
considerazione dei compiti della conquista e del rafforzamento della
dittatura del proletariato, non possono accettare né
«liberalismo», nè libertà di frazioni. Il
partito é un'unità di volontà che esclude ogni
frazionismo, ogni divisione di poteri nel partito.
Di qui i chiarimenti di Lenin circa il «pericolo del
frazionismo dal punto di vista dell'unità del partito e della
realizzazione dell'unità di volontà dell'avanguardia
del proletariato, come condizione essenziale del successo della
dittatura del proletariato», chiarimenti fissati in una
risoluzione speciale del X Congresso del nostro partito:
«Sull'unità del partito».
Di qui l'esigenza di Lenin circa «la soppressione completa di
ogni frazionismo», e «lo scioglimento immediato di
tutti, senza eccezione, i gruppi formatisi sulla base di questa o di
quella piattaforma», sotto pena «d'immediata e
incondizionata espulsione dal partito» (Si veda la
risoluzione: «Sull'unità del partito»).
6) Il partito si rafforza, epurandosi dagli elementi opportunisti.
Fonte del frazionismo nel partito sono i suoi elementi opportunisti.
Il proletariato non é una classe chiusa in sé.
Affluiscono verso di esso continuamente degli elementi,
proletarizzati dallo sviluppo del capitalismo, provenienti dai
contadini, dai piccolo borghesi, dagli intellettuali. Nello stesso
tempo si svolge un processo di decomposizione degli strati superiori
del proletariato, composti principalmente di funzionari sindacali e
di parlamentari che la borghesia corrompe, servendosi dei
sopraprofitti coloniali.
« Questo strato di operai imborghesiti, - dice Lenin, -
quest'"aristocrazia operaia" completamente piccolo borghese per il
suo genere di vita, per l'entità dei suoi guadagni, per tutta
la sua concezione del mondo, è l'appoggio principale della II
Internazionale e oggi costituisce il principale sostegno sociale
(non militare) della borghesia. Si tratta infatti di veri agenti
della borghesia nel movimento operaio, di commessi operai della
classe dei capitalisti, di veri e propri veicoli del riformismo e
dello sciovinismo» («L'imperialismo come fase suprema
del capitalismo», Vol. XIX, p. 7 i ed. russa).
Tutti questi gruppi piccolo-borghesi penetrano in un modo o
nell'altro nel partito, portandovi lo spirito dell'esitazione e
dell'opportunismo, lo spirito della disgregazione e dell'incertezza.
Essi sono pure la fonte principale del frazionismo e della
disgregazione, la fonte della disorganizzazione e della demolizione
del partito dall'interno. Fare la guerra all'imperialismo avendo
alle spalle simili «alleati», significa trovarsi nella
posizione di gente che é presa a fucilate da due parti: di
fronte e alle spalle. Perciò la lotta spietata contro questi
elementi, la loro espulsione dal partito, é condizione
pregiudiziale del successo della lotta contro l'imperialismo.
La teoria del «superamento» degli elementi opportunisti
mediante la lotta ideologica all'interno del partito, la teoria
della «liquidazione» di questi elementi nel quadro di un
unico partito, é una teoria putrida e pericolosa, che
minaccia di condannare il partito alla paralisi e a
un'infermità cronica, che minaccia di dare il partito in
pasto all'opportunismo, che minaccia di lasciare il proletariato
senza partito rivoluzionario, che minaccia di privare il
proletariato dell'arma principale nella lotta contro l'imperialismo.
Il nostro partito non avrebbe potuto prender la strada giusta, non
avrebbe potuto conquistare il potere e organizzare la dittatura del
proletariato, non sarebbe potuto uscir vittorioso dalla guerra
civile, se avesse avuto nelle sue file dei Martov e dei Dan, dei
Potressov e degli Axelrod. Se il nostro partito é riuscito a
creare un'unità interna e una coesione senza pari delle
proprie file, questo dipende prima di tutto dal fatto che ha saputo
liberarsi a tempo del putridume opportunista, che ha saputo cacciare
dal proprio seno i liquidatori e i menscevichi.
La via dello sviluppo e del consolidamento dei partiti proletari
passa attraverso la loro epurazione dagli opportunisti e dai
riformisti, dai social-imperialisti e dai social-sciovinisti, dai
social-patrioti e dai social-pacifisti. Il partito si rafforza
epurandosi dagli elementi opportunisti.
«Avendo nelle proprie file dei riformisti, dei menscevichi, -
dice Lenin, - non si può far trionfare la rivoluzione
proletaria, non si può difenderla. Questo è evidente
dal punto di vista di principio. Questo è stato confermato
luminosamente dall'esperienza della Russia e dell'Ungheria... In
Russia, molte volte vi sono state delle situazioni difficili, nelle
quali il regime sovietico sarebbe stato rovesciato di certo, se dei
menscevichi, dei riformisti, dei democratici piccoloborghesi fossero
rimasti in seno al nostro partito; ...in Italia, per riconoscimento
generale, si avvicinano battaglie decisive del proletariato contro
la borghesia, per la conquista del potere statale. In un momento
simile, non solo è assolutamente indispensabile allontanare
dal partito i menscevichi, i riformisti, i turatiani, ma può
esser utile persino allontanare da tutti i posti di
responsabilità anche degli eccellenti comunisti, che sono
suscettibili di tentennare e manifestano delle esitazioni nel senso
dell'"unità" coi riformisti... Alla vigilia della rivoluzione
e nei momenti della lotta più accanita per la vittoria di
essa, le minime esitazioni in seno al partito possono perdere tutto,
possono far fallire la rivoluzione, strap
pare il potere dalle mani del proletariato, perchè questo
potere non è ancora solido, perchè l'attacco contro di
esso è ancora troppo forte. Se in un momento simile i capi
tentennanti si tirano in disparte, questo non indebolisce, ma
rafforza e il partito, e il movimento operaio, e la rivoluzione"
(Lenin, «Falsi discorsi sulla libertà», Vol. XXV,
pp. 462-434).
