Domenico da San Gimignano

 

 

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di Diego Quaglioni

Nacque a San Gimignano (prov. di Siena) intorno al 1375, da Bartolo Mainardi.

Sono poche e incerte le notizie biografiche intorno a questo canonista fra i principali del primo quarto del XV secolo, di cui si ignora la precisa data di nascita (che non può tuttavia essere posta, con l'Aubert, "à la fin du XIVe siècle"). Se si eccettua il diploma di dottorato, pubblicato or è quasi un secolo dal Ridolfi, solo a pochi cenni autobiografici sparsi nelle sue opere dobbiamo le frammentarie notizie sulla vita e sulla carriera accademica e curiale di Domenico. Dai commentari al Liber Sextus di Bonifacio VIII (c. 4, VI, I, 14 e c. 1, VI, 4, 6) si apprende infatti che egli ebbe per maestro il celebre canonista Antonio da Budrio (c. 1338-1408) e, stando a quanto si legge nel consilium 50 e sempre che tale espressione non indichi un formale e generico ossequio, egli avrebbe avuto anche Pietro d'Ancarano come dominus suus. Ancora il Diplovatazio, citando i consilia 100 e 151, ricorda che D. parla di sé come "licentiatus in iure canonico" e "decretorum doctor". Sempre dai consilia si apprende inoltre della sua attività di "auditor camerae apostolicae", mentre da un Tractatus super modum visitationis, scritto "per modum sermonum" e ricordato ancora dal Diplovatazio, si sa che ai 29 di maggio del 1407 egli fungeva da vicario generale del vescovo di Modena. Stando alle notizie raccolte dal Ridolfi, D. si laureò infatti a Bologna il 13 marzo 1402, presentato da Antonio da Budrio (il diploma dottorale, che menziona tale circostanza, reca però la data del 20 genn. 1411). Sempre il Ridolfi, nel suo breve ma fondamentale studio, lo vuole vicario del vescovo di Mantova nel 1407, "nel 1412 Vicario dell'Arcivescovo di Bologna e al tempo stesso lettore di Diritto Canonico nell'Università; nel 1414 riformatore dello Studio fiorentino; nel 1415 lettore nell'Università di Siena dalla quale sembra che passasse a quella di Firenze qualche anno dopo; nel 1419 fu riformatore a Bologna, nel 1420 creato da Martino V Auditore generale della Camera Apostolica ..." (Ridolfi, p. 34).

Il suddetto consilium 100 aggiunge anzi qualche ulteriore dato. Si tratta infatti, più che di un parere legale vero e proprio, di un Summarium iurium del Comune di San Gimignano, prodotto e ordinato dal canonista come memoria difensiva in una controversia sopra i confini territoriali fra la sua città d'origine e la Comunità di Volterra, datato all'agosto del 1418: "summariurn et memoriale iurium productarum et defensionum Communis Sancti Giminiani super questione confinium quam habet contra communitatem Volterrarum".

La vicenda alla quale il nome e l'opera di D. restano maggiormente legati è però quella della contesa fra Benedetto XIII e Gregorio XII e della loro deposizione al concilio di Pisa, nel giugno del 1409. A Pisa egli fu presente ed ebbe sicuramente parte nella sentenza di deposizione, della quale si parla nel suo consilium 141, che inizia con le parole "Sacra et universalis synodus" e che ha forse, in seguito, circolato come Tractatus super congregatione concilii Pisani nelle raccolte manoscritte di letteratura ecciesiologica e conciliare della prima metà del sec. XV. Un buon esempio di ciò è il ms. 16 dell'Archivo capitular de la catedral de Barcelona, che comprende quel testo insieme con il Tractatus scismatis del cardinale Francesco Zabarella, il Tractatus de causa immediata ecelesiastice potestatis di Guillaume de Pierre Godin e scritti vari di Pierre d'Affly, Jean Gerson, Niccolò Cusano. E si può ricordare, a tal proposito, anche il ms. Ottob. lat. 641 della Bibl. ap. Vaticana, che raccoglie una memoria di D. in tema di rapporti fra papa e concilio insieme con scritti del Godin, del Torquemada, di Niccolò Tudeschi e di Pietro Dei Monte.

Le opere ecclesiologiche e gli scritti esegetici di D. risultano del resto significativamente presenti nelle biblioteche di alcuni dei maggiori esponenti della cultura romana e della Curia pontificia del secolo XV, come i cardinali Juan de Mella († 1467) e Guillaume d'Estouteville († 1483), ai quali appartennero i codd. Vat. lat. 2265-2266 e 2559, contenenti rispettivamente la prima e la seconda parte dei Commentaria in Librum Sextum e le Distinctiones super Decreto. Un codice della Lectura in Sextum appartenne anche ad Ermolao Barbaro il Vecchio, protonotario apostolico durante il pontificato di Eugenio IV (1436), quindi vescovo di Treviso (1443-1453) e di Verona (1453-471): si tratta dell'attuale Vat. lat. 13724, contenente un testo anepigrafo e perciò attribuito, in base all'errata interpretazione di una nota del possessore, al Barbaro medesimo; solo in tempi recenti l'Avesani ne ha restituito la paternità a D., contribuendo così a far luce sulla diffusione manoscritta dell'opera negli ambienti della Curia romana. A anche di certo rilievo la presenza di codici manoscritti contenenti opere di D. presso centri di notevole importanza per la cultura religiosa romana del XV secolo, come la biblioteca agostiniana di S. Maria del Popolo e la biblioteca domenicana di S. Maria sopra Minerva, nella quale conflui la biblioteca del cardinale Juan de Torquemada († 1468). Del resto le opere di D. furono presto oggetto d'interesse delle prime tipografie giuridiche romane: lo stampatore tedesco Sixtus Riessinger mandò infatti sotto i torchi già nel 1470 la prima parte della sua Lectura super Sexto Decretalium (Hain [H], 7529; Indice gen. d. incunamboli delle Bibl. d'Italia [IGI] 3541; Gesamtkatolog der Wiegendrucke [GW], 8643, Indice delle edizioni romane a stampa [IERS], 55); e il suo collega Adam Rot completò l'opera ai 30 di settembre dell'anno successivo, finendo di imprimere la seconda parte dei commentari (H *7540; IGI, 3544; GW, 8644; IERS, 93).

