Romain Rolland
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Scrittore francese (Clamecy 1866 - Vézelay 1944).
Autore di
molte opere di storia e di critica musicale, oltre che drammaturgo,
ha legato la sua fama soprattutto al romanzo ciclico Jean-Christophe
(1904-12), grande affresco dell'Europa tra Otto e Novecento, in cui,
unendo motivi autobiografici a spunti tratti dalla vita di Beethoven
narrò le vicende di un giovane musicista in lotta contro una
tradizione soffocante. Pacifista e antifascista, fu insignito nel
1915 del premio Nobel per la letteratura.
Vita e opere.
Prof. di storia dell'arte alla Scuola normale di
Parigi e di storia della musica alla Sorbona, fondatore (1901) della
Revue d'histoire et critique musicale. Alla musica, in cui
riconosceva un linguaggio universale capace di accomunare tutti gli
uomini, dedicò studi raffinati e acuti (Les origines du
théâtre lirique. Histoire de l'opéra en Europe
avant Lulli et Scarlatti, 1895; Les musiciens italiens en France
sous Mazarin, 1901; Musiciens d'aujourd'hui, 1908; Musiciens
d'autrefois, 1908); pubblicò anche una biografia di Beethoven
(1903), prima di una serie di Vies des hommes illustres che
comprende Vie de Michel-Ange (1905), Vie de Tolstoï (1911) e
Mahatma Gandhi (1924).
Come autore teatrale, oltre alla trilogia Les
tragédies de la foi (Saint-Louis, 1897; Aërt, 1898; Le
triomphe de la raison, 1899), esaltazione del sacrificio individuale
e atto di fede contro lo scetticismo, scrisse una serie di drammi
sulla Rivoluzione francese (Les loups, 1898; Danton, 1900; Le
quatorze juillet, 1902; Le jeu de l'amour et de la mort, 1925;
Robespierre, 1939).
Complemento teorico della sua produzione
drammatica è il saggio Le théâtre du peuple
(1903).
Allo scoppio della prima guerra mondiale R., pacifista
convinto, si rifugiò in Svizzera, donde lanciò una
serie di appelli ai belligeranti perché cercassero la pace in
nome dei comuni valori di civiltà (Au-dessus de la
mêlée, 1915).
Vicino al partito comunista (nel 1935,
durante un viaggio in Unione Sovietica, conobbe Stalin, dal quale
prese le distanze dopo il patto Molotov-Ribbentrop), all'avvento di
Hitler partecipò, con Gide, Malraux e altri intellettuali, a
numerose manifestazioni antifasciste, lanciando un appello per la
liberazione di Gramsci (1934) e fondando nel 1935 un Comitato
internazionale di aiuto ai prigionieri e ai deportati antifascisti
italiani.
Pubblicò negli stessi anni altri romanzi (Colas
Breugnon, 1920; Clérambault, 1921; L'âme
enchantée, 6 voll., 1922-33; Le voyage intérieur,
1943) e dedicò un saggio a Ch. Péguy (Péguy,
1944), del quale era stato amico e ai cui Cahiers de la Quinzaine
aveva assiduamente collaborato.
wikipedia
Romain Rolland (Clamecy, 29 gennaio 1866 – Vézelay, 30
dicembre 1944) è stato uno scrittore e drammaturgo francese.
Dedicò l'opera e la vita alla diffusione di un credo
umanitario di pace e di fraternità cercandone conferma, non
senza un certo eclettismo idealistico, insieme in Lev Tolstoj,
Gandhi, Gorkij, nella filosofia orientale e nella Rivoluzione russa.
Ricercò un'arte «per il popolo», specie in campo
teatrale; va ricordato, tra l'altro, il suo Théatre de la
Rèvolution, Les loups (I lupi), Danton, Le quatorze juillet
(Il 14 luglio), pubblicati rispettivamente nel 1908, 1900 e 1902.
Compose poi numerose biografie esemplari, tra cui Beethoven (1903) e
Michel-Ange (1905), tradotte, La vie de Tolstoj (1911; La vita di
Tolstoj).
Jean-Christophe (Gian Cristoforo), pubblicato fra il 1903 e il 1912
sui Cahiers de la Quinzaine di Charles Peguy, è la sua opera
più nota: si tratta di un romanzo in dieci volumi dove
Rolland, sulla scorta di Tolstoj, rompe gli schemi del romanzo
oggettivo alla Flaubert per descrivere il lento fluire di una intera
esistenza.
