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Spartaco (Tracia, circa 109 a.C. – Lucania, 71 a.C.) è stato
un gladiatore Trace che capeggiò una rivolta di schiavi, la
più impegnativa delle guerre servili che Roma dovette
affrontare: viene per questo motivo soprannominato "lo schiavo che
sfidò l'impero".
Primi anni
Si sa poco di preciso sulla sua giovinezza: è comunque certo
che nacque in Tracia da una famiglia di pastori appartenente alla
tribù dei Maedi; intraprese la professione del padre, ma
ridotto in miseria accettò di entrare nell'esercito romano,
con cui combatté in Macedonia col grado di milite ausiliario.
La dura disciplina cui era obbligato e i numerosi episodi di
razzismo che dovette subire all'interno della milizia lo convinsero
a disertare e a scappare. In verità c'è anche chi
afferma che fosse figlio di un proprietario terriero campano che
ottenne la cittadinanza subito dopo la conclusione della guerra
italica, le informazioni relative erano contenute nel Tabularium
voluto da Lucio Cornelio Silla, ma andarono perse prima che
iniziasse la rivolta. Catturato, fu giudicato disertore e
condannato, secondo la legge criminale militare romana, alla
riduzione in schiavitù. In seguito, intorno al 75 a.C., fu
destinato a fare il gladiatore; Spartaco, infatti, venne venduto a
Lentulo Batiato, un lanista che possedeva una scuola di gladiatori a
Capua. Spartaco fu obbligato a combattere all'interno
dell'anfiteatro campano contro belve feroci e contro altri
gladiatori com'era in uso a quel tempo per divertire popolo e
aristocrazia.
La ribellione
Spartaco, esasperato dalle inumane condizioni che Lentulo riservava
a lui e agli altri gladiatori in suo possesso, decise di ribellarsi
a questo stato di cose e nel 73 a.C. scappò dall'Anfiteatro
capuano in cui era confinato; altri 70 gladiatori lo seguirono fino
al Vesuvio, prima tappa della rivolta spartachista. Sulla strada che
portava alla montagna i ribelli si scontrarono con un drappello di
soldati della locale guarnigione, che gli erano stati mandati
incontro per contrastarli e catturarli. La vittoria però
arrise a Spartaco e ai suoi, benché armati di soli attrezzi
agricoli e di coltelli e spiedi di cui si erano impossessati nella
caserma e nella mensa della scuola gladiatoria, e essi ebbero
così modo di armarsi con le armi da guerra dei soldati romani
caduti. Spartaco fu eletto a capo dei ribelli insieme ai galli
Enomao e Crixus (detto anche Crisso o Crixio) e si rifugiarono ai
piedi del vulcano per riorganizzarsi, aumentare le proprie forze
accogliendo altri schiavi fuggiaschi e addestrandoli e per decidere
sul da farsi.
Prime fasi
Il Senato di Roma inviò, in rapida successione, due pretori
(prima Gaio Claudio Glabro e poi Publio Varinio) in Campania con
l’ordine di reprimere la rivolta. Glabro arruolò,
letteralmente strada facendo, una legione raccogliticcia di 3000
unità circa, fatta di uomini inesperti e non addestrati.
Inoltre, una spedizione di repressione del brigantaggio e cattura di
schiavi fuggitivi era considerata non particolarmente onorevole dal
punto di vista militare per i legionari, i quali non avevano neppure
la prospettiva di fare bottino di guerra (trattandosi, diremmo noi
oggi, di un’operazione di polizia militare interna) né la
speranza di saccheggio, né di premio di congedo, per cui
sostanzialmente vennero arruolati uomini di basso livello.