IX
LO STILE NEL LAVORO
Non si tratta dello stile letterario. Voglio parlare dello stile nel
lavoro, di quell'elemento particolare e originale nella pratica del
leninismo, che crea il tipo speciale del militante leninista. Il
leninismo é una scuola teorica e pratica, la quale forma un
tipo speciale di militante del partito e dello Stato, la quale crea
-uno stile speciale di lavoro, uno stile leninista. In che cosa
consistono i tratti caratteristici di questo stile? Quali sono le
sue particolarità?
Queste particolarità sono due: a) lo slancio rivoluzionario
russo e b) lo spirito pratico americano. Lo stile del leninismo
consiste nell'unione di queste due particolarità nel lavoro
di partito e di Stato.
Lo slancio rivoluzionario russo é un antidoto contro
l'inerzia, la spirito abitudinario e di conservazione, la
stagnazione del pensiero, la sottomissione servile alle tradizioni
degli avi. Lo slancio rivoluzionario russo é una forza
vivificatrice, che sprona il pensiero, che spinge in avanti, che
distrugge il passato, che dà una prospettiva. Senza di esso
non é possibile nessun movimento in avanti. Ma v'é
ogni probabilità che esso degeneri, all'atto pratico, in un
vuoto manilovismo «rivoluzionario», se non lo si unisce,
nel lavoro, con lo spirito pratico americano.
Esempi di una degenerazione simile ce ne sono a bizzeffe. Chi non
conosce la malattia del miracolismo "rivoluzionario", della
pianomania "rivoluzionaria", che traggono origine dalla fede cieca
nella forza di un decreto, capace di tutto disporre, di tutto
trasformare? Uno scrittore russo, I. Ehrenburg, ha descritto, nel
suo racconta « Uscomcel» (« L'uomo comunista
perfetto »), il tipo di un « bolscevico » che,
preso da questa malattia, si é posto il compito di fare lo
schema dell'uomo idealmente perfetto e ... e s'é
«annegato» in questo «lavoro». Nel racconto
v'é molto di esagerato, ma non v'é dubbio che la
malattia vi é ben colta. Mi pare però che nessuno
abbia saputo schernire questo genere di malattia in modo così
crudele e implacabile come Lenin. «Presunzione
comunista» - così egli bollava questa fede morbosa nei
progetti miracolosi e nella fabbrica di decreti.
«La presunzione comunista, - dice Lenin, - significa che un
individuo che si trova nel partito comunista e non ne è
ancora stato espulso, immagina di poter assolvere tutti i suoi
compiti a colpi di decreti comunisti» (Lenin, «La Nep e
i compiti delle organizzazioni di educazione politica», Vol.
XXVII, pp. 50-51).
Alle chiacchiere «rivoluzionarie», Lenin era solito
contrapporre cose semplici e di ogni giorno, sottolineando in questo
modo che il miracolismo «rivoluzionario» é
contrario allo spirito e alla lettera del vero leninismo.
" Meno frasi pompose, - dice Lenin, - più lavoro concreto,
quotidiano... Meno cicaleccio politico, più attenzione ai
fatti più semplici, ma vivi... dell'edificazione
comunista..." (Lenin, «Una grande iniziativa», Vol.
XXIV, pp. 343 e 335).
Lo spirito pratico americano é invece l'antidoto contro il
manilovismo «rivoluzionario» e contro il miracolismo
fantastico. Lo spirito pratico americano é una forza
indomabile, che non sa e non riconosce nessuna barriera, che rimuove
con la sua tenacia pratica ogni sorta di ostacoli, che, una volta
incominciato un lavoro, anche piccolo, non può non portarlo a
termine, una forza senza la quale é inconcepibile un serio
lavoro costruttivo.
Ma lo spirito pratico americano ha tutte le probabilità di
degenerare in un affarismo gretto e senza principii se non lo si
unisce con lo slancio rivoluzionario russo. Chi non conosce la
malattia del praticismo ristretto e dell'affarismo senza principii,
che porta non di rado certi «bolscevichi» alla
degenerazione e all'abbandono della causa della rivoluzione? Questa
malattia particolare é stata descritta in un racconto di
Pilniak: «La fame», in cui sono rappresentati dei tipi
di «bolscevichi» russi pieni di volontà e di
decisione pratica, che «funzionano» molto
«energicamente», ma non hanno prospettive, ignorano
«il perché e il come» e perciò smarriscono
la via del lavoro rivoluzionario.
Nessuno ha schernito in modo così caustico come Lenin questa
malattia dell'affarismo. «Praticismo gretto» e
«affarismo senza testa», così Lenin bollava
questa malattia. Egli le contrapponeva di solito l'attività
rivoluzionaria vivente e la necessità di avere delle
prospettive rivoluzionarie in tutte le cose del nostro lavoro
quotidiano, sottolineando in questo modo che l'affarismo senza
principii é altrettanto contrario al vero leninismo, quanto
lo é il miracolismo «rivoluzionario».
Unione dello slancio rivoluzionario russo con lo spirito pratico
americano: tale é l'essenza del leninismo nel lavoro di
partito e di Stato.
Solo quest'unione ci dà il tipo completo del militante
leninista, lo stile del leninismo nel lavoro".
Stalin - Università Sverdlov. Aprile 1924