D. morì nel 1424, probabilmente a Tivoli (prov. Roma).

Anche la data della sua scomparsa era, fino a non molti anni fa, sconosciuta; il Seckel era riuscito soltanto a stabilire che la morte doveva aver avuto luogo prima del 1436 e il Ridolfi l'aveva posta al 1422. Spetta al Maffei il merito di aver fatto luce su tale particolare biografico, scoprendo nel cod. Vat. lat. 2265 (c. 262vB), nel colophon della lectura super Sexto Decretalium di D., la seguente nota: "Et sic est finis prime et secunde partis lecture super sexto Dominici de Sancto Geminiano qui diern suum clausit extremuni in Tyburto anno Domini M° cccc° xxiiii. tempore domini Martini pape quinti anno VII°. sui pontificatus. Deo gracias".

La notizia si adatta bene a quanto gia sappiamo delle funzioni di "auditor camerae apostolicae", svolte dal canonista nell'ultimo periodo della sua vita, e getta una nuova luce sui rapporti fra la Curia romana e la produzione dottrinale in materia conciliare nel primo Quattrocento. Tuttavia non si può non sottolineare il contrasto con la tradizione biografica umanistica, che indicava in Bologna il luogo della morte di Domenico. Il Diplovatazio infatti, ricordandolo come "clarissimus et iuris utriusque doctor excellentissimus" e come professore in Bologna, pone il periodo della sua fioritura al 1420 e lo vuole sepolto in Bologna, in S. Francesco, accanto alle tombe dei glossatori, dove sarebbe stato anche un epitafio: "Floruit Bononie legendo disputando et scribendo et ubique habitus fuit in pretio anno Domini 1420 ... Tandem prefatus Geminianus Bononie moritur et sepultus fuit in ecclesia fratrum. minorum prope sepulchrum Accursii glossatoris et Francisci eius filii in magis humili sepulchro magis versus introitum prefate ecclesie, ubi adsunt verba insculpta id denotantia". Di tale iscrizione tuttavia non si trova oggi traccia alcuna, né il Rabotti, editore del Diplovatazio, ne ha trovato cenno nello Stato del convento di S. Francesco di Bologna nell'anno 1784 (Archivio di Stato di Bologna, S. Francesco, 212/4344, I, pp. 273-340).

L'opera di D. ebbe una notevole fortuna tipografica fino a tutto il secolo XVI: essa corrispondeva del resto al gusto e ai bisogni della cultura giuridica quattrocentesca, avviata a grandi passi verso le raccolte e i repertori di dottrina e di giurisprudenza, in conseguenza di quella tendenza alla progressiva "sistemaZione" dell'elaborazone teorica attraverso una vorace ingestione di opiniones, dicta, sententiae. Già prima dell'apparizione dei grandi repertori utriusque iuris, come quello del suo contemporaneo Pietro Del Monte, le opere esegetiche di D. sembrano soddisfare a quelle esigenze di repertoriazione e di "digestione" dei frutti dell'età precedente, sotto la indubbia spinta delle tensioni ideologiche e della letteratura controversistica prodotta in abbondanza nella stagione dei grandi concili. Sottolineava ciò il Diplovatazio, quando lodando i commentari ne metteva parimenti in rilievo l'intento compilatorio: "Dominicus de Sancto Geminiano, clarissimus et iuris utriusque doctor excellentissimus, decretorum librum utiliter commentavit. Super sexturn etiani librum decretaliuni omnium doctorum dicta perstringens pulchrum apparatuni composuit et alia plura in iure canonico reliquit". Come lo Schulte pose bene in evidenza, è anzi D. medesimo a fornirci un elenco delle sue fonti principali, da Paolo de' Liazari a Lapo da Castiglionchio, da Giovanni di S. Giorgio ad Antonio da Budrio, da Giovanni de Fantutiis a Pietro d'Ancarano, da Giovanni da Imola a Oldrado da Ponte, da Federico Petrucci a Giovanni e Gaspare Calderini, senza tralasciare, naturalmente, Giovanni d'Andrea e - fatto di straordinaria importanza per la "sistemazione" della canonistica del primo Quattrocento - le "decisiones dominorum de Rota".

I commentari al Liber Sextus Decretalium, che sono certamente l'opera maggiore e più diffusa di D., si presentano così - per usare ancora parole dello Schulte - come "eine Arbeit von kolossalen Unifange", la cui "prolissità" è stata spesso sottolineata, ma a torto: l'importanza di quell'opera non consistendo affatto in uno sforzo di creazione "originale" (pochi e incerti gli spunti a questo proposito, sia nel caso del constitutum Constantini, come sottolineato dal Maffei, sia nel caso della definizione della potestas papae, alla quale D. attribuiva l'abito ma non l'esercizio della giurisdizione secolare), ma consistendo invece in un costante e deliberato tentativo di raccolta e di concordantia delle diverse interpretazioni.