La Ronda

 

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Rivista letteraria fondata a Roma nel 1919 e pubblicata fino al 1923. I sette redattori (R. Bacchelli, A. Baldini, B. Barilli, V. Cardarelli, E. Cecchi, L. Montano, A. E. Saffi) volevano reagire al neoromanticismo “vociano” e ai torbidi fermenti del dannunzianesimo e del futurismo e concentrare la loro attenzione solo sull'esperienza letteraria, auspicando il ritorno alla nostra migliore tradizione classica (Manzoni e Leopardi) e, nel contempo, l'apertura verso la più robusta e stimolante cultura moderna europea, soprattutto anglosassone.

Raccogliendo l'eredità della Voce derobertisiana e rifacendosi all'alto magistero stilistico del Leopardi delle Operette morali, La Ronda si fece promotrice della cosiddetta “prosa d'arte”: il saggio, l'elzeviro, il capitolo, a mezzo tra la prosa liricizzata e la notazione critica, sono tra le forme più tipiche del “neoclassicismo” rondista.

In questa restaurazione limitata ai valori tecnici e stilistici, in questa pretesa d'autosufficienza di una letteratura chiusa nella sua torre d'avorio e inaccessibile alle sollecitazioni della storia, è il limite ideologico della Ronda.

D'altra parte, il “disimpegno” dei rondisti era solo apparente, condividendo essi le posizioni del liberalismo giolittiano, ormai incapace di comprendere le novità strutturali della società italiana dopo la prima guerra mondiale.

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La Ronda è una rivista letteraria pubblicata a Roma tra il 1919 e il 1923. I suoi redattori sono i "sette savi" o i "sette nemici" (per indicare i legami di amicizia, ma anche la divergenza di idee) e vengono elencati con spirito ironico da Margutte, soprannome di Antonio Baldini, in questo modo: Vincenzo Cardarelli "pubblicista", Emilio Cecchi "esquire" (scudiero in senso di rispetto per la sua esperienza critica), Riccardo Bacchelli "possidente", Antonio Baldini "baccelliere in lettere", Lorenzo Montano "industriale", Bruno Barilli "compositore", Aurelio Emilio Saffi "docente nelle scuole governative".

A costoro si affiancarono numerosi collaboratori esterni tra i quali Guglielmo Ferrero, Vilfredo Pareto, Filippo Burzio, Giuseppe Raimondi (segretario), Alberto Savinio e, tra i pittori metafisici, coloro che in quegli anni animavano la rivista di arti figurative Valori plastici come Carlo Carrà, che contribuisce con i suoi articoli su Henri Matisse e Paul Cézanne, e Giorgio De Chirico che assimila la "classicità" rondista alla sua "metafisica".

A Cardarelli, che nel 1920 prenderà la direzione insieme a Saffi, si deve il programma antisperimentale e antivanguardistico della rivista: il ritorno della tradizione letteraria italiana, attraverso la prosa di Leopardi, una poetica del frammento a scapito del romanzo e della poesia (il primo perché ritenuto essere scaduto a puro genere di consumo, la seconda perché esaurite le potenzialità stilistiche).

Sul n. 1 de La Ronda dell'aprile 1919 apparve un Prologo in tre parti redatto da Vincenzo Cardarelli nel quale si legge:

"Non sembrerà un paradosso se diciamo che dai classici per i quali, come per noi l'arte non aveva altro scopo che il diletto, abbiamo imparato ad essere uomini prima che letterati. Il vocabolo umanità lo vorremmo scrivere nobilmente con l'H, come lo si scriveva ai tempi del Machiavelli, perché s'intendesse il preciso senso che noi diamo a questa parola (...).

Abbiamo poca simpatia per questa letteratura di parvenus che si illudono di essere bravi scherzando col mestiere e giocando la loro fortuna su dieci termini o modi non consueti quando l'ereditarietà e la familiarità del linguaggio sono le sole ricchezze di cui può far pompa uno scrittore decente (...).

Ci sostiene la sicurezza di avere un modo nostro di leggere e di rimettere in vita ciò che sembra morto. Il nostro classicismo è metaforico e a doppio fondo. Seguitare a servirci con fiducia di uno stile definito non vorrà dire per noi altro che realizzare delle nuove eleganze, perpetuare, insomma, la tradizione della nostra arte. E questo stimeremo essere moderni alla maniera italiana senza spatriarci."

I punti fermi sono dunque essenzialmente tre: a) simpatia e preferenze per il passato, culto dei classici e humanitas che consentono di sentirsi uomini; b) impegni linguistici e stilistici come il leggere e lo scrivere elegante non in senso formale ma come lucida e leopardiana trasparenza dei moti dell'animo; c) sincera fedeltà alla tradizione senza perdere di vista il livello europeo delle letterature straniere, mettersi in regola coi tempi, senza però spatriarsi.

Durante il primo anno si svolgono su La Ronda gli interventi di Cecchi, Baldini, Bacchelli, mentre la rubrica Rondesca puntualizza su ogni numero la fisionomia della rivista.

I futuristi e il futurismo, Filippo Tommaso Marinetti di Zang Tumb Tumb e dei manifesti sono violentemente attaccati e denominati distruttori letterari e si polemizza contro gli intellettuali compromessi che hanno dimenticato il loro più importante dovere, quello della "schiettezza disinteressata".

Sulla prima rubrica Rondesca del maggio 1919 viene proclamata la necessaria, assoluta indipendenza dell'arte dalla politica, in quanto l'arte "è libera, inutile, inefficace e indistruttibile. Non può pretendere d'essere considerata, rispettata e renumerata, né dai conservatori, né dai rivoluzionari". Giovanni Pascoli viene accusato di essere responsabile della decadenza della letteratura contemporanea e nell'ottobre del 1919 "La Ronda" apre un Referendum su Pascoli che si conclude nel gennaio 1920 e la discussione annovera una decina di interventi tra cui quella di Cecchi, Bacchelli, Cesare Angelini e Ardengo Soffici.

Viene invece preso a modello Alessandro Manzoni e il Giacomo Leopardi delle Operette morali e dello Zibaldone. Un numero triplo, marzo-aprile-maggio 1921, interamente dedicato a Leopardi, pubblica parte dello Zibaldone e ne viene decantata l'eleganza dello stile.

Gli interni e le sezioni de La Ronda vengono completati con gli apporti della letteratura straniera. Vengono riportate le versioni e le traduzioni di autori anglosassoni come Robert Louis Stevenson, Herman Melville, Gilbert Keith Chesterton, Hilaire Belloc, George Bernard Shaw, Edgar Lee Masters, Thomas Hardy, a cura di Cecchi e Bacchelli scrive un saggio su Leon Tolstoj. Escludendo il numero straordinario del dicembre 1923, La Ronda cessa per cause interne proprio nel momento in cui il fascismo giunge al potere.