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    Biografia
    
    Joseph Alois Schumpeter nacque nel 1883 a Triesch, in Moravia
    (Repubblica Ceca), allora parte dell'Impero Austro Ungarico, da una
    famiglia appartenente all'etnia tedesca dei Sudati: con essa si
    spostò a Graz dopo la morte del padre e, in seguito, a
    Vienna, dove la madre si era stabilita con il nuovo marito. Nella
    capitale dell'Impero, Schumpeter studiò presso la
    facoltà di Diritto, dove si specializzò in economia
    sotto la guida di Friedrich von Wieser ed Eugen von
    Böhm-Bawerk. Dopo la laurea ed una breve esperienza
    professionale come avvocato al Cairo, Schumpeter fece ritorno in
    patria, ottenendo l'incarico di professore d'economia
    all'Università di Czernowitz, città che attualmente si
    trova in Ucraina. Insegnò poi a Graz (1911 - 1918). Dopo la
    “grande guerra”, fece parte di una commissione per lo studio delle
    socializzazioni istituita dalla repubblica di Weimar. Nel 1919,
    Schumpeter rivestì, seppur per pochi mesi, la carica di
    ministro delle finanze nel governo della giovane repubblica
    austriaca. In seguito, tenne la presidenza della banca Biederman,
    fino al 1924, anno in cui riprese la docenza universitaria, questa
    volta a Bonn. Nel 1932 si trasferì negli Stati Uniti, dove
    insegnò ad Harvard fino a che la morte lo colse nel sonno,
    l'8 gennaio 1950.
    
    Negli Stati Uniti fu presidente della Società Econometrica e
    dell'American Economic Association. Le sue lezioni universitarie
    vennero considerate troppo difficili per la media degli
    universitari, troppo dense di dati e nozioni e, quindi, secondo i
    critici, non fu un buon docente per la maggioranza dei suoi
    studenti. Alcuni allievi, al contrario, costruirono con lui un
    rapporto saldissimo e lo considerarono sempre un punto di
    riferimento. Tra questi ultimi, Paul Samuelson e l'italiano Paolo
    Sylos Labini.
     
     
    Il pensiero
    Equilibrio e sviluppo.
    
    L'apporto più originale e caratterizzante dato da Schumpeter
    alla teoria economica è, probabilmente, costituito dalla sua
    concezione dello sviluppo.
    
    Nella sua opera prima, L'essenza e i contenuti fondamentali
    dell'economia teorica (1908), egli aveva sostenuto l'affinità
    dell'economia alle scienze naturali, sostenendo che lo studio
    economico dovesse essere tenuto ben separato da quello delle scienze
    sociali. Seguiva così le concezioni di Leon Walras,
    l'economista da lui più stimato, padre della prima
    formulazione completa della teoria di equilibrio economico generale,
    secondo cui il sistema economico si adattava ai fattori esogeni
    (istituzioni, evoluzioni politiche, eventi storici, ecc.) ed
    endogeni (preferenze dei consumatori, sviluppo tecnico, ecc.),
    tendendo all'equilibrio. Ma Schumpeter si spinse oltre.
    
    Con il basilare Teoria dello sviluppo economico (1911), l'economista
    austriaco aggiunse a questo approccio "statico", un approccio
    "dinamico", adatto a spiegare la realtà dello sviluppo. In
    un'ipotetica economia basata sul modello statico, i beni vengono
    prodotti e venduti secondo la mutevole domanda dei consumatori ed il
    ciclo economico assorbe le influenze della storia, ma i prodotti
    scambiati rimangono sempre gli stessi, le strutture economiche non
    mutano, e così via. Schumpeter fa notare che questo modello
    di economia non corrisponde alla realtà ed egli lo supera con
    il già menzionato approccio "dinamico", in cui un nuovo
    soggetto, l'imprenditore, introduce nuovi prodotti, sfrutta le
    innovazioni tecnologiche, apre nuovi mercati, cambia le
    modalità organizzative della produzione. L'imprenditore
    può fare questo in quanto dispone dei capitali messigli a
    disposizione dalle banche, che remunera con l'interesse, ossia una
    parte del profitto aggiuntivo realizzato grazie all'innovazione.
    
    La teoria delle innovazioni consente a Schumpeter di spiegare
    l'alternarsi, nel ciclo economico, di fasi espansive e recessive. Le
    innovazioni, infatti, non vengono introdotte in misura costante, ma
    si concentrano in alcuni periodi di tempo –  che, per questo,
    sono caratterizzati da una forte espansione – a cui seguono le
    recessioni, in cui l'economia rientra nell'equilibrio di flusso
    circolare. Un equilibrio però, non uguale a quello
    precedente, ma mutato dall'innovazione.
    
    Le opere del periodo americano
    
    Abbandonata nel 1932, anche se non per motivi eminentemente
    politici, una Germania che stava per precipitare nella barbarie
    nazista (il 30 gennaio 1933 Hitler diverrà cancelliere) a
    favore degli Stati Uniti e dell'Università di Harvard,
    Schumpeter continuò ad affinare le sue teorie anche nella
    nuova sede americana.
    