Quando Glabro cinse d’assedio la posizione sulla quale si erano
asserragliati Spartaco e i suoi, questi ultimi, profittando
dell’oscurità, riuscirono ad aggirare l’accerchiamento senza
che le sentinelle romane se ne accorgessero, per cui riuscirono
addirittura a circondare l’accampamento romano e forti della
sorpresa l’attaccarono, sterminando una gran parte dei legionari,
mentre altri ancora si davano ad una precipitosa fuga in quella che
viene denominata "battaglia del Vesuvio". Questo successo militare
ottenuto grazie all’esperienza militare di Spartaco e alla sua
sagacia tattica fece accorrere tra le sue fila un enorme numero
degli schiavi fuggitivi, pastori e contadini poveri dei dintorni del
Vesuvio, sicché la cinta d’assedio posta intorno al Vesuvio
fu spezzata e più legioni romane finirono per essere
successivamente e nettamente sconfitte in Campania.
Il successo militare più eclatante ottenuto dai rivoltosi fu
quello conseguito contro il pretore Publio Varinio e i suoi legati
propretori, Furio e Cossinio: Spartaco non si limitò a
sconfiggere i soldati, ma riuscì anche ad impadronirsi dei
cavalli, delle insegne delle legioni e dei fasci littori del
pretore. Da questa posizione egli riuscì a dominare su tutta
la ricca regione campana.
In effetti, accadde che Cossinio si fece cogliere di sorpresa mentre
faceva il bagno a Saline, una località tra Herculaneum e
Pompei e a stento riuscì a salvarsi, per il momento, dal
colpo di mano operato dai ribelli. Successivamente dopo un
inseguimento, Spartaco operò l’assalto finale nel quale
perirono moltissimi legionari e lo stesso legato. Quindi, venne il
turno di Varinio il quale, dal canto suo, aveva preso delle
contromisure preventive atte a dissuadere attacchi di sorpresa del
nemico. Tuttavia, la disciplina militare nel campo romano lasciava
molto a desiderare: parte dei legionari era ammalata mentre la parte
superstite si era ammutinata evidentemente per l’incapacità
nell’esercizio del comando militare di Varinio, oltre che per la
scarsa qualità umana dei reparti a disposizione del pretore,
che si vide costretto ad inviare il questore Gaio Toranio, allo
scopo di fare rapporto al Senato sull’andamento delle operazioni.
Non deve assolutamente sorprendere un simile rovescio subito dalle
armi romane, sia perché non si trattava delle legioni
migliori, sia perché i pretori e i loro legati, ufficiali
arruolati al seguito e tratti dal loro entourage
politico–amministrativo–amicale, erano spesso e volentieri
completamente digiuni di strategia e di tattica militare, siccome a
Roma si occupavano essenzialmente di esercitare la giurisdizione e
solo raramente, e in casi eccezionali, erano investiti di comandi
militari.
Evidentemente, i consoli in carica Gaio Cassio Longino e Marco
Terenzio Varrone Lucullo non avevano particolare interesse ad
impegnarsi in questa campagna e la sottovalutazione di Spartaco fu
la causa dell’espandersi del conflitto, che causò molte
perdite umane ed economiche. Resosi conto di ciò, Spartaco
decise di volgere la sua marcia verso sud in direzione di Cuma, dopo
essere riuscito a spezzare il tentativo di accerchiamento e
successivo aggancio operato da Varinio. I ribelli spartachisti
riuscirono a svernare nel 73-72 a.C. indisturbati, anzi non solo con
le razzie si alimentavano, ma riuscirono anche ad equipaggiarsi con
armi fabbricate da loro stessi.