Alla formula del romanzo-fiume tornò con minore fortuna
pubblicando (1922-1933) i sette volumi de L'ame enchantée
(L'anima incantata).
Allo scoppio della prima guerra mondiale Rolland si trovava in
Svizzera: Au-dessus de la mêlée (1915; Al di sopra
della mischia), raccolta di articoli pubblicati sul Journal de
Genève (e in seguito in volume), fece scandalo per la forte
intonazione antimilitarista.
Nel 1915 gli fu conferito il Premio Nobel per la letteratura. Tra le
due guerre Rolland partecipò ad alcune iniziative
internazionali dell'intellettualità europea contro il
fascismo e la guerra; nel 1923 partecipò alla fondazione
della rivista Europe. Notevole fu anche la sua attività di
musicologo, fu uno dei più straordinari interpreti di Bach.
*
ROMAIN ROLLAND
Stefan Zweig
Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo,
Mondadori, Milano 1979, pp. 162-165
Fu per mero caso che scopersi a tempo Romain Rolland. Una scultrice
russa mi aveva invitato al tè a Firenze per mostrarmi i suoi
lavori e tentare un mio ritratto. Giunsi puntuale alle quattro,
dimenticando che lei era una russa, al di là quindi del tempo
e della puntualità. Una vecchia "babuscka", come poi seppi
nutrice già di sua madre, mi introdusse nello studio
pittorescamente disordinato e mi pregò di aspettare. Non
c'erano attorno che quattro sculture, che in due minuti avevo viste.
Per non perder tempo pigliai un libro, o meglio alcuni fascicoletti
bruni giacenti su di un tavolo. Si intitolavano «Cabiers de la
Quinzaine», un titolo che ramrnentavo d'aver già udito
a Parigi. Ma chi poteva seguire tutte le rivistucole che spuntavano
qua e là, come fugaci fiori ìdealisti per subito
sparire? Sfogliaì un fascicolo, «L'Aube» di
Romain Rolland, e cominciai a leggere, sempre più stupito e
interessato. Chi era questo francese che così bene conosceva
la Germania?
Ben presto fui grato alla brava russa per la sua
mancanza di puntualità. Quando finalmente comparve la mia
prima domanda fu: «Ma chi è questo Romain
Rolland?». Essa non poté darmi precise informazioni e
solo quando mi fui procurato gli altri fascicoli (gli ultimi non
erano ancora comparsi), mi fu chiaro dì aver scoperto l'opera
che finalmente non si rivolgeva a un'unica nazione europea, ma a
tutte, e al loro affratellamento.
Lì c'era l'uomo, il poeta
che metteva in gioco tutte le forze morali comprensione affettuosa e
leale desiderio di comprendere, senso sublimato e filtrato di
giustizia e fervida fede nella missione affratellatrice dell'arte.
Mentre noi ci disperdevamo in piccole manifestazioni, egli era
passato, tenace e paziente, all'azione, al compito di far conoscere
reciprocamente i popoli per quelle doti in cui sono individualmente
più pregevoli, era il primo romanzo coscientemente europeo,
il primo deciso appello alla fraternità, più efficace
perché accessibile a più larghe masse che non gli inni
di Verhaeren, più persuasivo che tutti i manifesti e le
proteste; qui insomma era.stata creata in silenzio l'opera che noi
tutti avevamo incoscientemente invocato e desiderato.
Mio primo desiderio giungendo a Parigi fu chiedere di lui memore del
motto goethiano: «Egli ha imparato, egli ci può
insegnare». Ne chiesi agli amici. Verhaeren ricordava
vagamente un dramma «I lupi» rappresentato nel Teatro
del Popolo socialista. Bazalgette aveva inteso dire che Rolland era
musicologo e aveva scritto un libriccino su Beethoven. Nel catalogo
della Biblioteca Nazionale trovai una dozzina di opere sulla musica
antica e moderna, sette od otto drammi, tutti comparsi presso
piccoli editori o nei Cahiers. Alla fine per avere un punto
d'incontro gli mandai un libro mio. Giunse presto una lettera che
m'invitava a visitarlo e cominciò così un'amicizia,
che accanto a quella con Freud e con Verhaeren, fu la più
feconda e in molte ore persino la più decisiva per
l'indirizzo della mia vita.
I giorni solenni dell'esistenza hanno in sé una
luminosità più intensa di quelli consueti. Così
rammento con estrema chìarezza quella mia prima visita.