    Del 1939 è l' uscita di Cicli Economici, in cui il nostro
    autore rielabora e perfeziona i concetti già espressi nella
    Teoria dello sviluppo economico. Il ciclo economico si scompone
    così in diversi momenti (espansione, recessione, depressione,
    ripresa), che operano su diverse scale temporali, le cosiddette
    "onde", a seconda dell'importanza delle innovazioni introdotte.
    Così le innovazioni davvero epocali (macchina a vapore,
    petrolio...) si susseguono a cicli particolarmente lunghi, intorno
    ai cinquanta anni (cicli Kondratieff), quelle di valore intermedio
    esauriscono il ciclo in tempi minori (cicli Juglar) e così a
    discendere, fino a quelle di valore minimo (cicli Kitchin).
    
    Il 1942 è l'anno di Capitalismo, socialismo, democrazia. Si
    tratta di un'opera in cui convivono diversi ambiti: quello
    economico, quello politico e sociologico. Schumpeter esordisce
    ponendo i confini tra la sua teoria e quella marxiana. Per Karl
    Marx, come per l'economista austriaco, il capitalismo si sviluppa in
    fasi cicliche per fattori interni (peraltro, diversi: il plusvalore
    per Marx, l'innovazione per Schumpeter) e, per entrambi, è
    destinato ad essere sostituito dal socialismo. Schumpeter rifiuta
    però la concezione di Marx delle istituzioni sociali come
    mere sovrastrutture dei rapporti di produzione e, soprattutto, non
    concorda con il filosofo di Treviri circa le cause per cui il
    capitalismo entrerà in crisi irreversibile. Per Schumpeter
    sarà, infatti, proprio il successo del capitalismo a renderne
    inevitabile il declino. Con il processo di distruzione creatrice che
    la caratterizza, l'economia borghese sostituisce i vecchi modi di
    produrre e pensare, promovendo lo sviluppo, ma distrugge anche i
    valori tipici dell'ancien regime, importante supporto alla
    stabilità. 
    Soprattutto – e qui si giunge alla geniale intuizione di Schumpeter
    – mentre nella grande impresa capitalistica il ruolo
    dell'imprenditore, creativo e diretto all'innovazione, verrà
    sempre più sostituito dalla mentalità burocratica e
    tendente all'immobilismo dei managers, nella società si
    affermeranno, ad opera degli intellettuali, valori contrari allo
    sviluppo capitalistico, facendo sì che i capitalisti stessi
    prima si vergognino del proprio ruolo ed, infine, rinuncino ad esso.
    
    
    A quel punto, una qualsiasi forma di socialismo sarà
    inevitabile sbocco al capitalismo monopolistico ed alla sua
    eutanasia. Il passaggio al socialismo non avverrà, infatti, a
    mezzo di una rivoluzione violenta, come profetizzato dai marxisti e
    realizzato dai bolscevichi, ma con un processo graduale, per vie
    parlamentari – ogni accelerazione rivoluzionaria, come quella
    sovietica, avrebbe unicamente causato innumerevoli lutti – e
    darà vita ad un sistema socialista compatibile con la
    democrazia, in cui si vedrà la concorrenza di gruppi
    corporativi, non più regolata dal mercato, bensì dallo
    Stato. 
    
    A proposito di quest'opera, Schumpeter dichiarò non aver
    inteso scrivere un manifesto politico (era, del resto, un
    conservatore e non nutriva alcuna simpatia per il socialismo), ma
    semplicemente un'analisi sociale. In sintonia con Marx su molti
    punti, Schumpeter sottolinea l’importanza dello spirito innovativo
    in campo economico, che è in grado di offrire benessere e
    ottenere il profitto come corrispettivo. L’economia si svolge per
    fasi: a quella prospera segue la fase di flessione e quindi quella
    di ripresa. Per Schumpeter il capitalismo, dopo aver distrutto tutte
    le altre formae mentis, alla fine distruggerà anche se
    stesso.
    
    Il nostro autore afferma che il processo capitalistico tende alla
    eliminazione delle piccole e medie aziende, in un processo che lo
    porterà a negare se stesso:
     
    “Il processo capitalistico, sostituendo i pacchetti di azioni ai
    muri e alle macchine dello stabilimento, svuota il concetto di
    proprietà, ne indebolisce la presa un tempo cosí forte
    – la presa nel senso del diritto legale e della capacità
    reale di trasformare ciò che si ha in ciò che si
    vuole, sia nel senso che il possessore del titolo è deciso a
    combattere, economicamente, fisicamente e politicamente per la
    “propria” azienda e per il suo controllo e a morire, se necessario,
    sui suoi gradini. L’evaporazione di quella che possiamo chiamare la
    sostanza materiale della proprietà – e la sua realtà
    visibile e tangibile – incide non solo sull’atteggiamento degli
    azionisti, ma anche su quello degli operai e del pubblico in genere.
    La proprietà smaterializzata, sfunzionalizzata e assenteista
    non esercita piú il fascino tipico della forma ancora vitale
    della proprietà. Un giorno non ci sarà piú
    nessuno al quale veramente prema di difenderla – nessuno
    all’interno, e nessuno all’esterno dei confini dell’azienda-gigante”
    (Capitalismo, socialismo, democrazia, Etas Libri, Milano 1977, pp.
    136-137).
     
    L'ultima opera importante, Storia dell'analisi economica,
    uscì postuma, nel 1954, curata dalla vedova Elizabeth Buzzy e
    dagli allievi William Godwin e Paul Sweezy.