Tuttavia, iniziò a serpeggiare il seme della discordia anche
nel campo di Spartaco, poiché i ribelli Galli e Germani,
capeggiati da Crisso ed Enomao volevano riprendere l’iniziativa
attaccando le legioni romane, mentre Spartaco, ben consapevole della
resistenza e capacità di ripresa sulla lunga distanza degli
eserciti romani, era contrario. Infatti si decise di estendere la
rivolta anche a Sud della Campania, occupando quindi la Calabria e
la Lucania (corrispondente a quasi tutta l'attuale Basilicata,
esclusa la zona di Melfi, e gran parte dell'attuale provincia di
Salerno). In queste zone, contro gli ordini stessi di Spartaco i
ribelli Galli e Germani si abbandonarono ad ogni sorta di violenza,
saccheggio, devastazione: villaggi bruciati, donne stuprate e
assassinate, bestiame depredato, sembrava che un’apocalisse si fosse
abbattuta sulla Campania. Tutti i tentativi di Spartaco d’impedire
questi eccidi furono vani, tanto che iniziò ad attirarsi
l’odio dei suoi stessi seguaci.
Nel 72 a.C. sembrò che il Senato iniziasse a prendere sul
serio la rivolta spartachista, sulla scia dell’indignazione popolare
che aveva sollevato la scia di sangue, saccheggi e stupri commessi
dagli schiavi fuggitivi e deliberò che i consoli di
quell’anno, Lucio Gellio Publicola e Gneo Cornelio Lentulo Clodiano
schiacciassero la rivolta. Crisso, con una maggioranza di ribelli
celti e germanici ai suoi ordini, scese in Apulia (oggi Puglia), ma
qui fu sconfitto da Publicola nella Battaglia del Gargano. L'esito
fu così disastroso che Quinto Avio, il propretore di Gellio,
riuscì assolutamente indisturbato ad uccidere Crisso con un
pugnale.
Spartaco non si intimorì alla notizia della morte
dell'alleato, e anzi riuscì a battere nuovamente le truppe
romane, attestate in due eserciti comandati dai consoli Lucio Gellio
Publicola e Gneo Cornelio Lentulo Clodiano uno di qua e uno di
là dell'Appennino. L'esercito comandato dal console Clodiano
Lentulo, nel tentativo di sbarrare il passo agli insorti, sarebbe
stato sconfitto (estate del 72 a.C.) nell'Appennino tosco-emiliano.
Spartaco ebbe la meglio anche sul governatore della Gallia
cisalpina, il proconsole Gaio Cassio Longino Varo, che gli venne
incontro nei pressi di Mutina (l'attuale Modena) con un esercito di
10.000 uomini, ma fu letteralmente sbaragliato e a stento si
salvò, dopo un’enorme strage di legionari romani.
Perciò, guidò le sue truppe verso la Lucania e si
fermò nei pressi di Turi, ove riarmò il suo esercito,
alimentandolo con le razzie e i saccheggi e si scontrò
nuovamente con i Romani che furono ancora una volta sconfitti.
L'intervento di Crasso
Nel dicembre del 72 a.C., proprio mentre Spartaco tornava in
Lucania, il Senato romano diede al proconsole Marco Licinio Crasso
l'incarico di reprimere la rivolta. Crasso pretese il comando su
otto legioni, in modo tale da avere una schiacciante
superiorità in termini numerici.
Crasso mosse contro Spartaco con sei legioni, cui si aggiunsero le
altre due consolari ripetutamente sconfitte, che le fonti,
però, riferiscono essere state decimate dal loro stesso nuovo
comandante. Infatti, si narra che, venuto a battaglia con l’esercito
di Spartaco, Crasso sia stato sconfitto e per punizione abbia
ordinato la decimazione delle legioni consolari fino all’immane
cifra di ben 4.000 legionari giustiziati con il sistema della
verberatio (a bastonate) per la codardia mostrata nei confronti del
nemico. Ma il principale responsabile di quest’ennesimo rovescio era
stato un amico di Crasso, Mummio, che, insieme ad altri nobili, si
era posto agli ordini del proconsole, com’era consuetudine per la
nobiltà quando s’intraprendeva qualche campagna al comando di
valorosi condottieri, per mettersi in luce nelle campagne politiche.
Mummio disobbedì agli ordini e attaccò Spartaco, ma
questi reagì sopraffacendolo.