Cinque piani di una scala a spirale piuttosto stretta, in una casa
modesta accanto al Boulevard Montparnasse, e già davanti alla
porta intuii una pace particolare, il rumore del viale non giungeva
che come un lieve brusio, insieme al mite venticello che passava
sotto le finestre fra gli alberi di un vecchio giardino. Rolland mi
aprì la porta e mi introdusse nel suo piccolo studio
tappezzato di libri sino al soffitto. Per la prima volta vidi i suoi
occhi di uno strano azzurro luminoso, i più limpidi e insieme
i più benevoli occhi che abbìa maì veduto,
capaci di attingere discorrendo colore e fiamma dall'intimità
del sentimento, di farsi foschi nel dolore, di approfondirsi nella
meditazione, di lampeggiare nell'eccitazione; pupille incomparabili
fra cìglia un po' stanche, lievemente arrossate dalla lettura
e dalle veglie, ricche di una meravigliosa irradiazione in una luce
affettuosa e confortatrice.
Osservavo un poco intimidito la sua
figura. Era altissimo ed esile e camminava un po' curvo, come se le
innumerevoli ore passate allo scrittoio l'avessero piegato;
l'estremo pallore del volto dalle linee decise lo faceva apparire
quasi malaticcio. Parlava molto piano e in genere risparmiava in
ogni modo le sue forze fisiche; non passeggiava mai, non beveva e
non fumava, evitava ogni sforzo fisico; tuttavia dovetti più
tardi riconoscere con ammirazione l'immensa resistenza insita in
quel corpo d'asceta, l'enorme energia spirituale celata dietro
quell'apparente debolezza. Scriveva ore e ore al suo piccolo
scrittoio sempre ingombro, leggeva a lungo a letto, senza concedere
al corpo stanco più di quattro o cinque ore di sonno e quale
unico sollievo si permetteva la musica. Suonava splendidamente il
pianoforte, con un tocco di indimenticabile delicatezza,
accarezzando per così dire i tasti quasi volesse farne uscire
per incantesimo le note. Nessun virtuoso - e io ho gustato in intima
cerchia Max Reger, Busoni, Bruno Walter - mi ha, come lui, dato il
senso di una comunicazione immediata coi diletti maestri.
Il suo sapere era di un eclettismo mortificante; vivendo quasi
soltanto della lettura, egli aveva una conoscenza sovrana della
letteratura, della filosofia, della storia e dei problemi di ogni
tempo e paese. In musica conosceva ogni battuta, gli erano familiari
anche le opere men note di Galuppi, Telemann e anche di musicisti di
sesto o settimo ordine, e con tutto questo partecipava con passione
al presente. Nella sua cella di semplicità claustrale si
rispecchiava un mondo come in una camera oscura. Aveva avuta
l'intimità dei suoi grandi contemporanei, era stato scolaro
di Renan, ospite di Wagner, amico di Jaurès; Tolstoi aveva
indirizzato a lui la celebre lettera che, quale documento umano, sta
degnamente a fianco della sua opera poetica. In lui io sentii - e
questo è per me sempre ragione di intima gioia - una
superiorità umana ed etica, un'intima libertà senza
orgoglio, libertà spontanea e naturale dì un'anima
forte.
Sin dal primo sguardo riconobbi in luì, e il tempo mi
dette poi ragione, l'uomo che nel momento decisivo sarebbe divenuto
la coscienza dell'Europa. Parlammo di Jean-Cristophe e Rolland mi
spiegò di aver tentato con esso di adempiere a un triplice
dovere: esprimere la sua gratitudine per la musica, la sua
professìone di fede nell'unità europea e il suo monito
ai popoli perché ritornassero in sé. Ognuno di noi
doveva agire, cìascuno dal proprio paese, dal proprio posto,
nella propria lingua. Era tempo di farsi vigili, sempre più
vigili. Le forze che spìngevano all'odio per la loro stessa
natura inferiore erano ben più veementi e aggressive che non
quelle conciliatrici, dietro di esse stavano per dì
più interessi materiali ben più spregiudicati che i
nostri. Il male era all'opera, lottare contro di esso era compito
ancor più importante che servire l'arte nostra.
La sofferenza
per la vulnerabilità della natura terrena mi parve
particolarmente commovente in quell'uomo che in tutta la sua opera
aveva esaltato l'arte come imperitura. «L'arte può
confortare noi singoli», mi disse, «ma non può
nulla contro la realtà.»