Con l'uso della verberatio Crasso si guadagnò più di
Spartaco la paura e il timore reverenziale dei suoi uomini,
ristabilendo, in questo modo alquanto sanguinario, ma non inconsueto
nella storia dell’esercito romano, la disciplina e la fedeltà
delle sue truppe.
Spartaco, preso in controtempo da questa decisione, decise allora di
sbarcare in Sicilia in modo tale da unirsi a una rivolta di schiavi,
indipendente dalla sua, che si stava svolgendo in quel momento in
Trinacria. Tuttavia, a causa del tradimento di alcuni pirati cilici
(che si misero d'accordo con il famigerato governatore della Sicilia
Verre), fu costretto a rimanere fermo, nonostante il tentativo di
attraversare lo stretto a bordo di zattere improvvisate che
però non riuscivano ad assicurare l’approdo, anche
perché Verre aveva nel frattempo fortificato le coste nei
pressi di Messina.
Crasso ordinò allora la creazione di un grande muro nella
parte più stretta che separava il mar Ionio dal mar Tirreno,
in prossimità dell'istmo di Catanzaro, protetto da un fossato
molto largo e profondo, che, tagliando da mare a mare la Calabria
bloccasse Spartaco e non facesse arrivare rifornimenti di alcun
genere alle sue truppe, tenendo nel contempo impegnati e ben
allenati i legionari. Infatti, accadeva che Spartaco ricevesse
aiuto da briganti, schiavi fuggitivi e disertori, ma non dai
contadini o dagli abitanti delle città atterriti dalle sue
imprese. Tuttavia, Spartaco, dopo una serie di tentennamenti,
poiché in campo aperto aveva subito dei parziali rovesci da
parte dell’esercito romano, decise di forzare il blocco, facendo
attraversare le sue truppe in un punto delle opere di difesa che era
stato neutralizzato.
La sconfitta
Rotto il blocco Spartaco si diresse verso l’Apulia, secondo alcuni
perché di lì voleva salpare alla volta della Tracia,
secondo altri perché voleva far insorgere gli schiavi di
quella regione. Allora Crasso lo attaccò alle spalle, ma egli
riuscì inizialmente a sconfiggerlo nella battaglia di
Petilia. Tuttavia, a causa della stanchezza dei suoi uomini,
Spartaco non poté sfruttare al meglio il suo successo,
avvenuto nel gennaio del 71 a.C., anche perché l'esercito
romano, ora numeroso e ben armato, costrinse Spartaco prima alla
fuga verso Brindisi (dove due suoi ex alleati, Castro e Giaunico,
vollero muovere battaglia da soli ai romani, perdendo nettamente) e
poi alla ritirata, ancora verso la Lucania. Difatti la piana del
metapontino, oggi nella provincia di Matera, è teatro del
passaggio dell’esercito di schiavi e disperati di Spartaco che gli
permisero di raccogliere nuovi consensi. Plutarco parla dell’arrivo
di “molti mandriani e pastori della regione che, gente giovane e
robusta, si unirono ad essi”, e a cui fu permesso di agire
liberamente saccheggiando molti insediamenti in zona tra le quali
Heraclea (oggi Policoro), e Metapontum (oggi Metaponto), dove il
gladiatore ribelle si incontrò con il pirata cilicio Tigrane
per organizzare il sospirato imbarco da Brindisi verso la Cilicia,
poi fallito per il tradimento di quest’ultimo.
Il preannunciato arrivo delle truppe di Gneo Pompeo Magno e di Marco
Terenzio Varrone Lucullo, proconsole di Macedonia diede la scossa a
Crasso che, a quel punto, non voleva dividere la gloria dell’impresa
con i suoi rivali, anche perché a Roma si rumoreggiava sulla
lunghezza della campagna stessa. La battaglia finale che vide la
sconfitta e la morte di Spartaco nel 71 a.C. si svolse nei pressi
delle sorgenti del fiume Sele e in particolare sulla riva destra
("ad caput Sylaris fluminis"), approssimativamente tra i territori
attuali dei comuni di Caposele, Senerchia, Oliveto Citra, Calabritto
e Quaglietta, in quella Alta Valle del Sele che a quel tempo faceva
parte della Lucania. In quest'area, nei decenni passati, ci sono
stati ritrovamenti di armature, corazze e spade di epoca romana.
Come narra Paolo Orosio, la battaglia finale fu preceduta da
numerosi e molto cruenti scontri; prima di questa battaglia Spartaco
uccise il suo cavallo, dicendo che se avesse vinto avrebbe avuto
tutti i cavalli che voleva, ma se avesse perso non voleva essere
tentato di scappare: 60.000 schiavi morirono. I romani persero solo
1.000 uomini e fecero 6.000 prigionieri; a quanto è dato
sapere, alcuni legionari romani dissero che Spartaco si buttò
per primo contro di loro e dopo aver ucciso alcuni soldati romani fu
crivellato da così tanti colpi che il suo corpo non
poté essere ritrovato. Alcuni reparti del suo esercito
fuggirono e si dispersero sui monti circostanti. Crasso fece
crocifiggere – nudi – lungo la via Appia da Capua a Roma tutti i
prigionieri.
Altri reparti dell'esercito ribelle, circa 5.000 uomini, tentarono
la fuga verso nord, ma vennero intercettati e annientati da Gneo
Pompeo Magno, che sopraggiungeva con le sue truppe dall’Hispania.
Terminava così la rivolta di Spartaco. Tuttavia rimasero vivi
alcuni focolai portati avanti da seguaci di Spartaco scampati.
Ancora nel 61 a.C. il propretore Ottavio, mentre si recava in
Macedonia, di cui aveva ottenuto per sorteggio l’amministrazione
dopo la pretura, annientò gli ultimi brandelli dell’esercito
di Spartaco e di Lucio Sergio Catilina che si erano rifugiati a
Turi.
Popolarità dopo la morte
Spartaco, che secondo alcuni storici testimoni oculari delle sue
imprese era alto, bello, intelligente, gentile e carismatico,
divenne un personaggio leggendario, un emblema dell'eroe idealista
capace di lottare titanicamente in nome della libertà e di
sconfiggere i più forti eserciti del mondo grazie allo
slancio ideale più che alle armi.
Già la sua ribellione viene citata dal poeta latino
Claudiano, quasi cinque secoli dopo i fatti, nel poema: De bello
Gothico, accostando la debolezza dei Romani del V secolo alla
ignominiosa sconfitta delle forze romane per opera dello schiavo
Spartaco.
La sua figura entrò nel pensiero politico moderno con Karl
Marx, che in una lettera del 27 febbraio 1861 cosi' scrisse a
Engels:
« La sera per passare il tempo stavo
leggendo "Le guerre civili Romane" di Appiano, nel suo originale
testo greco. Un libro di gran valore. ... Spartaco emerge come uno
dei migliori protagonisti dell'intera storia antica. Un grande
generale (a differenza di Garibaldi), un carattere nobile, un
genuino rappresentante dell'antico proletariato. » (Marx )
Il romanziere e garibaldino Raffaello Giovagnoli nel 1873 pubblica
il romanzo "Spartaco" come tributo all'eroismo garibaldino, e il
romanzo stesso è stampato con una lettera di Garibaldi in
prefazione, che si definisce un liberto e termina auspicando un
futuro in cui non ci saranno né gladiatori né padroni.
La sua figura ispirò romanzi, film, e alcune
personalità politiche quali Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht
che nel 1919 fondarono la Lega di Spartaco e che vennero definiti
appunto "spartachisti". Inoltre la società sportiva russa
Spartak Moscow prende il nome dallo schiavo Trace.